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Caro-gas, la calma dei prezzi prima della tempesta invernale

Con i prezzi tornati stabilmente ai livelli prebellici, e nonostante i rubli, la crisi del gas sembra attenuarsi. Ma ci sono nubi all’orizzonte: per compensare il gas russo l’Ue dovrà contendere il gnl alle economie asiatiche. La gara al rialzo impatterà le bollette e lascerà a secco i Paesi emergenti


Da inizio settimana il costo del gas sul mercato europeo si aggira attorno agli 85 euro per megawattora, nella stessa fascia di prezzo dei mesi precedenti all’invasione russa dell’Ucraina. Gli operatori sembrano aver recuperato la calma rispetto alle folli oscillazioni degli scorsi mesi (il picco, a marzo, era 227 €/MWh), e sembrano aver ignorato il blocco delle forniture di Gazprom verso la Finlandia del fine settimana.

Il motivo, secondo Sissi Bellomo del Sole 24 Ore, è duplice: da una parte la stagione mite ha permesso agli operatori di tirare il fiato, dall’altra lo spauracchio del ricatto di Putin – “pagatemi in rubli o vi chiudo i rubinetti” – sembra aver perso efficacia. In fondo è una questione cosmetica: le grandi aziende europee che importano da Gazprom hanno ricevuto un via libera di fatto, per quanto malvolentieri, dalla Commissione.

Insomma, il gas russo continuerà a fluire, anche se molto meno, e questo ha rassicurato i mercati. La Finlandia, che come la Polonia e la Bulgaria può agilmente fare a meno delle forniture russe, ha scelto di non stare al gioco dello zar e importerà quel poco che gli serve dall’Estonia. Mentre i Paesi che più dipendono dal gas russo (Germania e Italia) potranno pagare normalmente.

L’obiettivo europeo di riempire gli stoccaggi all’80% entro novembre sembra a portata: siamo già al 43%, vicini alla media storica, il prezzo di giugno dovrebbe calare ancora e gli operatori potranno pompare gas a prezzo più contenuti (relativamente, dato che sono comunque quattro volte tanto quelli dell’anno scorso). Ma la calma non è destinata a durare.


L'articolo continua a questo link:

https://formiche.net/2022/05/ue-asia-gas-gnl-inverno-calma-tempesta/


 

‘Non puoi fermare una guerra con i movimenti contro la guerra, ma puoi farla finire prima’

Secondo i media controllati dal Cremlino, la stragrande maggioranza dei russi sostiene la guerra contro l'Ucraina. Non esiste un movimento di massa contro l'invasione, sostengono i propagandisti di Stato, anche se le autorità rintracciano e perseguono senza sosta le persone comuni che criticano l'"operazione speciale" sui social, o durante piccole proteste con striscioni che recitano "No alla guerra!". Queste posizioni contro l'invasione possono cambiare qualcosa? Valgono i rischi che fanno correre? Che senso hanno queste azioni se la guerra continua a prescindere? Maria Sereda della Greenhouse of Social Technologies (Teplitsa) ha discusso queste domande con l'attivista croato-bosniaco per i diritti umani Igor Blazhevich, che ha partecipato alle consegne di aiuti umanitari nelle zone di conflitto e ha contribuito a fondare il gruppo di beneficenza People in Need. Per gentile concessione di Teplitsa, il sito russo Meduza ha pubblicayo integralmente le osservazioni di Blazhevich.


Durante la guerra in Bosnia vivevo a Praga e non c'erano molti bosniaci. Quindi, quello che dovevo fare, a mio avviso, era qualcosa di elementare e abbastanza semplice: da un lato aiutavo a trasferire quanti più aiuti possibili dall'Europa alla Bosnia, dall'altro miravo a presentare agli europei le prove raccolte dai testimoni bosniaci. Il mio ruolo era solo di "facilitazione", in realtà, ma qualcuno doveva farlo.

Quello che lei vorrebbe sapere è se la società civile è in grado di fare qualcosa di più della "facilitazione". Quello che posso dirle è basato sulle campagne contro la guerra che ho seguito nel corso della mia vita: in Croazia e Serbia durante la guerra di Bosnia, in Russia durante la prima guerra cecena e negli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam.

Casualmente, quando ho controllato su Google, aspettandomi di trovare altre decine di movimenti di questo tipo, non ho visto quasi nulla! Non capisco perché: ci sono così tante guerre nel mondo, ma così pochi movimenti contro la guerra. Forse è solo che le fonti in lingua inglese non lo rilevano.

 

Fermare la guerra non è l'obiettivo

Le campagne contro la guerra non fanno finire le guerre. Nessuna delle guerre che ho citato è finita a causa di una campagna antiguerriglia. Le guerre finiscono per altre ragioni: o l'aggressore subisce una grave sconfitta militare, o il numero di vittime diventa troppo alto. Oppure, se le forze dell'avversario sono equivalenti, la guerra può entrare in una situazione di stallo che dura per anni, finché entrambe le parti non esauriscono le risorse.

È così che finiscono le guerre.

Ma se le cose stanno così, qual è il ruolo di una campagna contro la guerra? Intuitivamente, sembra che l'obiettivo di un movimento contro la guerra debba essere quello di fermare la guerra. Se non può farlo, è inutile, giusto? No. Per evitare la cocente delusione che si prova quando ci si rende conto di essere impotenti a fermare una guerra, è fondamentale capire subito qual è il vero scopo di un movimento contro la guerra.

 

Prima fase: Voci solitarie


Seconda fase: piccole comunità Accettare le responsabilità e creare spazio per il futuro


Terza fase: cambiare l'opinione pubblica


….


 

Lo sviluppo delle argomentazioni e delle proposte a questo link:


https://www.valigiablu.it/guerra-ucraina-protesta/


 

 

 



Il Foglietto "La Resurrezione" di Domenica 29 maggio

 



Dov’è finita la bellezza dopo la sparizione del sacro?

Il contesto generale nel quale viviamo è connotato da una nauseante bruttezza, figlia della follia libertaria che ha sacrificato regole ed armonie davanti all’illusione di uno scellerato abominio chiamato razionalismo. Serve un ritorno alla classicità? La riflessione di Gennaro Malgieri


“La Bellezza è una specie di armonia visibile che penetra soavemente nei cuori umani”, scriveva Ugo Foscolo. Oggi come potremmo definirla? Contro questo interrogativo s’infrangono tutte le possibili declinazioni che richiamano la formulazione breve e sublime del grande poeta. E se è vero che, “la bellezza salverà il mondo”, secondo Fëdor Dostoevskij, forse è altrettanto vero che l’assunto dello scrittore russo sarebbe da abolire a fronte della Bellezza decaduta. Intorno a noi rovine moderne e antiche ci assediano e il contesto generale nel quale viviamo è connotato da una nauseante bruttezza, figlia della follia libertaria che ha sacrificato regole ed armonie davanti all’illusione di uno scellerato abominio chiamato razionalismo ed inveratosi in un utilitarismo finalizzato alla realizzazione del massimo profitto, con il minimo delle risorse o anche senza risorse.

La Bellezza umana, come oggetto del desiderio; la Bellezza naturale, come oggetto di contemplazione; la Bellezza quotidiana, come oggetto della ragione pratica; la Bellezza artistica, come forma del significato e oggetto del gusto; la Bellezza erotica, come sublimazione del desiderio sessuale – secondo la classificazione di Roger Scruton – invitano nell’insieme a ricondurre il concetto stesso al sacro poiché tutto da esso discende. Ma se il sacro è respinto, vilipeso, negato come è possibile immaginare un’idea di Bellezza che sia universale e privata al tempo stesso? Infatti, nell’immaginario collettivo l’idea di Bellezza  si è spenta quasi ovunque: rimangono oasi incontaminate tra gli attacchi brutali degli stili di vita e delle interpretazioni dell’arte, dell’erotismo divenuto pornografia, dei templi di Dio modellati secondo disgustose interpretazioni che rimandano a edifici profani oltretutto orrendi.

La Bellezza non esiste più?


La riflessione continua a questo link:

https://formiche.net/2022/05/bellezza-sparizione-sacro/




“Un quindicenne su due non è in grado di comprendere un testo scritto”. Falso

Negli ultimi giorni diverse testate giornalistiche hanno rilanciato le parole del presidente di Save The Children Claudio Tesauro che, lanciando l’evento “Impossibile 2022”, ha dichiarato che il 51% dei quindicenni in Italia non sarebbe in grado di capire un testo scritto. L’affermazione, ripresa anche da alcuni parlamentari di Lega e Pd, ha destato molto scalpore.


Ma le cose non stanno come sostenuto dal presidente di Save The Children. Le sue parole non trovano riscontro nelle indagini (OCSE-Pisa, Invalsi) che misurano la dispersione scolastica implicita, cioè la percentuale di quegli studenti che, pur avendo acquisito un titolo, non raggiungono le competenze di base minime in italiano, matematica e inglese. E la percentuale del 51% non si riferisce ai quindicenni, non riguarda le competenze in italiano e nemmeno la comprensione del testo.

"La bufala del 51% di questi giorni – osservano Corsini e Raimo – non è che l’ultimo episodio di una lunga serie (come già accaduto, ad esempio, a proposito dei sopracitati dati OCSE-Pisa nel 2018)" che rinfocola “una retorica della crisi applicata alla scuola [che] tende ad alimentare i luoghi comuni di cui si nutre, come quelli relativi al progressivo peggioramento del livello degli apprendimenti”. Questo non significa che non ci siano problemi, “ma è ancora meno intelligente pensare di affrontarli con un armamentario narrativo e un paternalismo che umiliano tanto gli studenti quanto i docenti”.

L'intera analisi a questo link:


Ascensione - Lc 24,46-53

Un invito ad essere concreti


Un medesimo luogo, un uguale fatto aprono e chiudono l'Evangelo di Luca. 

Il luogo è Gerusalemme, il fatto è una benedizione che, all'inizio, è attesa ma non può essere data sul popolo di Israele perché al sacerdote Zaccaria è stata tolta la parola per la sua incredulità. Qui ora, invece, è stata data ma non più nel tempio da un sacerdote, non più solo su Israele, ma da Gesù in un luogo aperto e sugli apostoli che, a loro volta, la restituiscono lodando il Signore ("bene-dire" e "lodare" sono sinonimi).

In mezzo, il racconto dell'evento nella storia dell'uomo di Gesù di Nazaret che lui stesso, come aveva fatto coni discepoli di Emmaus, riassume nei versetti dell'Evangelo di questa domenica “aprendo la mente” degli apostoli (e con la loro, la nostra) alla comprensione delle Scritture, come sta scritto nel versetto immediatamente precedente al brano odierno.

Sarebbe inutile cercare quelle parole di Gesù in uno o più brani biblici perché, nella tradizione ebraica, i rimandi biblici non sono mai "prove scritturistiche", sono piuttosto delle efficaci sintesi tese a far ricordare un insegnamento. La radice della parola ebraica le definisce come delle perle che vengono inanellate su di un filo prezioso.

Siamo invece invitati a porre la nostra attenzione sul fatto che i discepoli sono innanzitutto chiamati ad essere "testimoni" di ciò che Gesù ha fatto della e nella sua vita. È questo che conta e, l’esserne testimoni, significa non tanto il “raccontarlo”, quanto il “viverlo” ed interpretarlo. Vale a dire che l’annuncio cristiano non è una questione fondamentalmente intellettuale, bensì una prassi, un modo di essere. Lo conferma anche il fatto che le prime parole pronunciate da Gesù nell’Evangelo di Giovanni è: “Che cercate? … Venite e vedrete!” e non "sedetevi qua che vi racconto ...".

Non può non sorprendere poi che gli apostoli, dopo la partenza di Gesù, ritornano a Gerusalemme con grande gioia mentre ci si sarebbe potuto aspettare un atteggiamento di tristezza o di sgomento come dopo la sua morte. 

No! Ricoperti della sua benedizione ora gli apostoli vivono apertamente il loro quotidiano, il loro essere ebrei, continuano a frequentare ogni giorno il tempio, così diventano loro stessi benedizione. Oramai un grande movimento circolare è stato innestato: a loro, a noi, il compito di non fermarlo, non solo con le nostre parole, ma soprattutto con il nostro agire nella quotidianità, continuando a fare quello che Gesù ha fatto della sua vita: ha operato per la realizzazione delle slalom, della pace, della riconciliazione dell'umanità con il Padre. Non fornendo strumenti all'uomo, ma facendosi mezzo, tramite della sua misericordia. Questo significa, in tutte le Eucaristie, fare memoria cioè rendere attuale, presente (vale sempre la pena di rammentare che non è solo un semplice ricordare...) pane spezzato e vino condiviso, accogliendo, dando da mangiare, da bere, vestendo, visitando, proteggendo i deboli ... senza sfuggire alla realizzazione di queste parole appena le abbiamo pronunciate: è questo il senso di quel: “restate in città”.

È l’invito ad avere sempre davanti non il nostro interesse personale, bensì le esigenze del bene comune e dell'altro fatto di condivisione, solidarietà, aiuto reciproco, sobrietà, confronto, accoglienza, misericordia nelle realtà nelle quali la vita e le nostre scelte personali ci hanno chiamato ad operare: lavoro, amicizie, impegni sociali, ecclesiali, famiglia, coppia … sfuggendo da tutto ciò che ne è il contrario e porta alla divisione, all'annientamento dell'altro fisico o morale, alla violenza di qualsiasi genere. 

(BiGio)

L'Ascensione: il compimento nel distacco

Noi celebriamo la festa dell’Ascensione, che in verità è parte costitutiva dell’atto unico e indivisibile che è l’evento pasquale. È il testo evangelico stesso della liturgia odierna a rinviarci alla morte e resurrezione di Gesù e all’attesa della sua venutariportandoci al primo giorno dopo il sabato quando i discepoli sono ancora increduli, sotto lo shock della perdita del loro Signore e nell’angoscia del vuoto da lui lasciato. 

Il vangelo si articola in tre momenti: viene fondata la fede nella resurrezione (“Così sta scritto: ‘Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno’”: v. 46), viene annunciata la missione dei discepoli nella storia (“nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e la remissione dei peccati”: v. 47) e, infine, i discepoli sono situati dal Risorto nell’attesa del dono dello Spirito santo (“io mando su di voi ciò che il Padre mio ha promesso”: v. 49).

Il paradosso è che il compimento della promessa celebrato nell’Ascensione passa attraverso un vuoto, o meglio, un distacco. Non una presenza, ma un’assenza. Il compimento? Non una relazione constatabile, visibile e tangibile, ma una distanza; su questo dobbiamo approfondire anche per la nostra vita spirituale.

In effetti, la celebrazione dell’Ascensione ci permette di riflettere sulla dimensione di generatività insita in un atto di distacco e distanziamento, di separazione e di allontanamento. L’Ascensione è evocata, negli scritti biblici, con parole che parlano di allontanamento, di partenza, di assunzione (analempsis At 1,11), di cammino (poreoumai At 1,10-11), di salita (anabasis: Gv 20,17), di separazione ("si staccò da loro": Lc 24,51). Come in una dinamica antropologica di crescita e di divenire, il distacco e la separazione aprono la strada a un nuovo attaccamento, alla creazione di un nuovo legame, così la partenza di Gesù situa i discepoli in una relazione radicalmente rinnovata con lui. I discepoli sono generati a testimoni, diventano dei testimoni: "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,48); "Voi sarete miei testimoni a Gerusalemme … e fino ai confini della terra" (At 1,8). Questa nuova relazione è posta sotto il segno dello Spirito Santo ovvero, la libera volontà di Dio di comunicare ed entrare in comunione con gli uomini. Comunicazione e comunione che Gesù ha vissuto durante il suo ministero storico rivolgendo la parola alle folle e ai singoli, una parola capace di ascoltare e di toccare, di prendersi cura delle ferite delle persone che incontrava, una parola capace di dare vita e di dare senso alla vita, una parola che sapeva orientare il cammino di coloro che condividevano la sua avventura. Comunicazione e comunione che Gesù ha vissuto toccando i corpi malati e lasciandosi toccare e anche contaminare, da chi era malato, lebbroso o emorroissa che fosse. Per esprimere questa dinamica di comunione lo Spirito Santo trova dunque nella parola e nel corpo i suoi luoghi di elezione. Quale corpo? L’Ascensione nasconde definitivamente il corpo fisico di Gesù alla vista dei suoi discepoli, lo sottrae alla loro prossimità, al contatto con loro, tuttavia i discepoli possono toccare la carne di Cristo toccando la carne del sofferente, il corpo del povero. Lasciandosi guidare dallo Spirito, essi possono fare ciò che faceva Gesù stesso.

Certo, l’Ascensione parla di un distacco ma che si apre su una nuova comunione tra il Risorto e i suoi discepoli nella storia. Quella che poteva non essere altro che la fine di tutto diventa l’inizio di una storia nuova. La presenza sottratta diventa presenza donata attraverso la responsabilità del credente di dare testimonianza nella storia che trova i suoi due elementi decisivi nella conversione e nella remissione dei peccati (Lc 24,47). Questi sono il centro della predicazione e del messaggio di Gesù e sono realtà sperimentate dai discepoli che si sono messi su strade di conversione, cioè di cambiamento del loro modo di vivere, in obbedienza alla parola di Gesù che si dice venuto “non a chiamare i giusti, ma i peccatori a conversione” (Lc 5,32), e che hanno sperimentato il perdono dei peccati, hanno conosciuto la salvezza nella remissione dei peccati (Lc 1,77). Si è testimoni di ciò che si è conosciuto e sperimentato. 

(da Luciano Manicardi)

Una buona notizia per l'Italia tutta: il card. Zuppi nominato Presidente della Cei

Chi lo conosce da vicino, lo testimonia come un uomo colto ma semplice, con una visione internazionale legata alla sua storia nella comunità di Sant’Egidio, capace di osservazione profonda e grande trasparenza nelle decisioni.
Prete di strada - come è rimasto sempre, anche una volta diventato Cardinale - assiduo promotore della Comunità di Sant’Egidio, ha dedicato la sua intera vita ai bambini svantaggiati, ai migranti, ai senza fissa dimora, ai disabili, ai tossicodipendenti, ai carcerati, agli ultimi, agli emarginati.
È stato figura di spicco e mediatore nel processo che, nel 1992, ha portato alla pace in Mozambico, che pose fine a oltre 15 anni di guerra civile.
È stato simbolo della cooperazione in Africa.
Nel 2015, quando divenne arcivescovo di Bologna, scelse di andare a vivere in un dormitorio per preti in pensione, in una umile stanza con un letto, un comò e uno scrittoio uguale a quella di tutti gli altri.
Tre anni fa, nel pieno dell’ipnosi sovranista, se ne uscì con parole manifesto sull’immigrazione e sull’accoglienza:
“L'accoglienza non è un incubo da evitare, è il modo in cui la società cresce, ringiovanisce, matura. Siamo di fronte al rischio di non commuoversi più per la condizione di chi non ha nulla o è in pericolo".
È questa figura qui, questo prete, quest’uomo, che Bergoglio ha appena scelto per guidare i vescovi italiani. E, a prescindere dalla fede (o meno) di ognuno, è una buona notizia per il nostro Paese.


I "Viandanti" per il Sinodo: Proposte di laici per la liturgia

Le conclusioni del “Gruppo sinodale” dell’Associazione “Viandanti” per un aggiornamento delle forme della celebrazione liturgica. Un esempio di interlocuzione di laici credenti  nella riflessione in corso nella Chiesa



La sintesi finale affronta e sviluppa i seguenti temi

- Riflessioni sulla Celebrazioni Eucaristicala partecipazione, l'omelia, la Parola di Dio, il linguaggio, la comunità, il parroco, la ministerialità, il rapporto liturgia-vita-mondo, la preghiera e il rapporto con il mistero, la pandemia

- Il sogno di una Chiesa che verrà: una sperimentazione liturgica, la Chiesa come popolo di Dio, la Chiesa comunità di comunità, una comunità ministeriale


Lo sviluppo di questi punti a questo link:

https://www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/proposte-di-laici-per-la-liturgia/


Messico, sparite oltre 100mila persone. ONU: “Una tragedia umana di proporzioni enormi”

Il numero delle persone scomparse in Messico ha superato le 100.000 unità. È la prima volta da quando nel 1964 il ministero degli Interni ha iniziato a compilare un registro dei “desaparecidos”, aggiornato periodicamente. 


Le sparizioni sono aumentate dopo il 2007, quando l'allora presidente Felipe Calderón ha lanciato la sua “guerra alla droga”. Negli ultimi due anni, c’è stato un ulteriore incremento, passando dalle 73.000 persone scomparse del 2019 alle oltre 100mila attuali. Tre quarti delle persone scomparse sono uomini e un quinto aveva meno di 18 anni al momento della scomparsa. Le Nazioni Unite l'hanno definita “una tragedia umana di proporzioni enormi”.

Molti desaparecidos sono vittime della criminalità organizzata, in larga parte non si riesce a risalire ai responsabili delle sparizioni. Secondo le Nazioni Unite, solo 35 delle sparizioni registrate hanno portato alla condanna dei responsabili. Molto poco considerato che dall’inizio della guerra alla droga oltre 350.000 persone sono state uccise in Messico, con una media di 94 omicidi al giorno. Lo Stato con il maggior numero di sparizioni è Jalisco, dove il cartello Jalisco New Generation ha il suo centro di potere.

Continua a questo link:

https://www.valigiablu.it/messico-persone-sparite/



L’altra guerra. Se Putin sfila l’Africa all’Ue

Energia, grano, investimenti. C’è una guerra nella guerra e si combatte per il destino del continente africano. L’Ue dovrebbe avere più chiaro il quadro: la tempesta alimentare in arrivo rischia di fare un paradossale assist a Putin. Il commento di Leonardo Bellodi

Una tempesta perfetta. È ciò che sta provocando la guerra (perché di questo si tratta) scatenata dalla Russia nei confronti dell’ Ucraina. Lontano dall’Europa, l’Africa subisce più di ogni altra regione del mondo le conseguenze dell’invasione russa su più fronti: alimentare, energetico, geopolitico.

Dal punto di vista alimentare, nel 2020 l’Africa ha importato da Russia e Ucraina derrate per il valore di circa 7 miliardi di dollari. Il continente ha fame: nel Sahel e nel Africa occidentale 25 milioni di persone non hanno sufficiente accesso al cibo.

Per il combinato disposto dell’aumento dell’inflazione e della scarsità di prodotti, i  costi di grano, mais e semi di soia sono aumentati di circa il 30%, il picco più alto da dieci anni a questa parte, impoverendo ancora di più le casse degli Stati (praticamente tutti) che sussidiano la produzione di pane. In Kenia e Sudan il lievitare dei prezzi ha già provocato proteste e sommosse popolari.

La situazione non è differente in Nord Africa. L’Egitto importa da Ucraina e Russia  il 60% di cereali che costituiscono il 40% dell’apporto calorico giornaliero della popolazione. Il governo del Cairo ha cercato di calmierare i prezzi con conseguenze immaginabili per le casse di uno Stato che conta più di 100 milioni di cittadini.

Come se non bastasse, i raccolti, a causa del cambiamento climatico che ha provocato una siccità piuttosto severa non sono stati all’altezza delle aspettative alimentando in alcuni paesi carestie mai sopite. Gli alti prezzi del gas poi hanno creato un aumento dei fertilizzanti azotati (il metano è la materia prima per la loro produzione) per non considerare il fatto che la Russia è il più importate esportatore mondiale di questo tipo di fertilizzanti.

Sono principalmente tre i motivi determinano un atteggiamento “benevolo” dei paesi africani nei confronti di Mosca. Il primo è dovuto ai profondi legami della Russia con questi Paesi: forze paramilitari russe sono presenti in Mali e nella Repubblica centraficana, il governo del Sudan è in trattative per aprire una base russa sulle sue coste e Sudan, Seneal e Mozambico (e Egitto) importano gran parte del fabbisogno di cereali, come abbiamo visto, dalla Russia.

La seconda ragione ...

L'analisi continua a questo link:

https://formiche.net/2022/05/guerra-putin-africa-ue/


I farisei non sono poi così cattivi ....

 I Vangeli, a prima vista, li presentano in conflitto con Gesù. Ma, aggirando i luoghi comuni, si scoprono anche convergenze con Lui

Se si ricorre alla «garzantina» dei Sinonimi e contrari e si cerca la voce «fariseo», si legge: «falso, ipocrita, insincero». E se, per curiosità, si procede fino a «gesuita/gesuitico», si sente replicare questa sinonimia: «ipocrita, simulatore, insincero, doppio, subdolo». Due istituzioni religiose, separate tra loro da secoli, sono accomunate all’ombra della doppiezza e della simulazione, avendo come «contrario» la sincerità, la schiettezza, la lealtà, la franchezza, l’autenticità. Il dizionario ovviamente deve registrare uno stereotipo inchiodato nella mente di una società, anche se, come spesso accade, la realtà è ben più complessa e persino alternativa rispetto al luogo comune.

Ebbene, per uno di questi due soggetti, a smantellare le sovrastrutture semantiche dominanti, anzi, a minarle fin dalle loro fondamenta, forse con qualche eccesso «ecumenico», sono le ricerche condotte da un team di studiosi ebrei, protestanti e cattolici riuniti a Roma nel maggio 2019 in un convegno dedicato proprio a Gesù e i farisei, col suggello di un discorso di papa Francesco. Sono ora disponibili gli atti che comprendono ben 25 relazioni multidisciplinari che naturalmente partono dall’interpretazione del vocabolo stesso «fariseo», presente ben 98 volte nel Nuovo Testamento e assunto da un ineccepibile san Paolo senza esitazione nella sua ideale «carta d’identità» offerta ai Filippesi: «Circonciso all’età di otto giorni, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio di ebrei e, quanto alla Legge, fariseo» (3,5). Il valore del termine è discusso, pur prevalendo l’accezione «separati», ma l’interesse maggiore punta sul loro reale rapporto con Gesù.

C’è, infatti, un paradosso: da un lato, i Vangeli a prima vista rappresentano una relazione dialettica per non dire conflittuale; d’altro lato, se si appaiano le due concezioni, la gesuana e la farisea, si scoprono convergenze sorprendenti. ...


L'articolo di Gianfranco Ravasi per il Sole 24 Ore continua a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202205/220522ravasi2.pdf


Tunisia: il pane e i gelsomini

La Tunisia tra crisi alimentare e instabilità politica. Ma senza il grano dall’Ucraina a rischio diversi paesi del Nord Africa.


In Tunisia le baguettes a prezzo sovvenzionato sono cominciate a sparire dagli scaffali delle panetterie poco prima dell’inizio del Ramadan, racconta Le Monde. È stato allora che le tensioni sociali nel paese nordafricano hanno cominciato a ribollire. Fortemente dipendente dalle importazioni di grano e cereali, e già alle prese con una crisi politico-economica che si trascina dallo scorso luglio, sulla Tunisia aleggia lo spettro della crisi alimentare e gli osservatori temono una riedizione delle rivolte del pane che nel 2011 innescarono l’inizio della cosiddetta Primavera Araba. L’agricoltura tunisina soffre di “problemi cronici”: una bassa produttività media di (11-15 quintali per ettaro contro i 70 circa dell'Europa) e negli anni l’erosione del suolo e la salinizzazione hanno causato la perdita di 300.000 ettari di colture. Oggi poi, con l’aumento dei costi, i prezzi calmierati dello stato, che ha il monopolio sull'acquisto di prodotti a base di cereali, scoraggiano gli agricoltori. Se le cause dell’instabilità sono annose e molteplici, però, la guerra in Ucraina rischia di fare da detonatore: “Produciamo appena la metà del nostro fabbisogno di grano. E dal 45 al 50% delle nostre importazioni proviene dall'Ucraina”, spiega Karim Daoud, presidente del sindacato agricolo Synagri. Con il blocco dell’export dai porti del Mar Nero, dunque, l’effetto domino è inevitabile: più il conflitto si protrarrà più le sue conseguenze rischiano di diventare insostenibili per le economie più fragili, anche a migliaia di chilometri di distanza.
Le difficoltà di approvvigionamento e l’aumento dei prezzi si inseriscono in un contesto politico instabile in cui le proteste di piazza si susseguono: l’ultima si è svolta domenica, quando migliaia di persone sono scese per strada per invocare il ritorno alla regola democratica e contestare la decisione del presidente Kais Saied di destituire la Commissione elettorale nazionale per nominarne una personalmente. Il deragliamento delle istituzioni tunisine era cominciato lo scorso 25 luglio, quando il presidente aveva di fatto sospeso il parlamento e destituito l’allora primo ministro Hishem MechichiA dicembre 2021 Saied ha poi annunciato un referendum costituzionale per una nuova legge fondamentale ...


L'analisi continua a questo link:





Prepariamoci: la guerra del grano arriverà in casa nostra

Il blocco di Odessa, la siccità record in India e Indonesia, le supply chain interrotte dalla guerra russa in Ucraina. Allacciate le cinture: c’è una crisi alimentare globale che sta per bussare (anche) a casa nostra. Il commento di Pietro Paganini, Competere 


Molti governi tra i Paesi produttori di materie prime alimentari stanno bloccando le esportazioni. I prezzi interni crescono e i cittadini non hanno accesso ai beni alimentari che viaggiano su mercati paralleli per beneficiare delle speculazioni internazionali. Le conseguenze sul commercio globale, soprattutto nei Paesi più poveri possono essere devastanti. È urgente capire il problema e aiutare i paesi produttori a meglio gestire le filiere.

Molti Paesi produttori di materie prime alimentari come cereali e grassi vegetali stanno rallentando o bloccando le esportazioni verso il resto del pianeta. Tante regioni, soprattutto nelle aree meno sviluppate del pianeta, rischiano di rinunciare alla sicurezza alimentare: non avranno accesso ai nutrienti per una dieta sana ed equilibrata. Crisi economiche e sociali si prospettano all’orizzonte.

Non possiamo permetterci politiche di piena sussistenza alimentare. Non abbiamo terra a sufficienza per soddisfare i nostri bisogni. La guerra del grano sperimentata in Italia sotto il fascismo è stata un disastro. Dobbiamo dotarci di un piano per le materie prime alimentari. Dobbiamo produrre in casa quanto possiamo ma in modo bilanciato. Dobbiamo comprare dall’estero assicurandoci che i nostri canali di fornitura siano resilienti, sicuri, convenienti, e sostenibili.


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https://formiche.net/2022/05/guerra-grano-casa-nostra/


Libano: gli effetti sulla regione dei nuovi equilibri nei quali chi perde sono i libanesi e la situazione potrebbe coinvolgere i soldati italiani e l'UNIFIL

La attenzione tutta puntata sull'Ucraina non deve farci dimenticare altri scenari nei quali è coinvolta anche l'Italia come, per esempio, in Libano.


Già è stato segnalato come le recenti elezioni abbiamo modificato i rapporti di forza interni ma senza offrire maggioranze sicure in un paese dove, secondo la Banca Mondiale, la crisi finanziaria è una delle tre peggiori crisi economiche del mondo dalla metà del XIX secolo.

A determinare i risultati delle elezioni sono stati i 15 milioni di libanesi residenti all'estero che sono quasi il triplo dei residenti in patria. Secondo l'Onu l'80% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Situazione aggravata dalla presenza nel Paese di un milione e mezzo di rifugiati siriani, 500.000 palestinesi, centinaia di migliaia di iracheni e un numero difficile da calcolare di lavoratori e lavoratrici invisibili, quelli della cosiddetta kafala. Il tutto su una popolazione residente di 4 milioni di persone.

La crisi ucraina ha bloccato il rifornimento di grano per il 60% proveniente da quella nazione. Questo aggrava la situazione alimentare progressivamente collassata dal 2012. Negli ultimi mesi, il colpo di grazia è arrivato dalla crisi monetaria e del prezzo dei carburanti: il costo del trasporto dalla Bekaa ai supermercati libanesi è diventato insostenibile, al punto che oggi la produzione locale è fallita, sostituita interamente dalle importazioni.

La situazione politica è diventata molto fluida in un paese centrale per gli equilibri medio-orientali che corrono il pericolo di essere rimessi in gioco convolvendo Israele, Iran, Arabia Saudita, Siria. C'è il pericolo che le tensioni sulle trattative per il nuovo governo sfocino in fenomeni di violenza e destabilizzazione anche regionali.

In questo quadro il Libano rischia di essere un moltiplicatore di caos sulla costa orientale del Mediterraneo — area strategica anche per le forniture energetiche e già scomposta da tensioni di vario genere. Un centro di attenzione per l’Italia: al comando del Generale di Brigata Massimiliano Stecca, operano 3800 Caschi Blu di 16 dei 46 paesi contributori alla missione onusiana UNIFIL, tra i quali circa mille militari italiani. Monitorano la cosiddetta Blue Line, settore di contatto tra Israele e Libano 


Qui di seguito due link per approfondire:

https://formiche.net/2022/05/libano-voto-equilibri-effetti-sulla-regione/

https://www.rivistailmulino.it/a/vincono-tutti-tranne-i-libanesi?&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Strada+Maggiore+37+%7C+18-23+maggio+%5B8569%5D


Comunità de La Risurrezione in festa Domenica 12 giugno





Sarà anche l'occasione per fare il punto sul nostro cammino sinodale e sulle sue prospettive

A questo link il Foglietto "La Resurrezione" con i 15 punti emersi dall'Assemblea di Comunità del 9 aprile che faranno da traccia al cammino futuro della nostra Comunità:



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La colonna sonora sarà la canzone di "Par ti" cantata da Sergio Renier con il gruppo I Maestral

Notizie su queste gruppo a questo link:


 

Il Foglietto "La Resurrezione" di Domenica 22 maggio

 


Pierluigi e Shireen hanno preso la parola stamattina alla Cita


Pierluigi e Shireen hanno preso la parola stamattina alla Cita, perché la Parola del Vangelo esige coerenza nei fatti. I gesti e i comportamenti di don Pierluigi Di Piazza sono stati ricordati da un frammento di omelia a Zugliano: “La forza delle parole non sta nelle parole stesse ma nella credibilità di chi, pronunciandole, già sta attuandole, come una comunità che invece di parlare di scelta preferenziale dei poveri li serve e li sente parte di una Chiesa inclusiva.” Tanta amarezza resta invece quando proprio questa “Chiesa inclusiva” condanna un suo figlio che come don Pierluigi l’ha servita e amata fino in fondo.

La città di Gerusalemme nell'Apocalisse è splendida nelle sue mura di ieri e ferita dal suo muro di apartheid di oggi, è stata commentata con il sorriso di Shireen, la famosa giornalista di Gerusalemme uccisa dall’esercito israeliano. E dopo il crimine impunito anche il vilipendio di assistere alle percosse dello stesso esercito nei confronti dei fedeli in preghiera al suo funerale, fino a far cadere a terra perfino la bara. Durissima la condanna di tutti i Vescovi della Terra Santa:
Noi Vescovi delle Chiese cristiane in Terra Santa condanniamo la violenta intrusione della polizia israeliana nel corteo funebre della giornalista uccisa Shireen Abu Akleh. La polizia ha fatto irruzione nei reparti dell’Ospedale violando ogni norma. L'invasione e l'uso sproporzionato della forza da parte della polizia israeliana, attaccando le persone in lutto, colpendole con manganelli, usando granate fumogene, sparando proiettili di gomma, spaventando i pazienti dell'ospedale e perfino causando la caduta della bara della defunta, è una grave violazione delle norme e dei regolamenti internazionali, compreso il diritto umano fondamentale alla libertà di religione, che deve essere osservato anche in uno spazio pubblico.”
Attenti alle parole! Chi ripete magari pregando "sia pace su Gerusalemme" agisca nei fatti per denunciare ogni sopruso e quel silenzio complice che da decenni lascia agire indisturbata la potenza dello Stato Israeliano.

(Nandino)

VI Domenica di Pasqua - Gv 14,23-29

 La Pace è dono, non conquista autonoma



Gesù sta per tornare al Padre; prima però non ci augura, ma ci lascia o, meglio, ci dona la sua pace, parola risuonata spesso in queste domeniche: è il suo saluto quando incontra i discepoli ripetuta come un ritornello. Ma non è quella del mondo: è lo Shalom, cioè quella pienezza di vita promessa da sempre che già ora scorre come un fiume in piena (Is 66,12), perché è il frutto della vittoria sulla morte di Gesù che ci ha riconciliati, “ri-pacificati” con il Padre. Secondo le Scritture, solo Dio può accordare la pace promessa ad Israele e caratterizza i tempi messianici guidati dal “Principe della Pace”. L’Alleanza escatologica, degli ultimi tempi, quella definitiva, è una “Alleanza di Pace” che “scenderà come un fiume”.

I verbi al presente sottolineano la realtà attuale e la durata indefinita di questo dono: il Regno di Dio è già presso di noi, siamo noi che non ce ne accorgiamo (Is 43,19 - 2Cor.5,17). Certo, non toglie inquietudine, disorientamento, turbamenti, incertezze; non è assenza di guerra, serenità, tranquillità. Non ci toglie pandemie, migrazioni, carenza di risorse economiche e di cibo, povertà, inflazione o la più pericolosa stagflazione che sta avanzando a rapidi passi … In altre parole: non ci toglie la vita che è anche tutto questo. Non ci toglie l’ansia si sentirsi realizzati in una società ricca di tutto, che a volte ci fa ripiegare su di noi stessi nell’egoismo, impedendoci di capire che la nostra realizzazione passa nel saper accogliere l’amore che l’altro ci offre trasmettendo così l’amore ricevuto dal Cristo (domenica scorsa: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”), nel sapersi affidare alla possibilità che ha l’altro di liberare tutte le nostre potenzialità e capacità, portandoci a quel compimento di vita piena alla quale aspiriamo che è dono, non conquista autonoma, che è possibilità di sperimentare la misericordia, il perdono e la benevolenza di Dio. Tutto questo ci rende capaci di vivere in relazione con gli altri, donando noi stessi attraverso l’esercizio della carità e il rifiuto di ogni forma di oppressione. In questo senso la pace di Dio come dono, è inseparabile dall’essere costruttori e testimoni di pace (Mt 5,9).

Pregare oggi per la pace in Ucraina, non è chiedere a Dio la fine della guerra, ma di donare agli uomini la volontà e la capacità di praticare tutte le vie possibili per giungervi, di saper leggere la storia con intelligenza (=leggere dentro) per poter vivere lo Shalom, quella vita in pienezza che la guerra toglie, non raggiunge, ma che Lui desidera per noi, che ci dona, cioè ci offre, la possibilità di accoglierla o di rifiutarla.

Gesù ce lo lascia come compito, assieme a quello di diffondere nel mondo la sua Parola. Ricorderemo? Sapremo farlo? Non preoccupiamoci, ci penserà lo Spirito (il Paraclito) a insegnarci e a farci ricordare ogni sua parola, sapendo che, questo “ricordare” non è un semplice “rammentare”, il guardare una foto del passato, ma è un rendere quel fatto, quella parola, attuale vivendola concretamente. 

Le promesse di Gesù non sono rivolte a qualcuno, ma all’intera sua Comunità che è il luogo all’interno del quale lo Spirito rivela e attualizza la Parola in modo sempre creativo, rendendola “viva” per sempre in ogni momento della storia degli uomini e donando ai credenti una identità nuova che li rivela come “altri Cristi”.

Quell’osservare la Parola al quale ci invita Gesù, non è allora limitabile all’osservare le “leggi”, i “comandamenti” di Dio per paura, per ricercare vantaggi o liberarsi da sensi di colpa. È invece accogliere e seguire una Parola che genera, spalanca porte, semina germogli di vita nuova in ogni luogo e su tutti impegnandoci a farli crescere rigogliosi. Una Parola che, se accolta, prende dimora presso di noi e opera attraverso noi a favore degli altri rendendo così testimonianza al Padre e a Gesù. Lo sperimentiamo anche nella nostra semplice quotidianità: quando vi è una unione salda tra le persone, questa si apre naturalmente verso gli altri. Non ci si sente mai tanto uniti come quando si opera assieme a favore di altri. Per questo è importante imparare a coniugare la vita attraverso il “noi”, superando “l’io”; imparare a camminare assieme in quella “sinodalità” verso la quale papa Francesco sta cercando tra molte resistenze di spingere la Chiesa oltre le difese del potere clericale. È necessario iniziare ad epurare il nostro linguaggio da tutti i termini legati alla sopraffazione, alla lotta armata, in tutti i campi: dallo sport, all’ambiente di lavoro. Un solo esempio: durante la pandemia (ancora tra di noi), il mondo non era e non è in “guerra”, ma in “cura” …

 

(BiGio)