Siamo a pochi giorni dall'inizio del Conclave e n questa Domenica viene delineata la figura di Simone come colui al quale viene affidato il compito dell'unità della Chiesa, un servizio non un potere assoluto.
Se nella prima Domenica di Pasqua l’Evangelo ci invitava a far memoria della Scrittura, delle parole di Gesù, a renderle vive, a farle interloquire con il presente per comprenderlo e chiedeva di iniziare a guardare, a vivere oltre gli orizzonti di tutte le morti amando o cercando di amare come Cristo ha amato e, soprattutto, credendo al suo amore per noi.Nella seconda Gesù si fa presente in mezzo ai discepoli nel Cenacolo e per tre volte ha donato loro la “pace” frutto della sua morte e risurrezione. Ma non è un dono da conservare bensì da condividere nonostante la diffidenza, le difficoltà di rendersene conto, di accettarlo e comprendere che non è quella che dà il mondo. I discepoli però non sembrano aver colto e compreso che, quanto accaduto, non era un qualcosa di bello ma estemporaneo, fine a se stesso, bensì era la richiesta di continuare il cammino iniziato seguendo Gesù.
Di fatto oggi li ritroviamo in Galilea. Hanno lasciato Gerusalemme per riprendere la loro vita prima di aver incontrato quella persona che li aveva affascinati e sulla quale avevano posto la loro fiducia, la loro speranza ma dalla quale erano rimasti sconcertati se non delusi. Alla fin fine non era dimostrato quel Messia che avevano acclamato con il popolo all’ingresso a Gerusalemme o, almeno, non aveva le caratteristiche di nessuno delle sei tipologie attese. Non erano ancora riusciti a comprendere quali fossero quelle da lui interpretate nel richiamare costantemente la misericordia del Padre su tutti indiscriminatamente. Quel dono della “pace” non li aveva coinvolti più di tanto come non fa alcun effetto a noi nonostante nelle nostre Messe il presbitero ce lo afferma, guarda caso, tre volte che significa la completezza.
Dopo la morte di Giuda si erano ritrovati in undici, ora diversi apostoli non ci sono più e sono solo in sette. È il fallimento anche di Gesù che non pare essere riuscito a consolidare il gruppo in una Comunità solida. Si disperdono e si rifugiano in ciò che conoscevano meglio, il loro mestiere di prima ma il risultato è che la pesca quella notte è stata nulla.
Gesù, che aveva detto loro “senza di me non potete far nulla” e lui non demorde, si fa loro presente per la terza volta, chiede se hanno qualcosa da mangiare e, di fronte alla loro desolazione, indica come e dove gettare le reti che poi fanno fatica a tirare a riva senza romperle con 153 pesci dentro. È la missione della Chiesa che qui viene descritta: non è frutto di iniziativa umana, se ci confida in questa si fallisce. Se si seguono le indicazioni del Signore la pesca non solo avviene ma è la pienezza delle moltitudini perché il numero 153 è composto da 50x3+3. Nell’ebraico nel quale le lettere hanno valore simbolico, il 50 rappresenta il popolo, il 3 la perfezione e allora siamo di fronte all’intera umanità ma ancora non basta, viene aggiunto un’altro 3 per dire che non c’è dubbio, è proprio la totalità. L’evangelo di oggi vuole allora dirci che la comunità cristiana porterà a compimento con pieno successo la sua missione di salvezza. Tutto il popolo, tutta l’umanità verrà liberata dai vincoli di morte che la avvolgono, la tengono prigioniera, la portano alla rovina rappresentate dal mare e dalla notte. I discepoli, noi, riusciremo in questa impresa a condizione che ci lasciamo sempre guidare dalla voce del Risorto. Lui ha già acceso il fuoco (dell’amore e della misericordia senza fine) e preparato il pesce arrostito ma ha bisogno che portiamo anche noi il nostro contributo: non ci ha forse invitato ad essere “pescatori di uomini”? Il pane invece no, questo viene sempre offerto gratuitamente dal Signore. È l’Eucaristia, è il pane che il Risorto spezza e vuole che tutti i fratelli condividano fino al giorno in cui il segno sacramentale sarà realizzato dall’unione piena e definitiva con lui e con il Padre.
È innegabile che poi a Simone (così lo chiama Gesù e non Pietro!) viene affidato il compito di presiedere al lavoro apostolico e all’unità della Chiesa. È lui che, tornato, sulla barca, prende la rete e, facendo attenzione che non si strappi, la porta a riva con il carico dell’intera umanità. Questo non significa che ha un potere assoluto, che può dare ordini assoluti e, meno ancora, quello di costituire una casta privilegiata e staccata dalla comunità dei fratelli. Non bisogna dimenticare di fatto lui arriva sempre dopo, che c’è sempre qualcuno che lo precede, che ha bisogno anche lui che qualcuno gli indichi il Signore.
Anche il dialogo con Gesù con il “figlio di Giovanni” (il Battista, ndr) è interessante. Per due volte gli viene chiesto “mi ami tu?” (=agapao, l’amore di donazione totale) e Pietro risponde con “tu sai che ti voglio bene” (il verbo usato è philein che definisce l’amore di amicizia); la terza volta Gesù usa questo secondo verbo accordandosi con la reazione di Simone che sa bene di non essere stato in grado di corrispondere con pienezza di amore negando di conoscerlo e abbandonandolo.
I discepoli che hanno lasciato Gerusalemme, tornano dove tutto è iniziato per raccogliere i pezzi della loro esperienza, guarire le ferite, comprendere la novità aiutati da Gesù che si prende cura di loro. È con quest’ultima certezza che anche noi possiamo nelle nostre Comunità sempre ricominciare.
(BiGio)