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Il 2023 in 12 immagini raccontate dall'ISPI come una "stratificazione delle crisi"

Stratificazione delle crisi. Potrebbe essere questa la sintesi più calzante per definire il 2023, anno in cui al perdurare della guerra tra Russia e Ucraina si è aggiunta una nuova e violenta esplosione del conflitto israelo-palestinese


L’anno appena trascorso è stato segnato anche da una competizione sempre più serrata in campo geopolitico e geoeconomico, soprattutto nella sfida strategica tra Cina e USA, con gli Stati Uniti che si avviano alle presidenziali 2024 in un clima di incertezza.

Pechino, d’altro canto, è sempre più coinvolta anche in una corsa con Russia e India – che pure fanno parte del blocco dei BRICS – per la leadership di quel grande soggetto geopolitico in via di definizione chiamato Global South, sempre più diviso dall’Occidente in un elenco via via più lungo di dossier.

Grandi cambiamenti hanno riguardato anche l’Africa, attraversata da una lunga scia di colpi di stato nel 2023, e un’America Latina che ha assistito alla vittoria di Javier Milei in Argentina e il ritorno di Inacio Lula da Silva alla presidenza del Brasile, in un passaggio di testimone non del tutto indolore da parte del suo predecessore.


Per leggere in sintesi tutte le analisi dell'ISPI, questo è il link:


https://a7b4e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fjd=rytw_y.-ge=tyah0=t_y8b49c=8:5b2746-&x=pp&tw-&x=pv&4-./9aa/:4j=rzrNCLM


Ispi. Che mondo è stato nel 2023 e come sarà il 2024 secondo 250 esperti

Domenica 31 dicembre: Sacra Famiglia - Lc 2, 22-40

Quali i nostri punti di riferimento difronte a scelte impegnative: Giuseppe e Maria ci propongono il loro


L’Avvento si è compiuto, la Parola promessa da Isaia, attesa da Giovanni Battista, custodita da Giuseppe, creduta da Maria si è fatta carne e ha preso dimora tra di noi, nato nel grembo della nostra storia.

Una Parola che “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio (spada che Simeone annuncia trafiggerà l’anima di Maria); essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito” (Ebr 4,12), ci ha richiamato a raddrizzare le strade che il Signore compie per giungere a noi per rendere nuove tutte le cose e illuminare le tenebre nelle quali vaghiamo senza avere alcuna prospettiva, senza saper identificare alcuna via d’uscita nelle tragedie nelle quali ci siamo infilati, guerre ed altro.

A Natale è risuonato quell’ Eccomi con il quale il Signore è venuto a bussare alla porta della nostra storia.

 

Oggi, al di là delle visioni idilliache di una (“sacra”) famiglia, una coppia di giovani sposi con un figlio appena nato, l’Evangelo stimola a verificare ciò che sta alla base delle nostre scelte che, per lo più, non sono impegnative riguardando il vivere quotidiano. A volte però impongono di fare delle scelte che possono segnare la nostra vita, il futuro prossimo o lontano. In questi casi, quali sono i nostri punti di riferimento? Volentieri sono le nostre conoscenze, amici e a chi ha già passato situazioni simili oppure, per situazioni più complesse, ci si rivolge a professionisti come psicologi, pedagoghi …

L’Evangelo di oggi ci indica quale fosse il principale punto di riferimento di Giuseppe e Maria nell’indirizzare la loro vita: la Torà, la Parola di Dio. Si confrontano con questa nell’ascolto della preghiera che li guida, non tanto a compiere degli atti rituali che spesso possono essere sterili o formali, ma a realizzare il progetto di vita che hanno scoperto essere il loro secondo la volontà d’amore del Padre.

Poi hanno un figlio. È normale che i genitori abbiano una “progettualità”, dei sogni su di lui ma, in questo modo, corrono il pericolo di considerarli loro proprietà mentre il Salmo 127 (3-4) insegna che “i figli sono un dono che viene dal Signore; il frutto del grembo materno è un premio”. Quindi non devono essere portati a realizzare i progetti dei genitori, bensì devono essere aiutati a scoprire il loro ruolo nella società e, per i credenti, all’interno del progetto di Dio e mettersi al servizio di questo. Ecco perché Maria e Giuseppe, seguendo la Torà, presentano Gesù al Tempio; quando noi battezziamo i nostri figli, li “immergiamo” nella vita del Signore ed è quello che hanno fatto Giuseppe e Maria.

 

Incontrano poi due profeti, cioè due persone che vivono immersi nella Parola che li guida e caratterizza le loro vite. Non sono persone “straordinarie” ma che hanno alcune caratteristiche precise.

Simeone è un uomo “giusto e pio”. Essere giusti davanti a Dio significa essere e vivere secondo il suo cuore misericordioso e pio è colui che sta attento a non andare fuori strada, a non sbagliare obiettivo.

Questi aggettivi ci dicono che è un uomo che non si scoraggia difronte al tardare della venuta del Messia e rimane attento, vigile nell’attesaguardando avanti, aperto al futuro. È più facile che i nostri atteggiamenti siano l’opposto anche verso la Chiesa e le nostre Comunità quando, delusi, ci ripieghiamo rimpiangendo il passato; oppure quando non riusciamo a vedere via d’uscita a certe situazioni difficili o che esulano dalle nostre competenze dirette: la vita politica, le guerre, la povertà …

Nel descrive Simeone per tre volte Luca sottolinea che lo Spirito Santo era con lui e lo guidava: un altro modo per dire che era “giusto e pio”; è il suo rapporto con la Parola che gli garantisce e sostiene queste sue caratteristiche che sono di chiunque sia assiduo alla Scrittura. È questo suo lasciarsi guidare dallo Spirito che ha offerto un senso alla sua vita, che ci viene proposto di imitare e ci offre la possibilità di essere aperti ad accogliere il futuro. È questo che significa quel gesto di Simeone che prende Gesù tra le sue braccia, cioè la novità dell’Evangelo di Dio, quella Parola che è stata punto di riferimento per le scelte della sua vita e che si offre anche a noi per essere altrettanto.

Essere profeti non significa predire il futuro, ma saper leggere la realtà alla luce della Parola, quindi Simeone può ben essere definito tale come Anna che, dopo 7 anni di matrimonio, è divenuta vedova ed ora ha 84 anni che è un numero simbolico perché è il risultato di 12 moltiplicato 7: il primo fattore rappresenta Israele, il secondo la completezza. Anna è allora figura di popolo di Israele che, rimasto senza sposo, è infecondo, non può più generare ma rimane fedele in attesa della redenzione di Gerusalemme, in ascolto della Parola e ha la gioia di riconoscere quello che in tante parabole viene presentato come lo sposo che giunge per le nozze: Gesù. 

Per questo può lodare Dio e parlare del bambino a chi attendeva il Messia come lei che era una delle poche persone rimaste fedeli della Tribù di Aser, la più piccola e insignificante; quella che grazie alla fertilità del suo suolo e la contiguità con i popoli pagani si era mescolata con questi perdendo la sua identità. È un’altra testimonianza che il Signore viene riconosciuto anche da chi può essere considerato nulla dalla società e, questo, è il filo d’Arianna dei racconti degli evangelisti.

(BiGio)

  

Una famiglia dove ciò che conta è l'obbedienza alla Parola

L’obbedienza alla Parola: ecco ciò che conta per Gesù e ciò che è primario in tutte le vicende che si intrecciano attorno ai primi istanti della vita del Figlio di Dio, Parola fatta carne. La Parola di Dio, quando è obbedita, crea non solo un legame solido di chi la accoglie con il Padre che l’ha inviata, ma anche tra gli esseri umani che se ne fanno discepoli. E così nelle scene evangeliche che seguono la nascita di Gesù a Betlemme, i vari personaggi che vi si incontrano hanno in comune questo tratto: l’obbedienza a una parola che li conduce al bambino e intanto ne intreccia le esistenze.


Se la notte di Natale abbiamo contemplato la Parola fatta carne, il Salvatore, in questa prima domenica, l’evangelo ci invita a volgere lo sguardo verso gli altri volti che si muovono e s’incontrano attorno a lui. Esso ci invita a cogliere ciò che rende possibile il loro convergere verso quel bambino e degli uni verso gli altri, e dunque ciò che forma quella particolarissima famiglia credente. Ebbene l’ordito della tela che si va componendo attorno al Bambino è l’accoglienza obbediente di ciò che egli è innanzitutto: Parola rivolta a ciascuno, che conduce a lui e che crea comunione.

Questo ci ricorda come ogni relazione passa per l’obbedienza alla Parola e come ogni tradimento di relazione è effetto di un allontanamento dalla Parola. In questo ci sono di insegnamento Maria e Giuseppe, specialissima coppia di sposi, che vivono la loro vocazione sponsale in forza dell’obbedienza a una parola loro rivolta. Vivranno in forza della medesima obbedienza anche la loro genitorialità nei confronti di Gesù, custodendone la crescita nel rispetto del mistero di cui era abitato e che, in quei primi anni a Nazaret, vedevano prendere forma il lui che “cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e grazia” (v. 40).

Così è anche per Simeone e Anna che, nell’accoglienza di quel bambino, sentono compiersi la loro attesa, che è quella di un intero popolo: la “consolazione d’Israele”, attesa da Simeone (v. 25) e la “redenzione di Gerusalemme” attesa da Anna (v. 38); e compiersi la loro stessa esistenza, che giunge a pienezza, nell’offerta grata che Simeone ne fa, prendendo “tra le braccia” il piccolo Gesù e cantando il suo congedo dalla vita terrena (v. 28).

(Sabino Chialà)


L'intera riflessione di Sabino Chialà a questo link:


https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/15855-obbedienza-alla-parola

Il video della predicazione della notte di Natale del pastore Luterano Munther Isaac: Gesù è nato sotto le macerie e una intervista del Patriarca latino di Gerusalemme mons. Pizzaballa: «Finché ci saranno gesti costruttivi l'odio non prevarrà»

Dopo aver pubblicato nei tre giorni precedenti la posizione delle tre grandi religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam) attraverso l'intervento di loro figure molto rappresentative, presentiamo qui il video di pastore luterano di Betlemme Munther Isaac



Nato a Beit Sahour, Palestina, sposato con due figli, ingeniere civile, con una MA in Studi Biblici a Philadelphia e un PhD in Teologia Biblica a Oxford, nella sua predicazione nella notte di Natale presenta con coerenza e forza la posizione dei cristiani palestinesi.

Il video è all'interno di un articolo di Irina Smirnova a questo link:

https://www.farodiroma.it/a-gaza-oggi-gesu-e-nato-sotto-le-macerie/


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«Di guerre, in oltre 30 anni in Terra Santa, ne ha già viste tante, ma «questa volta c’è qualcosa di diverso: un odio profondo con narrative opposte», constata il cardinale Pierbattista Pizzaballa: «Ci sono ferite profonde, ci vorrà tempo per ripensare il futuro».

L'intervista al card Pizzaballa è a questo link:

https://www.avvenire.it/amp/mondo/pagine/il-patriarca-di-gerusalemme-emergenza-gaza-e-in-ci



Guerra e pace nelle Religioni monoteiste: Non c’è pace cristiana senza lotta alla povertà

Le Scritture ci insegnano che si può aspirare a una convivenza solidale tra i popoli solo lavorando senza sosta sulle cause dei conflitti: l’ordine sociale non basta

«Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada». Così Gesù nel vangelo di Matteo (10,34). Si resta sconvolti a leggere queste parole così dirette e inequivocabili, e forse per questo dimenticate. Non hanno nulla di irenico. Ma è lo stesso Gesù che sempre in Matteo afferma un mandato etico fondamentale: «Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (5, 9). Forse è proprio in queste parole del Vangelo di Matteo che troviamo i due poli autenticamente cristiani della pace. E il tono più autentico delle beatitudini è quello che Pasolini ha voluto dare nella sua versione del Vangelo matteano: una beatitudine quasi rabbiosa.

Dovremmo, insomma, cancellare dalla nostra immaginazione la figura di un Gesù dolciastro, un’immaginetta che propone la pace come un saldo di fine stagione. Il messaggio di Gesù richiede ...


L'intero intervento di Antonio Spadaro a questo link:


https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231221spadaro.pdf


Nei due giorni precedenti "Guerra e pace" nell'Ebraismo (https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/12/guerra-e-pace-nelle-religioni.htmle nell'Islam (https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/12/guerra-e-pace-nelle-religioni_01756595739.html)


Vaticano e benedizioni pastorali, la Chiesa non è più una dogana

La Dichiarazione sulle benedizioni è un passo decisivo per andare verso una società in uscita, verso l’umanità, una società non chiusa, non rigida, ma aperta, anche alla misericordia, per chi crede ovviamente quella del Padre. La riflessione di Riccardo Cristiano

Mi ha molto interessato incappare per caso in una chat molto critica della Dichiarazione “Fiducia Supplicans” con cui la Congregazione per la Dottrina della fede ha legittimato la benedizione di persone in unione irregolare o omosessuale che la chiedano.

Ma prima di parlare di questo inatteso dettaglio personale devo dire qualcosa del testo e delle impressioni che in me ha destato da subito. Il passaggio a mio avviso decisivo di questa Dichiarazione – la precedente risale ai tempi del cardinale prefetto Joseph Ratzinger, la Dominus Jesus, e questo ne conferma l’importanza, comprovata anche dal fatto che appena due anni fa ci si era espressi in senso opposto – è questo: “La Chiesa, inoltre, deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari, soprattutto quando danno «luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare».

Perciò, quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale”.  Ho subito pensato a quando ero ragazzo ...

La riflessione continua a questo link:

https://formiche.net/2023/12/benedizione-coppie-omosessuali-chiesa/





Guerra a pezzi e Pace a pezzi

Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti» (Is 9,5-6).

 


Questo testo del profeta Isaia viene sia proclamato che modulato nel canto nella notte e nel tempo di Natale. Attesta inequivocabilmente e in maniera stabile la presenza di una pace che non avrà fine, realizzata attraverso un misterioso personaggio, che noi riconosciamo in Gesù di Nazareth. 

Questa, anziché l’autorevole Parola di Dio, sembra una sarcastica beffa, tutt’al più una bucolica speranza adolescenziale. La crudeltà, la violenza, l’escalation di popoli coinvolti nei conflitti esplosi appena fuori della porta di casa nostra hanno la forza di spegnere ogni anche pur minimo tentativo di cambiare rotta e segno alla storia. La terza guerra mondiale a pezzi ha generato una pace ormai a pezzi...          
Non ho le competenze né la preparazione per cercare di analizzare le guerre in corso. Sono però stupito da un ricorrente approccio, sostenuto con vigore e continuità anche da giornalisti, politici, opinion leaders: cercare un colpevole. Individuato, sarà pertanto possibile dividere il mondo in due gruppi: i buoni e i cattivi, i giusti e gli ingiusti. Ma mi chiedo: quale bontà o giustizia vi può essere in un missile, in una bomba, scagliati verso una città, un villaggio, provocando vittime e feriti civili? Come possiamo pensare che questo non alimenterà a sua volta un desiderio di vendetta, di rivalsa, di contrapposizione pura, di volontà di annientamento dell’altro? L’unica conseguenza che siamo sicuri si avrà è quella della scomparsa di ogni dimensione di benevolenza, di accoglienza, di perdono per lasciar spazio soltanto all’odio radicale, che desidera solo la morte, la scomparsa, la distruzione dell’altro. La prospettiva dell’occhio per occhio non farà che rendere ciechi tutti i partecipanti al conflitto. E farà covare vendetta nei cuori delle generazioni a venire, per decine di anni... 

“Chi ha sparato? Chi ha iniziato? Sono domande insensate, visto che la volontà di guerra, di uccisione dell’avversario e di rifiuto della pace ha coinvolto tutti in un mix di odio, umiliazioni e disonore. È tipico della guerra distogliere lo sguardo da sé per sviarlo su chi si combatte” (Mario Giro in Domani del 20 ottobre 2023). Questo non significa certo negare precise responsabilità storiche o, peggio ancora, attribuire salomonicamente 50% e 50% di colpe a entrambi: sarebbe una violenza ancor più terribile per chi sta patendo dolore e morte. 

Ma tentare di sciogliere un nodo - meglio, ricostruire un tessuto relazionale – attraverso la ricostruzione storica dei fatti una volta che si è scatenata la violenza in modo strutturale come avviene in una guerra, questo non può riuscire a riaprire la strada verso il recupero di una qualità di vita che non sia ossessionata dal ricordo del male subito o imbrigliata dal desiderio di vendetta....


L'intero pregnante messaggio natalizio della Comunità Monastica di Dumenza a questo link:


http://www.monasterodumenza.it/vr/index.php?option=com_content&view=article&id=55%3Anewsletter-della-comunita-monastica&catid=7%3Ariferimenti&Itemid=190&lang=it



Guerra e pace nelle Religioni monoteiste: l'Islam pacifico infangato dagli estremismi

Il profeta Muhammad (Maometto, in occidente) era un “inviato di Dio” incaricato di diffondere l’ultima religione monoteista con il nome di Islam, che contiene la radice della parola “pace” (salam). Diventare musulmani significa accettare di sottomettersi alla parola di Dio rivelata da Maometto. Sottomettersi per essere in pace con sé stessi e con gli altri.

 


La parola “harb” (guerra) ricorre nei versetti con due significati: il primo è depredare, prendere con la forza un bene – un territorio – che si ritiene appartenga a chi muove guerra; il secondo, per i credenti, significa superare se stessi per essere in accordo con i principi e i valori dell’islam, religione basata sul riconoscimento dell’unicità di Dio. 

La base e il fondamento dell’islam è la “shahada” (testimonianza), dire «io attesto che non c’è altro dio all’infuori di Dio e che Maometto è il suo profeta»: pronunciando questa formula davanti a testimoni si diventa musulmani. Maometto era sì un profeta che aveva ricevuto la rivelazione ma era anche un capo clan, un capo tribù e per estensione un capo di Stato, una guida per il suo popolo che doveva lottare contro chi, non credendo alla sua missione, al suo messaggio e alle sue parole, gli faceva guerra. 

La guerra è chiamata “jihad” con un senso diverso da quello attuale, che si è discostato moltissimo dal significato originario. La cosa peggiore accaduta all’islam dall’arrivo di Maometto...


L'intero intervento di Tahar Ben Jelloun a questo link:


https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231220benjelloun.pdf


Ieri "Guerra e pace" nell'Ebraismo (https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/12/guerra-e-pace-nelle-religioni.html) e domani nel Cristianesimo

Guerra e pace nelle Religioni monoteiste. Rav. Roberto della Rocca: "Non può esserci nessuna pace senza giustizia"

Secondo la Torah non basta cessare le guerre e abbandonare le armi bisogna prima eliminare il male, altrimenti il discorso è solo conformismo

La coincidenza piena tra giustizia e pace, di cui troviamo un riferimento esplicito nel Salmo, 85; 11 «... bontà e verità si incontrano, giustizia e pace si baciano... », sembrerebbe appartenere solo alla dimensione messianica. La giustizia e la pace non sarebbero una realtà di questo mondo, ma una ricerca e un’aspirazione ininterrotta dell’uomo. Nella saggezza ebraica, la ricerca della pace non si trasforma mai in un’adesione cieca al pacifismo assoluto. Quest’ultimo è una dottrina che eleva la pace — o più precisamente, l’assenza di conflitti — a valore supremo, mettendo in ombra altri importanti principi etici. In una prospettiva più pragmatica la Bibbia ebraica riconosce che «c’è un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace » (Ecclesiaste, 3; 8). Di conseguenza, anziché proibire la guerra la Torah mira a regolamentarla, imponendo limiti ben definiti per contenere l’impeto distruttivo.

Questo avviene perché la tradizione ebraica è impegnata a sviluppare una comprensione di guerra e pace che tenga conto dell’ampia gamma di valori che nobilitano la vita umana e della complessità delle situazioni con cui persone e nazioni sono costretti a confrontarsi. Attraverso questo approccio, si cerca di evitare ...

L'intervento di Rav. Roberto della Rocca continua a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231219dellarocca.pdf

domani "Guerra e pace" nell'Islam (https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/12/guerra-e-pace-nelle-religioni_01756595739.htmle dopodomani nel Cristianesimo)



La violenza di Dio

L’estendersi della violenza sui palestinesi, che ormai si può chiamare senza infingimenti genocidio, non solo nel senso tecnico definito dalla Convenzione del 1948 dell’ONU, ma anche nel più esteso significato quale è percepito dal senso comune, insieme alla guerra in Ucraina per l’accanimento di Putin e la suicida protervia di Zelensky, insieme al veto degli Stati Uniti e dell’Inghilterra contro il cessate il fuoco a Gaza, insieme alla persecuzione dei migranti incrudelita dalla Meloni e dalla Unione Europea, riaprono la domanda, formulata dopo Auschwitz, “e Dio dov’è mentre accadono tali cose?”. 

L’implicito sgomento è che ci sia una violenza di Dio, nota anche alle Scritture, che permette questa violenza umana. 
Si può allora ricordare la risposta formulata dalla Pontificia Commissione Biblica nel documento del 15 aprile 1993 secondo la quale una lettura fondamentalista della Bibbia comporta “un suicidio del pensiero”, e si può andare alla lettura di Isaia fatta da Gesù nella sinagoga di Nazaret, nella quale egli censurò e tacque il richiamo del Profeta al “giorno della vendetta del nostro Dio”. E perché Gesù non lesse quella profezia? Perché il Dio che egli annunciava, quello stesso Dio che era invocato nella Sinagoga, è un Dio che è solo misericordia, non è più un Dio che punisce, che si vendica, non è un Dio buono con i buoni e cattivo con i cattivi, che dà il bene per il bene e il male per il male. È un Dio, che arriva prima, che “primerea” come dice il neologismo di papa Francesco, prima ancora che gli uomini lo cerchino. 
Ma con quale autorità Gesù dice una cosa così sconvolgente, che cambia il modo in cui a quel tempo tutti i popoli giunti alla fede monoteistica concepivano la potenza di Dio? È la stessa domanda che gli fanno i suoi compaesani di Nazaret, che per questo già allora cercarono di uccidere Gesù, gettandolo dalla rupe. 
La sua autorità, come diranno i suoi discepoli e la sua Chiesa, veniva da Dio stesso che gli aveva dato il compito di rivelare il suo vero volto, con l’autorità di chi è figlio dell’uomo e insieme figlio di Dio, incarnazione di lui. E proprio questa è la buona notizia che Gesù ha dato ai suoi fratelli ebrei e a tutti gli uomini: Dio è per tutti, non si mette alla testa di un esercito contro un altro esercito, di un popolo contro altri popoli, perché ama tutti, e vuole che tutti siano salvi. Certo è una rivoluzione della fede, della teologia, delle stesse pagine meno ispirate della Bibbia, e invece, proprio come dice la Bibbia, è un Dio che ama gli uomini e perfino gli animali, e si pente del male che secondo i falsi profeti avrebbe promesso di fare, e non lo fa.
Però quella immagine del Dio tremendo e affascinante, assolutamente altro e assolutamente altrove, onnipotente e spietato, è dura a morire, e neanche Gesù ce l’ha fatta a cambiarla, e per questo ci ha rimesso la vita, ed è finito sulla croce.  E l’umanità si è portata dietro per secoli quell’immagine travisata di Dio, e canterà il Dies Irae, scriverà una Divina Commedia, dipingerà il Giudizio Universale con i condannati a testa in giù, e dirà che l’inferno non è quello che facciamo noi sulla terra, ma quello che Dio avrebbe allestito nei cieli, legittimando la violenza e perfino lo sterminio, la vendetta, e la rappresaglia, fino al cento per uno: un Dio impietoso, che se fosse senza misericordia, non sarebbe nemmeno un Dio, come dice papa Francesco, ciò per cui i tradizionalisti, i primatisti, i guerrafondai ce l’hanno con lui e lo dicono eretico. 
Ma proprio quel Dio è morto. È morto nei campi di sterminio, è morto a Hiroshima e muore nei barconi dei migranti: troppo grande è la violenza umana perché sia verosimile quella divina. 
Per cui la domanda oggi non è più: “quale concetto di Dio dopo Auschwitz?” ma “quale concetto di Dio durante Gaza?”: e la risposta è che forse è un Dio che ispiri le genti a piangere su Gerusalemme e su Gaza, Hamas a non uccidere Ebrei, Israele a fermarsi sul ciglio dell’abisso, e a non trafiggerne mille per uno.
(Raniero La Valle)

Il giorno di Natale abbiamo pregato così....



Introduzione

In questo giorno di Natale il nostro cuore è pieno di speranza e di gioia perché contempliamo la nascita di Gesù bambino, e possiamo cantare, insieme all’angelo e alla “moltitudine dell’esercito celeste” (Lc 2,13): “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14). 

La nostra bussola si è chiusa ed il giusto Giuseppe, che come ricordava Stefania “è l'uomo che custodisce, l'uomo che fa crescere, ma non prende nulla per sé”, insieme con Maria, testimone della Parola creduta e concepita, teneramente adorano Gesù bambino. 

È proprio la tenerezza uno dei più valori che ci viene proposto, perché la tenerezza è il contrario dell’apatia, dell’indifferenza e della violenza. È l’amore che abbraccia, avvolge, protegge e salva. Le scritture questa notte ci invitano ad essere servizievoli, attenti, presenti, spontanei senza domandare nulla in cambio, senza cercare un tornaconto personale. Papa Francesco ha detto che la tenerezza è: “La bellezza di sentirci amati da Dio e la bellezza di sentirci di amare”. 

Ma non solo gli uomini accolgono la venuta di Gesù, anche tutta la Natura ed il Creato partecipa, come la presenza del bue, dell’asino, delle greggi, l’esultanza del cielo, delle stelle, della terra, del mare, della campagna e di tutti gli alberi della foresta, come ricordato dal salmo 95/96. 

Auguri allora e non abbiamo paura di regalarci una carezza, un sorriso e un gesto di affetto, a comunicare dagli auguri che ci rivolgiamo l’un l’altro.

 

Intenzioni penitenziali

Signore ti chiediamo perdono perché spesso abbiamo scelto le tenebre invece della via della luce

Kýrie eléison

Cristo ti chiediamo perdono per tutte quelle volte che non abbiamo seguito il diritto e la giustizia di Dio

Christe eléison

Signore ti chiediamo perdono per tutte quelle volte che la guerra e la violenza ha preso il posto della pace

Kýrie eléison

 

Preghiere dei fedeli

Preghiamo dicendo: Padre santo, ascoltaci!

Per la Chiesa e per tutti gli uomini perché trovino nel Cristo Gesù la luce che illumina la loro vita e che dà senso a tutto, preghiamo

Padre santo, ascoltaci!

Per tutti coloro che soffrono a causa delle guerre, della violenza, delle ingiustizie e della solitudine, perché l’amore e la pace del Signore Gesù possa portare loro speranza e salvezza, preghiamo

Padre santo, ascoltaci!

Per tutti i nostri cari che ora non sono più con noi e per coloro che ci hanno preceduto presso la casa del Padre, perché la tenerezza di Gesù bambino possa avvolgerli sempre, preghiamo

Padre santo, ascoltaci!

Per tutti noi e per i nostri fratelli e sorelle che non hanno potuto essere qui con noi questa sera, perché sofferenti, in viaggio, lontani, perché viviamo la festa del Natale nella serenità e nell’amicizia, ma soprattutto nell’attenzione a chi è più povero di beni e di affetto, preghiamo

Padre santo, ascoltaci!

 

 

Antifona di comunione – Presentazione delle offerte

L’Antifona di Comunione che ora pregheremo assieme, sottolinea la continuità e l’unità della celebrazione. È un versetto del Vangelo proprio per dire che la Parola, Eucarestia e Comunione compongono un’unità inscindibile. 

Lo si è sottolineato anche accendendo le candele all'altare da quella dell'ambone e dal pane e il vino portati all’altare da chi ha proclamato la Parola. 

 

Oggi, nella città di Davide, è nato un Salvatore, che è Cristo Signore.” (Lc 2,11)

 

 

Eccomi !”


 

In quel giorno il mio popolo saprà chi sono io.

Io sono colui che dice: Eccomi!” (Is 52,6)

 

Eccomi in tutte le pieghe di questa nostra umanità disastrata, in questo mondo frantumato da rivoli di guerre e violenze inaudite da tutte le parti, nelle sofferenze fisiche degli ammalati, nel dolore silenzioso ripiegato su sé stesso delle solitudini in particolare degli anziani, ma anche nelle speranze di chi opera per dare sollievo ad ogni patire, come pure in chi vive in serenità la vita fraterna, la gioia dei bambini e di tutti quelli che si aprono a qualsiasi età alla vita

 

Lieto Natale, buone Feste e un 2024 sereno

Natale - Luca 2,1-14 e Dio disse: “Eccomi!”

Eccomi” quando qualcuno ti chiama questa è la risposta ma è anche quella di quando siamo noi a chiedere aiuto a un amico. La Scrittura è piena di questi “Eccomi!” da Abramo e, passando per Isaia, giungendo a Maria il cui “Eccomi” è stata l’ultima parola dell’Evangelo di ieri, IV Domenica di Avvento. 


Non siamo invece abituati e può sorprenderci che anche Dio, a chi lo invoca, risponde “Eccomi!” e invece lo troviamo nel versetto 6, quello immediatamente precedente al testo della prima Lettura tratta dal profeta Isaia al capitolo 52 della Messa del Giorno di Natale. Strana la scelta liturgica di non inserirlo. Eppure lungo questo Avvento dell’Anno B, tre delle 4 domeniche prime Letture e tutte quelle delle tre Messe di Natale, propongono un preciso itinerario che sfocia in quell’Eccomi di Dio: 

In quel giorno il mio popolo saprà chi sono io.

Io sono colui che dice: Eccomi!”.

 

Abbiamo aperto l’Avvento con un lamento e un grido (Is 63) “Perché, Signore, ci lasci pagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti teme? Se tu squarciassi cieli scendessi! Signore tu sei il nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani”.

Tutte le domeniche successive sono stati brani che annunciavano una risposta a questo nostro grido: “Consolate, consolate il mio popolo” dice il vostro Dio. Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie; alza la voce con forza e annunzia: “Ecco, il Signore Dio viene come un pastore e gli fa pascolare il gregge e col suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri” abbiamo ascoltato nella Seconda Domenica di Avvento.

Ancora un annuncio nella Terza. È Isaia che ha risposto “Eccomi!” alla domanda di Dio che si chiedeva “Chi manderò, chi andrà per me?” (Is 6,8) e il profeta ci ha raccontato “Lo Spirito del Signore Dio mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore”.

Nella IV Domenica Dio ci ha assicurato che renderà stabile il suo regno della discendenza di Davide perché “Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio”.

 

Poi l’esplodere nella notte un altro grido ma, questa volta, non è un lamento, al contrario perché “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in una terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia poiché un bambino è nato per noi, c’è stato dato un figlio ed è chiamato consigliere ammirabile, Dio potente, padre per sempre, principe della pace”. Nella Messa dell’alba la presentazione potremmo dire ufficiale: “Dite la figlia di Sion: ecco arriva il tuo salvatore; ecco arriva il tuo salvatore e tu sarai chiamata ricercata, città non abbandonata”. Si, perché camminando lontano dalle sue vie, Sion che è immagine del popolo di Israele ed oggi anche di noi, perde la sua identità, diventa come una giovane donna abbandonata, disprezzata, che non porta frutto. 

Ma la Storia della salvezza ci dice che in tutte le situazioni difficili Israele alla fine ha sempre fatto esperienza della vicinanza del suo Dio. In Egitto, durante l’esodo, nell’ingresso in Canaan, ogni volta che lo ha invocato, il Signore ha sempre e subito risposto: Eccomi! ed è intervenuto in suo favore. Poi in seguito nelle due deportazioni dove hanno sopportato privazioni, sono stati umiliati, ciò che li angosciava, ciò che più li rattristava è l’inquietante interrogativo: Il Signore si è forse dimenticato di noi? Non risponderà più, come faceva un tempo, «Eccomi!» alle nostre invocazioni di aiuto?

Eppure come Israele non dubitò mai anche noi non dobbiamo farlo, nonostante viviamo certamente in una situazione di oscurità, di tenebra perché un giorno, lungo il lago di Galilea, comparve Gesù di Nazaret che cominciò a proclamare: “II regno di Dio è giunto!” (Mc 1,15). È così che il Signore ha risposto bussando alla nostra porta (Ap 3,20) e dicendo «Eccomi!» alle invocazioni d’aiuto dell’intera umanità. In Gesù di Nazaret Dio è venuto a liberarla e a dare inizio al mondo nuovo; meglio, come abbiamo già commentato un nuovo “In principio…” (Mc 1,1). 


Per chi ne ha coscienza, ha aperto la porta e l’ha accolto, certamente anche questo Natale non potrà che essere lieto!

(BiGio)



Il foglietto "La Resurrezione" di Natale 2023






Nella IV Domenica di Avvento abbiamo pregato così ….

Nelle prime due domeniche di Avvento, le letture della liturgia erano un invito alla vigilanza e ad ascoltare la voce che, dal deserto, ci invitava a preparare le vie del Signore. La terza domenica tutto è ruotato intorno al tema della gioia.


Abbiamo così scoperto le prime tre lancette della nostra bussola che ci conduce alla Parola: Isaia testimone della Parola Promessa, Giovanni testimone della Parola AttesaGiuseppe testimone della Parola Custodita ed oggi Maria testimone della Parola Creduta.


Questa notte, durante la Messa, sulla Bibbia aperta collocheremo la Parola fatta carne: Gesù Bambino.


Accoglienza di Olivia, Peace, Christian, Precious

All'inizio dell'Eucaristia sono stati accolti i quattro bambini che riceveranno il Battesimo nella ricorrenza del Battesimo di Gesù domenica 7 gennaio

Angela, una delle madrine ha voluto dedicare loro queste parole di Khalil Gibran: I tuoi figli non sono figli tuoi. Sono i figli e le figlie della vita stessa. Tu li metti al mondo ma non li crei. Sono vicini a te, ma non sono cosa tua. Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee. Perché loro hanno le proprie idee. Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima. Perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire, dove a te non è dato di entrare, neppure col sogno. Puoi cercare di somigliare a loro ma non volere che essi somiglino a te. Perché la vita non ritorna indietro, e non si ferma a ieri. Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani”.

Introduzione


Siamo giunti alla IV domenica di Avvento e stasera nella messa della notte celebreremo il Santo Natale. Oggi la nostra Comunità è in festa perché accoglie i battezzandi Olivia, Peace, Christian, Precious, con le loro madrine Angela e Donatella. Dopo il profeta Isaia, testimone della Parola promessa, il precursore Giovanni, testimone della Parola attesa, il giusto Giuseppe di Nazareth, testimone della Parola custodita, abbiamo la Vergine Maria, testimone della Parola creduta e concepita, nel racconto dell’annunzio dell’Angelo della nascita di Gesù, sottolineato dal colore azzurro della nostra 4* freccia. L’azzurro lo troviamo in una fascia, un velo, nel manto di Maria, come per esempio nell’Annunciazione del Beato Angelico. Era il colore del cielo e rappresentava la trascendenza, il mistero, il divino e la dignità regale.

Accanto a Maria troviamo come testimone Davide ed il particolare il rapporto dell’uomo con Dio. Il Vangelo, in realtà inizia con una notazione temporale “Al sesto mese” (Lc 1,26a), il numero 6 nella Bibbia rappresenta l’uomo: è il giorno della sua creazione. L’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, però deve stare attento perché non può pretendere di essere come Dio.

Il regno di Davide, ricordato nel secondo libro di Samuele, si costituì a prezzo di tanto sangue, guerre con i popoli vicini, il conflitto latente tra le 10 tribù del Nord e le 2 tribù del Sud, il dramma della rivalità tra i suoi figli, con una guerra fratricida. Sembra proprio quello che sta accadendo in Terra Santa, nonostante Davide sia vissuto nel X secolo a. C.

In questo contesto Davide pensò di costruire un tempio a Dio, per propiziarselo e per rafforzare la sua dinastia. Il profeta Natan, prima favorevole, poi lo sconsiglierà, dopo una notte tormentata illuminato da Dio, tra l’altro perché avrebbe spremuto troppo il suo popolo di tasse. Dio ricorda che è lui il costruttore di ogni cosa, sarà lui che costruirà una casa a Davide e che non bisogna utilizzare il nome di Dio per sfruttare i nostri fratelli e sorelle. Dio pone la sua dimora, non in edifici, ma negli uomini, come l’incarnazione di Gesù da Maria, il tempio e le nostre chiese sono luoghi sacri non perché sono sacre le pietre materiali che le compongono, ma perché sono santi i cristiani che in esse vi si radunano.

 

Intenzioni penitenziali

Signore ti chiediamo perdono per tutte quelle volte che non abbiamo ascoltato la Parola di Dio ed abbiamo dubitato del Tuo Amore

Kýrie eléison

Cristo ti chiediamo perdono per tutte quelle volte che abbiamo voluto metterci al posto di Dio, considerandoci artefici di ogni cosa

Christe eléison

Signore ti chiediamo perdono per tutte quelle volte che non siamo stati misericordiosi verso i più umili, trattandoli con supponenza e presunzione

Kýrie eléison

Preghiere dei fedeli

Perché la Chiesa, sull’esempio di Gesù, sappia accettare ed accogliere ogni persona, non guardando al colore della pelle, alla cultura o alla religione che professa, ma per quello che realmente è, preghiamo

Vieni, Signore Gesù!

Perché il Signore illumini e sostenga i suoi “profeti”, anche oggi disprezzati o ridotti al silenzio, quando alzano la loro voce a difesa dei poveri e degli umili, in tutti quei posti martoriati dalla guerra e dalla violenza, in particolare in Terra Santa, in Ucraina, Afghanistan, preghiamo

Vieni, Signore Gesù!

Perché la nostra vita sia sempre segno di speranza e di fiducia per tutti coloro, che doloranti nel fisico e nello spirito, si avvicinano a noi, preghiamo

Vieni, Signore Gesù!

Per le comunità del Vicariato di Marghera, perché sull'esempio di Maria, sappiano farsi prossimi per chi si trova nel bisogno e accogliere con cuore misericordioso la Parola di Dio per annunciare a tutti la buona novella. Preghiamo

Vieni, Signore Gesù!

 

Antifona di Comunione – Presentazione delle offerte

L’Antifona di Comunione che ora pregheremo assieme, sottolinea la continuità e l’unità della celebrazione. È un versetto del Vangelo proprio per dire che la Parola, Eucarestia e Comunione compongono un’unità inscindibile. 

Lo si è sottolineato anche accendendo le candele all'altare da quella dell'ambone e dal pane e il vino portati all’altare da chi ha proclamato la Parola. Preghiamo:

 

Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”  (Lc 1,38)