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Gv 10,1-10 - IV Pasqua: "Io sono la porta delle pecore"

L'immagine che ci viene subito in mente se si parla di Gesù come il buon pastore ben poco ha a che vedere con l'Evangelo di oggi e a quello che la Liturgia di questo periodo pasquale desidera farci scoprire.

Ogni anno, la quarta domenica di Pasqua è dedicata al tema di Gesù buon Pastore. Questa è un’immagine che è sempre stata cara ai cristiani che a partire dal III secolo hanno cominciato a rappresentare Gesù giovane, vestito dalla corta tunica, la cintura ai fianchi, i calzari ai piedi come erano soliti vestire i pastori del tempo.
 Come pure automaticamente trasferiamo questa immagine di Gesù sugli attuali “pastori”, preti e vescovi. Questo però ci porta molto lontano dal messaggio che la Liturgia di oggi desidera darci guidandoci in questo periodo pasquale alla scoperta di come Gesù sia presente nella Comunità.     
Il brano di oggi non è una parabola e non è nemmeno una allegoria; è invece un quadro simbolico che funziona per opposizioni letterarie: entrare o no per la porta, seguire o fuggire, conoscere o no la voce del pastore. All’inizio e alla fine sono indicate figure negative mentre al centro, per contrasto, quella positiva del pastore.
Le immagini che Gesù usa per dire chi è il pastore e chi non lo è, sono radicate nel terreno dell’intera Scrittura, quasi seguendo l’invito dato la scorsa settimana ai discepoli di Emmaus. Si ritrovano infatti nel Libro delle Parabole di Enoc, come anche nel Pentateuco dove vengono definiti “pastori” del popolo Mosè, Giosuè, i Giudici e pure l’imperatore persiano Ciro; i profeti poi tuonano contro i pastori che sfruttano e lasciano allo sbando le pecore loro affidate. In questo modo, radica nella Bibbia l’autodefinizione del Risorto come il pastore. 
Io sono” dice Gesù (bisogna ricordare che questo termine traduce in greco il Nome di Dio) “la porta delle pecore”: ma la porta per la quale si accede al recinto delle pecore, oppure attraverso la quale passano le pecore? In genere automaticamente si propende per la prima ipotesi, ma l’intera pericope parla di un solo pastore che vi accede e i personaggi diversi da lui entrano non usando la porta ma scavalcando il recinto e finiscono per uccidere le pecore quando riescono a distoglierle dal seguire la voce conosciuta del pastore. Inoltre Gesù non dice di essere né il guardiano né la porta del recinto, ma “la porta delle pecore” attraverso la quale queste entrano ed escono liberamente e le fa uscire spingendole fuori con forza, quasi con impazienza; cammina davanti a loro ma apparentemente non dice verso dove. Lo indica però con chiarezza il verbo adoperato che è quello che viene usato per indicare il cammino del ritorno di Gesù al Padre attraverso il dono di sé stesso. Questo è allora un altro chiaro invito, ripetuto continuamente papa Francesco, ad uscire dai recinti per porsi alla sequela del Signore sulla strada del dono di noi stessi per gli altri.
Gesù è la porta che conduce alla vita e dalla quale si può liberamente “entrare ed uscire” che non è un fare quello che piace. Questa opposizione letteraria desidera invece sottolineare la libertà del discepolo in seno al gregge; si tratta della libertà di andare e venire sotto la guida dell’unico Pastore che ha “liberato”, spinto fuori le pecore e attenzionenon tanto da un ovile qualsiasi perché, su 177 volte che questo termine appare nella Scrittura, per 115 volte indica l’atrio del Tempio. 
Il verbo poi usato per indicare la liberazione delle pecore da parte di Gesù è il medesimo adoperato per descrivere l’azione di Dio nel far uscire il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto e, come allora, per farci entrare non in un altro recinto o situazione di oppressione, ma in uno spazio di libertà nel quale si “troverà pascolo”. Qui l'evangelista gioca sui termini della lingua greca nella quale pascolo si dice “nome”, mentre legge si dice “nomos”. Allora, con Gesù, non si trova una legge a cui obbedire, ma si trova pascolo, cioè un alimento che dà la vita in un mondo di libertà nel quale si può essere realmente persone vere, in tutto somiglianti al pastore.
 
L’invito di questa domenica quindi è quello di accettare che Gesù ci liberi dai recinti nei quali ci troviamo reclusi: quelli di una religiosità prigioniera di una falsa immagine di Dio come padrone, legislatore, giudice rigoroso; quelli delle seduzioni dell’uso del potere per porre al centro noi stessi invece che il bisogno dell’altro; quelli degli idoli che condizionano le nostre scelte di vita: il denaro, la carriera, il successo; quelli delle abitudini, del si è sempre fatto così, come quelli dei vizi, della corruzione morale, dei compromessi e, primo fra tutti, quelli di una struttura religiosa divisa tra chi ha potere e chi deve rimanere sottomesso invece che di una Comunità dove regna la fraternità e all’interno della quale ci sono servizi e ministeri alla pari nel servizio di tutti. Tutto questo a favore della realtà nella quale vive e di tutti coloro che incontra sulle strade del mondo: non è forse questo l’invito di papa Francesco con quel suo “la Chiesa in uscita”? quel suo dire che “il clericalismo è il tumore della Chiesa”?
 
In questo Evangelo nessun appiglio trova il trasferimento del ruolo di Gesù nei presbiteri essendo lui l’unica porta delle pecore. È una operazione avvenuta solo più tardi nella letteratura ecclesiastica quando è stato necessario dare una struttura alla Chiesa una volta diventata religione di stato tra la fine del III e l’inizio del IV secolo della nostra era. Sarebbe forse giunto il momento di ripensare il ruolo del ministero presbiterale all’interno del sacerdozio universale che è proprio della Comunità, alla luce della Scrittura e non del Diritto Canonico come anche afferma il card.  Lazzaro You Heung-sik prefetto del Dicastero per il clero (vedi l’intervista a questo link: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/04/essere-cristiani-e-essere-liberi.html). In fin dei conti è questo che la Liturgia in queste settimane pasquali ci sta facendo scoprire.

(BiGio)

Chi è il pastore autentico? un esempio: S. Ambrogio

Ambrogio ha potuto essere pastore perché ha saputo salvaguardare l’essenziale: la sua relazione con Signore e ha compreso che il Pastore buono è e resta uno solo: Gesù

Se è vero che un gregge non può vivere senza pastore, è altrettanto vero che un gregge non può vivere con un pastore qualsiasi, e Gesù lo sa bene. Perché vi sono pastori, oggi come ieri, che si comportano da estranei, o da salariati o, ancora, da ladri e briganti (cf. Ez 34); figure che avvicinano le pecore ma che non sono disposte a dare la vita per le pecore; non le conoscono, non vivono, in definitiva, una relazione con le pecore, ma il loro interesse nell’avvicinare il gregge è decisamente altro: pascere sé stessi, incuranti di quanto accade alle pecore.

Cosa distingue il pastore legittimo dalle altre figure?

Due comportamenti, fondamentalmente: il modo di introdursi nell’ovile e il rapporto con le pecore.

Il pastore autentico sceglie di entrare per la porta, che è Cristo stesso (v. 9), sa che non ci sono altre vie di accesso; sa che quella porta, anche se stretta (Lc 13,24) apre alla vita, alla vita piena, che è il profondo desiderio di Gesù (v. 10).

E poi il pastore autentico entra in relazione con le pecore, le chiama ciascuna per nome, le conduce fuori in una relazione, quindi, che ha lo scopo di dare la vita, non di toglierla, come fanno invece ladri e briganti; relazione che implica il compromettersi radicalmente per la vita dell’altro, senza fuggire quando si avvicinano difficoltà e pericoli, come avviene invece per il salariato (cf. Gv 10,12). Insomma, in tale pastore traspare la qualità “bella” del Pastore per eccellenza, che è Gesù stesso (cf. Gv 10,11), colui che dà la sua vita per le pecore.

Un esempio: in Sant’Ambrogio, vescovo di Milano del IV secolo, la chiesa ha riconosciuto i tratti del pastore a immagine di Cristo. Ambrogio ha potuto essere pastore perché ha saputo salvaguardare l’essenziale: la sua relazione con Signore. Egli infatti ha innanzitutto scelto di farsi lui pecora alla sequela del Pastore buono, ascoltando la sua voce (v. 3). Ha poi compreso che avrebbe potuto essere pastore solo a due condizioni: entrare attraverso l’unica porta legittima, la Scrittura, meditandola, custodendola e poi spezzandola per le pecore a lui affidate e accettando di dare la sua vita per Gesù; non direttamente per le pecore, ma per Gesù, e solo in virtù di ciò per le pecore. Infine, Ambrogio ha compreso che il Pastore buono è e resta uno solo: sarebbe stato Gesù che, attraverso il suo amore e la sua sequela, avrebbe continuato a pascere il gregge, e lui, Ambrogio, pascendo il gregge, avrebbe attuato la sua vocazione, cioè dato carne alla sua sequela e al suo amore per Gesù.

E noi? Ciascuno di noi è pecora chiamata ad ascoltare la voce del Pastore, e a camminare con le sue sorelle del gregge, ma ciascuno di noi è chiamato anche a farsi pastore per le altre pecore, come Ambrogio e tanti altri hanno fatto. 

La linea che separa gratuità del pastore e interesse di tutte le altre figure è sottile, e sempre siamo tentati di oltrepassarla. Ma ricordiamo: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, non per vergognoso interesse ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-4).

(Sr. AnnaChiara di Bose)

Credere oltre il fallimento

Questa Domenica la Parola parla del Buon Pastore (Gv, 10, 1-10) ..ogni anno ci  viene presentata questa figura. Cerco di leggerla in chiave antropologica.

L’esperienza del fallimento accompagna tutta la nostra vita: fallimento professionale, fallimento nelle relazioni, fallimento apostolico e fallimento anche nella relazione con Dio. Siamo fragili, possiamo sbagliare: il fallimento fa parte della nostra realtà di creature. Il fallimento però non dovrebbe mai diventare l’ultima parola: se è vero che possiamo sbagliare, è anche vero che possiamo ricominciare. E facendo questo abbiamo bisogno di protezione, non dobbiamo aver paura di sbagliare ma di non avere la forza di ricominciare... Molte volte si sente dire quel prete ha lasciato, quel matrimonio ha fallito, quella persona ha sbagliato lavoro e fa patire le sue sofferenze a tutti...ma allora vale la pena cominciare se siamo destinati a fallire? C’è una figura che ci accompagna nei vangeli pasquali, è quella di Pietro. Pietro ha creduto che Gesù fosse il Messia ma non ha creduto in sé stesso.

È lo sguardo di Pietro che ha bisogno di essere guarito: il peso del tradimento offusca la sua vista. Il cammino di guarigione di Pietro comincia nel momento in cui il discepolo amato lo avverte della presenza del Signore: quel cammino comincia prendendo consapevolezza del proprio peccato. Pietro infatti prima di buttarsi in acqua verso Gesù che gli appare sul lago mentre

pesca in acqua si veste. Un gesto incomprensibile e paradossale, ma se pensiamo al gesto di Adamo dopo il peccato, possiamo forse riconoscere il tentativo di Pietro di coprirsi per la vergogna davanti a Gesù. Pietro si butta in mare, si getta nella morte con la certezza che ancora una volta Gesù lo tirerà fuori, offrendogli nuovamente la salvezza. Ecco, il Messia si trasforma in Pastore che da vita, se non ce la facciamo più.. Lui ci assicura che ci tirerà fuori dalle acque del nostro peccato. Non siamo pecore da macello, ma persone amate da Dio uno a uno. Lui è pronto a ricominciare con noi, in noi, per noi. 

(don Fabiano Longoni)


Tra la Bibbia e il masso di Sisifo. La lotta contro la solitudine dei lavoratori migranti cinesi nelle città

“Che fai?” mi arrivò un messaggio da Xiaofeng. “Sto leggendo e bevendo un caffè qui vicino, perché?” risposi. “Tu sei cattolico, giusto?” ribatté lei. “Che strana domanda.” Io di rimando.  “Vuoi venire con me in chiesa questa domenica?” ero stupefatto.


Poteva essere un giorno di lavoro come un altro. Dovendo ripassare i miei appunti tra i vari incontri mi ero diretto ad un caffè del quartiere, nell’area proletaria della parte settentrionale di Shenzhen. Quella di Sisifo (Xixifu 西西弗) è una catena di caffetterie che si può trovare facilmente in questa città.  Il suo punto di forza consiste nel soddisfare al tempo stesso la voglia di caffeina e il desiderio di un buon libro, mettendo a disposizione dei clienti una libreria ben rifornita. Sotto diversi aspetti, Sisifo assomiglia ad un vero e proprio angolo di lettura, dove la gente prende i volumi dagli scaffali e li consulta in silenzio, sorseggiando una tazza di tè o di caffè su una delle tante poltrone. La sede della Sisifo che solevo frequentare si trovava in un centro commerciale recentemente inaugurato nel distretto di Longhua, attorniato da fabbriche e da un numero crescente di complessi residenziali.  Nei suoi interni tranquilli era comune osservare coppie che leggevano sedute l’una accanto all’altra, scolari che svolgevano i loro compiti circondati dai nonni, giovani intenti a sfogliare pagine o operai edili impegnati a bere tè dalle loro bottiglie con in mano un romanzo che avevano appena tirato giù da una delle mensole.


Il racconto e l'analisi di una realtà dell'antropologo Pablo Ampuero-Ruiz continua a questo link:



Gas, Europa: chi la dura la vince? Ma si continua ad importare gas russo

Gli stoccaggi alla fine dell'inverno sono mezzo pieni o mezzo vuoti?
l’Ue non ha mai davvero fatto a meno delle forniture di gas russole importazioni di gas russo nel 2023 rimangono il 14% di quelle totali.

È finito l’inverno e gli stoccaggi di gas europei sono pieni per oltre la metà (57%). Un risultato che lascia l’Ue in una posizione confortevole al termine della stagione di riscaldamento, smentendo le aspettative degli esperti di inizio autunno (e le minacce di Gazprom che prospettava un’Europa congelata). 
Netto il contrasto con lo scorso anno, quando la riduzione delle forniture da Mosca aveva portato la crisi energetica sul nostro continente e costretto l’Ue ad aumentare le importazioni di Gnl per arrivare preparati all’inverno. Oggi, invece, con il livello medio degli stoccaggi europei di circa 25 punti percentuali al di sopra della media 2015-2019(31%), l’Ue sembrerebbe aver superato il periodo più critico della crisi energetica.  
Sarà vero? 

Dati e commenti a questo link:


"L’orientamento" nel rito romano

Un tema molto interessante sul quale è necessario essere consapevoli e riflettere: il nesso tra direzione della preghiera liturgica, la posizione del presidente all’altare e la posizione dell’assemblea. Orientamento che è dato per scontato ma che, invece, è ricco di implicazioni che esprimono la fede.

Un’analisi della questione che verta solo sull’alternativa ad altar / ad populum è a mio avviso riduttiva. Il nesso tra direzione della preghiera, posizione del presidente all’altare e posizione dell’assemblea deve tener conto di altri fattori, come quello dell’esistenza o meno della separazione di spazi determinata dal presbiterio come zona rialzata rispetto alla zona dell’assemblea.

Nella logica del rito pre-riformato essa ha un senso come delimitazione di un’area sacrale dove si compie il sacrificio e di un’area antistante in cui sono raccolti in assistenza coloro per i quali si compie il sacrificio. Il superamento di questa distinzione – apporto centrale ecclesiologico dell’istanza di SC della actuosa participatio – esige di valutare la sensatezza del permanere di due aree separate, prima e più che la questione della posizione dell’altare rispetto ai soggetti celebranti.

All’interno di tale questione si determina anche la forma con cui i soggetti sono disposti in relazione all’altare. Attualmente la maggior parte delle chiese italiane (nuove o riadattate) hanno conservato la disposizione ottocentesca dei banchi in fila verso il presbiterio; posizione che nella forma celebrativa precedente dava il dinamismo di una processione verso una soglia (l’altare) tra due mondi. Ora, mantenuta la forma dell’assemblea, ma variata la forma del polo in direzione della quale essa è disposta, l’impressione è spesso quella di aver riprodotto la dinamica di un’aula da conferenze o di un teatro moderno, dove degli attori su di un palco compiono qualcosa in direzione degli spettatori allineati in platea .....

La riflessione di Z. Carrara continua a questo link:

http://www.cittadellaeditrice.com/munera/lorientamento-nel-rito-romano-di-z-carra/?fbclid=IwAR2VmuTQbhsRAqHgXC-ikz8iWynVZG6Uu7GYwygdEKrThxnRzZ0Hr-_lMos




Rapporto Bes-Istat 2022: aumentano le disuguaglianze. I giovani restano i più penalizzati

Nonostante i tanti segnali positivi, il Rapporto Bes redatto dall’Istat documenta come il Paese sia ancora in forte sofferenza per l’impatto degli ultimi tre, drammatici anni dominati dalla pandemia, dalla crisi energetica e dalla guerra in Ucraina. Bes sta per benessere equo e sostenibile, rilevato secondo una serie molto articolata di indicatori (oggi sono ben 152) messi a punto e costantemente aggiornati da quando si è preso coscienza del fatto che il famoso Pil, il prodotto interno lordo, non potesse essere l’unica misura della crescita di una società. Il Rapporto di quest’anno, relativo al 2022, era atteso soprattutto in quanto orientato a mettere in luce le trasformazioni avvenute nel Paese rispetto al 2019, l’ultimo anno prima del Covid


Nonostante i tanti segnali positivi, il Rapporto Bes redatto dall’Istat documenta come il Paese sia ancora in forte sofferenza per l’impatto degli ultimi tre, drammatici anni dominati dalla pandemia, dalla crisi energetica e dalla guerra in Ucraina. Bes sta per benessere equo e sostenibile, rilevato secondo una serie molto articolata di indicatori (oggi sono ben 152) messi a punto e costantemente aggiornati da quando si è preso coscienza del fatto che il famoso Pil, il prodotto interno lordo, non potesse essere l’unica misura della crescita di una società. Il Rapporto di quest’anno, relativo al 2022, era atteso soprattutto in quanto orientato a mettere in luce le trasformazioni avvenute nel Paese rispetto al 2019, l’ultimo anno prima del Covid.            
“Le misure del Bes – spiega, presentando il Rapporto, Francesco Maria Chelli, membro del Consiglio dell’Istat e ordinario di statistica economica nell’Università delle Marche – ci mostrano come i divari territoriali, molti dei quali di lungo periodo, siano aumentati e, a mano a mano che ci si sposta del Nord verso il Sud e le Isole, prevalgano indicatori con segno negativo rispetto al periodo precedente”. A essere penalizzati sono soprattutto i giovani e, in termini diversi, le donne.

Il raffronto con gli altri Paesi europei attribuisce all’Italia una situazione “peggiore” nella maggior parte degli indicatori. Spicca – e purtroppo non è una novità – il dato dei giovani che non studiano né sono occupati: i Neet sono il 19% rispetto alla media Ue dell’11,7%. Più in generale il tasso di occupazione italiano è di dieci punti inferiore alla media europea, con uno scarto ancora maggiore tra le donne (55% contro 69,4%).

Oltre un terzo delle famiglie italiane nel 2022 ha visto peggiorare la propria situazione economica: la quota del 35,1 per cento di famiglie che dichiarano di stare peggio dell’anno precedente, è “un livello mai raggiunto in precedenza”.

 

 

I link per il Rapporto BES e la “Nota di Sintesi” a questo link:

 

https://www.uilpa.it/istat-rapporto-bes-2022-peggiora-la-situazione-economica-degli-italiani/



Essere cristiani è essere liberi

A colloquio con il cardinale Lazzaro You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il cleroun prete deve sempre ricordare che è tale in quanto c’è il sacerdozio universale e non viceversa


Il vociare che arriva da Piazza San Pietro, riscaldata dai primi tepori primaverili, non disturba. Anzi, sembra rendere l’immagine di una Chiesa che si proietta sul mondo, e dal mondo riceve. Il cardinale Lazzaro You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il clero, esprime già nella postura questa medesima proiezione. Seduto sulla punta del divano e proteso su di noi, parla come un fiume in piena con quella passionalità che solo un’autentica gioia cristiana sa dare.


Eminenza...
No, no, che eminenza... Io sono Lazzaro, il povero don Lazzaro, povero perché anch’io come Lazzaro, l’amico di Gesù, sono un risuscitato, un graziato. Vede, io ho ricevuto il battesimo, la nuova vita, a 16 anni. La mia famiglia non era credente, e del cristianesimo non sapevo pressoché nulla. ...

La fine della cristianità ci impone di ripensare radicalmente la nostra presenza nel mondo, e la risposta di Papa Francesco è semplicemente questa: vivere il Vangelo. Come fa lui. “La Chiesa in uscita”, “l’ospedale da campo”, “le periferie del mondo”, “misericordiosi perché misericordiati”: tutte le parole proprie di Papa Francesco non sono altro che la declinazione di questo “ritorno al Vangelo”.

Qui in Occidente invece la Chiesa è percepita come un’istituzione normativa che discerne nella morale il bene dal male, cioè essenzialmente una struttura conservativa. Ecco, io penso che la nuova pastorale a cui ci invita Papa Francesco dovrebbe recuperare questo anelito di libertà, presentare gioiosamente il Vangelo come vera fonte di vera libertà. La buona notizia non è un elenco di permessi e di divieti, ma Gesù risorto: la tomba vuota che annuncia che non moriamo più. C’è una felicità più grande?


L'intera intervista a questo link:

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-04/quo-090/essere-cristiani-e-essere-liberi.html




25 aprile due feste in una a Venezia

Quel giorno d’aprile…


È la festa di San Marco, patrono della città e della Liberazione dal nazi-fascismo

A Venezia c'è la tradizione di regalare alla donna amata un bocciolo rosso di rosa per questa leggenda:

Una bionda fanciulla di nome Vulcana, figlia di un Doge, si era fortemente innamorata di Tancredi, un lavorante assai valoroso e bello. Ma i due giovani comprendevano che il Doge non avrebbe permesso un tal matrimonio, perciò Vulcana disse a Tancredi di andare a combattere contro i Mori con l’esercito di Carlo Magno e di coprirsi di gloria: allora il padre non si sarebbe più opposto al loro amore. Tancredi partì e la fama delle sue gesta gloriose si sparse ben presto per il mondo. Ma un giorno arrivarono a Venezia alcuni cavalieri Franchi guidati dal famoso Orlando; cercarono di Vulcana e le annunziarono la morte del prode trovatore. Era caduto sanguinante sopra un rosaio, ma prima di morire aveva colto un fiore e aveva pregato Orlando di volerlo portare alla sua amata. La fanciulla prese la rosa tinta ancora del sangue del suo Tancredi, non versò lagrima e restò chiusa nel suo dolore. Il giorno dopo, ch’era la festa di San Marco, fu trovata morta con l’insanguinato fiore sul cuore. Da quella volta il bocciolo di rosa, simbolo dell’amore che sta per aprirsi alla vita e al sole, viene offerto alle fidanzate nel giorno di San Marco, patrono della città di Venezia.

Altra tradizione è "l'obbligo" di preparare e mangiare il "piatto del Doge" cioè un piatto di risi e bisi (risotto di piselli). Veniva servito come primizia in augurio di una ricca stagione di raccolti.
Il 25 aprile di ogni anno, giorno di San Marco, a Palazzo Ducale si svolgeva uno dei quattro solenni banchetti annuali. Il cerimoniale prevedeva come portata principale i risi e bisi, che venivano serviti al Serenissimo Doge e, a seguire, alle altre personalità invitate: i Procuratori di San Marco, i patrizi del Maggior Consiglio, gli alti prelati e i diplomatici stranieri. È un piatto bene augurante poiché abbinava il riso, in Oriente simbolo di fertilità, ai piselli, tenere primizie primaverili simbolo di rinascita e beneaugurante per una stagione ricca di raccolti. L’importante poi è che per “ogni riso che sia un biso




Sudan, centinaia di vittime dopo la ripresa del conflitto. Perché si combatte e qual è la posta in gioco nella regione

Le ostilità sono scoppiate dopo settimane di lotte di potere tra il capo dell'esercito Abdel Fattah al-Burhan e il suo vice, Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti, a guida della RSF. Ognuno dei due ha accusato l'altro di aver dato inizio agli scontri. 

Dopo un breve cessate il fuoco per consentire a chi era rimasto bloccato nel palazzo presidenziale, nei pressi del comando generale dell'esercito, di poter fuggire e alcuni soccorsi, sono ripresi i combattimenti in Sudan, non limitandosi alla capitale Karthoum. 
Gli scontri, iniziati il 15 aprile, tra l'esercito sudanese e le forze paramilitari della Rapid Support Forces (RSF), sono i primi da quando le fazioni rivali hanno unito le forze per destituire il Presidente del Sudan Omar al-Bashir nel 2019 e sono state scatenate da un mancato accordo sull'integrazione della RSF nell'esercito come parte di una transizione verso un governo civile. La RSF era stata fondata proprio da Bashir per reprimere una ribellione nel Darfur iniziata più di 20 anni fa a causa dell'emarginazione politica ed economica della popolazione locale da parte del governo centrale del Sudan. 
Le ostilità sono scoppiate dopo settimane di lotte di potere tra il capo dell'esercito Abdel Fattah al-Burhan e il suo vice, Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti, a guida della RSF. Ognuno dei due ha accusato l'altro di aver dato inizio agli scontri. 
Un tempo stretto alleato di Bashir e comandante militare a capo delle sue campagne criminali in Darfur, Burhan ha presieduto il Consiglio militare di transizione, un organismo istituito per supervisionare la transizione del Sudan verso un regime democratico, dopo cambio di potere del 2019. Tuttavia, con l'avvicinarsi della scadenza per il passaggio di consegne all’amministrazione civile, nell'ottobre 2021 Burhan ha messo in atto un colpo di Stato, rovesciando il Primo Ministro civile Abdalla Hamdok e mettendo a repentaglio la transizione democratica del paese.


L'intera analisi di ValigiaBlu continua a questo link:

https://www.valigiablu.it/sudan-perche-si-sta-combattendo/




Il telefono senza fili e la trasmissione dei geni

Un recente studio (pubblicato “Nature”), condotto da Bergeron e colleghi, dell'Università di Copenaghen e della Zhejiang University School of Medicine in Cina, ha analizzato ben 68 specie diverse di vertebrati, dalle lucertole ai pinguini, dagli esseri umani alle balene, effettuando il primo confronto su larga scala dei tassi di mutazione delle specie. I risultati di questo primo passo verso la comprensione della velocità evolutiva hanno svelato informazioni sorprendenti su come il ritmo delle mutazioni possa cambiare e su cosa lo determini

Avete presente il gioco del “telefono senza fili”? Il primo giocatore sussurra una frase all’orecchio del giocatore seguente, questi riporta al successivo ciò che ha compreso, e così via fino al termine della fila. Fatalmente, però, quasi mai la frase finale coincide perfettamente con quella iniziale (ad es. “ho ammainato una vela”, alla fine, può diventare “ho mangiato una mela”), poiché durante il passaggio tra i giocatori, le sue componenti si “corrompono”, trasformandosi in altre simili. Ebbene, qualcosa di simile avviene anche sul piano della trasmissione dei geni tra genitori e prole. Durante questo processo, infatti, si verificano costantemente piccoli errori di copiatura, che a volte portano all’insorgenza di nuovi tratti utili. 

Si intuisce, perciò, quanto sia rilevante riuscire a conoscere il ritmo con cui si producono le mutazioni ereditate, al fine di comprendere come si evolvono le specie, tenendo conto che, finora, tale tasso è noto solo per una manciata di esse. 

In questa prospettiva, un recente studio (pubblicato su “Nature”), condotto da Bergeron e colleghi, dell’Università di Copenaghen e della Zhejiang University School of Medicine in Cina, ha analizzato ben 68 specie diverse di vertebrati, dalle lucertole ai pinguini, dagli esseri umani alle balene, effettuando il primo confronto su larga scala dei tassi di mutazione delle specie. I risultati di questo primo passo verso la comprensione della velocità evolutiva hanno svelato informazioni sorprendenti su come il ritmo delle mutazioni possa cambiare e su cosa lo determini.
Ad esempio, le nuove misure dei tassi di mutazione potrebbero aiutare i biologi a calibrare gli “orologi molecolari” basati sui geni, usati per stabilire quando le specie si sono differenziate. Esse, inoltre, confermano che i fattori che contribuiscono a determinare la velocità dell’evoluzione sono essi stessi soggetti all’evoluzione.

 


 L'intero articolo di Maurizio Calipari a questo link: 


https://www.agensir.it/mondo/2023/04/18/il-telefono-senza-fili-e-la-trasmissione-dei-geni/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2


È scomparso Jacques Gaillot: un vescovo fedele alla Chiesa, all'uomo e al mondo degli esuli

Con lui scompare uno degli ultimi esponenti di una stagione ecclesiale che ha visto una certa figura di vescovo e di cattolico inseparabile da una cultura e da una fedeltà alla Chiesa e all’umano alimentate da una pragmaticità di fondo


Il vescovo Jacques Gaillot si è spento il 12 aprile 2023 a Parigi, dove ha sempre risieduto dopo la sua rimozione dalla diocesi di Evreux nel 1995. La sua storia è parte della storia della Chiesa, ma è parte anche di quella storia del magistero ecclesiastico e del papato con cui essa spesso è confusa, e rientra in una più complessa storia dei profili episcopali cattolici e della presenza pubblica del cattolicesimo sociale.

Al giornalista Jérôme Cordelier che nel 2019 gli ha chiesto un’opinione sulla Chiesa, Jacques Gaillot ha risposto che «di solito non guardo alla Chiesa, ma al mondo degli esclusi». Di là una denuncia delle condizioni «inaccettabili» dei senza fissa dimora, privati di tutto ma non della dignità che li accomuna come esseri umani. Poi, «per rispondere alla sua domanda, non mi indigna quello che sento dire sulla Chiesa. Ho sempre preferito il destino degli individui a quello delle istituzioni».


L'intero ricordo di questo vescovo che ha segnato la storia della Chiesa a cura di Antonio Ballarò a questo link:




Nella III Domenica di Pasqua, in occasione anche di un evento e di un annuncio, abbiamo pregato così...

Durante questa Eucaristia Jason ha ricevuto la sua Prima Comunione ed è stato annunciato che tre riceveranno il battesimo Domenica prossima: Arianna, Caterina e Dario



Introduzione

In questa terza Domenica di Pasqua il Vangelo di Luca ci presenta una situazione esistenziale simile a quella di ognuno di noi, oggi, qui: due discepoli, tristi e delusi per ciò che a Gerusalemme era successo a Gesù, ritornano al loro Villaggio di Emmaus, senza accorgersi che la persona sconosciuta che si affianca a loro nel cammino è il Risorto, che riconosceranno solo a tavola, quando il Signore “prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”. L’Eucaristia, il sacramento del dono della vita che il Signore ci fa, perché anche noi la doniamo agli altri, è il segno della presenza del Risorto in mezzo a noi. 

Oggi abbiamo una bella coincidenza, perché in questa celebrazione Jeson per la prima volta riceve il Corpo di Cristo, l’Eucaristia, la Prima Comunione con il Signore Gesù e con i fratelli.

Nella prima lettura, dagli Atti degli Apostoli, Pietro testimonia di fronte agli Israeliti la passione, morte e resurrezione di Gesù di Nazaret, insistendo per ben due volte che Egli è stato risuscitato da Dio. Nella seconda lettura, tratta dalla Prima Lettera di Pietro, ci viene rivelato che la fede in Dio nasce da questa resurrezione … che noi, per opera sua, di Gesù Cristo, crediamo “in Dio, che lo ha risuscitato dai morti”: Come Gesù sulla croce, donando la sua vita a ognuno di noi, si affida nelle mani del Padre, che non lo abbandona nel potere della morte, ma lo risuscita, allo stesso modo anche noi, suoi discepoli, siamo chiamati a fare della nostra vita un dono per gli altri, con la fiducia che il Padre nostro ci dona la vita nuova di risorti in Cristo.


Intenzioni Penitenziali

1 - Signore, ti chiediamo perdono per tutte le volte in cui pensiamo più alla forma che alla sostanza della vita comunitaria. Kyrie eleison.

2 - Gesù perdonaci se non riusciamo a condividere il nostro pane quotidiano con sorelle e fratelli come tu ci hai insegnato. Christe eleison.

3 - Signore pietà di noi perché ci rifugiamo nei beni materiali anziché nel tuo amore e misericordia. Kyrie eleison.

 

Preghiere dei Fedeli

Jason oggi riceverà la sua Prima Comunione, un importante passo nel suo cammino di fede e una tappa fondamentale nella vita di ogni cristiano, una promessa di salvezza che si rinnova ogni volta che scegliamo di venire alla tua mensa. Perché qualunque strada Jason si troverà a percorrere nel suo futuro, riesca sempre a riconoscere Gesù che cammina al suo fianco, sappia di poter contare in ogni momento su di te, e sul tuo esempio sia capace di scegliere la via dell'amore e della condivisione del pane di salvezza con i fratelli, per questo noi ti preghiamo.

Tra i tanti pensieri e le mille attività che affollano le nostre giornate, corriamo il rischio di non trovare il giusto spazio per te, e di accontentarci di un effimero appagamento dato dai beni materiali, salvo poi lasciarci sopraffare dalla sconsolazione, come i discepoli di Emmaus, quando pensiamo di non trovarti al nostro fianco nel momento del bisogno. Affinché possiamo, in ogni nostro giorno, ritagliarci un momento per affidarci a te, e ricordarci che tu sei la nostra unica vera salvezza, per questo noi ti preghiamo.  

La diffidenza dei discepoli di Emmaus nei confronti della tua resurrezione, Signore, rischiamo di farla nostra quando pensiamo di poter vivere senza affidarci a te, contando solo sulle nostre forze, o quando pensiamo solo al nostro tornaconto e non guardiamo ai bisogni dei fratelli. Signore, perchè riconosciamo te nell'altro che ci cammina a fianco per strada e che ignoriamo, troppo presi dal cellulare, nel collega di lavoro così diverso da noi, nel vicino di casa che a stento salutiamo, e ci impegniamo a guardare oltre le apparenze, per questo noi ti preghiamo.


Al termine dell'Eucaristia a Jason sono stati consegnati dai suoi catechisti: 

l'Atto di Prima Comunione, un fiore e l'Evangelo




Ecco i tre bambini che saranno battezzati domenica prossima:

Caterina

Arianna

Dario





Il Foglietto "La Resurrezione" della III Domenica di Pasqua

 


III Domenica di Pasqua - Lc 24,13-35

Non da soli, senza rimpianti, andando verso o cercando una sorgente che offra, dia calore (questo significa Emmaus), sostando ogni tanto per mettersi in ascolto dell'intera Scrittura che diventa quel pane spezzato da condividere che fa ardere il cuore. Per poi rimettersi subito in cammino ...


La domenica di Pasqua Giovanni ci ha raccontato l’incontro delle donne con il Risorto che va loro incontro; queste gli abbracciano i piedi a dire che lo riconoscono e sono disponibili di continuare ad essere alla sua sequela. Domenica scorsa è continuato il racconto di quella giornata inimmaginabile con Gesù che “viene e rimane” in mezzo ai discepoli riuniti annunciando loro che lo Shalom, la Presenza di Dio è tra di loro a donare riconciliazione e a renderli rappacificati in lui. Ma come sempre un dono ha anche il volto di un compito: andare a portare e a realizzare il progetto del Padre tra tutti gli uomini spazzando via la realtà del peccato, il vecchio modo di vivere legato alle seduzioni del potere personale.

Tommaso però era assente a quell’evento ed esprime il desiderio di viverlo. Questo accade “otto giorni dopo” quando anche lui è presente all’assemblea dei discepoli. Questa è una lieta notizia per noi: possiamo fare la medesima esperienza del Risorto che viene e sta in mezzo a noi, alle nostre comunità riunite e, con Tommaso, possiamo dire: “mio Signore e mio Dio!”.

 

In questa terza domenica di Pasqua Luca risponde alle domande che la sua Comunità si pone a circa sessanta anni dalla risurrezione di Gesù, domande che possono essere anche le nostre ed è per questo che, dei due discepoli che lasciano Gerusalemme “quello stesso giorno” (quello della risurrezione), uno solo ha il nome l’altro no: ci rappresenta tutti, in lui possiamo identificarci e con lui trovare le risposte.

Luca non ci dice perché hanno lasciato la città e si sono incamminati verso un’altra località; è inutile fare qualsiasi ipotesi. Quello che è importante è che sono in due e non sono fermi, statici, chiusi, ripiegati su sé stessi ma in cammino, in un atteggiamento dinamico. Nel fare il loro percorso, discutono animatamente (il verbo greco dice proprio questo) di quello che avevano vissuto cercando di rileggerlo, per trovare delle risposte alle loro domande, alle loro attese andate deluse: “noi speravamo che Gesù fosse colui che avrebbe liberato Israele…”. Sono delusi ma riprendono la strada e fanno memoria per cercare di raccogliere, facendone tesoro, l’eredità lasciata. Malachia (3,16) ha scritto: “Allora parlarono tra loro i timorati di Dio. Il Signore porse l’orecchio e li ascoltò” ed è proprio questo che accadde ai due discepoli.

Certo, oggi sappiamo che lo sconosciuto che si aggiunse ai due è Gesù e, in fin dei conti, anche noi lo sappiamo al nostro fianco nel quotidiano della nostra vita. Questo però non ci toglie la domanda su come possiamo riconoscerne la presenza. Il percorso che fanno i due discepoli ci mostra la strada per poterlo fare.

Ai due Gesù chiede di conoscere i contenuti della loro discussione e si capisce che parlano di lui come di un Messia politico dal quale si sentono delusi, quindi amareggiati. Con la sua domanda Gesù è riuscito a far venir fuori dal cuore dei due le ragioni del loro dolore, ma anche il fraintendimento nel quale erano caduti.

Stolti e lenti di cuore” parole forse dure ma sicuramente dette con dolcezza e spiega il motivo della loro confusione: hanno dimenticato di leggere gli eventi alla luce della Scrittura, si erano fermati alle logiche degli uomini. Certo, in nessun testo troviamo esplicitamente scritto che il “Messia avrebbe sofferto e sarebbe risorto il terzo giorno” ma questo è la logica delle Scritture che va rintracciata in quella harizah che Gesù espone loro, cioè una catena di brani scelti tra le Scritture quasi come una collana formata da pietre preziose (i versetti biblici) che, per essere unite le une alle altre, devono essere “perforate”; è necessario cioè “scrutare” ogni Parola alla luce della tradizione della fede per percepirne il senso profondo.

I due comprendono ed apprezzano quanto lo straniero ha loro detto, ma è una adesione ancora solo intellettuale, senza crederci fino in fondo. Se siamo sinceri dobbiamo riconoscerci nella loro situazione. 

Ma poi, durante la cena, c’è il “riconoscimento” nella “frazione del pane”: “allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero, ma egli diventò loro invisibile” cioè non “sparì” ma cambiò le modalità della sua presenza, perché aveva accolto il loro invito a fermarsi “per restare con loro”, come la scorsa settimana “veniva e stava” tra i discepoli. Cristo oramai è presente nel corpo e nel cuore dei discepoli, diventando quel “fuoco” che ardeva in loro quando “ci parlava per via e ci apriva le scritture”. A questo punto si rimettono in cammino per tornare a Gerusalemme e raccontare agli undici e ai discepoli radunati quanto era loro accaduto e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

 

Questo Evangelo è un breve trattato di teologia narrativa che ci dice come sperimentare nella nostra vita la presenza del Risorto. Innanzitutto senza disarmare per le delusioni o le difficoltà, stando in cammino ma non da soli, l’importante è essere anche solo nella forma della più piccola comunità (in due). Andando verso o cercando una sorgente che offra, dia calore (questo significa Emmaus), sostando ogni tanto per mettersi in ascolto della Parola di Dio, conversando (è questo il termine usato da Luca) tenendo conto di tutta la Scrittura, per esprimerne l’unità ed è questa che diventa quel pane spezzato da condividere che fa ardere il cuore. Per poi rimettersi subito in cammino verso la città dove siamo nati (secondo il Salmo 85,7 in Gerusalemme, la città dello Shalom dove tutti siamo nati) con la nostra vita riassunta ed illuminata alla luce di Cristo che si fa riconoscere come colui che ci accompagna in ogni momento della nostra esistenza.

(BiGio)

 

 

 

III di Pasqua: Gesù, uno straniero che ci fa tornare a casa

I due di Emmaus prendono il Risorto per uno «forestiero». Socialmente è una persona che non aveva uno status, era senza diritti, protezioni e garanzie: un rifiutato, come avviene oggi. Ma quel Gesù trattato come uno «forestiero», perché apre un nuovo futuro, diventa anche un atto di accusa nei confronti del nostro mondo.

Da Gerusalemme ad Emmaus: dalla speranza alla delusione: «Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele…». I due discepoli avevano investito tutto in quel «profeta potente in opere e in parole». Invece si ritorna a casa, alla vita di prima. Sembra di leggere la storia di tante vite, anche oggi: hai sognato, hai investito tanto, hai lottato. È chiuso: torniamo a casa, tiriamo i remi in barca. Disillusioni.

Che discorsi! Luca annota il molto parlare: «Conversavano…discutevano…questi discorsi ». I verbi greci parlano di monologhi, di superficiali ricerche e di parole gettate contro. Mi chiedo quante delle nostre parole sono così. E a ragione Gesù potrebbe chiamare anche noi, come quei discepoli, «stolti e lenti di cuore». La superficialità e la lentezza chiudono gli occhi: «I loro occhi erano impediti a riconoscerlo». Per grazia, Gesù risorto, «da forestiero» si affianca al nostro cammino. E questo mistero che ci sorprende: quando non vediamo, Lui c'è, come c'era lungo quella strada buia ed isolata. Quando poi lo riconosciamo e vorremmo trattenerlo, catturarlo nei nostri pensieri, nelle nostre definizioni, nelle nostre «stanze», scompare.

Ma allora ci chiediamo: quali sono i momenti della invisibilità di Cristo che corrispondono paradossalmente alla sua presenza in mezzo a noi? Luca risponde indicando innanzitutto il momento delle Sacre Scritture. Qui sta la differenza. Le parole di Cleopa e del suo compagno di viaggio erano parole che non concludevano, erano cronaca. Senza la parola di Dio si fa cronaca. Con la parola di Dio si compiono operazioni di saggezza, di senso: è come se sulle vicende della vita si proiettasse la sapienza della Croce: là dove sembrava annullata la speranza è germogliata una cosa nuova. Allora si può ricostruire la speranza ascoltando il Signore Gesù che ci parla nelle Scritture e che spezza il pane con noi e, spezzandolo, ci invita a fare altrettanto: a essere, comunque, nonostante le smentite, un pane buono e spezzato.

La spontanea reazione dei due discepoli, dopo aver riconosciuto Gesù risorto dai morti, è la decisione di ritornare immediatamente a Gerusalemme, alla comunità che avevano abbandonato. Frutto della risurrezione è la comunione fraterna, perché l'amore più forte della morte lo viviamo innanzitutto nelle nostre relazioni quotidiane. Il reale luogo della fraternità impedisce la riduzione della fede a una dottrina, a una conoscenza, a una morale, che non sanno portare le ferite dell'uomo così come le porta il Risorto. In Lui ciò che ci unisce è sempre infinitamente di più di quello che umanamente ci distingue e ci divide. Per questo ci attira alla fraternità.

I due di Emmaus prendono il Risorto per uno «forestiero». Socialmente è una persona che non aveva uno status, era senza diritti, protezioni e garanzie: un rifiutato, come avviene oggi. Essi riflettono su di Lui il loro disadattamento: si sono resi stranieri alla promessa. Cleopa fa un lungo resoconto scettico, che esprime tutta la loro delusione, il dubbio, il vuoto che li ha presi: «Ciò che riguarda Gesù… noi speravamo… con tutto ciò sono passati tre giorni…». Gesù sarà sempre uno straniero senza permesso di soggiornano nelle nostre chiese se vi si vive la delusione e l’incomprensione di chi lo attende a premiare i buoni e castigare i cattivi.

Infatti i Vangeli ci narrano che Gesù si manifesta ai suoi discepoli proprio quando non si comportano da credenti: quando sono a porte chiuse, quando ritornano delusi a casa come i due di Emmaus, quando ritornano rassegnati al precedente lavoro della pesca. Per mostrare che Lui viene per tutti: «cattivi e buoni». Il Risorto non viene a stabilire ambiti religiosi della sua presenza. In fin dei conti la risurrezione dei morti è la dimensione più "laica" che si possa pensare, per quanto solo Dio possa farla vivere. Infatti la risurrezione "realizza" l'uomo in pienezza. Attraverso di essa, Dio dà spazio divino all'uomo, come aveva fatto nella creazione. La risurrezione è un atto di culto, di venerazione che Dio compie nei confronti dell'uomo, donandogli la sua stessa vita e la sua stessa eternità.

Ma quel Gesù trattato come uno «forestiero», perché apre un nuovo futuro, diventa anche un atto di accusa nei confronti del nostro mondo. Infatti la nostra società sta negando qualsiasi futuro, perché sta inquinando il mondo così da rovinarlo irreparabilmente. E sta vivendo solo di presente: immediato e superficiale. Come comprare una cosa on line e averla subito.

Il futuro comporta integrare nuove componenti, essere disponibili al cambiamento, mettere in discussione le proprie lobby di potere, entrare in dinamiche più complesse e meno governabili. Quel «forestiero» Gesù, che cerca futuro donando futuro, è meglio respingerlo, sul suo barcone, in Libia. 

(Alberto Vianello)