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Abbiamo la grande gioia di annunciarvi il nuovo priore

Nell'ambito del Capitolo annuale che, come al solito, si svolge nel mese di gennaio, la Comunità di Bose ha proceduto all'elezione del nuovo priore nel segno della continuità del cammino svolto sotto la guida di fr. Luciano Manicardi che aveva già comunicato il desiderio di lasciare l'incarico ricevuto 5 anni fa dopo le dimissione del fondatore, fr. Enzo Bianchi. Sono stati anni difficili, gli ultimi due attraversati da vicende dolorose per tutti nei quali ha saputo mantenere diritta la barra in uno stile davvero di sapienza evangelica. A lui va il ringraziamento di coloro che continuano a vedere in Bose la ricchezza e la perseveranza di una esperienza di annuncio dell'Evangelo anche nelle difficoltà. A fr. Sabino Chialà l'augurio di saper continuare il cammino della Comunità sulla rotta nella quale il Signore li accompagnerà. 

Dal sito del Monastero di Bose:
 

Bose, 30 gennaio 2022
IV Domenica nell’Anno

Carissimi amici e ospiti,

oggi, i fratelli e le sorelle professi della Comunità, riuniti per il Consiglio generale annuale – alla presenza del garante esterno +Erik Varden, vescovo di Trondheim e già abate trappista di Mount Saint Bernard, e del Delegato pontificio p. Amedeo Cencini – hanno proceduto all’elezione del nuovo priore secondo quanto previsto dallo Statuto.

Abbiamo la grande gioia di annunciarvi che è stato eletto

Fr. Sabino Chialà

La comunità, in grande pace, ringrazia il Signore per la sua fedeltà e chiede a tutti voi di partecipare alla nostra gioia e alla nostra preghiera.

Nella misericordia del Signore,

I fratelli e le sorelle di Bose

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Bose, 31 gennaio 2022

Con questo messaggio desidero ringraziare i tantissimi che in queste ore stanno in vario modo facendo sentire tutta la loro vicinanza alla Comunità e a chi i fratelli e le sorelle di Bose hanno scelto come loro nuovo priore. Le vostre parole e il vostro affetto sono l’incoraggiamento più efficace in questo arduo esercizio che mi è chiesto.

Sono infatti profondamente grato al Signore per il dono che mi ha fatto di chiamarmi alla vita monastica a Bose, in una Comunità fatta di tanti volti che porto tutti nel cuore e nella preghiera, e gli sono grato per avermi donato di perseverare nella vita monastica con i miei fratelli e le mie sorelle, che ora hanno voluto eleggermi come loro priore e fratello maggiore.

Nell’assumere questo servizio desidero poi ringraziare di cuore fr. Luciano Manicardi, che ha guidato la nostra Comunità con grande dedizione e sapienza, in questa stagione in cui la fedeltà alla nostra vita e vocazione monastica è stata messa alla prova. Vorrei fare tesoro soprattutto della sua mitezza, della sua perseveranza, e dirgli ancora il mio commosso “grazie”.

Come e più dei miei fratelli e delle mie sorelle sono consapevole dei miei limiti, ma confido nella loro preghiera e nel nostro sentire comune per condurre la Comunità sul cammino che il Signore ha voluto mostrarci, che è via di pace e di vita piena nella verità e nella carità, a servizio dell’annuncio del Vangelo agli uomini e le donne del nostro tempo e nella ricerca dell’unità visibile dei cristiani.

fr. Sabino Chialà, priore di Bose


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In seguito su di un post sulla pagina FaceBook di "Alzo gli occhi verso il cielo" ha scritto:

Bose, 31 gennaio 2022
Sono profondamente grato al Signore per il dono che mi ha fatto di diventare monaco di Bose e di perseverare nella vita monastica con i miei fratelli e le mie sorelle, che ora hanno voluto eleggermi come loro priore e fratello maggiore.
Nell’assumere questo servizio desidero innanzitutto ringraziare di cuore fr. Luciano Manicardi, che ha sapientemente guidato la Comunità in questa stagione in cui la fedeltà alla nostra vita e vocazione monastica è stata messa alla prova. Il cammino, che assieme a lui e grazie soprattutto a lui è stato intrapreso, prosegue ora con rinnovata convinzione e fiducia nel Signore che non ci ha mai abbandonato.
Come e più dei miei fratelli e delle mie sorelle sono consapevole dei miei limiti, ma confido nella loro preghiera e nel nostro sentire comune per condurre la Comunità sul cammino che il Signore ha voluto mostrarci, a servizio dell’annuncio del Vangelo agli uomini e le donne del nostro tempo e nella ricerca dell’unità visibile dei cristiani.
fratel Sabino


Le inchieste sugli abusi nella Chiesa: una analisi e l'apertura della Dei a una inchiesta anche in Italia

Due segnalazioni: una analisi il più possibile equilibrata sul dibattito in corso a seguito del rapporto, che riguarda la Germania che è solo l'ultimo di una serie di indagini avviate in molti paesi e l'apertura della Conferenza Episcopale Italiana alla possibilità di un’inchiesta interna sugli abusi.


Il rapporto pubblicato il 20 gennaio in Germania sui casi di pedofilia che si sono verificati nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga e che coinvolge Joseph Ratzinger – il Papa emerito Benedetto XVI, che per cinque anni fu arcivescovo nella diocesi – sta provocando pesanti polemiche. Il rapporto, commissionato dalla stessa arcidiocesi e svolto dallo studio legale Westpfahl Spilker Wastl, riguarda gli anni dal dopoguerra al 2019, e afferma che Ratzinger non avrebbe preso provvedimenti adeguati di fronte a quattro casi di abusi sessuali su minori avvenuti tra il 1977 e il 1982, quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga....

L'intero articolo de Il Post a questo link:



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La Cei apre alla possibilità di un’indagine sugli abusi del proprio clero da affidare a una commissione indipendente, così come avvenuto recentemente in Francia e Germania. La proposta era stata fatta durante l’ultima assemblea generale straordinaria della Conferenza episcopale italiana, nel novembre 2021, da monsignor Lorenzo Ghizzoni, vescovo di Ravenna-Cervia, che è anche presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa. Ma il presule, e con lui i vertici della Cei, si erano subito scontrati contro il muro della stragrande maggioranza dell’episcopato italiano che aveva espresso il timore di uno tsunami ingestibile e richieste risarcitorie impossibili da sostenere. Formalmente l’ipotesi non era stata archiviata, ma rimandata all’assemblea generale prevista a maggio 2022 durante la quale sarà scelto il nuovo presidente della Chiesa italiana.

L'intervista a mons. Gualtiero Bassetti a cura di Gian Guido Vecchi a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202201/220130bassettivecchi.pdf

Il Foglietto "La Resurrezione" di Domenica 30 gennaio e una segnalazione di novità nella descrizione della Chiesa della Risurrezione

 


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La descrizione  della simbologia, dell'architettura e dell'interno della Chiesa della Risurrezione, si è arricchita delle note di Ernani Costantini e di una sua lettera al Parroco di allora per spiegare le sue scelte artistiche. Ecco il link:




IV PA - Lc 4,21-30

A Luca è cara l'immagine di Gesù che “passa in mezzo” alle persone “facendo il bene” (At 10,38) causando entusiasmo ma anche rigetto, ieri come oggi, anche attraverso di noi, delle nostre Comunità, delle nostre Assemblee Liturgiche. Passa e va oltre, non si fa afferrare, ingabbiare da definizioni; al massimo si può toccare il lembo del suo mantello.


Può apparire strano quanto accade subito dopo che Gesù, consegnato all’inserviente il rotolo della Scrittura, mentregli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi su di lui”, ha proclamato: “Oggi si è compiuta questa scrittura ai vostri orecchi”. 

Se da una partetutti gli rendevano testimonianza (…) delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”, contemporaneamente, si accendono gli interrogativi e si stupiscono che, “il figlio di Giuseppe”, uno che conoscevano bene, possa aver annunciato che era giunta l’ora nella quale sarebbe stata data la libertà ai prigionieri e agli oppressi, i ciechi avrebbero recuperato la vista … da dove gli veniva l’autorità per affermarlo? Pensava di essere lui il Messia che attendevano? Ma quale tipo di Messia? Era possibile o si era montato la testa?

 

La settimana scorsa si è sottolineato che il verbo greco usato per “libertà” è quello che viene adoperato per la “remissione dei peccati”. Questo era un argomento attorno al quale diverse e anche contrapposte teologie, movimenti spirituali e/o politici presenti in quel tempo in Israele, si confrontavano anche duramente. Qual era l’origine del male e del peccato? cosa serviva per risolvere e cancellare le colpe? Le diverse risposte date a queste domande aprivano a prospettive discordi e divergenti sul tipo di Messia da attendere e verso quali soluzioni tra l’apocalittica, l’escatologia, i diversi messianismi o le diverse composizioni tra queste opzioni stava marciando la storia.

L’opzione di Luca è imperniata attorno alla misericordia: è una delle assi portanti che sostengono e attraversano l’intero suo Evangelo. Lo si deduce anche dal fatto che interrompe la citazione di Isaia letta da Gesù al punto nel quale si annuncia ilgiorno di vendetta del nostro Dio” (Is 61,2).

 

I presenti sono contrastati in loro stessi, divisi tra lo stupore e gli interrogativi. Indecisi se lasciarsi concretamente coinvolgere da quanto avevano ascoltato o chiudersi e ripiegarsi su ciò che già conoscono e che pensano di poter richiedere. 

Gesù chiede di seguirlo condividendo il suo agire, facendolo loro, nostro per poterlo conoscere. All’opposto cercano di tradurre il dono di Dio all’umanità, l’Emmanuele il Dio-con-noi, in un “Dio-solo-per-noi”, a nostro esclusivo vantaggio. Nessun dono può essere preteso senza essere vanificato, distrutto. 

La reazione provocatoria di Gesù allora è comprensibile. Lo è tanto di più se si tiene presente che in questa pagina Luca desidera delineare le grandi linee del suo ministero e della missione della Chiesa. In particolare di annunciare la volontà del Signore di aprire la via della salvezza non solo agli ebrei, ma anche alle genti come descriverà ampiamente nel libro degli Atti.

È per questo che Gesù propone come esempio la vedova di Sarepta ai tempi di Elia (1Re 17) e del siro Naaman ai tempi di Eliseo (2Re 5), due stranieri che beneficiarono della grazia di Dio a differenza dei loro contemporanei israeliti.

A questo punto, nei presenti monta l’opposizione e la rabbia di chi non può accettare che qualcuno prospetti loro la perdita di quello che ritenevano un loro esclusivo diritto in quanto “figli di Abramo” e aderenti al patto mosaico. Soprattutto se questo qualcuno era il figlio del falegname da tutti conosciuto, che dovrebbe essere uno di loro, la cui fama si era ampiamente diffusa e dal quale era logico attendersi conferma e rilancio delle loro attese, il ripetersi di quanto avevano sentito dire lui aveva fatto altrove, non il contrario, non la provocazione ascoltata.

Uno così a loro non serve e, per questo, cercano di spingerlo, fuori dalla città, sullo sperone montuoso e farlo precipitare giù. È una apparente sconfitta di Gesù, oggetto di un fallimento che desidera già farci intravedere quanto accadrà al compimento della sua vita: la passione-morte-e-risurrezione. Infatti, lui, che era giuntoin Galilea con la potenza dello Spirito Santo”, “passando in mezzo a loro, se ne andò”.

A Luca è cara questa immagine di Gesù chepassa in mezzoalle persone facendo il bene” (At 10,38) causando entusiasmo ma anche rigetto, ieri come oggi, anche attraverso di noi, delle nostre Comunità, delle nostre Assemblee Liturgiche. Passa e va oltre, non si fa afferrare, ingabbiare da definizioni; al massimo si può toccare il lembo del suo mantello.

 

Tutto questo si può rileggere con le lenti del cammino sinodale che papa Francesco ci chiede di fare, identificandosi nei diversi atteggiamenti descritti dall’Evangelo. Li possiamo verificare quotidianamente presenti in noi, facilmente ripiegati all’interno delle nostre Comunità, a volte pensando a quello che ci è dovuto piuttosto che a quello che potremmo – per quanto poco – offrire, anche solo declinando la nostra partecipazione non nel “mio io” ma nel “noi”. Cogliendo l’invito a guardare fuori della nostra cinta perché il Signorepassa e va facendo il beneanche altrove, ovunque, anche fra chi ci è “straniero” in ogni sua articolazione. Per questo dobbiamo pensare a una Chiesa meno fatta di gesti ieratici, e più della mescolanza nelle strade, nei luoghi di lavoro, di ritrovo, di vita umana palpitante, per essere capaci di scorgere il passaggio del Signore che semina la salvezza ovunque. Di contro, è necessario che la Chiesa, le Comunità, la nostra Comunità si immerga nella normalità dei gesti e delle parole del mondo, solo così sarà poi in grado di annunciare lo straordinario dell'opera del Signore che allora saprà riconoscere ovunque, senza pretendere che questa si manifesti solo per lei.

 (BiGio)

Gesù obbliga a un’opzione, a una scelta

Incontrare Gesù significa essere condotti a fare verità nella propria vita accettando di riconoscere realisticamente il male che attraversa o che occupa il nostro cuore: gelosia, invidia, odio. Il riconoscimento delle tenebre è la condizione per accedere alla luce.


Il brano evangelico di questa domenica comprende l’omelia che Gesù tiene nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,21) e la reazione degli ascoltatori (Lc 4,22-30). L’“omelia”, in realtà, si condensa qui in una frase con cui Gesù commenta il testo di Isaia proclamato liturgicamente (cf. Lc 4,18-19; Is 61,1-2), frase che esprime bene lo schema elementare e perenne di ogni omelia: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi” (Lc 4,21, traduzione letterale). La Scrittura, oggi, per voi: questi i tre elementi di ogni omelia. L’omelia verte su una pericope della Scrittura presentata dalla liturgia, preferibilmente il testo evangelico (non dunque su altre tematiche che, per quanto significative dal punto di vista pastorale – la “giornata” missionaria, vocazionale, ecc. –, risultano essere peregrine, indeboliscono l’efficacia dell’omelia e vengono meno al compito centrale di testimoniare la fede trasmettendo la conoscenza del Signore Gesù), traduce il suo messaggio nell’oggi e si rivolge a un uditorio preciso, alla comunità radunata. L’omelia è sempre una parola rivolta a, una parola indirizzata a un destinatario. Un’omelia poi, che è compito profetico che traduce nell’oggi storico la Parola eterna di Dio contenuta nella Scrittura, cerca sempre di porre la comunità di fronte alla presenza di Cristo: infatti, “Cristo è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura” (Sacrosantum concilium 7). Guidare la comunità a compiere il passaggio dalla pagina biblica alla presenza di Cristo è l’opera di ogni buona omelia. Occorre qui ricordare che l’aspetto parenetico dell’omelia discende da quello rivelativo e kerygmatico: l’omileta deve “predicare Cristo, non se stesso” (2Cor 4,5), affinché l’omelia sia realmente una manifestatio veritatis, ovvero, epifania di Cristo che è via, verità e vita. Nell’omelia a Nazaret Gesù, dopo aver proclamato la Scrittura, fa di sé un testimone della Scrittura stessa (e ogni omileta è chiamato a divenire testimone della Parola).

La sottolineatura dell’oggi, presente nell’omelia di Gesù, fa emergere il fatto che per Luca, con Gesù il tempo e la storia ricevono il loro senso definitivo. Gesù inaugura un oggi (categoria più teologica che cronologica) che è il tempo della salvezza, il centro del tempo. Tempo che si situa ormai fra l’evento-Cristo e la venuta nella gloria del Figlio dell’uomo. L’oggi è il tempo dell’offerta della salvezza da parte di Dio, in Gesù, a ogni uomo. Si può pensare all’evento di grazia che investe il cosiddetto “buon ladrone” (in realtà, per Luca, si tratta dell’“altro” malfattore: Lc 23,40) quando Gesù gli dice: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23,43), ma è anche il tempo della scelta, il tempo che richiede una responsabilità e un’opzione da rinnovarsi ogni giorno. La redazione lucana delle parole di Gesù in Lc 9,23 sottolinea (rispetto ai paralleli di Mc 8,34 e Mt 16,24) la dimensione della quotidianità, del ricominciamento quotidiano della sequela, della scelta che, fatta una volta, va rinnovata ogni giorno: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Quanto poi all’annotazione circa il compimento della Scrittura negli orecchi degli ascoltatori (“in auribus vestris”: Lc 4,21), abbiamo qui il preannuncio di uno dei temi spirituali salienti del terzo vangelo: l’ascolto della parola di Dio udita dalla voce di Gesù e contenuta nelle Scritture. Un ascolto che impegna ed è estremamente esigente mettendo in crisi gli ascoltatori e portandoli a lasciarsi attraversare dalla lama della parola. In effetti, il prosieguo del testo lucano mostra che la parola di Gesù è portatrice di un giudizio e chiede agli ascoltatori di prendere posizione. La parola che Gesù pronuncia è parola non accomodata, non adattata, non ha come fine di compiacere gli uditori, ma è parola che scomoda gli ascoltatori e mette in pericolo chi la pronuncia. La parola profetica può essere pronunciata solamente a caro prezzo. Essa ha la forza della verità che fa emergere ciò che abita nel cuore dei destinatari: meraviglia e ammirazione finché viene percepita come innocua e addomesticabile (cf. Lc 4,22a), odio e rigetto non appena mette in discussione le sicurezze acquisite e i privilegi di cui si gode (cf. Lc 4,22b-30). Essa è intollerabile perché costringe l’ascoltatore a fare i conti con le tenebre del proprio cuore: pur di evitare questa dolorosa presa di coscienza si rigetta l’intollerabilità su colui che tale parola ha pronunciato.

Dietro la Parola che giudica vi è la presenza stessa di Gesù che suscita una presa di posizione: “Gesù è segno che sarà contraddetto affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). Sempre, di fronte a Gesù, si verifica una divisione tra chi lo accoglie e chi lo rifiuta, chi lo ascolta e chi lo bestemmia, perfino sulla croce (cf. Lc 23,39-43). Gesù obbliga a un’opzione, a una scelta. Incontrare Gesù significa essere condotti a fare verità nella propria vita accettando di riconoscere realisticamente il male che attraversa o che occupa il nostro cuore: gelosia, invidia, odio. Il riconoscimento delle tenebre è la condizione per accedere alla luce.

(dalla riflessione di Luciano Manicardi)

Sdegno per un Dio che non si adatta

Bisogna vincere ogni paura anche quando questo ci costa e ci spaventa.


Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria
. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro» (Lc 4,24-27)

E Gesù propone ad esempio due stranieri, la vedova di Sarèpta e Naamàn il Siro. A loro, due stranieri senza diritti e che non possono vantare nessuna esclusiva, Dio si fece vicino attraverso Elia ed Eliseo. Ma non si tratta solo di questo. Dio può accoglierlo solo chi, piuttosto che pretendere qualcosa, è disposto a mettere ogni cosa in gioco.

La vedova non ebbe paura di mettere a rischio la sua sopravvivenza, donando quel poco che le restava per vivere. Nel dono dell’ultima farina e dell’ultimo olio ella si affida al Dio della vita. E Naamàn il Siro non si preoccupò di salvare la fama, le sue idee e le sue teorie. Con molta fatica, accettò di fare ciò che a lui sembrava ridicolo, del tutto insensato e privo di ogni ragione.
In loro non c’è pretesa e non c’è privilegio, c’è solo il coraggio di mettersi in gioco, di accogliere una parola che non è compresa, di mettere a rischio la vita e la fama per obbedire alle parole dei due profeti.
 
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (Lc 4,28-30)

E la meraviglia si trasforma in sdegno. Ed è sempre facile provare sdegno quando si scopre che Dio non è “nostro” e non ci appartiene. Egli ci supera e ci invita ad andare oltre, a superare i nostri cortili, ad abbattere le nostre chiusure. Credere in Dio non è possederlo, non è rinchiuderlo nei nostri forzieri. Dio non ha patria e stana tutti quelli che pensano di possederlo e di essere già arrivati, li provoca e li costringe ad uscire fuori, a decidersi se mettersi in cammino con lui o se lasciare che sia lui, passando in mezzo, ad andare oltre lasciandoli soli. 

In fondo, forse, è per questo che proviamo ancora un po’ di sdegno per un Dio che non si adatta, che non segue il sondaggio e la moda, che non si adegua a ciò che vuole la gente, che non si piega ai nostri interessi. E anche noi siamo tentati di abbassare il tiro, di evitare problemi, di annunciare un Dio che si è accasato, che non ci provoca e non ci urta, che non ci scomoda e non ci stupisce. E dovremmo, invece, avere il coraggio di non arrossire del Vangelo, di non temere l’inimicizia del mondo. 

Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi,
àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti di fronte a loro,
altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. (Ger 1,17-19)

Bisogna, con ogni profeta, vincere ogni paura, abbandonare ogni umano timore e avere il coraggio e la schiena dritta per accogliere Dio e la sua Parola. Anche quando questo ci costa e ci spaventa, quando ci lascia soli e ci fa sentire in minoranza. Non possiamo tacere ciò che ascoltiamo, non possiamo ignorare ciò che ci viene donato. Bisogna resistere alla tentazione di salvare se stessi, la propria fama e il proprio consenso, l’entusiasmo e l’approvazione.

E c’è un modo giusto per iniziare:
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (1Cor 13,4-7)
(dalla riflessione di Marco Manco)

Il nuovo abbraccio tra il Papa e Edith Bruck: tramandare la memoria ai giovani

Nella Giornata della Memoria, il nuovo incontro a Santa Marta tra Francesco e la scrittrice ungherese, sopravvissuta ad Auschwitz. Oltre un'ora di conversazione, tra aneddoti, ricordi e scambi di doni, tra cui il "pane ritrovato". Presenti l'assistente ucraina Olga e il direttore de L'Osservatore Romano, Andrea Monda

Un pane cotto in casa in dono

L’affetto che ormai li lega, da quella prima visita del 20 febbraio 2021, è racchiuso nel regalo che il Papa le ha offerto e nelle parole con cui ha accompagnato il dono. Uno scialle bianco in lana, poggiato sulle sue spalle dicendo: “Questo è per il caldo, perché ora fa freddo”. Edith Bruck, 90 anni, ungherese naturalizzata italiana, sopravvissuta agli orrori di sei lager, testimone preziosa del nostro tempo e scrittrice di fama internazionale, aveva tentato dall'inizio di trattenere le lacrime ma ha ceduto davanti al dono del Papa e alla delicatezza con cui lui l’ha presentato. L’ha commossa la tenerezza di un uomo che non le ha mai nascosto la sua ammirazione e con il quale, come racconta spesso, ha instaurato un rapporto di amicizia fatto di lettere e telefonate.
Proprio la tenerezza si è resa evidente nell’abbraccio con cui Francesco ha accolto la donna a Casa Santa Marta, in questa giornata simbolica in cui si commemorano le vittime della Shoah. Circa un’ora è durato l’incontro alla presenza di Olga, l’assistente ucraina della scrittrice, e Andrea Monda, direttore de L’Osservatore Romano, che ne riferisce i dettagli. Tanti i discorsi, gli aneddoti, i ricordi rievocati, ma soprattutto centrale è stato il tema della memoria ...

L'intero racconto dell'incontro a questo link:






Le due vere questioni per la riforma della Chiesa: sacerdozio ed eucaristia

Un articolo da leggere e sul quale riflettere con attenzione

Chiesa, eucaristia e ministero si condizionano reciprocamente. Un’autentica riforma della chiesa, che recuperi la sua vivacità promettente e profetica, può radicarsi solo se muta la concezione del ministero. Ma questa comprensione può cambiare solo se si alimenta di una intelligenza non riduttiva della eucaristia. 


La catena del clericalismo e della autoreferenzialità dipende molto da una assolutizzazione e personalizzazione del sacerdozio, che è conseguenza della concentrazione della eucaristia nella sola consacrazione. Non si fa la riforma della Chiesa e non si supera il disastroso clericalismo che rende autoreferenziale la istituzione senza arricchire la teologia della eucaristia delle dinamiche di cui è composta, dei ministeri da cui è animata e della destinazione ecclesiale che la giustifica. Direi che ministero e mistero devono comunicare in modo profondo ed efficace. Provo a formulare molto semplicemente i tre livelli di questo “scacco”, che viene alimentato da una comprensione inadeguata del mistero eucaristico.

L'articolo del liturgista Andrea Grillo, che insegna all'Università Pontificia S. Anselmo, si sviluppa nei seguenti paragrafi: 

1. La tensione ecclesiale tra eucaristia e sacerdozio
2. La riduzione del sacerdozio alla eucaristia e dell’eucaristia alla consacrazione
3. Due figure dimenticate: la celebrazione comunitaria e la sua presidenza
4. Il carattere senza oggetto e il significato non contenuto
5. Il recupero della ricchezza eucaristica e della articolazione ministeriale


Ecco il link dove poterlo leggere:

https://www.cittadellaeditrice.com/munera/la-riduzione-di-sacerdozio-ed-eucaristia-due-vere-questioni-per-la-riforma-della-chiesa/?fbclid=IwAR3C3xA0lYr9c3Q-qVSSV7JHkL5etc7stLleJeauT3rmJ4K30j4IbB3OzFg


Il sacro, questione chiave dell'uscita dal clericalismo

«La sacralità del prete non discende dal cielo, è una costruzione storica che si è imposta nel corso dei secoli. Non c'è altro modo per uscire dal sistema sacrale se non conferendo il presbiterato alle donne come agli uomini».

Danièle Hervieu-Léger è intervenuta l’11 dicembre 2021 nel quadro dei Rendez-vous della CCBF (Conférence Catholique des Baptisé-e-s de France) sul tema “Verso una nuova governance della Chiesa – Andare oltre il clericalismo”. Sociologa, direttrice degli studi all’EHESS (Ecole des hautes études en sciences sociales), dedica le sue ricerche ai cambiamenti del religioso, in particolare dell’aspetto religioso cristiano nelle società occidentali secolarizzate. Anne René-Bazin ci presenta gli elementi essenziali del suo intervento sull’uscita dal clericalismo.

La sintesi della relazione della sociologa Danièle Hervieu-Léger sul tema "Verso una nuova governance della Chiesa - Andare oltre il clericalismo" a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202201/220126renebazinhervieuleger.pdf

Crisi ucraina: anche l’Italia sarà in prima linea con 1.500 uomini

La crisi russo-ucraina rimbalza in Italia. La presenza di militari italiani nei presìdi Nato al confine orientale dell’Alleanza atlantica chiama in ballo il nostro Paese, potenzialmente coinvolto nei combattimenti. E le organizzazioni pacifiste si schierano contro ogni soluzione militare e a favore di uno sforzo politico-diplomatico.

A chiarire dimensioni e costi dello spiegamento militare italiano è Milex, l’osservatorio sulle spese militari italiane. «Nell’infausta eventualità di un conflitto armato in Ucraina, l’Italia sarebbe in prima linea con propri assetti militari, terrestri, ma soprattutto aerei e navali, che partecipano a missioni Nato, a un costo complessivo di 78 milioni di euro». L’Aeronautica schiera quattro caccia Typhoon (la Black Storm) e 140 uomini in una base romena nei pressi di Costanza, al confine ucraino: «Fino ad aprile svolgerà missioni di pattugliamento sul Mar Nero. La missione definita di “polizia aerea rafforzata”, dopo quella nei Paesi Baltici, è stata finanziata nel 2021 con 33 milioni di euro e può essere incrementata fino a 12 aerei e 260 uomini».

Poi c’è il Mar Nero, con il Mediterraneo Orientale teatro della missione della forza navale permanente Nato. La Marina partecipa con la fregata Fremm Carlo Margottini e con il cacciamine Viareggio, 200 marinai e un costo (finanziamento 2021) di 17 milioni di euro. «Nel quadrante Mediterraneo orientale – spiega Milex – dove Mosca sta concentrando una flotta senza precedenti, incrocerà anche la portaerei Cavour con F-35 imbarcati, in un’esercitazione Nato con la portaerei americana Truman e la francese Clemenceau». Infine gli alpini. In Lettonia, missione Nato Baltic Guardian, l’Esercito schiera 200 uomini della Brigata Taurinense con decine di carri armati ruotati Centauro e cingolati da neve, in un gruppo di 1.200 soldati a comando canadese con base a nord di Riga. Missione finanziata con 27 milioni nel 2021.

Grande la preoccupazione di Rete italiana Pace e Disarmo: «È forse dall’epoca della crisi dei missili a Cuba che il rischio di un nuovo conflitto globale non è stato così palpabile». La Rete chiede all’Italia e all’Europa «iniziative urgenti e significative da una posizione di neutralità attiva, per una de-escalation immediata della tensione e la ricerca di un accordo politico negoziato nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutte le popolazioni coinvolte».

Per Pax Christi parla il consigliere nazionale don Renato Sacco. «Pax Christi da sempre rifiuta e condanna la guerra, per fedeltà al Vangelo e alla Costituzione che “ripudia” la guerra. Non possiamo osservare da spettatori quanto sta succedendo in Ucraina. Né farci travolgere nella logica – o follia – della guerra che ora si chiama “fedeltà” alla Nato. Dobbiamo scongiurare la guerra in ogni modo. E non possiamo lasciarci guidare dagli interessi del mercato. La Politica con la P maiuscola deve dimostrare di esserci in questi momenti. Con la schiena diritta. La pace non è solo per “anime belle”, ma è una strada concreta che deve percorrere la politica. Da una guerra si esce tutti sconfitti».

(Luca Liverani)

in “Avvenire” del 26 gennaio 2022

Una insensata e inutile provocazione

Non sappiamo se la giornata di preghiera per la pace in Ucraina e nel continente europeo promossa dal Papa nell’Angelus di domenica 23 gennaio riuscirà a fermare la guerra, come accadde quando, all’inizio dl pontificato, papa Francesco con la veglia di preghiera del 7 settembre 2013 riuscì a fermare la guerra con cui gli Stati Uniti e i loro alleati erano pronti a “punire” la Siria. Questa volta la promessa di guerra non è meno grave, perché il coinvolgimento degli Stati Uniti, dell’Europa e della Russia ben potrebbe chiamarsi, e forse essere, una guerra mondiale, in un mondo ormai però ben provvisto di armi nucleari o altre simili ad esse.
Il casus belli del conflitto per l’Ucraina, con gli Stati Uniti che la rimpinzano di armi, l’Inghilterra che ritira i suoi diplomatici da Kiev, e la NATO pronta a mettercisi in mezzo (ma non così la Germania e la Francia) è particolarmente eloquente: cioè non esiste, o meglio non esisterebbe se non fosse costruito a tavolino. La Russia è accusata di voler invadere l’Ucraina, ma nello stesso tempo la sfidano facendo entrare l’Ucraina nella NATO, la quale è portata così fino ai confini della Russia. E a questa che si sente minacciata e ne vuole scongiurare il  pericolo, come fecero a suo tempo gli Stati Uniti dinanzi alla provocazione dei missili a Cuba, si replica che l’Ucraina deve essere libera di allearsi con chi vuole. Senonché la NATO non è solo un’alleanza, è una integrazione di armate sotto un comando unificato e un’unica obbedienza, altrimenti noi non avremmo le bombe atomiche a Ghedi e non avremmo avuto i missili Cruise schierati  in Sicilia col compito di distruggere l’Ungheria. E come spiega Domenico Gallo nel suo articolo in questo sito,  nella NATO non si entra se non è essa stessa a volerlo e non ne venga modificato il trattato istitutivo e così esteso  non lo ratifichino tutti gli Stati membri (compresa l’Italia).  
Perciò mettere l’Ucraina nella NATO è una insensata e inutile provocazione, che appare tanto più temeraria in quanto fatta da Biden, che non ha saputo né prevenire né controllare l’assalto al Campidoglio né gestire decentemente il ritiro dall’Afghanistan, da lui definito “uno straordinario successo”.
                                                                                                                       (Raniero La Valle)

Giornata della memoria

 



Francesco Guccini - Canzone del bambino nel vento

da ascoltare e riascoltare ...



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Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che tovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
 
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
 
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi

Imparare a discernere i germi di una barbarie possibile anche oggi

Il 27 gennaio è il giorno della memoria deve essere un giorno di intelligente riflessione da parte di tutti, in primo luogo per ricordare le vittime: dimenticarle significherebbe ucciderle una seconda volta. E’ importante far risuonare con sdegno e giusta collera un “mai più!”, ma è anche necessario interrogarci perché la Shoah è potuta accadere e imparare a discernere i germi di una tale barbarie anche oggi, nel nostro presente.


Purtroppo, quando si evoca la Shoah, la si imputa esclusivamente all’ideologia nazista, individuando i colpevoli nei soggetti al servizio di quel potere totalitario e criminale. In realtà, e questo facciamo ancora fatica ad assumerlo, della Shoah furono responsabili anche moliti uomini comuni, senza condivisione ideologiche naziste, persone con una coscienza silente e abituate a pensare solo a sé stesse. Nel silenzio o nella muta approvazione, per il bene della nazione, del popolo e della razza, scelsero l’indifferenza diventando così complici del male assoluto. Per questo, quello che è successo allora è possibile anche oggi, magari per il bene della propria identità culturale, della comunità, del proprio gruppo religioso: deboli che diventano prepotenti, impotenti che diventano aguzzini, apatici che diventano crudeli. 


L'intero articolo di Enzo Bianchi a questo link:

https://www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/150985/


4 febbraio - "Giornata Mondiale della Fratellanza Umana": La proposta di un incontro

 





Il Papa invita alla preghiera per la pace in Ucraina

Papa Francesco – preoccupato per l’aumento delle tensioni che minacciano di infliggere un nuovo colpo alla pace in Ucraina e mettono in discussione la sicurezza nel Continente europeo, con ripercussioni ancora più vaste – ci ha invitato alla preghiera.  

Accogliamo il suo invito a pregare per la Pace e ad essere artigiani di Pace.


Prima di mettersi a tavola, per il pranzo o la cena 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Il Dio dell’amore e della pace sia con tutti noi e con lo spirito della nostra umanità. 

Fa, o Signore, che ogni azione e iniziativa politica sia al servizio della fratellanza umana, più che di interessi di parte

Dal libro del profeta Isaia  (cap. 2): Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra.

Preghiamo:

Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica!
Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati e ci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino. Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen.

(Papa Francesco) 

Padre nostro …

Preghiera a Maria     

Ti preghiamo, per tutti i popoli della terra, lacerati dall’odio e divisi dagli interessi. Ridesta in loro la nostalgia dell’unica mensa, così che, distrutte le ingordigie e spenti i rumori di guerra, mangino affratellati insieme pani di giustizia. Pur diversi per lingua, razza e cultura, sedendo attorno a te, torneranno a vivere in pace. E i tuoi occhi di madre, sperimentando qui in terra quella convivialità delle differenze che caratterizza in cielo la comunione trinitaria, brilleranno finalmente di gioia. Amen. (d. Tonino Bello)

Benedizione finale

Il Dio dell’amore, dell’accoglienza e del perdono ci benedica, e benedica questa Europa perché sia terra di pace e di fraternità.  

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.  Amen