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Nello Scavo alla Cita racconta ....

Di ritorno da Bihac (Bosnia-Erzegovia) Nello Scavo (sotto scorta perché minacciato per i suoi reportage di denuncia sulle rotte dei migranti sia quelle dei balcani, sia quelle dalle Libia), si è fermato alla Cita e don Nandino ha colto l'occasione per "intervistarlo". 

Oltre al link per poter ascoltare quanto ha detto, pubblichiamo anche l'incipit e il relativo link di un suo articolo su quanto ha visto su Avvenire in data 30 ottobre.


https://www.youtube.com/watch?v=WW5ZGFa1u_4

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Migranti. Dove la rotta balcanica è diventato un cimitero

di Nello Scavo (Avvenire 30 ottobre)

A mezzogiorno in punti il poliziotto afgano raduna il gruppo con il piglio di chi non ha dimenticato come si danno gli ordini. Il disertore si fa precedere da un meditato silenzio. Poi il ragazzo che guida le preghiere si alza in piedi. Comincia salmodiando, infine implora "il Misericordioso di farci arrivare insieme, tutti salvi". E di tenere alla larga le spranghe dei poliziotto croati.

Se non torneranno indietro, non vuol dire che ce l’avranno fatta. A ricordarglielo è il luogo scelto per la partenza: Merzarje, il cimitero sulla collinetta, lungo la strada che conduce al confine Nord. Ai piedi dei ceppi verdi sono sepolti gli "NN", i caduti senza nome della rotta balcanica..... 

Continua su questo link:

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/rotta-balcanica-nel-cimitero-dei-caduti-senza-nome



XXXI Domenica PA – Mc 12.28-34

 Una Parola consegnataci da ritradurre nel nostro oggi attraverso il dono della propria vita. Questo ci è chiesto sia il fondamento dal quale far "pendere" ogni nostra azione

 

Domenica scorsa si è concluso l’itinerario che la liturgia attraverso Marco ci ha fatto fare dall’inizio di quest’anno liturgico prima presentandoci Gesù di Nazareth uomo e Dio, figlio dell’uomo e figlio di Dio e, poi, le esigenze della sequela e il come seguirlo. L’episodio di domenica scorsa, quello dell’incontro tra Bartimeo e Gesù, era la sintesi del percorso tipo di coloro che desiderano seguire il Signore, a partire dall’incontro personale con lui. Questo è quell’itinerario preparato per molti di cui parla Gesù, che consente a molti (cioè a tutti secondo la parola delle Scritture Ebraiche) di stare già da ora alla destra di Dio. La sequela, cioè, è una possibilità concreta per tutti, credenti o meno, persino per coloro che sono esclusi dalla società, che sono spinti e lasciati ai suoi margini. Lo è perché tutti, in un momento della loro vita, possono incontrare il Signore, percepire la possibilità di un rapporto tu-per-tu, personale e “singolare”, sentirsi accolto, al centro della sua attenzione e poter così esprimere la propria sofferenza, i propri desideri, chiedendo con fiducia l’aiuto per poterne uscire; venire e sentirsi riconosciuti da quel Signore ed iniziare, senza tentennamenti, a seguirlo.

Queste tre domeniche che ci conducono alla festa di Cristo Re, sintesi del cammino percorso, ci indicano che tutti abbiamo due possibilità: vivere la parola dell’amore di Dio e del prossimo, oppure quella della chiusura nel “fariseismo”. Tra queste due possibilità Marco ci prospetterà l’inedito della venuta definitiva del Signore.

Nell’Evangelo di oggi c’è un confronto tra Maestri, uno dei tanti che anche oggi sono il sale della ricerca della volontà di Dio tra i credenti. Chi ha avuto occasione di seguirne anche uno solo in una scuola talmudica odierna, sa quale ricchezza contiene. Qui è tra Gesù e uno Scriba che lo avvicina chiedendogli qual è il primo dei comandamenti o, più precisamente, qual è la Mitzwot, il “precetto” che tra i 613 fonda e dal quale dipendono tutti gli altri. Noi cristiani in genere ne diamo una lettura negativa ma, in realtà, queste hanno lo scopo di aiutare il credente a mettersi in ogni momento della sua giornata in “comunicazione” con il Signore, per realizzare la sua volontà nel quotidiano (il termine mitzwot viene da una radice ebraica che significa appunto mettere in rapporto, in comunicazione due realtà).

Era questo un dibattito nel periodo nel quale è vissuto Gesù, ma che ha una sua valenza anche oggi. La domanda che qui ci viene posta è su cosa noi oggi fondiamo la nostra vita, quale è il valore principale dal quale dipendono tutte le nostre azioni. Facilmente, se ci viene posta questa domanda, rimaniamo sorpresi, il porci questo interrogativo sconcerta e la risposta, almeno in prima battuta, incerta. Ma è una questione fondamentale e fondante in ogni vita.

Gesù risponde: Il primo è: Ascolta Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: amerai il tuo prossimo come te stesso” e, poi, aggiunge: “Non c’è altro comandamento più grande di questi”.

Lo Scriba ha chiesto un comandamento, Gesù risponde proponendone due, affermando che sono una cosa sola. Se abbiamo seguito il cammino che ci ha proposto Marco, la cosa non dovrebbe sorprenderci più di tanto: possiamo amare l’uomo e, senza saperlo, amando lui avere a che fare con Dio; possiamo amare Dio e, senza saperlo, incontrare un Dio che ci provoca ad amare uomini fino in fondo. Sono due facce della medesima medaglia: prima di tutto ascolta” (un presente imperativo), se ascolterai amerai” (un futuro). Vale a dire che amare apre al futuro all'interno di una relazione e, questo, presuppone l’ascolto dell'altro. Non per nulla l'amare il Signore” è prima di tutto "ascoltarlo" (Deut 6,4).

La capacità prima dell’amare è dunque l’ascoltare. Se ami sei segno efficace della presenza di Dio nel mondo, facendo incontrare il Signore con la storia che gli uomini sono chiamati a vivere in questo mondo che è il suo mondo.

Dopo che Gesù ha risposto, accade che lo Scriba ripete quello che il Signore ha detto con parole proprie, usando la propria sensibilità. Vale a dire che anche noi abbiamo la possibilità e il compito di ridire la Parola del Signore “traducendole” nei linguaggi e nella sensibilità degli uomini di oggi. È il ripetersi delle lingue il giorno di Pentecoste.

Vedendo che gli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: Non sei lontano dal regno di Dio”. Ma quella dello Scriba non era una risposta e non poteva esserlo perché Gesù non gli aveva fatto alcuna domanda. 

Marco ci vuole dire che, mentre noi interroghiamo il Signore e lui ci risponde chiedendoci di riproporre le sue parole così come ne siamo capaci, contemporaneamente lui le riconferma quando le ridiciamo con il linguaggio concreto dell’amore che lui ci ha insegnato.

Lo Scriba aveva aggiunto alle parole di Gesù un’osservazione: amare l’Unico e il prossimo come sé stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici” e, questo, riceve il “sigillo” dal Signore: “Non sei lontano dal Regno di Dio”.

All’inizio della sua missione Gesù proclamava: “Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”, in altre parole: “Il Regno di Dio è già qui tra di voi, cambiate modo di pensare, di vivere e vi accorgerete che è vero: credeteci! È questa la buona notizia che sono venuto a portarvi”. Allora quel “Non sei lontano dal Regno di Dio” è il riconoscimento che lo Scriba ha compiuto quel cammino richiesto per accorgersi che il Regno di Dio è già presente tra di noi. Ha compreso che l’amore per Dio e l’amore per il prossimo abolisce tutti i sacrifici e tutti gli olocausti, perché l’unico sacrificio e l’unico olocausto è il dono della propria vita nella fatica nella fedeltà dell’amore, nella fatica nella fedeltà ad una Parola che c’è stata consegnata, che abbiamo la possibilità di ripetere, di tradurre per le persone che incontriamo quale che sia il loro volto, anche il volto dei ciechi, degli zoppi, e dei sordi, degli emarginati, degli immigrati di oggi e di tutti i tempi. Questo in attesa di comprendere cosa sia quel “tutto” che sarà al centro dell’Evangelo di domenica prossima.

(BiGio)

Con tutto il cuore, l'anima, le forze, la mente


Dall'ascolto alla conoscenza verso una vita nell'amore per l'altro



Marco elenca 7 discussioni, quella di oggi è la quinta che propone un dibattito teologico molto diffuso, mai concluso e non era una questione oziosa perché cercava di capire quale era, tra i 613 precetti derivati dal Decalogo, quello che è il principio dal quale “pendono” (è questo il verbo usato da Marco) tutti gli altri. Alcuni rabbini dicevano che era il rispetto del sabato perché lo rispetta anche Dio; altri dicevano che era il non avere altri dei; Hillel riassumeva tutto nel “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”; Akiva nel detto “ama il prossimo tuo come te stesso, questo è il grande principio della Torah”.

Gesù nella sua risposta non parte dal Decalogo ma dal “Credo” di Israele (Dt 6,4ss): “Ascolta Israele”. Ascoltare significa aprirsi all’altro e ospitare in sé stessi la sua presenza fondando un legame, una relazione con la quale l’io esce dal suo isolamento e vive con l’altro. Significa lasciare che Dio entri nella nostra vita e ci trasformi. Gesù indica un percorso: l’ascolto conduce alla conoscenza che propone di vivere l’amore. Tre volte in questo testo ricorre il nome del Dio di Israele che in tutta la storia ha dimostrato di amare il suo popolo: è lui che si deve ascoltare, non altri dei. È lui che ha liberato Israele dall’Egitto e ora propone al credente di fare anche lui un percorso di liberazione dal suo io e guardare all’altro, alla sua realtà da accogliere e accompagnare.

È necessario ascoltarlo:

Con tutto il cuore che era considerato il centro di tutte le scelte e se qui c’è l’ascolto di Dio, le azioni non potranno che essere in sintonia con i suoi disegni

Con tutta l’animacioè con tutta la tua vita che deve essere spesa per realizzare la volontà del Signore

Con tutte le forzecon tutto ciò che tu possiedi, con tutti i doni che hai ricevuto dal Signore

Con tutta la mentecon tutte le tue capacità intellettuali, con lo studio perché quello che si fa deve essere coscientemente ragionato, per evitare credulonerie, superstizioni, pratiche devozionali, amuleti

Amerai il tuo prossimo come te stesso è la sintesi che Gesù fa del capitolo 19 del Levitico dove il contesto è quello della raccomandazione di non raccogliere tutto il grano e l’uva ma di lasciarne ai bordi che i poveri possano prenderne. Questo perché amare significa prendere posizione in favore della vita, del fratello, del prossimo, del povero. La domanda che Gesù invita qui a porsi è: quello che faccio fa vivere, dona vita al fratello o pure no? anche nel linguaggio: la mia è una parola che aiuta, apre alla speranza oppure toglie il sorriso? 

Il Signore ci ama, ma non possiamo far tornare il suo amore direttamente a lui se non nell’amare gli uomini che lui ama. Della pratica religiosa senza l’amore e la giustizia Dio non sa cosa farsene e, nell'affermarlo, lo Scriba fa riferimento a Prv 21,3 “Praticare la giustizia e l’equità, per il Signore vale più di un sacrificio”e a Osea 6,6 “Voglio l’amore non il sacrificio”.

(BiGio)

Il "comandamento" dell'amare Dio e il prossimo

 Il comandamento non è un ordine, ma la rivelazione di una possibilità

Non è un "tu devi" ma un "tu puoi"

Che l’amore poi sia comandato non stupisce, se si pensa che per la Scrittura Colui che comanda l’amore è anche Colui in cui risiede la fonte della salvezzaPer l’uomo biblico, il comandamento di Dio non è mai inteso in senso legalistico, ma nello spazio del dono e dell’amore. Come l’amato gioisce nel fare la volontà dell’amante, così il figlio d’Israele trova la sua gioia nel compiere la volontà di Dio. “Ricompensa per un comandamento è un altro comandamento” recita un detto rabbinico. E chi mai può comandare l’amore se non colui che ama? Se non l’amante? Così l’esperienza di essere amati da Dio è alla base del comando di amare sia Dio che il prossimo. Ed è fondamento della possibilità da parte dell’essere umano di adempierlo. “Solo l’anima amata da Dio può accogliere il comandamento dell’amore del prossimo fino a dargli compimento. Dio deve essersi rivolto all’uomo prima che l’uomo possa convertirsi alla volontà di Dio” (Franz Rosenzweig).

Il comandamento poi non è solo “ordine”, ma anche rivelazione di una possibilità. Il comandamento dice “tu devi”, ma dice anche e prioritariamente “tu puoi”. Anzi, si basa sul “tu puoi”. Il comandamento diviene così luce sulla via dell’uomo, diviene offerta di senso e di vita fatta da chi crede alla capacità dell’uomo di metterlo in pratica e di trovarvi la propria gioia. Il comandamento è attestazione di fiducia di Dio nei confronti dell’uomo. Dio crede nell’uomo e nella sua capacità di amare, tanto che il comando suona anche come promessa: il testo evangelico, presentando il comando (Mc 12,28) di amare, lo formula come una promessa: “Tu amerai”. L’obbedienza al comando diviene ciò che plasma il cuore dell’uomo rendendolo più simile al cuore di Dio. Somiglianza che risiede nell’amare. Tu amerai: ovvero, tutto ciò che fai fallo per amore, agisci per amore, persegui l’amore. Tu amerai: ovvero, il tuo vero “tu” è il “tu” che ama. Tu amerai: ovvero, non scoraggiarti, perché l’amore che ora non vedi in te, il Signore potrà donartelo come grazia nel momento che tu non sai.

(Luciano Manicardi)

Il Foglietto "La Resurrezione" di Domenica 31 ottobre



 

Piccola Rassegna Stampa: una selezione di temi .... (9 segnalazioni)

Questa piccola "Rassegna Stampafatta di indicazioni di articoli (con relativo link) su temi che si ritengono interessanti per le attenzioni spesso sollecitate nella nostra Comunità, o per situazioni importanti ma non molto presenti nei media. 


Un breve sommarietto ne anticipano il contenuto così si può scegliere quello che eventualmente interessa. In ogni caso anche solo la titolazione e il sommarietto offrono una informazione.




Questa edizione è divisa in blocchi ordinati:

 

·   4 articoli di Spiritualità

·   2 articoli su Israele e l’oltraggio alle tombe dei palestinesi

·   1 articolo sul pericolo dello Squid Game

·   1 articolo sulla tensione nei Balcani

·   1 articolo sul pasticcio delle trivelle italiane 

 

 

 

La pluralità delle fedi richiede dialogo e scambio di doni

di Filippo Binini

Nel prossimo sinodo della Chiesa italiana sarà utile non trascurare un mutamento decisivo nel panorama religioso del nostro Paese, ovvero il passaggio – per usare un’efficace espressione di Brunetto Salvarani – «dalla religione degli italiani all’Italia delle religioni». Si tratta di prendere atto non di un cambiamento in divenire, ma in gran parte già avvenuto, che inevitabilmente ridefinisce il campo d’azione della Chiesa cattolica nel nostro Paese, soprattutto in ambito pastorale.

https://www.viandanti.org/website/

 

 

La nostra sete di Dio

Di Emanuele Borsotti

Nel Crocefisso incontriamo Dio nella sua sete, ma, al contempo, il Dio di Gesù Cristo si lascia incontrare nella nostra sete. “Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita” (Ap22,17). 

È l’Assetato che ci disseta. A noi - spinti dal bisogno che ci abita, segno del limite e, al contempo, di quel desiderio che ci portiamo dentro, di quel desiderio che noi siamo - è chiesto soltanto di presentargli il nostro desiderio, la nostra sete, e poi di lasciarlo entrare nei nostri desideri interiori, che invocano quell’acqua che disseta. 

https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2021/10/emanuele-borsotti-la-nostra-sete-di-dio.html

 

 

Cielo e terra che cosa sono e perché te ne ricordi?

Piero Stefani

Quando succede un incidente o una disgrazia accorre gente; alcuni lo fanno per prestare soccorso, altri per guardare. Non bisogna essere grandi studiosi per cogliere i meccanismi psicologici che inducono certuni a sostare e altri a deprecare quel tipo di presenza. Se si tratta di un evento particolarmente tragico il pellegrinaggio e le critiche si prolungheranno nei giorni successivi. Le cose stanno invece molto diversamente se la catastrofe è remota; in questo caso morti e feriti cessano di avere rilevanza.

https://ilregno.it/attualita/2021/18/cielo-e-terra-piero-stefani

 

 

Il cuore meticcio del Cristianesimo 

i Tomaso Montanari in il Venerdì del 29 ottobre 2021 (la Repubblica)

lL propaggini italiane del culto efesino si trovano ad avere oggi un altro, imprevisto significato: in un Paese in cui la Vergine, con il suo rosario, è usata come un'arma da chi nasconde il razzismo dietro la retorica dell'identità, queste Madonne nere ci insegnano che il culto cristiano è meticcio fin dagli albori. E che Dio è nero almeno quanto è bianco.

 

 

Israele oltraggio ai palestinesi 

di Giordano Stabile in La Stampa del 28 ottobre 2021

«Ci sbattono fuori dalle nostre case, e adesso vogliono portaci via persino i nostri morti», è il grido di rabbia degli abitanti arabi della Città Santa. Le ruspe divelgono le sepolture e proseguono con la costruzione di un «percorso e parco biblico» alle porte di Gerusalemme Est.

 

 

Lo scrittore Gavron: "Quelle lapidi divelte segno dell'insensibilità verso i musulmani"

intervista a Assaf Gavron a cura di Fabiana Magrì in La Stampa del 28 ottobre 2021

L'intellettuale progressista israeliano commenta la levata di scudi internazionale contro l'approvazione, da parte di Israele, della costruzione di 3 mila nuove case nelle colonie ebraiche in Cisgiordania: passo sbagliato, ma Bennett è pur sempre meglio di Netanyahu.

 

 

Dopo videogiochi, DaD, Instagram e smartphone poteva mancare il panico morale verso Squid Game?
I videogiochi, la DaD, Instagram, lo smartphone con tutto l’armamentario digitale e ora le serie tv come Squid Game: le nuove generazioni non hanno scampo e stanno andando verso l’autodistruzione! Alcuni esperti di salute mentale hanno intrapreso la missione di salvarle attraverso la disconnessione. Non importa se le missioni precedenti di questi esperti abbiano avuto successo, quello che conta è tenere alto l’allarme, sollecitare le paure e continuare la tremenda narrazione. Si tratta di “una narrazione apocalittica in cui i media digitali sono considerati la causa di tutte le sciagure psicologiche, sociali e culturali”, secondo la descrizione della semplificazione del discorso pubblico sui media digitali fornita nel recente volume 'Psicologia sociale dei media digitali'. Eppure, ci sarebbero tanti spunti di approfondimento da cogliere sul comportamento individuale e sociale anche in una serie tv.

 

 

Le tensioni nei Balcani e il fantasma della ‘Grande Serbia’ di Milošević

A settembre il vetro che avvolge la fragile stabilità nei Balcani occidentali ha subìto nuove e pericolose incrinature che hanno elevato la soglia di attenzione in tutta la regione. La prima crepa ha iniziato a delinearsi durante i primi giorni del mese in occasione della nomina del nuovo metropolita della chiesa ortodossa serba in Montenegro. La seconda si è riaperta nella seconda metà di settembre in Kosovo, dove il governo ha imposto a chi entra nel proprio territorio con un veicolo immatricolato in Serbia di utilizzare una targa automobilistica provvisoria kosovara. A queste si somma una terza crepa che non ha mai smesso di allargarsi sin dagli accordi di Dayton del 1995 che hanno definito l’attuale composizione amministrativa della Bosnia-Erzegovina: si tratta dell’ennesima minaccia di secessione delle autorità politiche della Republika Srpska, una delle due entità (a maggioranza serba) in cui è diviso lo Stato balcanico. Ma andiamo per gradi e vediamo nel dettaglio cosa sta succedendo in questi paesi

 

 

Il pasticcio all’italiana delle trivelle sospese ma anche no

Il blablabla di Greta Thunberg alla Youth4Climate di Milano di fine settembre è già diventato una maglietta e più in generale ha inondato, e inonderà, i discorsi attorno alla Cop26 che si terrà a novembre a Glasgow. L’attivista svedese ha avuto il merito di sintetizzare in maniera efficace gli impegni della politica attorno all’annoso tema del cambiamento climatico: annunci, appunto, che restano tali mentre il pianeta continua a collassare. Che l’accusa di Greta Thunberg sia stata lanciata in Italia è un fatto ancora più significativo perché, nell’era della crisi climatica, il nostro paese è ancora invischiato in un dibattito sulle trivelle che appare davvero fuori tempo massimo. Potremmo chiamarlo “il caso PiTESAI”: è lo strano strumento previsto dalla politica per cercare di regolamentare le attività delle aziende fossili, tra le principali responsabili del riscaldamento globale. Serve una exit strategy dalla triade carbone petrolio e gas, con date certe sulla dismissione e un piano di riconversione, così come indicato dall’ultimo report dell’IPCC e dall’Agenzia Internazionale dell’Energia? Il nostro paese, da quasi tre anni, è invece incagliato in un dibattito  che sembra volersi appellare alla sospensione dell’incredulità: trivelliamo, anzi no, anzi forse, solo fino a un determinato periodo di tempo che però non indichiamo.

 

 

 

Anche a Mestre apre una "Portineria di Quartiere"

Già diffusa in altre città (una di Milano nella foto) apre anche a Mestre in via Piave. Una è già attiva a S. Trovato a Venezia. Spesa, lavori a casa e socialità sono i suoi compiti.


In Comune di Venezia, a differenza di altre città, sono rari i palazzi che hanno una portineria presidiata che svolge compiti di accoglienza, fornisce informazioni, si occupa della manutenzione generale, svolge piccoli servizi ai residenti. Mutuando questa esperienza, da tempo anche in diverse città italiane (Milano, Torino, Genova, Bari, ...) sono sorte le "Portinerie di Quartiere".

Nate a Parigi con lo scopo di rinvigorire le relazioni di vicinato, si sono presto diffuse in Europa. L'obiettivo è offrire un aiuto per i piccolo e i grandi problemi quotidiani, condividendo competenze e incontrando i vicini. Grazie alla partecipazione attiva della comunità, si cerca di costruire un micro-welfare che possa migliorare la qualità della vita nel quartiere, offrendo possibilità di  incontri ed altre opportunità. Non si propongono un ritorno economico, ma soddisfare le necessità dei concittadini nella solidarietà civica.

La proprietà di un negozio chiuso da tempo, ha deciso di darlo in comodato d'uso gratuito al primo di questi progetti di "Portineria di Quartiere" in via Piave a Mestre dove ci saranno attrezzi per le piccole manutenzioni di casa da prendere in prestito, una libreria piena di volumi che aspettano solo di essere letti, una reception dove chiedere aiuto per compilare documenti o per farsi dare una mano con le spese e le medicine da acquistare o anche solo scambiare due parole e sentirsi meno soli. 

Il progetto pilota è sostenuto dal "Centro Servizi per il Volontariato" e al quale fanno riferimento un lungo elenco di realtà e associazioni della zona. La Portineria sarà aperta dal lunedì al giovedì dalle 10 alle 12, dalle 16 alle 18 e il venerdì la mattina. Le proposte per farla crescere sono già tante tra le quali quella di far diventare il cortile da parcheggio parte in un orto e l'altra in un giardino con tanto di Garden Club. 

Le «Portinerie» hanno trovato anche il sostegno di Leroy Merlin: gli attrezzi a disposizione delle piccole manutenzioni vengono da lì come l’aiuto materiale al restyling del negozio sfitto. 


l'appuntamento della Giornata del dialogo islamico-cristiano: presentata la neonata Associazione



Per una città della fratellanza“Ci unisce già un dialogo intenso, affettuoso tra le due fedi principali qui a Venezia e proprio oggi Giornata del dialogo islamico-cristiano, nasce oggi l’Associazione Fraternità islamico-cristiana di Venezia”. Sadmir Aliovsky, della comunità islamica ha dato voce alla gioia ben visibile stamattina su tutti i presenti in campo ai Frari. Era stata la presidente della neonata realtà locale di incontro interreligioso Angela Soldà a dare il benvenuto ai frati francescani della Basilica dei Frari, ai due imam di Venezia e ai numerosi presenti, tra cui veneziani e turisti attratti dagli abiti diversi dei religiosi musulmani e cristiani.

"È straordinario anche oggi ancora oggi dopo ottocento anni, come San Francesco, uomo del XIII secolo, avesse intuito l’esigenza di una necessità insostituibile, l’incontro, l’accoglienza, il dialogo e la convivenza”. Fra Giorgio Laggioni ha ricordato tutta l’attualità dello storico incontro tra Francesco d’Assisi e il Sultano al-Kamil a Damietta (Egitto) nel 1219, durante la Quinta Crociata. Per Francesco, con uno spirito impensabile a quei tempi, nel Sultano non c’era un nemico ma un fratello da conoscere e ascoltare. Oggi siamo chiamati ad ispirarci alla stessa passione per la fratellanza universale che ci fa tutti fratelli e sorelle “mentre viviamo tempi di forte rimescolamento delle etnie, delle culture e delle religioni”.

Anche quest’anno Venezia ha risposto significativamente all’Appello nazionale per celebrare questa Giornata del dialogo islamico-cristiano e la splendida cornice del campo dei Frari ne ha immortalato le foto più belle. Ma soprattutto è stata offerta alla città la concreta esperienza di un gruppo permanente di incontro, studio e preghiera aperto alla partecipazione di sempre nuove persone, che all’indifferenza e al fastidio per l’altro hanno sostituito la passione per la fraternità che ci unisce. 

 



A chi interessa il golpe in Sudan? e la democrazia non c’entra nulla ...

Una interessante e chiarificatrice nota su Limes di quanto sta accadendo in Sudan


In Sudan è in corso un colpo di Stato militare.
 Il primo ministro Abdalla Hamdok e i titolari di alcuni dicasteri sono stati arrestati; il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio sovrano del Sudan, ha annunciato lo scioglimento del governo e imposto lo stato di emergenza in tutto il paese. Al-Burhan ha sciolto lo stesso Consiglio sovrano.

Il protagonismo delle Forze Armate nel paese africano non è una novità. Lo stesso governo civile di Hamdok è il frutto di un compromesso con i militari che nella primavera 2019 hanno rovesciato il generale Omar al-Bashir, a sua volta arrivato al potere con un golpe nel 1989. La parvenza di democrazia degli ultimi anni non va confusa per una cessione di potere da parte dell’apparato securitario, che non c’è stata e non ci sarà.

La geografia colloca il Sudan al centro di numerose questioni geopolitiche regionali e mondiali. A cominciare dai rapporti con i due pesi massimi africani confinanti, Egitto ed Etiopia; un trittico unito dal Nilo e diviso dalla Grande diga del rinascimento etiope, una relazione in cui si innestano eredità coloniali, territori contesi e sostegni incrociati a guerriglie antigovernative. Proseguendo con il ruolo di Khartum nei traffici di esseri umani e beni verso l’Europa e verso la (guerra di) Libia.

Decisivo è il suo affaccio sul Mar Rosso, dunque nel corridoio che collega il Mediterraneo all’Oceano Indiano e all’Asia-Pacifico. Di fronte alle coste di uno degli alleati più preziosi e fragili degli Stati Uniti in Medio Oriente, ossia l’Arabia Saudita. La collocazione costiera motiva il crescente interesse di Russia, Cina e Turchia. Mosca conta di installarvi la sua prima base navale nel continente dai tempi dell’Urss (il Sudan, dopo aver siglato l’accordo, l’ha di fatto congelato), Pechino vi ha costruito un porto funzionale alle nuove vie della seta, Ankara vi vede uno snodo cruciale per arrivare agli Oceani.

Con l’indipendenza del Sud Sudan – 9 luglio 2011 – Khartum ha perso circa il 30% del territorio e oltre il 70% della rendita petrolifera. Ciò ha costretto il governo, già ai tempi di al-Bashir, a rivedere la propria agenda geopolitica alla luce delle necessità di bilancio. Esempio più lampante di questo sviluppo è la rottura dei rapporti con l’Iran a favore dei suoi ricchi rivali regionali sauditi ed emiratini, con tanto di partecipazione di truppe sudanesi alla guerra in Yemen contro le milizie huthi sostenute da Teheran.

Nei due anni e mezzo passati dal rovesciamento di al-Bashir, Khartum ha avuto modo di riposizionarsi ulteriormente. La novità più importante è il disgelo con gli Stati Uniti, che hanno rimosso il Sudan dalla lista degli sponsor del terrorismo, ridotto le sanzioni e permesso al paese africano di accedere ai fondamentali finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale. Corollario del riavvicinamento a Washington, il Sudan ha siglato gli accordi di Abramo per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele. L’inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa Jeffrey Feltman sabato e domenica era in Sudan. Ha incontrato i leader civili e i leader militari che poche ore dopo avrebbero arrestato quelli civili.

(Niccolò Locatelli)

Tre notizie brevi

Dati conosciuti nella loro grandezza.

Dal 2000 al 2020 sono, per difetto, 2210 i procedimenti giudiziari per far rientrare in Italia minori sottratti a un genitore e portati all'estero in violazione al diritto di affidamento: uno ogni 3 giorni. Sono 64 i paesi verso i quali l'Italia ha fatto istanza di ritorno di un minore.

Dal 2010 al 2020 su 1773 minori sottratti (157 nel solo 2020) solo 435 sono rientrati in Italia. Tutti gli altri casi sono stati archiviati.

 

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Haiti. 

Gli ospedali hanno terminato il gasolio per i generatori: sale operatorie bloccate, pazienti a rischio. I camionisti hanno troppa paura di viaggiare per l’ondata di sequestri nell'intero paese.

 

 

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Ha lasciato morire una bambina Yazidikita di sete in Iraq

Jennifer Wenisch, tedesca affiliata all’Isis, è stata condannata ieri in Germania a dieci anni di carcere. Una sentenza particolarmente importante perché giudica colpevole di crimini contro l’umanità una persona che ha compiuto il reato all’estero.          
La donna,che oggi ha 30 anni, aveva aderito all’organizzazione terrorista nel 2013. Due anni dopo, a Falluja, in Iraq, non aveva fatto obiezioni quando il marito, Taha Al-Jumailly, anche lui militante dello Stato islamico, aveva acquistato la creatura per usarla come schiava e poi l’aveva incatenata nel cortile della loro abitazione, sotto il sole, lasciandola morire di sete soltanto perché aveva bagnato il materasso.              
Il processo era iniziato nel 2019 a Monaco di Baviera. Ieri il giudice Joachim Baier ha condannato la donna per appoggio a un gruppo terroristico, concorso in tentato omicidio e per crimini contro l’umanità. Il marito Al-Jumailly è sotto processo a Francoforte e la sentenza è attesa per la fine di novembre.

Quella degli Yazidi è una minoranza religiosa che combina elementi dello zoroastrismo, del cristianesimo, del manicheismo, dell’ebraismo e dell’islam. Per l’Isis, gli yazidi sono adoratori del diavolo. 

Lo Stato islamico è responsabile della morte di almeno 3mila yazidi, e della riduzione in schiavitù di almeno altri 7mila rappresentanti di questa minoranza.


(da Il Corriere della Sera del 26 ottobre)

 

Il mito dell’unità nel nome di Confucio (e Taiwan trema)

La tensione tra Cina e Usa lievita. E la Roma papale, insieme con Taiwan, si ritrova di nuovo tra due fuochi, per ora fortunatamente solo virtuali. Il tentativo è di resistere a pressioni che arrivano, oltre che da Pechino, dagli Stati Uniti affinché compia una scelta di campo: che per ora, però, non ci sarà.

Di seguito una nota di Maurizio Scarpari su "La Lettura" del Corriere della Sera di domenica 24 ottobre e il link di una analisi di Massimo Franco sempre sul Corriere del 24 ottobre



Maurizio Scarpari
(è tra i più importanti sinologi non solo italiani, studioso della lingua, della storia e del pensiero filosofico cinese e alla loro incidenza sul loro pensiero polito attuale. Collabora con molte testate, in particolare con Il Sole 24 Ore e con il Corriere della Sera, Inchiesta


L’idea di «una sola Cina», continentale e insulare, è da sempre uno dei capisaldi della politica estera e militare cinese. Per il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, la riunificazione con l’«isola ribelle» Taiwan — annessione, per i taiwanesi — è inevitabile, parte di un processo storico ineludibile. A nulla potranno servire né la determinazione con cui la presidente Tsai Ing-wen intende difendere l’autonomia dell’isola né le ingerenze della comunità internazionale, interpretate come palesi violazioni della sovranità nazionale. Per Xi il momento della (ri-)unificazione è prossimo. Dopo aver decretato, nel 2012, la fine del «secolo dell’umiliazione nazionale», intende ora suturare una ferita mai rimarginata, lascito della guerra civile iniziata ai tempi di Mao Zedong. Sarebbe un successo che il «presidente di tutto» vorrebbe intestarsi e che gli conferirebbe a perpetua memoria il titolo di Grande unificatore. Per i cinesi tale figura evoca i mitici sovrani dell’antichità ma anche personaggi che hanno plasmato la storia, primo fra tutti colui che fondò l’impero, nel 221 a.C.

Interessanti le analogie con il presente. Grazie a riforme innovative in ambito economico, sociale e militare, Ying Zheng, potente e visionario re di Qin vissuto nel III secolo a.C., si trovò a capo di un’imponente macchina da guerra, in grado di realizzare l’ambizione più grande: unificare «tutto ciò che è sotto il cielo» e diventarne il monarca assoluto. Nel giro di pochi decenni di scaltre attività diplomatiche e di cruenti combattimenti raggiunse l’obiettivo e, al cospetto delle massime divinità, degli spiriti ancestrali e delle popolazioni sottomesse si autoproclamò Primo Augusto Imperatore, titolo altisonante che nessuno prima di lui aveva osato assumere. L’impero, grandioso per estensione e concezione, durò 2.132 anni, fino al 1911. Ogni divisione e frammentazione trovò sempre la sua ricomposizione grazie a un ideale che, filo sottile ma indistruttibile, ha percorso l’intera storia della Cina, e pare percorrerla ancora oggi.

Il principio che ha dominato la cultura politica cinese per oltre due millenni, in realtà di difficile attuazione, fu enunciato dai confuciani mel IV secolo a.C.: «La stabilità politica e sociale sta nell’unità». Unità, pace e stabilità: per realizzarle non bastava però l’illuminata gestione di un sovrano virtuoso, come postulavano i confuciani; serviva un controllo assoluto dell’organizzazione politica, militare, economica, amministrativa e sociale dell’impero, come sostennero, più pragmaticamente, i fautori di modelli statalista. La dottrina dello Stato unitario, autoritario e disciplinatamente confuciano quale elemento essenziale per la pace e la stabilità ha caratterizzato l’intera storia cinese e, di fatto, è tuttora lo strumento teorico più potente che sostiene e giustifica l’azione di governo nella difesa della propria sovranità territoriale e nella volontà di riannessione di Taiwan


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XX Giornata del Dialogo cristiano-islamico il 27 ottobre: il Programma a Venezia

Come ogni anno anche la nostra città di Venezia raccoglie l’Appello "La cura del mondo mi riguarda" (vedi il link alla fine), che invita la cittadinanza e in particolare le comunità cristiane e musulmane di tutta Italia, a rilanciare “la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio” (Documento sulla fratellanza, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019)


Diversamente dalle passate edizioni, quest’anno si è scelto un luogo altamente simbolico di Venezia per celebrare la Giornata del dialogo interreligioso: la Basilica dei Frari in centro storico. 

La comunità dei frati francescani si unirà al gruppo interreligioso della Fraternità nella memoria dello storico incontro che ottocento anni fa San Francesco ebbe con il Sultano d’Egitto. Francesco, partito nel 1219, giunse a Damietta con una nave anch’egli sottoposto alla disciplina crociata ma si recò dal sultano nello stile di mitezza da lui stesso esposto nella Regula del 1221. 

Sappiamo che dialogarono e il gran signore face partire il frate dopo avergli offerto alcuni doni. Per la prima volta allo spargimento del sangue si sostituì il dialogo. La crociata si chiuse con un insuccesso e i guerrieri cristiani rientrarono alle loro case. 

Questa giornata viene promossa dalla significativa realtà locale della “Fraternità islamico-cristiana” che nella nostra città da anni raccoglie promettenti frutti di fraternità e amicizia.

 

Ecco il PROGRAMMA dell’evento a cui parteciperanno alcuni membri della Fraternità di Venezia e in particolare due Imam di Marghera; la Comunità francescana dei Frari con qualche rappresentante e il Parroco padre Lino: 

  • Alle ore 12.00 davanti alla Basilica dei Frari. verrà presentata alla città la Giornata del dialogo e verrà letto l’Appello 2021 “La cura del mondo mi riguarda”. Ai giornalisti invitati a partecipare, i membri della Fraternità islamico-cristiana di Venezia risponderanno ad eventuali domande. Verrà annunciata la nascita di una nuova Associazione cittadina che promuoverà il dialogo sul nostro territorio. 
  • Saluto del parroco e breve riflessione spirituale sull’incontro di San Francesco con il Sultano e il movimento francescano nel mondo e a Venezia


Ecco il link per il testo dell'Appello "La cura del mondo mi riguarda":

 https://www.mosaicodipace.it/index.php/rubriche-e-iniziative/iniziative/appelli/2499-xx-giornata-ecumenica-del-dialogo-cristiano-islamico-27-ottobre-2021

Che storia incredibile quella di Yankuba Darboe

 


È partito sette anni fa dal suo Gambia, ha attraversato il deserto con mezzi di fortuna, è riuscito ad evitare i lager libici, saltare su un barcone, raggiungere la Sicilia, e poi di lì l’arrivo a Benevento, che lo ha accolto come un proprio figlio.
Lui se l’è conquistato ogni giorno quell’affetto, studiando e lavorando come volontario presso la Caritas diocesana, fino al diploma, trovando poi lavoro da operatore dello Sprar per minori che lo aveva accolto.
Ma a Yankuba non bastava. “Voglio continuare gli studi fino al livello massimo. Dopo la laurea, se posso, devo cambiare il mondo. Voglio aiutare la gente” diceva qualche anno fa.
E lo ha fatto. Poche ore fa, Yankuba Darboe è stato proclamato dottore in Scienze e Tecnologie all’Università del Sannio con una tesi in Scienze Biologiche su “Le cellule staminali nelle applicazioni terapeutiche”, tra le lacrime di chi ha condiviso con lui questi sette anni.
E sì, racconteremo queste storie fino a quando sarà normale per un migrante gambiano laurearsi in Scienze Biologiche e non sarà normale morire in un barcone nel Mediterraneo, torturato in un lager libico o diventare un invisibile in un Paese lontano.
Congratulazioni dottor Darboe, alla fine il mondo, in qualche modo, lo hai cambiato davvero. Ed è solo l’inizio.
(Lorenzo Tosa)

Il Foglietto "La Risurrezione" di Domenica 24 ottobre

 



XXX PA - Mc 10,46-52

Al centro di questo Evangelo non c’è Gesù ma un cieco. È importante che sia lui il protagonista perché ci dice che ciascuno di noi non è una comparsa, ma l’interprete della sua storia che è nelle sue mani e che il Signore è in attesa che, come Bartimeo, poniamo la domanda corretta, non quella di Giacomo e Giovanni.


Nell’Evangelo di oggi ci viene presentato un uomo, Bartimeo (figlio di Timeo ma che, dall’aramaico – la lingua comune parlata al tempo di Gesù - potrebbe essere anche interpretato come il “figlio dell’impuro”). Ci viene detto che era cieco e stava, accovacciato passivamente ripiegato su sé stesso, avvolto nel suo mantello, a mendicare all’uscita da Gerico verso Gerusalemme, sul ciglio della strada. 

Marco ci fa notare che c’era una folla che aveva preso a passare: non si trattava del consueto andirivieni alle porte della città. Bartimeo avverte questo e capisce, da quello che le persone dicevano tra di loro, che si stavano avviando a Gerusalemme seguendo Gesù e i Dodici. Sa che dove è passato ha lasciato traccia della misericordia di Dio guarendo e sanando. Lui desidera riacquistare la vista e, forse, non era nella sua attuale situazione fin dalla nascita. La mancanza di un senso ne acuisci un altro: chi è cieco sa ascoltare, chi è sordo ha in genere una vista acuta; come anche si comprende meglio il centro se si sta in periferia, la salute se sei malato, la presenza dalla lontananza.

Per questo inizia a cercare di richiamare l’attenzione con forza, usando una espressione messianica: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”, gli chiede di essere solidale con lui, con la sua sofferenza (questo significa aver "pietà"). Giacomo e Giovanni avevano invece capovolto i termini, non avevano chiesto a Gesù di essere solidali con loro, ma di essere loro solidali nella sua gloria. Gesù aveva risposto che questo era per chi fin da ora era ed è disposto a stare con lui a fianco degli uomini che Dio ama; anche con quelli che sono messi ai margini della società, esclusi.

Bartimeo non fa altro che invitare Gesù a ricordarsi chi lui sia, facendo appello al chinarsi di Dio su chi soffre per liberarlo, come ha fatto dove tutto ha avuto inizio: nell’Esodo. Qui c’era un popolo che non lo conosceva (Dio non si era ancora loro rivelato), ma che gridava la sua sofferenza (Es 3,7-8). Il Signore non ha esitato a chinarsi, a farsi prossimo a loro e a liberarli dalla schiavitù.

È Gesù che lo invita a chiedere che cosa desideri, a esprimere la sua sofferenza nell’aver perso la vista. Bartimeo, sentendosi chiamato, “gettò via il suo mantello, balzò in piedi e venne a Gesù”. Getta via tutto quanto possedeva: il suo mantello che lo riparava dal freddo, che era la sua casa. È l’atteggiamento opposto del giovane ricco. Questo alzarsi di scatto rispondendo ad un invito lo si trova anche in altri episodi della Scrittura, per esempio in Atti 3.

È un itinerario che ci viene descritto: dal conoscere Gesù per sentito dire, all’aver avvertito la sua presenza, all’averlo percepito vicino a sé, fino al riconoscerlo come il Signore. Tutti lo possono fare, anche chi è ai margini della società, fuori dal flusso della folla, della storia; nonostante le difficoltà poste dalle proprie condizioni, dagli impedimenti o dai condizionamenti che si possono incontrare o che ci vengono posti “molti lo rimproveravano perché tacesse”.

Al termine di questo percorso Gesù dice a Bartimeo: “la tua fede ti ha salvato”. È importante che Marco, così attento a riportarci i gesti e le azioni di Gesù, in questo miracolo non parli di nessun gesto del Signore, ma soltanto la domanda, la sua risposta e la conseguenza (“subito riacquistò la vista”), che porta Bartimeo a “seguirlo per la strada”Ma quale strada? Quella che porta a Gerusalemme a condividere la sua passione, il suo amore per gli uomini, la croce e la risurrezione.

Al centro di questo Evangelo non c’è Gesù ma un cieco. È importante che sia lui il protagonista perché ci dice che ciascuno di noi non è una comparsa, ma l’interprete della sua storia che è nelle sue mani e che il Signore è in attesa che, come Bartimeo, poniamo la domanda corretta, non quella di Giacomo e Giovanni.

 

Mancano oramai solamente tre domeniche alla fine di questo anno liturgico e Marco ha quasi concluso l’annuncio del suo Evangelo nel quale ci ha presentato questo uomo Dio e questo Dio umanissimo. Le prossime tre domeniche incontreremo prima il comandamento dell’amore, poi una diatriba e una grande arringa di Gesù contro i farisei e, infine, il criterio per riconoscere la venuta definitiva del Signore. Quasi a dire che oramai tutto è stato detto e per tutti, persino per i ciechi c’è la possibilità o di ascoltare il comandamento dell’amore, o di chiudersi nel fariseismo. Tra queste due strade accadrà l’inedito della sua nuova venuta e sarà l’incontro con lui definitivo, sapendo con certezza e con speranza che fin da ora possiamo stare dove sta lui, se stiamo e rimaniamo anche se con fatica, con tutti gli uomini che lui ama, fino alla fine.

(BiGio)