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1 gennaio - Lc 2,16-21

In cammino con tre verbi: udire, custodire, vedere



Nella pagina dell’Evangelo di oggi, Maria si sorprende di quello che i pastori raccontano sia stato detto loro del suo bambino. Ma come, l’angelo nove mesi prima non glielo aveva già detto? Si può dimenticare un annuncio del genere? No, non si dimentica. 

Maria da una parte rimane sorpresa che altri ora lo sappiano e proclamino ad alta voce a tutte quello che a lei era stato detto nel segreto. Dall’altra custodisce e medita per comprendere bene e sempre di più quella parola avvenuta(è la traduzione letterale dal versetto 15 che precede il testo odierno) che il Signore aveva prima annunciato a lei e ora fatto conoscere ai pastori. Questi ultimi, differentemente da ciò che i più pensano, non vanno ad adorare un bambino, ma a vederequella parolaudita” (come Israele aveva visto le parole pronunciate dal Signore sul Sinài – Es 20,18) e a raccontarla per poi tornare,lodando Dio per ciò che avevano udito e visto”. 

Ma cosa avevano udito e visto? L’annuncio della salvezza per tutto il popolo. È un messaggio diverso da quello del Battista che invitava alla penitenza per avere la salvezza; ora quest’ultima è annunciata direttamente e in totale gratuità. È questo che li muove nella gioia di un cammino di conversione perchè li porterà di fronte alla salvezza, a quel bambino deposto nella mangiatoia. Attenzione, in questo verbo c’è un richiamo forte che chiude le porte ad ogni sdolcinatura; è il medesimo verbo usato quando il corpo di Gesù, avvolto nelle bende del sudario, viene deposto nel sepolcro. Questo per dirci che non si deve dimenticare come la salvezza ora annunciata in questa nascita, è comprensibile solo alla luce dell’intera vita-morte-resurrezione di quel bambino. 

Nel buio di una notte una manciata di pastori, hanno udito una Parola (l’annuncio della salvezza), l’hanno accolta, ci hanno ragionato sopra (= meditato) e, richiamandosela a vicenda (= custodendola), hanno iniziato un cammino al termine del quale l’hanno vista

Questa è allora una delle cose che l’Evangelo di oggi ci richiama: la Parola è sempre “nuova” e capace costantemente di sorprenderci come ha stupito Maria. È però necessario accoglierla, custodirla e meditarla nel silenzio del proprio cuore, in un itinerario che dura una vita. Contemporaneamente però va testimoniata più che con le parole con la concretezza del nostro essere tra, con e per gli altri, per farla “vedere”, cioè rendendola reale.

È questo il cammino al quale ci invita l’Evangelo di oggi: saper accogliere, custodire, meditare ed annunciare ad alta voce ogni speranza, vivendola nella concretezza di ogni giorno, sapendola anche accogliere da chi sono oggi i pastori di quel tempo, cioè gli esclusi, gli emarginati, gli ultimi che ne sono i primi depositari.

Sulle orme di Maria e dei pastori, buon cammino in questo 2022 nella pace del Signore, che non è quella del mondo.

 

(BiGio)

Quale pace?

Pace fra gli uomini, i suoi amati


 

Così risuona senza ambiguità il canto degli angeli la notte di Natale. Ambiguità alle quale si prestano le altre traduzioni, anche quella ultima “Pace agli uomini che egli ama” perché potrebbe far intendere che ce ne sono alcuni che Lui non ama.

Così il cielo proclama in Gesù, la gloria di Dio, colui che mette pace fra gli uomini perché Dio non ha mai cessato di amarli.

Dobbiamo allora domandarci: ma quale pace? Da quando il Cristo è venuto fra noi, non si è verificato un progresso della pace sulla terra, anzi, il progresso è stato piuttosto nel perfezionamento delle armi che anziché uccidere un solo uomo, ne possono uccidere milioni in un colpo solo. Oggi l’uomo ha persino il potere di annientare, in pochi istanti e più volte, tutto il nostro pianeta. Gli ebrei, che ci dicono di continuo che basta guardare il mondo per vedere che il Messia non è venuto, non hanno forse ragione? Sì, hanno ragione; e di fatto, anche noi aspettiamo il ritorno, piuttosto che la venuta, del Messia; è in quel momento, secondo la fede cristiana, che si verificheranno pienamente le profezie delle quali Israele aspetta, anche esso, il compimento. Ma allora qual è il senso della proclamazione angelica del Natale? Di quale pace parla la schiera celeste? E non è forse è strano che un “esercito” (il greco dice proprio stratià, termine eminentemente militare) - forse pure celeste - parli di pace? La risposta non è certo facile, e non ci si può accontentare di parlare di pace interiore, perché anche questa è piuttosto spesso minacciata e rotta, anche fra noi cristiani.

Quale pace è mai Gesù, e Gesù bambino? È proprio a partire dal fatto che Gesù è un bambino che possiamo capire. Un bambino è chiamato a crescere; così chi la pace che è Gesù non è “pronta per l’uso”; È piuttosto il pegno, la garanzia che ci sarà la pace, ma essa deve conquistarsi ma mano; se Gesù cresce in noi, allora nel contempo la pace cresce e diventiamo “artigiani di pace”. Perciò occorre che ci spiriamo al modello di Maria che “custodiva queste parole meditando in corso suo”. 

Sei noi cresce la parola, se essa si impadronisce di noi, allora diventiamo uomini e donne capaci di portare pace. La pace non è una ricetta, non è un prontuario (come se bastasse fare questo o quello…), la pace è una persona. Quando questa persona ci ha conquistati al punto da diventare il nostro stesso io (si pensi all’espressione Paolina: “per me, il vivere in Cristo”, Fil 1,21), allora si mette ad agire attraverso le nostre proprie azioni. Qui sta tutta la differenza tra” l’operatore di pace” e “il pacificatore” (o il pacifista), per il quale la pace è un’ideologia da imporre, magari anche con la potenza e la forza delle armi. “Pacificatore” non era forse uno dei titoli di cui si vantavano gli imperatori romani? E Tacito ne “La vita agricola” ha commentato: “Rubare, massacrare, rapinare, questo (i romani), con falso nome, chiamiamo impero e là, dove hanno fatto il deserto, dicono di aver portato la pace”.


(fr Daniel Attinger)

Il bilancio del 2021 secondo gli italiani.

Come si sentono gli italiani in questo secondo anno di pandemia? Con un morale rispetto al 2020 migliore, ma con meno fiducia nelle istituzioni e nel prossimo


Tempo di bilanci di fine anno. Questo 2021 che sta finendo è il secondo anno di pandemia e seppur alle spalle ci sia il 2020 e i subbugli che ha portato in Italia e nel mondo, il quadro che esce fuori è ancora in chiaroscuro.
È l’ultimo Radar di Swg che dà l’idea di come si sentono gli italiani, con un morale che comunque rispetto all’anno precedente migliora, ma con un peggioramento di fiducia nelle istituzioni e nel prossimo.

Come è stato il 2021? 
Gli italiani di certo non possono dire che sia stato un anno come il 2020 che ha visto arrivare nel mondo il flagello del Covid. Però in generale giudicano questo anno che sta per volgere al termine più negativo che positivo (54%).
Il 65% delle persone si sente cambiato, sostenendo per lo più di non essere né più fragile né più forte ma semplicemente diverso dall’anno precedente (44%). Significativo un 37% che si descrive cambiato e più fragile.

E la socialità? 
Si registra una certa sfiducia generale sia nei confronti del prossimo, sia nei confronti della politica. Le aspettative nel futuro rispetto al 2020 sono diminuite dell’11% e anche il tempo dedicato al divertimento ha subito un arresto.
In peggioramento quindi tutto ciò che concerne il vivere collettivo e la socialità. A livello individuale però risale un po’ di felicità rispetto al 2020.
Anche se le istituzioni non godono di grande stima, il governo riscuote riconoscimento con un +17%.

Il senso di collettività e la fiducia nel prossimo a dura prova 
Tutto ciò si può leggere con una chiusura più intimista dell’individuo, con una maggiore consapevolezza e informazione, ma altresì segnala smagliature fra la persona e gli altri nell’instaurare e nel mantenere legami sociali. Frattura più evidente l’essere o meno a favore dei vaccini.
Una grande dicotomia che si sta realizzando a causa dei cambiamenti sociali dettati dalla pandemia, che però indica anche come gli italiani abbiano in questo anno più consapevolezza di essere vulnerabili e al tempo stesso consapevoli di dare a volte importanza a ciò che è futile.
L’anno che verrà quindi sarà un banco di prova non solo per il rilancio economico del Paese, ma per una ricostruzione di senso di comunità e di vita collettiva, sempre più indebolito da questi due anni di pandemia.

La pandemia e la percezione del paese
L’andamento dei contagi influisce molto nelle emozioni positive e negative degli italiani. Negli ultimi due mesi dell’anno infatti, dopo aver registrato una certa diminuzione, si è vista crescere la paura. Stessa percezione anche per la situazione economica, che preoccupa di pari passo con i contagi.
Gli intervistati però che valutano la loro personale situazione economica hanno affermato di avere trovato un equilibrio e laddove è venuto meno un lavoro, ci si è dichiarati ottimisti nel ritrovarne uno in breve tempo.

Tutti i dati nell'articolo di Silvia Boscolo per Formiche.net a questo link:


Piccola Rassegna Stampa: una selezione di temi .... (13 segnalazioni)

Questa piccola "Rassegna Stampa" fatta di indicazioni di articoli (con relativo link) su temi che si ritengono interessanti per le attenzioni spesso sollecitate nella nostra Comunità, o per situazioni importanti ma non molto presenti nei media. 


Un breve sommarietto ne anticipano il contenuto così si può scegliere quello che eventualmente interessa. In ogni caso anche solo la titolazione e il sommarietto offrono una informazione.





Questa edizione è divisa in blocchi ordinati:

 

·   3 ancora tre riflessioni sul Natale

·   2 articoli sulla liturgia e sulle sfide del futuro

·   3 riflessioni sul cosa comporti il credere e la fede nel tempo delle chiese vuote 

·   2 articoli sulle guerre dimenticate (Birmania – Siria – Yemen)

·  2 articoli sulla situazione drammatica in Afghanistan (in particolare per i bambini che corrono il pericolo di non vedere la primavera)

·   1 articolo del Nobel per la fisica Parisi sul tema di un ritorno al nucleare in Italia

 

 

Il bambino che nasce 

di Raniero La Valle in www.chiesadituttichiesadeipoveri.it del 29 dicembre 2021

la concezione di un Dio "tappabuchi" e traboccante di onnipotenza non è nemmeno della Bibbia, dove certo ci sono molte pagine oggi inaccettabili, ma che non deve essere letta senza metodo critico, in modo fondamentalista e letterale

 

Natale come ragione di attendersi l'inatteso 

di Tomaso Montanari in www.chiesadituttichiesadeipoveri.it del 29 dicembre 2021

Festa della vita messa in gioco il Natale è il segno di una lotta per la giustizia non in un altro ma in questo mondo. Cosa altro è la nascita di un bambino se non un atto di fiducia e di speranza nella possibilità che cambi tutto?

 

Per un Natale di speranza 

di Luca Mazzinghi in il Quotidiano del Molise del 19 dicembre 2021

Questa pandemia può ancora diventare un'occasione di grazia, in questa disgrazia globale che il mondo sta attraversando, un'occasione per noi comunità cristiane perché possiamo riscoprire l'autenticità del cristianesimo; nulla sarà infatti più come prima; non illudiamoci: in un modo o in un altro non ritorneremo più a una presunta normalità.

 

Liturgia: riaprire il cantiere 

di Patrice Dunois-Canette in https://saintmerry-hors-les-murs.com del 21 dicembre 2021 (nostra traduzione)

Che cosa mostrano della Chiesa le nostre celebrazioni? Che cosa vogliamo che dicano della Chiesa? Se la liturgia fa la Chiesa, a mio avviso bisogna riaprire il cantiere chiuso troppo presto dopo il Concilio Vaticano II. Riconoscere e rendere visibile nella celebrazione l'identità che il battesimo dà a tutti.

 

Le sfide del futuro 

di Goffredo Boselli in Vita Pastorale del 28 dicembre 2021

da qualche tempo la novità è che anche i laici, uomini e donne credenti e regolarmente praticanti, si dichiarano sinceramente inquieti e preoccupati perché avvertono che partecipare alla liturgia è diventato sempre più per loro una fatica, confessando, con tristezza e talvolta anche con turbamento, che sentono di ricevere poco o nulla da liturgie che avvertono come trascurate, stanche, monotone (ndr.: per la comunità della quale faccio parte da tre mesi ormai non è più possibile celebrare liturgie desiderate, arricchenti, ospitali, piene di umanità, evangeliche... dentro l'istituzione manca il respiro e un'esperienza di oltre 50 è stata interrotta)

 

Un ostacolo alla fede? 

di Severino Dianich in Vita Pastorale del gennaio 2022

non poche esperienze vissute obbligano a rispondere che la chiesa, in non pochi casi, di fatto è un ostacolo alla fede. L'incoerenza di comportamenti di tanti cristiani, sia pastori che fedeli, è una continua provocazione a credere.

 

Credere è un'altra cosa 

di José Antonio Pagola in baptises.fr del 19 dicembre 2021 (nostra traduzione)

Passare da una fede passiva, infantile, ereditata, ad una fede responsabile e personale. La fede non è una sorta di "capitale" che riceviamo in occasione del battesimo e di cui possiamo disporre per il resto della vita. La fede è un atteggiamento che ci mantiene in ascolto di Dio, aperti ogni giorno al suo mistero di vicinanza e di amore per tutti.

 

Halík: «Credere è un frutto del paradosso» 

intervista a Tomáš Halik a cura di Alessandro Zaccuri in Avvenire del 24 dicembre 2021

Durante la pandemia, tempo delle 'chiese vuote', Dio ci ha invitati a essere così creativi da stabilire una relazione personale con Lui anche al di fuori delle pareti di un edificio consacrato. È stato un monito profetico. Dobbiamo tornare a interrogarci sulla nostra fede, andando al centro del messaggio evangelico. Reinterpretare non solo le Scritture e la nostra tradizione, ma anche e specialmente i segni dei tempi.

 

L'anno delle guerre dimenticate e silenziate 

di Alberto Negri in il manifesto del 29 dicembre 2021

Se non fosse per il papa che ha ricordato le tragedie della Siria e dello Yemen qui nessuno ne parlerebbe più. Eppure si tratta di “guerre parallele”. Da una parte l’Arabia saudita si presenta come leader di una coalizione militare che difende il “legittimo” governo yemenita.. Dall’altra c’è lo stato ebraico che approfittando del conflitto siriano ha deciso di raddoppiare gli insediamenti nel Golan occupato nel 1967.

 

In Birmania il massacro continua nel silenzio generale 

di Pierre Haski in www.internazionbale.it del 28 dicembre 2021

L'aspetto peggiore è l'indifferenza generale. La Birmania è ormai sparita dall'agenda dei mezzi d'informazione, tranne quando un massacro va oltre le normali tragedie. È il caso di oggi, ma il timore è che non cambierà nulla.

 

Afghanistan, senza un intervento urgente molti bambini non vedranno la primavera

Con l'arrivo dell'inverno in Afghanistan aumentano i rischi per la salute di 3,2 milioni di bambine e bambini al di sotto dei cinque anni già provati da malnutrizione, siccità, casi di morbillo e mancanza di assistenza e di servizi. Si tratta del numero più alto di persone con grave insicurezza alimentare mai registrato nei dieci anni in cui le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare la situazione in Afghanistan. La rigidità delle temperature peggiora una situazione già grave in cui il rischio di polmonite e malattie respiratorie acute è molto elevato soprattutto nelle zone ad alta quota.

 

Afganistan: ritorno all’ancien regime 

I Talebani vietano i viaggi alle donne non accompagnate da uomini. Il regime sta tornando a prendere la forma del vecchio Emirato, mentre la crisi umanitaria diventa sempre più drammatica. I dati.

https://ispo.campaign-view.eu/ua/viewinbrowser?od=3zfa5fd7b18d05b90a8ca9d41981ba8bf3&rd=166050cccffdd21&sd=166050cccfe6b23&n=11699e4be4dda1e&mrd=166050cccfe6b0d&m=1

 

 

Il Nobel per la fisica Parisi: “Scettico su nucleare in Italia, meglio investire su fotovoltaico e risparmio energetico”

“L’Italia non è un buon posto per fare centrali nucleari: sono scettico”. Intervenuto nel corso dell’evento “Quark e glaciazioni. Conversando sul semplice e sul complesso”, a Roma, il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha espresso le sue perplessità sul ricorso all’energia nucleare nel nostro paese. “È chiaro che ci saranno reattori di quarta generazione alcuni dei quali promettono di “mangiarsi” le scorie per ridurle, ma al momento sono solo dei prototipi. Non è ancora chiaro quanto andrà avanti il nucleare di quarta generazione, mentre è più sicuro investire sul risparmio energetico, ad esempio coibentando le case”. [Fonte: Il Fatto Quotidiano]

 

 

Giornata della Pace 2022: "Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni"

Tre contesti e tre percorsi per edificare una pace duratura: questo nel titolo del Messaggio proposto dal Papa per la ricorrenza del 1° gennaio 2022


Come edificare una pace duratura oggi? Nel tema del prossimo Messaggio della Giornata della Pace, che ricorre il primo gennaio 2022, il Papa individua tre contesti estremamenti attuali su cui riflettere e agire. Da qui il titolo: “Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni: strumenti per edificare una pace duratura”. 
Dopo la "cultura della cura" percorso proposto nel 2021 per “debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente”, per l'anno prossimo Francesco - come rende noto un comunicato del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale - propone una lettura innovativa che risponda alle necessità del tempo attuale e futuro. L'invito attraverso questo tema è dunque -  come già disse il Papa nel Discorso alla Curia Romana in occasione degli auguri natalizi del 21 dicembre 2019 - a "leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questo cambiamento risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi".
E allora partendo dai tre contesti individuati ci si può chiedere, come possono l’istruzione e l’educazione costruire una pace duratura? Se il lavoro, nel mondo, risponde di più o di meno alle vitali necessità dell’essere umano sulla giustizia e sulla libertà? E infine se le generazioni sono veramente solidali fra loro? Credono nel futuro? E se e in che misura il Governo delle società riesce ad impostare, in questo contesto, un orizzonte di pacificazione?

Dialogo ebrei-cristiani: 16 schede per cancellare errori e distorsioni

 Presentato durante i "Colloqui" il risultato del confronto tra esperti per promuovere una divulgazione corretta nei testi, anche quelli per l’insegnamento della religione cattolica per fermare l'antigiudaismo strisciante​ attraverso una rilettura delle Scritture Cristiane  sfrondate da stereotipi e false convinzioni che mostrano come non si pongano in constrasto con il contenuto di quelle Ebraiche.


I Colloqui di Camaldoli «hanno segnato e continuano a segnare la storia del dialogo ebraico-cristiano italiano». Lo ha sottolineato domenica 5 dicembre il vescovo Stefano Russo, segretario generale della Cei, partecipando alla 41ª edizione di questa iniziativa intrapresa nel 1980 da dom Innocenzo Gargano e ora coordinata da dom Matteo Ferrari. E ha approfittato di questo prestigioso contesto per annunciare un importante progetto di collaborazione tra la Chiesa italiana e l’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, la cui intuizione è nata proprio a Camaldoli quattro anni fa. In pratica, insieme alla promozione di proposte formative, alcuni Uffici della segreteria generale della Cei e dall’Ucei si sono impegnati nella produzione di schede riguardanti le nozioni fondamentali della tradizione ebraica da consegnare agli editori perché nella stesura dei nuovi testi gli autori «evitino il più possibile errori e distorsioni, superando in questo modo interpretazioni ambigue o scorrette spesso presenti attraverso tante semplificazioni e luoghi comuni». 

Ciò ha richiesto .... 


La notizia redatta per Avvenire da Laura Caffagnini e Gianni Cardinale a questo link:

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/dialogo-ebrei-cristiani-cancellare-errori-e-distorsioni?fbclid=IwAR23iXs2-cdcZmLqo6QpH35H7uYyvE7wUcyIKRij0ey2VvkW_h6DbdnxIIM

Povertà, virus e profughi. Nessuno si salva da solo e non ne stiamo uscendo migliori ...

Chiudiamo gli scambi? Sospendiamo i commerci? O ci salviamo insieme? La lezione pandemica ha cominciato a svegliarci dal sonno individualista quando abbiamo capito che il vaccino non avrebbe salvato il singolo vaccinato, ma la collettività vaccinata. Fermi all’idea che la collettività si formi nei confini di ogni singolo Stato-nazione, quasi che il virus debba esibire i documenti d’identità per varcare i confini, siamo caduti in una sorta di sovranismo vaccinale. “Che ci frega degli altri? Pensiamo a noi, se non basta pensare a me solo!”. Più o meno è andata così. E non siamo usciti migliori. Ma siccome c’è sempre tempo per recuperare, la variante Omicron è venuta a spiegarci che davvero “nessuno si salva da solo”.


Un saggio di La Civiltà Cattolica firmato da padre Federico Lombardi 

Ponendosi davanti a noi la lezione evidente che “nessuno si salva da solo”, emerge evidente la domanda di come si salvino i poveri. Sono tempi nei quali per i poveri le strade si fanno più impervie, le scarpe più strette, il freddo più pungente, la pioggia battente. Possiamo salvarci senza di loro? No. Dalla pandemia, ma non solo da questa. Anche la nostra civiltà, se li esclude, va a picco. Non potremo diventare una società di buoni samaritani, ma capire che lasciare un moribondo per strada senza soccorso mi rende incivile, non migliore, anche se a morire sarà lui. Perché poi arriva un imprevisto e la stessa circostanza potrà riguardare anche me. Ecco allora che la lezione pandemica la potremmo capire così: non esistono egoismo e altruismo, ma un modo avveduto e uno sprovveduto di essere egoisti. Perché il mio ego non può cominciare e finire con me ed in me. Salvarsi oggi dunque richiede guardare al di là del proprio naso.

L'intero articolo di Riccardo Cristiano per formiche.net del 29 dicembre a questo link:

https://formiche.net/2021/12/lombardi-gesuiti-virus-pandemia-profughi/

Maurizio Scarpari: Hong Kong. Democrazia con caratteristiche cinesi at work.

Le notizie sono passate praticamente quasi senza alcun commento e, invece, è importante aver presente e ricordare cosa sta accadendo in Cina e a Hong-Kong, perché ci interessa da vicino viste le mire economiche anche sul nostro paese attraverso, ma non solo, la "Nuova Via della Seta" .
Maurizio Scarpari, noto sinologo veneziano, unico tra i suoi colleghi, aveva scritto già mesi fa che la Cina non avrebbe potuto lasciare campo alle proteste dell'ex colonia britannica e, infatti, questo è avvenuto.


“Cina e Russia hanno adempiuto attivamente alle loro responsabilità, hanno promosso una risposta unitaria e globale contro il Covid, hanno comunicato il vero significato della democrazia e dei diritti umani e hanno agito come baluardo per seguire il vero multilateralismo e sostenere l’equità e la giustizia nel mondo. Attualmente alcune forze, con il pretesto della democrazia e dei diritti umani, stanno interferendo nei nostri affari interni, calpestando brutalmente il diritto internazionale.” [mio il corsivo].

Così si è espresso Xi Jinping all’inizio di dicembre, nel corso di un lungo colloquio telefonico con Vladimir Putin dopo che entrambi erano stati esclusi dal vertice sulla democrazia organizzato da Joe Biden. Sul “vero significato della democrazia e dei diritti umani” Pechino aveva, in effetti, diffuso in quegli stessi giorni un libro bianco dal titolo China: Democracy That Works (Cina: una democrazia che funziona)realizzato dal Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese. L’obiettivo era contrapporre all’idea occidentale di democrazia, ritenuta superata e inadeguata ad affrontare le sfide geopolitiche del momento, il proprio modello di “democrazia con caratteristiche cinesi” essenziale per “costruire una comunità umana dal futuro condiviso”, il nuovo orizzonte a cui guarda il “socialismo con caratteristiche cinesi della nuova era”, contributo ideologico di Xi Jinping iscritto nello statuto del Partito comunista cinese.

Ma in cosa consiste, al di là della retorica del linguaggio politico alla quale siamo stati abituati leggendo i documenti ufficiali cinesi, questa nuova declinazione del concetto di democrazia? Passando dalla teoria a una dimostrazione pratica, la “democrazia con caratteristiche cinesi della nuova era” la si è vista at work in occasione delle elezioni tenutesi qualche giorno fa a Hong Kong. Dopo aver represso le dimostrazioni pro-democrazia scoppiate nell’ex-colonia britannica tra il 2019 e il 2020; dopo aver cambiato le regole del gioco promulgando una legge sulla sicurezza nazionale volta a eliminare ogni forma di dissenso e una legge elettorale che modifica radicalmente il metodo di selezione del capo esecutivo di Hong Kong (la massima autorità cittadina), il metodo di formazione del Consiglio Legislativo (il mini-parlamento locale) e le procedure di voto (che riguardano un numero limitato di seggi, essendo la gran parte assegnati per nomina, più o meno diretta, da organismi controllati dall’alto); dopo aver istituito una Commissione speciale con il compito di valutare e giudicare la lealtà “patriottica” di ogni aspirante candidato, il tutto in netto contrasto con il principio “un paese, due sistemi” che avrebbe dovuto garantire un alto grado di autonomia all’isola anche una volta tornata sotto la giurisdizione cinese; dopo aver eliminato dalla competizione elettorale i leader dei partiti che a vario titolo si battevano per ottenere forme di governo democratiche nel rispetto dei diritti e delle libertà che avevano caratterizzato fino a pochi anni fa la politica di Hong Kong, imprigionandoli per reati che in un paese democratico coinciderebbero con le normali attività pre-elettorali, o inducendoli ad abbandonare l’isola per evitare la carcerazione; dopo tutto ciò, e altre forme di intimidazione, si sono finalmente tenute le “elezioni patriottiche”. Inutile riportarne l’esito, l’unico elemento di qualche interesse è stato l’affluenza alle urne, praticamente dimezzata rispetto alla tornata del 2016, dal momento che ha votato solo il 30,2% degli aventi diritto.

A poco è servita la reazione immediata del mondo democratico: i ministri degli Esteri dei Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti) e l’Alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica e la sicurezza, Josep Borrel, hanno espresso sdegno e preoccupazione e chiesto “alla Cina e alle autorità di Hong Kong di ripristinare la fiducia nelle istituzioni politiche di Hong Kong e di porre fine all’oppressione ingiustificata di coloro che promuovono i valori democratici e la difesa dei diritti e delle libertà”. E dunque? Un altro tassello si aggiunge alla difficoltà di trovare linguaggi comuni e forme di gestione delle relazioni credibili e condivisibili…

Nel frattempo, nel campus dell’Università di Hong Kong che l’ospitava, è stato rimosso il “memoriale della democrazia negata” noto come “pilastro della vergogna”, la statua di rame che ricordava la violenta repressione delle proteste scoppiate nella primavera del 1989 a Piazza Tiananmen a Pechino che portarono il 4 giugno di quell’anno al massacro di migliaia di studenti e cittadini accorsi in massa a sostenere il desiderio di libertà e democrazia (il numero esatto delle vittime non è mai stato reso noto). La statua, una sorta di torre umana alta otto metri formata da cinquanta corpi, contorti per le torture, avvinghiati gli uni agli altri, ammucchiati alla rinfusa, i volti angosciati dall’orrore che andavano subendo, è stata sottratta alla vista delle decine di migliaia di persone che ogni anno, puntualmente, si raccoglievano intorno ad essa, per non dimenticare. Da tempo il Museo dedicato alle vittime di Piazza Tiananmen era stato costretto alla chiusura e la stessa Hong Kong Alliance in Support of Patriotic Democratic Movements of China, a cui la statua era stata donata nel 1997 dallo scultore danese Jens Galschiot poco prima che la ex-colonia tornasse sotto la giurisdizione cinese, era stata sciolta dopo l’arresto dei suoi dirigenti e le continue pressioni da parte delle autorità locali.

Queste “elezioni patriottiche” cambieranno per sempre la Hong Kong che abbiamo conosciuto, ed è bene che vengano ricordate come un esempio di “democrazia con caratteristiche cinesi at work”.

(articolo pubblicato in inchiestaonline.it)



Il pubblico ministero? È l’algoritmo. L’esperimento cinese che fa paura e non è l'unico timore ...

Intelligenza artificiale: dopo il rifiuto a bloccare lo sviluppo di robot-droni in grado di decidere autonomamente di uccidere, un'altro inquietante esperimento. 

Come applicare l’intelligenza artificiale anche alla giustizia? Molti Paesi ci stanno lavorando ma a Shanghai è in fase di test un magistrato-software in grado di incriminare i cittadini. Per ora riconosce soltanto otto crimini ma i ricercatori intendono allargare il campo. Il rischio? Un futuro orwelliano (e neanche troppo lontano)


“I nostri avversari stanno investendo denaro e determinazione nel padroneggiare” diversi settori delle nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale. Questo è l’allarme che Richard Moore, direttore del Secret Intelligence Service (noto anche come MI6), cioè i servizi segreti britannici per l’estero, ha lanciato un mese fa in occasione del suo primo discorso pubblico. Quando parla di avversari, Moore si riferisce innanzitutto alla Cina: “adattarsi a un mondo influenzato” dalla sua “ascesa” rappresenta per gli 007 britannici “la singola priorità più grande”.

A ottobre Nicolas Chaillan, ex capo programmatore del Pentagono, aveva rilasciato un’intervista al Financial Times dichiarando, in protesta con la Difesa americana, che “tra 15 o 20 anni non avremo nessuna possibilità di competere con la Cina”. Parole che si inserivano nel quadro tracciato dalla Commissione di sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale, diretta da Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google. A marzo l’organo aveva già lanciato un monito: la Cina è sulla buona strada per superare gli Stati Uniti in questo settore così cruciale. Un sorpasso che per buona parte dipende dalla capacità di produrre semiconduttori, aveva aggiunto....


L'intero articolo di Gabriele Carrer per formiche.net a questo link:

https://formiche.net/2021/12/intelligenza-artificiale-cina/

Pensare la fede: Abbracciare le ferite del mondo, di sé e di Cristo

Aprirsi alle ferite dell’umanità e della storia, per cogliere la presenza del Dio incarnato: così il teologo ceco Tomáš Halík modella un cardine della fede cristiana per il XXI secolo.


La ferita come luogo teologico della rivelazione di Dio e come essenza dell’umanità: è questo il nucleo incandescente, umanissimo ed evangelico, di Tocca le ferite. Per una spiritualità della non-indifferenza, del teologo e filosofo ceco Tomáš Halík, edito da Vita e Pensiero. Il testo è in realtà stato scritto nel 2008, ma ora è reso disponibile a un pubblico italiano dalla casa editrice dell’Università Cattolica, che continua così, con grande merito, la diffusione del pensiero di uno dei più brillanti intelletti cristiani del nostro tempo.
L’icona evangelica che guida la riflessione ˗ potente e profonda, come sempre in Halík – è quella dell’incontro tra Tommaso e il Risorto, laddove, secondo l’evangelista Giovanni, il Cristo si presenta al discepolo dubitante mostrando le ferite che per sempre recherà con sé e facendo così, di ogni ferita della storia, il luogo in cui è concesso di toccare Dio: in tal modo, secondo il modello dell’Incarnazione, «tutte le ferite dolorose, tutte le miserie del mondo e dell’umanità sono ferite di Cristo» (p. 18), in quanto «il mio Dio è un Dio ferito» (p. 15).
Alla base di questa intuizione teologica soggiace un episodio biografico, .....



La recensione di Sergio Di Benedetto per Vino Nuovo continua a questo link:

Il mondo che verrà: ritorno al futuro?

 Dossier dell'ISPI con le previsioni sul 2022

Il 2021 è stato l’anno del mondo con il fiato sospeso. L’anno della ripresa globale dopo le ondate più intense della pandemia, ma anche quello della crisi dei prezzi dell’energia. L’anno delle grandi campagne di vaccinazione, ma anche quello della “grande inflazione”. Molto di quest’anno ci proietta già nel futuro: dalle sfide delle transizioni verdi e digitali, agli ambiziosi (e già contestati) piani di investimento lanciati da Usa ed Europa. Ma molto ci proietta anche nel passato, con una globalizzazione sempre meno “globale”, una sfida tra Cina e Usa che ricorda sempre più una nuova guerra fredda, e una pandemia tutt’altro che sconfitta. Nel 2022, insomma, potremmo assistere a un “ritorno al futuro”. Su cui il Dossier dell’ISPI sul “Mondo che verrà” di quest’anno ha deciso di interrogarsi. 

Ecco i titoli dei capitoli:

Pandemia: Ritorno al viris eterno?               Economia: Ritorno all'inflazione?
Clima ed energia: Ritorno al Carbone?        Medio Oriente: Ritorno all'oblio?
USA: Ritorno a(l) Trump(ismo)?             Iran: Ritorno al Nuclear Deal?
Economia: La nuova era della scarsità?       Disuguagliane: La nuova frattura?
                    Deglobalizzazione: New Normal?                Società e proteste: La nuova (vecchia) rabbia?
                                                 Big Tech: Nuove regole, nuovi signori?


Tutto a questo link:

Il Sud-Africa piange Desmond Tutu (ma dovremmo piangere tutti quest'uomo di una statura morale gigantesca)

 Desmond Tutu, icona della lotta all’apartheid e ‘coscienza morale’ del paese è stato lui a individuare le modalità per la riconciliazione nazionale senza violenza o vendette, applicata da Nelson Mandela


Ne hanno parlato tutti ed è difficile districarsi tra le molte testimonianze cercando un un ricordo che non sia un semplice formale "coccodrillo" per questo riportiamo qui di seguito una serie di link lasciando a voi la scelta:

ISPI: con un quadro dell'attuale situazione in Sudafrica:

«La mia terra bella e ingiusta, dove ogni nero è straniero» 

di Desmond Tutu in Corriere della Sera del 27 dicembre 2021

Delle cose buone distribuite dalla munificenza divina ce n'è a sufficienza per tutti, per ognuno di noi, ma l'apartheid ha sancito l'egoismo dei pochi, spingendoli ad accaparrarsi con ingordigia una quota sproporzionata di tutto ciò, a ghermire per sé la parte del leone, perché il potere è nelle loro mani.


Desmond Tutu, «Ubuntu» o dell'amicizia fra i viventi 

di Laura Marchetti in il manifesto del 28 dicembre 2021

La richiesta di perdono era quindi una richiesta di vita, una promessa di cambiamento. Non era, conluse Tutu, «un voler girare le spalle alla belva, ma un sacro dire 'mai più'».


Tutu, il vescovo che demolì l'apartheid con il sorriso E liberò il Paese arcobaleno 

di Carlo Baroni in Corriere della Sera del 27 dicembre 2021

L'importante era non stare a guardare. La neutralità quando in gioco c'è la dignità umana è l'errore più imperdonabile. «Se siete neutrali in situazioni di ingiustizia, avete scelto la parte dell'oppressore. Se un elefante ha la zampa sulla coda di un topo e voi dite che siete neutrali, il topo non apprezzerà la vostra neutralità».

 

«Credeva nel perdono venne più volte a Sant'Egidio» 

intervista a Andrea Riccardi a cura di Alessandro Di Matteo in La Stampa del 27 dicembre 2021

«Tutu prendeva sul serio il Vangelo. La sua idea era quella di una nazione arcobaleno, la sua non era una posizione di "negritudine". Ha saputo essere duro contro lo strapotere violento dell'apartheid dei bianchi. Però credeva nella riconciliazione. E anche la sua presidenza della Commissione giustizia e riconciliazione era tutta puntata sul tema del perdono».

 

Zuppi "Ci ha insegnato a tenere insieme giustizia e perdono" 

intervista a Matteo Zuppi a cura di Ilaria Venturi in la Repubblica del 27 dicembre 2021

«Ci ha insegnato a lottare contro tutte le apartheid e, nel farlo, a tenere insieme l'impegno per la giustizia con il perdono».

 

«Con Nelson ha cambiato il mondo un esempio seguito da tanti Paesi» 

di Gabriele Santori in Il Messaggero del 27 dicembre 2021

«Chi ha potuto osservare l'operato di Desmond Tutu durante le sedute della Commissione per la verità e la riconciliazione in Sudafrica ha visto una via d'uscita dall'apartheid dopo un periodo di razzismo disumano». Con queste parole Wole Soyinka, al quale l'Accademia svedese nel 1986 assegnò il Premio Nobel per la letteratura, comincia a tratteggiare la figura dell'arcivescovo

 

L'addio a Tutu: piegò l'apartheid senza violenza 

di Franca Giansoldati in Il Messaggero del 27 dicembre 2021

Un combattente nato, un gigante dei diritti, un uomo di pace. Praticamente un mito. Il cuore generoso dell'arcivescovo nero del Sudafrica, Desmond Tutu chiamato familiarmente Arch - ha cessato di battere ieri, all'età di 90 anni, lasciando dietro di sé una lunga sequela di battaglie epiche.

 

«Un visionario, capace di ispirare mondi diversi» 

intervista a Igoni Barrett a cura di Alessandra Muglia in Corriere della Sera del 27 dicembre 2021

«Tra le citazioni di Tutu che trovo tra le più ironiche ma vere c'è questa: "Siate gentili con i bianchi, hanno bisogno di voi per riscoprire la propria umanità»

 

Tutu il ribelle l'arcivescovo anti-apartheid 

di Domenico Quirico in La Stampa del 27 dicembre 2021

Desmond Tutu è morto ieri a novanta anni. Era l'ultimo rimasto dei tre coraggiosi, insieme a Mandela e al boero De Klerk, che hanno realizzato uno dei pochi miracoli del feroce ventesimo secolo, aver cioè traghettato il Paese della bestemmia bianca dell'apartheid, senza vendette, nell'età dei diritti e dell'eguaglianza razziale.

 

Tutu, l'arcivescovo che sconfisse l'apartheid con la parola e l'ironia 

di Pietro Veronese in la Repubblica del 27 dicembre 2021

È stato l'ultimo ad andarsene dei giganti che hanno abbattuto il vecchio e forgiato il nuovo Sudafrica dopo la sconfitta dell'apartheid. Desmond Tutu, che si è spento ieri mattina a Città del Capo all'età di 90 anni, è appartenuto a pieno titolo alla generazione che seppe mettere la vita sulla bilancia in nome di un principio, un ideale.

 

Desmond Tutu, l'uomo della pace 

di Luigi Sandri in L'Adige del 27 dicembre 2021

Desmond Tutu, arcivescovo anglicano, una delle più illustri personalità del mondo cristiano, premio Nobel per la pace nel 1984, strenuo oppositore dell'Apartheid, e poi impegnato per la riconciliazione tra bianchi e neri in Sudafrica, è morto ieri, a Cape Town.

 

Desmond Tutu lottò per la non violenza fino alla fine 

di Mario Giro in Domani del 27 dicembre 2021

“Non c’è futuro senza perdono”. Questa la frase - divenuta slogan - con cui Desmond Tutu sintetizzava la sua concezione della commissione verità e riconciliazione in Sudafrica, di cui fu l'anima e il presidente.



Stories of a Generation – Un’idea geniale permette a Papa Francesco di sbarcare su Netflix.

 Spiegare cos’è l’amore. Sembra banale, così non è. Un’idea geniale permette a Papa Francesco di sbarcare su Netflix. Stories of a Generation è un affresco globale in cui insieme ai protagonisti, gli ultra settantenni, ci siamo tutti.



Francesco sbarca su Netflix grazie a un’idea geniale che non poteva che essere raccontata su un media globale: spiegare cosa sia l’amore. In questo affresco globale, Stories of a Generation, ci siamo tutti, ma il racconto che parte da loro, gli ultra settantenni, lo riprendono loro, i giovani registi, o parenti, ai quali si sono raccontati, raccontandogli la storia di questo nostro tempo. E così emerge pian piano che l’amore non conosce frontiere, non è europeo, latino-americano, nord-americano, africano, asiatico, ma è di tutti loro, di tutti noi, il vero modo per raccontarlo e seguirne il racconto dei vecchi con le domande dei giovani.

Ecco l’idea di padre Antonio Spadaro, un’idea che collega le storie: quella familiare di un grande regista, di un pescatore che all’improvviso si scopre pescatore di naufraghi, di una donna che persa la figlia insegue per 36 anni il nipote senza volto che le è stato sottratto dagli assassini della figlia, di due anziani che vivono ballando il tango, della donna che prima è partita per conoscere i gorilla, e le loro emozioni, contro ogni scienza. E’ una storia nella quale Francesco non è il protagonista, è il collante discreto per la scelta di credere in questo sentimento per alcuni melenso, per altri banale, per altri ancora rimosso.

Non poteva e non doveva essere raccontata in una lingua sola, perché ognuno doveva potersi esprimere senza doppiaggio, uniti nella lingua franca dei sottotitoli in inglese che per chi si emoziona un po’ troppo hanno il solo difetto di richiamare dai volti, che raccontano a ognuno cosa voglia dire una parola che a volte si pensa abusata. Ogni fruitore, avendo una storia sua, può trovare in un protagonista il bandolo che più riguarda, più lo coinvolge, senza togliere agli altri, ma che lo riguarda di più. Per l’ambiente, il contesto, il tempo in cui ha luogo il cuore del racconto.

Ma poi arriva la sensazione che quella storia, da sola, non sarebbe stata completa. Le altre, che nel racconto si intrecciano con quella prescelta, le entrano dentro, la animano, la spiegano ulteriormente. L’impressione che siano una storia sola forse è eccessiva, sono storie diverse della stessa storia. E’ l’altra storia della nostra generazione, di cui questi sono protagonisti non scelti per caso: gente normale diventata speciale, gente speciale nella sua vita normale, nel suo dolore privato, giganti che al bar riconoscerebbero tutti oppure altri, altrettanto giganteschi, che non riconoscerebbe nessuno. Sono gli altri protagonisti della nostra attualità, vista dal lato delle scarpe che vanno avanti.

Ma per noi italiani non può non sorprendere che la storia di Vito, italiano, pescatore di Lampedusa, uno come me non l’avesse mai vista. Vito è un gigante, la sua scelta di salutare il mare per sempre è straziante per chiunque ami il mare. Vito una mattina andava a pesca e si è trovato davanti a un barcone che affondava, i migranti gli sgusciavano tra le mani perché ricoperti di cherosene: salvo questo? Salvo quello? Immaginare diventa straziante, come il suo sguardo. E la sua amicizia con quei ragazzi che ha portato a riva e che oggi lo chiamano “padre”, quel che Vito è diventato davvero. La loro disavventura ha cambiato la sua condizione, per sempre. Ma in mare non può più andarci. Non si incontra questa storia con l’amore per la moglie malata, con la scelta di capire la vita del piccolo gorilla che si lascia morire dopo la morte della madre, con il bisogno di aiutare la moglie a mettersi le scarpe per poi ballare insieme, con la determinazione di cercare il nipote mai visto perché sequestrato dall’odio ideologico di chi lo sottrae alla famiglia di sua madre, fatta arrestare e morire in prigione?

C’è qualcosa che affratella queste storie, e questo qualcosa Francesco non lo spiega, non lo rivendica, ma ci chiede semplicemente di riconoscerlo, nei sorrisi e nel dolore dei protagonisti della nostra storia, che sono quelli di questo film, non i capi di Stato. Sono loro che raccontano ai figli o giovani registi che tempo è stato questo tempo, chi siamo. Netflix ha fatto davvero un grande lavoro, padre Spadaro ha cucito un affresco nel quale non si è ritagliato una parte se non quella del sarto che regala per Natale il vestito giusto per presentarci, in tante forme diverse, il vero motore che ci ha mosso sin qui. E continuare.