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Afghanistan. Padre Sanavio: “Dopo la fuga da Kabul un anno di sconvolgimenti”

Padre Matteo Sanavio, rogazionista, traccia al Sir un bilancio ad un anno dalla presa di potere dei talebani in Afghanistan, il 15 agosto 2021: sono stati costretti a chiudere il “Centro diurno Pbk – Pro Bambini di Kabul” che accoglieva dal 2006  bambini disabili. La presenza cattolica è azzerata, non c'è più libertà, le donne sono costrette ad indossare il burka e le ragazze non possono frequentare la scuola, la crisi economica e umanitaria è spaventosa. Ora la priorità è continuare a salvare gli ultimi rimasti a Kabul e le famiglie arrivate in Italia grazie ai corridoi umanitari

“È stato un anno di sconvolgimenti. Nessun cattolico è rimasto a Kabul. È impossibile perché con i talebani rischierebbero la morte”. Padre Matteo Sanavio, rogazionista, era il presidente del “Centro diurno Pbk – Pro Bambini di Kabul” che accoglieva dal 2006 nella capitale afghana una cinquantina di bambini disabili, con sindrome down e ritardi mentali lievi. Anche loro, insieme alla piccola comunità cattolica seguita dal barnabita padre Giovanni Scalese, con la salita al potere dei talebani un anno fa sono stati costretti a chiudere le attività . Perfino le suore di Madre Teresa di Calcutta sono state rimpatriate insieme ad una quindicina di disabili gravi che assistevano. A Kabul non c’è più nemmeno l’ambasciata italiana. L’associazione “Pro bambini di Kabul” era una esperienza unica perché riuniva 7 congregazioni religiose maschili e 7 femminili. A turni di due anni mandavano in Afghanistan due o tre religiose a gestire il centro. La presenza invisibile delle suore era tollerata. Preparavano i bambini all’inserimento nelle scuole pre-elementari. Ora sono dovuti tornare tutti nelle rispettive famiglie.

Da quel fatidico 15 agosto 2021 la priorità è stata salvare tutti coloro che lavoravano per il centro, che sarebbero state accusati di collaborazionismo con gli occidentali. La maggior parte sono riusciti ad arrivare in Italia grazie ai corridoi umanitari finanziati dalle Chiese e gestiti dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Caritas, in collaborazione con il governo italiano. Mancano ancora all’appello una decina di persone. Un bambino di 8 anni è ancora a Kabul con la nonna e sta aspettando di ricongiungersi con la famiglia già in Italia. Anche la famiglia di 9 persone del cuoco dell’associazione è ancora in Afghanistan.


L'intero articolo di Patrizia Caiffa a questo link:

https://www.agensir.it/mondo/2022/08/16/afghanistan-padre-sanavio-dopo-la-fuga-da-kabul-un-anno-di-sconvolgimenti/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2


Francesco, i cardinali, il perdono e le società disincantate

Bergoglio ha nominato 16 nuovi cardinali elettori, poi il viaggio a l’Aquila nel nome e nel segno del perdono (si celebra la Perdonanza di Celestino V), poi due giorni di discussione romana con tutti i “principi della Chiesa” giunti dal mondo intero per fare il punto; su cosa? 

Lo racconta Riccardo Cristiano

Prima la nomina (“creazione” secondo il linguaggio d’un tempo) di 16 nuovi cardinali elettori, poi il viaggio a l’Aquila nel nome e nel segno del perdono (si celebra la Perdonanza di Celestino V), poi due giorni di discussione romana con tutti i “principi della Chiesa” giunti dal mondo intero per fare il punto; su cosa? Chiedersi se il tema sia il futuro della Chiesa o piuttosto la riforma curiale denominata Predicate Evangelium appare sarcastico: se il futuro della Chiesa non fosse predicare il Vangelo quale sarebbe? Certo, predicare il Vangelo in questo mondo appare complesso, a dir poco complesso: Cina, Taiwan, Russia, Ucraina, Iran, Medio Oriente, Nicaragua, Venezuela, Messico, Libia, Sahel, Europa, Stati Uniti; solo elencare i titoli delle sfide alla predicazione del Vangelo fa venire i brividi. Ma è l’assenza di un titolo indispensabile che dovrebbe far riflettere: Onu. Cos’è?

La prospettiva che Francesco ha aperto all’odierna predicazione del Vangelo, oltre che alla luce del perdono, è all’ombra del multilateralismo. La Chiesa universale che guida il vescovo di Roma non è più e non potrebbe più essere una Chiesa occidentale. Meglio ammetterlo. È, vuole essere e deve essere una Chiesa universale. È qui che si coglie l’importanza dell’altra discussione della quale non si discuterà nelle ore che arrivano: il sinodo. ...


L'intera analisi a questo link:

https://formiche.net/2022/08/francesco-i-cardinali-il-perdono-e-le-societa-disincantate/


Colpo di spugna della Cina in Africa. Ma il danno è fatto

Dopo anni di prestiti rivelatisi vere e proprie trappole per le economie emergenti, Pechino gioca la carta della sanatoria, cancellando i rimborsi dovuti da 17 Stati del Continente nero. Peccato che nel frattempo interi pezzi di industria locali siano caduti in mani cinesi


Prima la valanga di prestiti a condizioni a dir poco onerose, quando non vessatorie. Poi una specie di sanatoria, quasi una pace universale dal sapore finanziario. In Africa, negli ultimi anni, tanti governi se la sono passata male a causa dei finanziamenti concessi dalle banche cinesi, la cui vera natura è stata a più riprese raccontata da questa testata. Soldi prestati in cambio di autentiche ipoteche, quando non veri espropri, di infrastrutture, porti, pezzi di industria. E chi non riusciva a rimborsare il denaro erogato (il caso del Kenya vale per tutti ma c’è anche l’Uganda), che ha trasformato il Dragone nel primo prestatore globale ai Paesi africani, poteva rimetterci persino la tenuta delle finanze pubbliche, imbottite di debito tossico.

Ora però, dopo aver devastato molte economie del Continente nero a suon di prestiti-trappola, Pechino, in piena psicosi da crisi bancaria e con lo spettro di una Lehman Brothers cinese, ha deciso2 di darci un colpo di spugna.Attenzione però, questo non vuol dire che il danno non sia stato fatto, visto che non pochi asset sono sono caduti nelle mani della Cina, quando i governi cominciavano ad annaspare nel rimborsare il debito. Sulla questione del debito dell’Africa maturato con la Cina è intervenuto, recentemente, anche l’Ispi, l’Istituto per gli studi politici internazionali. Chiarendo un punto: la Cina ha sì prestato fior di miliardi al Continente, ma solo o quasi per interesse personale e geopolitico. Per azzannare le economie emergenti e mettergli, se possibile, un cappio al collo.


L'intero articolo di Gianluca Zapponini a questo link:

https://formiche.net/2022/08/cina-africa-debito-prestiti-banche/


Alta tensione in Libia. Gli scontri mortali e i rischi per la regione

Le lotte intestine tornano a surriscaldare il clima in Libia. Le tensioni tra i vari centri del potere sfociano nuovamente in scontri armati: decine i morti, con il rischio che l’escalation possa produrre alterazioni ai delicati equilibri che si sono creati tra gli attorni esterni che si muovono sul dossier


Le Nazioni Unite hanno chiesto l’immediata cessazione delle ostilità in Libia dopo una giornata di scontri mortali tra fazioni politiche nella capitale, Tripoli. Almeno 32 persone sono state uccise e altre decine sono rimaste ferite durante gli scontri, ha dichiarato il ministero della Sanità. Tra i morti c’è anche Mustafa Baraka, un giovane comico famoso per i video condivisi sui social network.

Sabato 27 agosto, le forze armate del governo guidato da Abdelhamid Dabaiba – che geode di riconoscimento a livello internazionale perché creato da un processo onusiano, ma sfiduciato dal parlamento libico – hanno cercato di respingere tra le strade di Tripoli un convoglio di milizie fedeli a Fathi Bashagha, l’uomo riconosciuto come primo ministro dalla Camera dei Rappresentanti libici.


L'intero articolo di Ferruccio Michelin a questo link:


“Non possiamo mangiare carbone, non possiamo bere petrolio”. La lotta del movimento ambientalista africano contro la crisi climatica

Decine di capi di bestiame scivolano veloci trasportati dalla forte corrente. Cercano di tenere la testa fuori da quella massa melmosa che li trascina via. Nei loro occhi il terrore. Si tratta di un breve documento filmato che racconta tutto lo strazio e le conseguenze delle forti piogge e inondazioni che lo scorso 3 agosto hanno colpito il distretto di Mbale, regione orientale dell’Uganda;: si vede un fiume di fango che trascina via tutto, animali compresi..

Le piogge hanno provocato anche una serie di smottamenti dalle pendici del monte Elgon. Danni enormi. Sommerse case, strade e aree coltivate. In migliaia sono ora senza tetto e non si sa cosa mangeranno nei prossimi mesi. Decine le vittime. Sono eventi tutt’altro che rari, ormai.



A postare sui social quei pochi intensi secondi che testimoniano una tragedia, è Edwin Namakanga, giovane attivista ugandese: Vorrei che si comprendesse che siamo in piena emergenza e che abbiamo bisogno di intervenire ora. La minaccia è imminente. Quello che posso fare è usare la mia voce perché si metta in moto un cambiamento positivo e sostenibile per tutti”, ci dice. “Negli ultimi anni - continua - abbiamo assistito a devastanti inondazioni che hanno spazzato via i raccolti, le case e molti vi hanno perso la vita. Poi, abbiamo assistito alla siccità prolungata che ha distrutto i raccolti nella parte settentrionale del paese, all'innalzamento del livello del lago Vittoria che ha costretto tantissime persone ad abbandonare le loro case, alle frane nella regione orientale. E ancora, alla deforestazione delle foreste native dove investitori stranieri hanno deciso di avviare la monocoltura della canna da zucchero. Una scelta che sconvolge l'ecosistema e danneggia la fauna selvatica”. 

Edwin è uno di quei tanti, tantissimi giovani africani che negli ultimi anni, hanno deciso di prendere la parola, di alzarsi da soli, di smettere di aspettare che siano i leader a fare qualcosa, a prendere le decisioni giuste. Smettere di delegare. Come tanti, Edwin ci ha confidato che osservare quanto gli accadeva intorno lo ha portato a domandarsi: cosa fare? La vera spinta ad agire è stato l’esempio di due donne, due giovanissime donne: Greta Thunberg e Vanessa Nakate, anche lei ugandese. Diventata “famosa” quando, nel 2019, decise di manifestare, tutta sola, davanti al parlamento a Kampala. Nel 2020 partecipò al Forum mondiale di Davos e fu in quell’occasione che si comprese non solo il carattere e la misura della giovane attivista ma il modo in cui l’Occidente continua a considerare il continente africano. Dalla foto di gruppo - scattata dalla Associated Press - delle principali attiviste che avevano preso parte ai lavori di Davos, lei – unica nera - venne tagliata. La sua risposta, netta e dirompente non si fece aspettare: “Non avete solo cancellato una foto. Avete cancellato un intero continente”.

(Antonella Sinopoli)



 

Domenica XXII PA - Lc 14,1-11

Le indicazioni di Gesù non hanno nulla a che fare con il galateo e il bon-ton mondano.
Ci chiedere di condividere il suo stile di vita che non e quello del padrone, bensì quello del servo che ha al centro della propria vita il bisogno dell'altro


Domenica scorsa l’Evangelo ci ha proposto l’immagine di una tavola imbandita alla quale, assieme ad Abramo Isacco e Giacobbe, siederanno tutti i profeti e una insospettabile moltitudine giunta dai quattro punti cardinali, dall’intero mondo, anche se non appartenenti al popolo scelto ed amato dal Signore. In quella casa sono entrati tutti quelli che hanno
 fatto quello che è giusto non secondo gli uomini, ma secondo la volontà del Padre, indipendentemente dalla loro etnia, dall’essere ebrei o meno.

Oggi ci ritroviamo di nuovo a un banchetto con Gesù che ha accettato l’invito di un capo dei farisei per il pranzo sabbatico. I commensali lo tengono d’occhio Gesù sapendo che la sua informalità e la sua schiettezza con facilità si discostava dal bon-ton mondano dando da discutere oltre a causare imbarazzo tra i presenti. Infatti è quello che accade. Vedendo che gli “invitati” sceglievano i posti migliori, coglie l’occasione apparentemente per dire qualcosa sul come comportarsi a tavola. In realtà quello che dice non ha nulla a che vedere con il galateo (se per curiosità si desidera vedere cosa si usava a quel tempo, si possono leggere i capitoli 31 e 32 del Siracide); ma intende dire anche a noi qualcosa di figurato che invitati a cogliere.

Gesù si rivolge agli “invitati”, ma il termine greco usato da Luca significa coloro che sono chiamati a partecipare al banchetto del Regno di Dio, il banchetto messianico che già domenica scorsa ci è stato presentato; si rivolge allora a tutti i credenti, quindi anche a noi. Bisogna fare attenzione a come articola il suo dire: “quando sei invitato” (è “oggi” che noi siamo invitati, è il tempo nel quale viviamo e nel quale siamo chiamati alla conversione), “allora” qui, invece, Gesù ci indica il tempo escatologico, ciò che sarà alla fine del tempo cronologico ed è qui che raccoglieremo i “frutti” di come avremo vissuto.

Quello che, però, Gesù ci indica non è una strategia per assicurarci un posto migliore: sarebbe solo una banale falsa umiltà; è invece l’esempio di ciò che deve caratterizzare l’intera vita di un suo discepolo, che troverà solo nel Regno la sua ricompensa. 

Ma perché proprio l’ultimo posto? Perché è il posto del servo, è il posto di Gesù, è quello di Dio. Tanto è vero che, per smontare le nostre costruzioni nelle quali lo mettiamo non tanto al centro quanto in alto, in cima a tutto per essere servito, è sceso sulla terra per dimostrarci il contrario; è sceso per servirci e – se lo imitiamo nel prendere l’ultimo posto, quello del servo – ci dirà: “Amico, passa più avanti! perché sei in sintonia con i miei progetti”.

Servire” è un termine che non piace perché lo identifichiamo con l’essere “schiavi”, con il non essere persone non libere, costrette a fare quello che altri impongono loro. 

Non è questo che intende Gesù. Per lui si è uomini liberi solo quando si ama, quando È il rinunciare all’avere al centro il proprio io, si è invece attenti al bisogno del fratello e lo si serve. È l’essere “liberi” da sé stessi, dalla propria progettualità per assumere volontariamente quella del Padre. 

 

Anche la seconda indicazione che Gesù dà al suo ospite è in questa falsariga: non invitare per essere a tua volta invitato, ma vivi la gratuità senza contraccambio. Scegli già oggi con chi stare, con chi condividere la tua vita: i ricchi, i parenti, gli amici, oppure i poveri e gli emarginati. In questo secondo caso troverai spalancata la porta stretta del Regno, quella che domenica sorsa ci veniva indicata come unica via d’accesso, anche al di là dell’aver “frequentato” il Signore.

Queste due indicazioni di vita non sono teoriche, è un pressante invito a praticarle sulla scia di quanto ha vissuto e praticato Gesù. Luca ci sta conducendo a scoprirlo a partire dal racconto della sua nascita in una stalla a Betlemme perché non c’era altro posto disponibile per accogliere Maria e Giuseppe; per giungere alla sua morte condividendo la croce in mezzo a due malfattori; senza dimenticare la sintesi che Gesù stesso fa della sua vita quando ricorda ai discepoli che è stato tra di loro “come colui che serve”, sopportando le continue critiche perché regolarmente accoglieva i peccatori e sedeva a tavola con loro.

L’atteggiamento, lo stile di vita che Gesù ci chiede di condividere, non è l’attesa di una ricompensa in questo mondo, ma la tensione dell’annuncio che il Regno di Dio si è fatto prossimo a tutti coloro che lo vorranno accogliere, al di là di ogni appartenenza etnica, sociale, al di là di ogni situazione esistenziale. Ci viene chiesto di avere come unico punto di riferimento il bisogno dell’altro, dei poveri condividendo con loro quello che abbiamo, degli storpi da sostenere perché non si reggono in piedi, dei ciechi che hanno bisogno di essere affiancati e guidati. Situazioni e caratteristiche da intendere non solo fisiche, ma pure esistenziali; povertà culturali, incapacità di reggere una vita corretta che porta continuamente a sbagliare e commettere errori, l’inesperienza o l’ignoranza di chi barcolla nel buio di una realtà complessa.


In fin dei conti l’annuncio che ci viene chiesto di interpretare, vivere e dare è quello delle Beatitudini e il loro invito a rialzarsi in piedi, mettersi in marcia verso il futuro, in fretta.

(BiGio)

L'umiltà è la "prima" porta (stretta) da attraversare

L’umiltà è il purificarsi dall' ‘io’ arrogante, prepotente, violatore, per aprirsi alla civiltà dei volti, dove ogni volto viene rispettato, amato, accarezzato.


Gesù osserva attentamente le dinamiche di un pranzo al quale è stato invitato, e sembra rileggere la scena che si presenta ai suoi occhi alla luce delle parole della tradizione sapienziale. Sta scritto infatti:

“Non darti arie davanti al re 
e non metterti al posto dei grandi, 
perché è meglio sentirsi dire: ‘Sali quassù’,       
piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante” (Pr 25,6-7).

Certo non si tratta di questioni di bon ton né di precedenze nel galateo di tavola; Gesù qui ha di mira la postura fondamentale dell’uomo interiore, come ricorderà altrove: “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole” (Lc 16,15). Il Maestro di Nazaret smaschera, con le sue parole, quell’orgoglio che riposa su una sfrontata sicurezza di sé, quella presuntuosa certezza che ci fa credere di essere nel giusto, sia davanti a Dio sia nei rapporti interpersonali.

È Dio stesso che ribalta le nostre priorità, che ci fa scendere dai divani dei primi posti, per ritrovare quell’umiltà che è prossimità alla terra, all’humus, al basso, un’umiltà cui si accede a volte solo a prezzo dell’umiliazione: “Hai umiliato ciò che è alto e hai innalzato ciò che è umile” (Ez 21,31 LXX).

“Credo fermamente anche io – ha scritto don Angelo Casati – che l’umiltà sia la prima porta che si deve attraversare se vogliamo davvero iniziare un cammino di resurrezione: se parliamo di un viaggio e tutta la nostra vita è viaggio, bisogna sentire di avere dentro uno spazio non prepotente. Colui che si illude di possedere tutto, o di sapere tutto, non si mette in viaggio: è tanto pieno di sé stesso che non ne sente l’esigenza e, se anche lo facesse, non ne riceverebbe niente, non godrebbe di questo cammino.

Parte invece chi è in ricerca, chi conosce anche il suo vuoto, la sua piccolezza. È questa coscienza del vuoto buono che accompagna il mio viaggio. Lo chiamo ‘buono’ perché mi permette di camminare, è anzi, il segreto del cammino: in genere il vuoto noi lo percepiamo come qualcosa di negativo o di minaccioso; invece la coscienza del vuoto, che è poi la coscienza della propria fragilità e piccolezza, è una consapevolezza buona, che consente di proseguire il cammino e di andare avanti, di scoprire la bellezza e la bontà delle cose che scorgi per la via, di trovare compagni di viaggio.

Credo che l’umiltà sia proprio il purificarci da questo ‘io’ arrogante, prepotente, violatore, aprendoci alla civiltà dei volti, dove ogni volto viene rispettato, amato, accarezzato. 

L’umile mette la sua grandezza nell’amore verso le cose buone e sostanziose, non nell’esibire sé stesso e la sua forza e questo gli dona anche un certo disincanto: è come se guardasse con una certa ironia tutto un mondo fatto di plastica, di non consistenza, di fumo. Ha compreso che la bellezza, la grandiosità, il valore della vita sta altrove e può guardare tutto il resto con uno sguardo più pulito, più pacificato, più sereno. Opera in fondo un processo di ribaltamento: butta giù i potenti dai troni e restituisce valore a ciò che è davvero prezioso”.

(fr. Emanuele di Bose)

Phisikk du role – Irrilevanza della questione cattolica?

Sembrerebbe che una sorta di cancel culture abbia circonfuso l’ispirazione cattolica, annegata, al cospetto dell’immaginario nazionale, anche nelle paccottiglie dei santini esibiti nei comizi, nelle operazioni-nostalgia che qualche vecchio democristiano ripropone di quando in quando alla vigilia delle elezioni e nella dimenticanza collettiva.


Si leggono in questa corta vigilia elettorale, analisi colte e certamente condivisibili sull’irrilevanza della “questione cattolica” nella scena politica italiana. Non è eccepibile, infatti, la sottolineatura di un dissolvimento di fronte al ricordo del ruolo storico svolto dai cattolici nella vita pubblica nazionale sia nel loro farsi forma-partito con la Dc, sia nel loro esistere come “rete sociale” nel Paese, sia nella declinazione istituzionale della Chiesa-ordinamento: tutte e tre le “facce” del cattolicesimo hanno marcato, infatti, una centralità assoluta nel novecento.

Oggi sembrerebbe, invece, che una sorta di “cancel culture” abbia circonfuso l’ispirazione cattolica, annegata, al cospetto dell’immaginario nazionale, anche nelle paccottiglie dei santini esibiti nei comizi, nelle “operazioni-nostalgia” che qualche vecchio democristiano ripropone di quando in quando alla vigilia delle elezioni, nella dimenticanza collettiva. Ma è davvero così o stiamo adoprando un punto di vista sbagliato per giudicare la realtà politica nazionale?


L'analisi di Pino Pisicchio a questo link:




Verità e democrazia. L'acuta visione di Amato

Quello che ha detto il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato al Meeting di Rimini, ragionando assieme al presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini, su “Democrazia e verità”


“Le verità ufficiali non passano in democrazia, e nel mondo di oggi conta: nessuno qui può essere arrestato perché dice il contrario. Non è così in Russia come in Myanmar. Detto questo, la verità dei fatti in democrazia è facilmente aggredita e contrastata dalle non verità del verosimile o per la ostinata difesa di gabbie ideologiche di cui si è spesso custodi e prigionieri insieme. Di qui le divisioni interne e le polarizzazioni, come è accaduto nel periodo Covid”. 


Parlando dell’Italia ha spiegato poi che “noi seguiamo le regole comuni e perseguiamo il bene comune per convinzione, non per costrizione. Non si è solidali, partecipi, per costrizione, lo si è per convinzione”, aggiunge, riscuotendo gli applausi della platea. Di qui la bacchettata alla politica di oggi “che, credo – spiega Amato – non sia attrezzata per il compito immane che abbiamo davanti, i partiti di
una volta forse avrebbero avuto una forza di convogliare i loro iscritti per convincere altri verso le azioni necessarie al bene comune e magari avrebbero avuto anche la forza su questo prioritario obiettivo di darsi tutti un unico bene comune, oggi non è più così. La politica ha una fragilità strutturale che la porta a seguire, non a guidare”.



La sintesi dell'intervento di Giuliano Amato a cura di Silvia Bosco a questo link:


https://formiche.net/2022/08/verita-democrazia-russia-amato-rimini/


Sinodo 2021-2023. Cei: online la Sintesi nazionale della fase diocesana

Il documento offre “una panoramica del primo anno di Cammino sinodale, che fino al 2025 sarà strutturato in tre momenti: fase narrativa (2021-2022 e 2022-2023); fase sapienziale (2023-2024); fase profetica (2025)” e, nella parte centrale, presenta i dieci “nuclei” attorno a cui sono state organizzate le riflessioni emerse dalle sintesi diocesane: ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo


È online sui siti

https://camminosinodale.chiesacattolica.it e https://www.chiesacattolica.it 

la Sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo 2021-2023 “Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione” che la Presidenza della Cei ha consegnato il 15 agosto alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi. Il Sinodo è inteso come un processo sinodale e culminerà nel 2023 con la fase universale, preceduta da quella continentale.

“Il documento, disponibile online, dà sinteticamente conto del percorso compiuto nell’anno pastorale 2021-2022, dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del popolo di Dio”, spiega una nota dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. Questo primo “step”, viene spiegato nella nota, “è stato armonizzato, per volere dei vescovi, con il Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, che sta interessando sempre di più i diversi territori con proposte e progetti”. 

L'intera presentazione della sintesi a cura di Gigliola Alfaro a questo link:

https://www.agensir.it/chiesa/2022/08/19/sinodo-2021-2023-cei-online-la-sintesi-nazionale-della-fase-diocesana/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2

 

Qui, invece, il testo integrale:

https://camminosinodale.chiesacattolica.it/sinodo-2021-2023-la-sintesi-nazionale-della-fase-diocesana/

 

The Economy of Francesco: Bruni (direttore scientifico): “È un tempo di nuovo protagonismo dei giovani e in particolare dei teenagers”


Non solo giovani, ma anche adolescenti tra i partecipanti a Economy of Francesco (EoF è un movimento internazionale di giovani economisti, imprenditori e change-makersimpegnati in un processo di dialogo inclusivo e di cambiamento globale giovane e vibrante, verso una nuova economia) la grande community che oggi, al termine del convegno di tre giorni, siglerà un patto con il Santo Padre per una nuova economia. 


La community è composta da una ventina di giovani minorenni, provenienti da diversi Paesi, tra cui Ralyn Satidtanasarn detta Lilly, giovanissima attivista della ecologia integrale thailandese che da anni si batte contro l’uso della plastica. Anche se la maggior parte dei teenagers sono italiani (arrivano tra l’altro dal Collegio San Carlo di Milano, dall’Istituto Maria Ausiliatrice di Lecco e da Ragazzi Mondo Unito e Nomadelfia), ci sono anche ragazzi provenienti da Siria, Vietnam, Thailandia, Slovacchia e Brasile. Sono tutti tra i 13 e i 17 anni. Ragazzi impegnati in iniziative come quella di #ZeroHunger ("Fame Zero", vedi il link in calce) e altri interessati a temi di ecologia integrale. Presente anche una giovane brasiliana, coinvolta nel progetto Pacar School, nato all’interno di EoF.
“Questo tempo – il commento di Luigino Bruni, direttore scientifico di Economy of Francesco – è un tempo di nuovo protagonismo dei giovani e in particolare dei teenagers. Mai come in questi ultimi anni i giovanissimi hanno assunto la leadership nella richiesta di un cambiamento radicale all’economia e alla società, il più radicale che sia stato mai chiesto negli ultimi decenni. Greta Thunberg e la generazione dei Fridays for Future hanno rappresentato la più importante novità del XXI secolo in materia di cultura ambientale e di nuovo modello di sviluppo. Oggi questi adolescenti sono sulla frontiera del cambiamento del mondo, sono dei maestri, esercitano un vero magistero per tutti noi e siamo particolarmente felici che i teenagers, la profezia di Francesco, siano presenti e attivi in Eof in maniera significativa”.



Per saperne di più: 



Meeting di Rimini - Card. Zuppi: “senza passione per l’uomo domina l’algoritmo”

È nell’incontro con l’altro e nella passione per l’uomo che si rafforza la nostra identità. Ne è convinto il card. Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, che  al Meeting di Rimini ha dialogato con Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia dei popoli. 


“Anche la nostra sofferenza – ha sottolineato Zuppi – trova risposta nell’incontro con l’altro. La passione per l’altro ci fa capire chi siamo”. L’individualismo al contrario invece di renderci più forti, “ci rende deboli, e ci riempie di paure: che sono sempre di più e nascono da un ‘io’ isolato. L’individualismo – ha poi sottolineato – diventa anche nazionalismo: un grande io che difende tanti io isolati”.

“Non dobbiamo abituarci in tanti modi all’orrore della guerra, della disumanità, a guardare gli altri come se non ci interessassero. Non possiamo accettare che la guerra possa rappresentare una soluzione. Il male ci divide dagli altri”. La risposta, l’antidoto alle pandemie, come il Covid e la guerra, che attraversano il nostro tempo è “la visione offerta dalla Fratelli Tutti, la consapevolezza di essere nella stessa casa comune”.

 “Noi abbiamo una riserva di umanità, una passione per l’uomo che – ha spiegato il cardinale – ci aiuta a ricostruire un ‘pensarsi insieme’ che non è scontato per le paure, per il ‘salva te stesso’, per l’individualismo. Pensiamo di essere noi stessi se prendiamo, se possediamo; non capendo che, al contrario, le risposte vanno cercate e trovate nella connessione con gli altri”

“I giovani hanno bisogno di testimoni veri, che hanno passione, che sognano, che non si fanno esami continuamente ma fanno il grande esame della vita. Di questo hanno bisogno i giovani, non solo di istruzioni per l’uso ma di giocare il bellissimo gioco della vita”. Infine un cenno al dialogo interreligioso che, ha spiegato il card. Zuppi, “rafforza e non spegne le identità. Dal dialogo si esce rafforzati nella consapevolezza che con l’altro posso vivere insieme e che c’è qualcosa di più profondo e umano che mi lega”.

“La politica non sia convenienza o piccolo interesse, ma ‘amore politico’”: è l’auspicio espresso dal card. Matteo Zuppi. Una dichiarazione che riprende il Magistero di Papa Francesco e che arriva a poco più di un mese dalle elezioni politiche (25 settembre). Per Zuppi si tratta di “una grande indicazione per tutti pensando anche al nostro immediato futuro”. Il presidente della Cei ha invocato un sempre maggiore “sforzo per l’amicizia sociale per tessere la comunità perché la lezione che le pandemie del Covid – e quella terribile della guerra in Ucraina – ci hanno dato è che ‘ci riguardano tutti’”. Il presidente della Cei ha, inoltre, elencato tutta una serie di preoccupazioni, “per l’educazione, per il lavoro, per la pace, per la famiglia, per il Terzo Settore”.


L'intera sintesi per capitoli a questo link:


Accade anche altro nel mondo: Xi e Putin saranno entrambi in Indonesia. Cosa vuol dire per il G20 (e il mondo)

Il presidente indonesiano ha confermato la partecipazione dei due leader al vertice di Bali. I punti dell’agenda e le tensioni geopolitiche e militari


La turistica isola di Bali sarà lo scenario di uno degli incontri più attesi degli ultimi tempi, l’appuntamento faccia a faccia tra il presidente cinese Xi Jinpinge il presidente russo Vladimir Putin. Entrambi i leader parteciperanno al vertice del G20 in programma alla fine dell’anno in Indonesia.

A confermare gli invitati è stato il presidente indonesiano, Joko Widodo, in un’intervista con il direttore di Bloomberg John Micklethwait: “Xi Jinping verrà. E anche il presidente Putin mi ha detto che verrà”. “La rivalità dei grandi paesi è davvero preoccupante – ha aggiunto Jokowi. Ciò che vogliamo è che questa regione sia stabile, pacifica, in modo da poter costruire una crescita economica. E penso non solo all’Indonesia: anche i paesi asiatici vogliono la stessa cosa”.

Questa è la prima volta che viene confermata la partecipazione di Xi e Putin all’evento di novembre in Indonesia. L’incontro potrebbe generare qualche tensione con i leader occidentali, specialmente con il presidente americano, Joe Biden. L’agenzia Bloomberg sostiene che Biden e Xi hanno lasciato aperta la possibilità di svolgere un meeting bilaterale a margine del summit in Indonesia.

Il vertice di Bali potrebbe diventare il primo appuntamento ufficiale tra Putin e Xi dopo l’annuncio dell’alleanza senza limiti tra la Russia e la Cina. Inoltre, sarà la prima volta che i leader del G20 si incontreranno di persona dopo l’inizio della guerra russa in Ucraina. Sarebbe anche il primo incontro tra Putin e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky.


L'intero intervento di Rossana Miranda a questo link:

https://formiche.net/2022/08/xi-putin-incontro-indonesia/



Accade anche altro nel mondo: Serbia e Kosovo, dopo la guerra in Ucraina serve la pax balcanica

Il capo della diplomazia europea Josep Borrell persegue la tesi che con la guerra alle porte dell’Europa, questo non è il momento per le controversie


Un pax balcanica utile anche a stemperare i riverberi europei della guerra in Ucraina. Di colloqui in colloqui: dopo il trilaterale di ieri tra Erdogan-Zelensky-Guterres, anche Pristina e Belgrado tentano l’ennesimo disgelo ma l’Ue pecca di ottimismo, visto che i due leader, Vucic e Kurti, si guardano ancora in cagnesco. Il tutto mentre ci sono due notizie di corredo: la Nato potenzia la sua presenza in Kosovo, temendo infiltrazioni russe, e l’Ue pensa di abbassare gli standard ambientali per l’estrazione di litio e altri materiali per la transizione energetica.

Colloqui e nodi

Il faccia a faccia tra il primo ministro del Kosovo Albin Kurti e il presidente della Serbia Aleksandar Vucic non ha fruttato la pace sperata, dopo gli episodi di violenza scoppiati lungo i confini del Kosovo circa tre settimane fa. In seguito Kurti, sotto la pressione di Ue e Usa, ha accettato di posticipare l’attuazione delle misure legate alle targhe fino al 1 settembre. Ma al di là del merito specifico legato alla questione delle auto, spicca la strategia complessiva di Bruxelles: il capo della diplomazia europea Josep Borrell persegue la tesi che con la guerra alle porte dell’Europa, questo non è il momento per altre controversie. Sarà importante capire nelle prossime ore come Pristina e Belgrado risponderanno all’invito di Borrell.


Il reportage e l'analisi di Francesco De Paolo continua a questo link:

https://formiche.net/2022/08/serbia-kosovo-pax-balcanica/


Domenica XXI PA - Lc 13,22-30

Dio non è un voltagabbana e l'opposizione non è tra genti ed ebrei, ma tra obbedienti e disubbidienti, quale che sia la loro origine etnica.



Può a prima vista sconcertare l’Evangelo che la Liturgia ci propone oggi nel seguire Gesù verso Gerusalemme, nell’essere alla sua sequela, nella difficoltà di scelte da fare secondo quello che è giusto, non secondo gli uomini, ma secondo il Padre.

Oggi Gesù pare aver abbandonato l’annuncio della Misericordia e della Salvezza. Sconcerta perché arriva ad allontanare e ad affermare di non conoscere quelli che certamente invece conosceva bene. Ma, se si riprende il messaggio al centro di domenica scorsa, si comprende che Luca desidera farci riflettere sulla posta in gioco che ruota attorno al rapporto tra il tempo escatologico (la fine del tempo) e quello attuale, nel quale di giorno in giorno, di ora in ora, ciascuno è chiamato a scegliere da che parte stare.

 

La domanda che gli pone “un tale” non è banale e si pone al centro del dibattito che dall’epoca di Gesù risuona ininterrottamente fino ai nostri giorni: per chi è la salvezza? Non dimentichiamo che fino al Concilio Vaticano II e, purtroppo, si sente affermare ancora oggi, si diceva che non c’era salvezza al di fuori della Chiesa.

L’immagine che dà Gesù, coinvolgendo anche noi in quel “voi” che sono i ritardatari che bussano quando la porta oramai è stata chiusa, è chiara: “Non so da dove siete; via da me, voi tutti, operatori di in-giustizia!” (e non di “iniquità”). Come le ultime domeniche, torna di nuovo l’affermazione che l’impegno del discepolo è compiere la giustizia non secondo i nostri occhi (quella sociale, quella delle opere), ma quella che corrisponde alla volontà di Dio. Non è certamente facile da comprendere, per questo è simile ad una “porta stretta”. L’individuarla ed il varcarla significa superare l’ostacolo della nostra personale volontà. È quello che ha fatto Gesù in quel momento decisivo che è stato l’orto degli ulivi, quando ha prima chiesto al Padre di sollevarlo dal calice che aveva davanti ma poi, fidandosi, si è abbandonato alla Sua volontà, rinunciando alla sua. 

 

Per noi c’è un pericolo da evitare. Il fare la Sua volontà e non la nostra, non è il cercare di mettere nero su bianco ciò che Dio vuole cosicché lo possiamo mettere in pratica e, al contrario, ciò che non vuole così possiamo tentare di astenercene. Con queste modalità ci troveremo davanti a due rigide liste di precetti da fare o da non fare, correndo il pericolo di escludere Dio dalla nostra vita perché in questo modo non avremmo più bisogno di rapportarci con Lui. Pretendere di sapere ciò che Dio vuole giorno dopo giorno da noi, è in sostanza poter fare a meno di lui. Il Decalogo non è questo e non lo sono nemmeno i 613 precetti derivati da questo, anche se siamo tentati di pensarlo e magari ci viene anche oggi detto. Ma è solo una comodità nostra, che travisa erroneamente ciò che regola il rapporto tra Dio e i suoi popoli (al plurale!). Sono invece le modalità per rimanere in ogni istante della nostra vita in relazione con Lui per cercare, momento per momento, di scegliere e fare la Sua volontà e la Sua giustizia.

Difficile? Certo e, forse, non ci rimane che riconoscere la nostra incapacità di comprendere ciò che Dio vuole da noi. Ma, forse, questo non è essenziale. Se davvero è nostra volontà profonda cercare di fare ciò che giusto e gradito a Lui (come affermiamo in ogni Eucaristia), Egli troverà il modo, forse non di rivelarcela ma, cosa ben più importante, di farcela fare; magari anche senza che ce ne accorgiamo, conformemente alla promessa che ci ha fatto per bocca di Ezechiele (36,26-27): “Io vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme”.

 

Quindi, quello che Gesù ci prospetta nell’Evangelo di oggi, è una lotta contro noi stessi e lui non riconoscerà quelli che fanno la propria volontà. Inutilmente diranno “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”, perché l’ha detto chiaro chi sono quelli che lui riconosce: “Coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). 

Per tutti quelli che rimarranno, nonostante le loro preghiere e le loro insistenze, non solo fuori ma ben più duramente “cacciati fuori”, “ci sarà solo pianto e stridore di denti” nel vedere “Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti” assieme a tutti quelli che “siederanno a mensa nel Regno di Dio” giunti da “oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno”. 

Questo non perché a un tratto Dio preferisca le “genti” al popolo da lui scelto, ma perché accoglie quelli che, anche se non provengono dal popolo scelto e amato, mettono in pratica le sue Parole, facendo quello che è giusto non secondo gli uomini, ma secondo la sua volontà. L’opposizione non è tra genti ed ebrei, ma tra obbedienti e disubbidienti, quale che sia la loro origine etnica. È sempre la questione dell’accettare e di vivere secondo le leggi del Signore e questo accade in ogni cuore non di pietra (cioè che guarda solo sé stesso) ma di carne, capace cioè di fremere nel profondo incontrando il bisogno dell’altro, di commuoversi, chinarsi su di lui, ungere le sue ferite e accompagnarlo in un posto sicuro. È questo, non altro, che apre le porte della Casa dove si parteciperà al banchetto escatologico nel quale il Signore si cingerà le vesti e ci servirà.

 

(BiGio)

La porta stretta della salvezza, redenzione, giustificazione per fede: siamo sicuri di sapere cosa significano questi termini a partire dalla loro origine?

Ci sono dei termini che abitualmente usiamo come sinonimi se non come parole magiche, veri e propri talismani portafortuna come, per esempio: salvezza, redenzione, giustificazione per fede. Parole che in Paolo e nei sinottici hanno un retroterra a noi ancora oggi sconosciuto nonostante gli strumenti ci siano ma, per lo più vengono ignorati anche nella formazione al presbiterato.



Siamo abituati a pensare al mondo ebraico come una realtà monolitica e inflessibile. In realtà, nel periodo nel quale ha vissuto Gesù e che viene identificato come il medio giudaismo (dal rientro dalla cattività babilonese, IV secolo ac, al primo/secondo secolo della nostra era), c’era un fermento culturale, spirituale, teologico e religioso molto ricco, con opzioni anche molto diverse tra di loro che si confrontavano costantemente nel Tempio.

In un post pubblicato il 2 luglio si sono sintetizzati i due grandi movimenti prevalenti: l’enochismo e le Scritture di Mosè, ovvero la teologia della misericordia e la teologia del Patto (vedi a questo link: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2022/07/vedevo-satana-cadere-dal-cielo-come-un.html).

I sinottici e, con loro, il primitivo gruppo di seguaci di Gesù, nella cornice della teologia mosaica inseriscono molti elementi di quella della misericordia. Paolo continua quest’opera ed è importante conoscerne i retroterra per non cadere nelle incomprensioni che hanno causato anche tanti guai come, per esempio, la teoria della sostituzione. Quest’ultima affonda le sue radici in una errata comprensione della teologia dell’Apostolo delle Genti, quando gli si fa dire che la “giustificazione per fede” è indirizzata indiscriminatamente a tutti; quindi rende inutile il Patto, l’Alleanza e con questa l’ebraismo.

In realtà Paolo, seguendo Gesù, afferma che la giustificazione per fede non è per tutti ma per i “peccatori”; infatti in tutti i sinottici Gesù afferma che non è venuto per i sani, ma per i malati (Mt 9,9-13; Mc 2,13-17; Lc 5,27-32), che possono essere sia tra i giudei che tra le genti, ponendo grande enfasi sulla possibilità del perdono offerto alla fine dei tempi. 

Il “Libro della Parabole” di Enoc (che non fa parte del nostro canone ma, per esempio, lo è in quello copto-etiope), è il testo chiave per comprendere come in Paolo la “giustificazione per fede” non significa automaticamente “salvezza per fede” nel Giudizio Finale, bensì “perdono per fede” nell’imminenza del Giudizio Finale, quando Dio giudicherà ciascuno secondo le proprie opere; Giudizio che all’epoca veniva pensato imminente. Essere perdonati (= resi giusti, giustificati) non garantisce nulla se non c’è un vero capovolgimento nella vita, lasciando le opere del male per seguire la volontà di Dio che è giustizia e misericordia.

Gesù non sostituisce né la Torah, né la Legge Naturale ma, a queste, “aggiunge” il suo messaggio come una ulteriore possibilità, dono di perdono ai peccatori da parte del Padre nel Figlio. La fine dei tempi sarà il momento del confronto decisivo tra il Messia (Gesù) e il “dio di questo mondo” (il satan). Questa visione, in sostanza, è l’incontro tra apocalittica e messianismo sul quale Paolo segue e perfeziona l’intuizione di Gesù trasmessaci dai sinottici.

In altre parole Gesù non è né via di salvezza offerta a tutta l’umanità, né una seconda via offerta ai gentili accanto alla Torah data agli ebrei. È piuttosto la via di salvezza offerta a tutti i peccatori – ebrei e gentili – che, “sotto il dominio del peccato” (Rm 3,9), non sono riusciti a vivere secondo la Torah o la Legge Naturale che Dio nella sua misericordia ha dato rispettivamente agli ebrei e ai gentili, come vie efficaci di salvezza per i giusti. Questi ultimi, nel linguaggio evangelico prima ricordato, sono coloro che, grazie a quelle due strade, sono già “sani”; non hanno quindi bisogno dell’intervento di nessun medico (Gesù) per guarire. Al centro di ciascuna di queste tre vie c’è sempre la misericordia del Padre che è inclusiva e mai esclusiva. 

Gesù è allora dono per i peccatori, perché tutti possano essere salvati. I giusti (ebrei e gentili) lo saranno grazie alla loro esistenza vissuta secondo la Torah, la Legge Naturale e loro buone azioni; mentre, nell’imminenza della fine (che è questo nostro tempo), ai peccatori (sia ebrei, sia gentili) viene offerta la straordinaria opportunità di pentirsi e essere giustificati in Cristo dalla misericordia di Dio, indipendentemente dalla sua giustizia. In altre parole, Gesù chiederà al Padre di chiudere un occhio sui loro peccati perché si sono pentiti mettendosi alla sua sequela.

 

In estrema sintesi: quando Paolo annuncia ai peccatori la giustificazione (cioè il perdono dei peccati passati) mediante la fede, non predica due percorsi separati per la salvezza (uno per gli ebrei, uno per i gentili), ma piuttosto tre: i giusti ebrei hanno la Torah; i giusti gentili hanno la loro coscienza; i peccatori, le pecore perdute della casa d’Israele e quelle delle nazioni cadute senza speranza sotto il dominio del male, hanno il Cristo al cui perdono potersi fiduciosamente affidare ed essere così riscattati (=redenti) dal dominio dei satan ed essere così salvati dal castigo del Giudizio dell’ultimo Giorno.

 

(BiGio)

 

Una porta di casa stretta e una sala da pranzo che ha le dimensioni del mondo

Una porta di casa stretta e una sala da pranzo che ha le dimensioni del mondo: su questo paradosso è costruito il vangelo. C’è una lotta per entrare attraverso una porta stretta e un banchetto a cui non solo siedono i patriarchi ma le genti, senza alcuna discriminazione etnica né religiosa. Come comprendere tale tensione?

Troviamo una luce nella descrizione del giudizio sotto forma di un padrone di casa che si sveglia nel cuore della notte a causa dei colpi contro la porta e dichiara a quelli di fuori di non conoscere da dove vengono, pur affermando questi di aver vissuto con lui e di averlo ascoltato. Il padrone li chiama “operatori di ingiustizia” (v. 27). Il criterio di ingresso è legato alla giustizia. Che cosa significa?

Il termine appare in due parabole, quella dell’amministratore ingiusto (cf. Lc 16,1-8) e quella del giudice ingiusto (cf. Lc 18,1-8). Nella prima l’amministratore non è come l’amministratore degno di fiducia e sapiente di un’altra parabola che sa dare la porzione di cibo adatta a ciascuno al momento giusto perché viva (cf. Lc 12,42-44), ma dilapida i beni del padrone. Nella seconda il giudice è ingiusto perché non ascolta la richiesta di giustizia da parte di una vedova. L’ingiustizia riguarda la relazione con l’altro, e con l’altro in stato di bisogno.

Capiamo allora l’imperativo “lottate!” (v. 14; non “sforzatevi” come viene tradotto!). C’è da combattere una lotta, quella dell’amore. In Giovanni Gesù dice di essere la porta attraverso cui passare per essere salvati (cf. Gv 10,7). Gesù è anche il seme che caduto a terra muore e porta molto frutto (cf. Gv 12,24). Allora la porta stretta è il mistero pasquale di Gesù, il suo deporre per amore la vita sulla croce per ritrovarla donata dal Padre. Si tratta dunque di partecipare alla morte di Gesù, di unirci al suo amare i discepoli e le discepole sino alla fine per condividere la sua resurrezione. Si lotta con la forza che viene da Cristo e che agisce in noi. Abbiamo le coordinate della lotta spirituale come lotta contro le realtà che in noi si oppongono alla logica dell’amore e che ci chiudono in noi stessi, rendendoci autocentrati. Impegno soggettivo e dono della grazia sono i due elementi di fondo della lotta della fede.

Perciò il sedere alla tavola imbandita del Regno non è più legato all’appartenenza etnica o religiosa. Non va in maniera automatica. La porta è stretta non per cattiveria o selezione ma perché per entrare bisogna svestirsi di molte cose. La lotta spirituale è un combattimento in cui si impara a spogliarsi, a togliere le tante macerie che ci ingombrano e impediscono il contatto con le nostre profondità e con la presenza del Cristo amante in noi. C’è una porta stretta, ma la sala del banchetto ha le dimensioni del mondo e c’è posto per tutti e tutte. Amare richiede di denudarsi degli abiti che ingombrano per esporsi con il corpo come il Cristo nudo sulla croce.

Perciò essere ultimi e primi non è più questione cronologica né di elezione etnica o religiosa, ma si lega alla disponibilità di passare per la porta stretta della lotta contro gli atteggiamenti che vogliono derubarci dell’amore.

(fr. Davide di Bose)