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III Domenica di Pasqua – Gv 21,1-9

Perché la pesca diventa abbondante se la rete viene gettata sul lato destro della barca?
"Pasci i miei agnelli". Pietro non riceve alcuna prerogativa o potere, ma un compito. 


Dopo la Risurrezione, gli Apostoli e un gruppo di discepoli, impauriti, erano rimasti chiusi in casa in attesa degli eventi. Lì Gesù venne e stette in mezzo a loro. Lo riconobbero non per il suo volto, ma per la sua umanità ferita, che è la nostra umanità. Li invita prendere coscienza della propria realtà, a non temerla, ma a partire da questa, di amarla nelle sue difficoltà, nelle sue malattie, nelle sue diversità, anche nella sua capacità di odiare fino ad uccidere l’altro da sé. Gesù stette in mezzo a loro senza più andarsene: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono con loro” aveva detto e così loro sperimentano.

 

Allora si separano e riprendono la loro vita quotidiana. In parte sono tornati a pescare sul mare di Tiberiade e lì, insieme a Pietro, oggi troviamo altri 4 Apostoli e due discepoli: sono in 7, numero che simboleggia la totalità. 

L’attività della pesca è la metafora del lavoro apostolico che Gesù ha affidato ai discepoli. Il fallimento del loro lavoro fa intravedere che questo è inefficace se non si è uniti al Signore come tralci innestati sulla vite. Infatti non “catturano” nulla, non “strappano (è la traduzione letterale) alcun “pesce” alle acque del mare che, nella Scrittura, rappresentano grandi pericoli fino alla morte fisica e spirituale. Senza Gesù la Chiesa non può strappare nulla al potere della morte.

Sta per albeggiare, si sta cioè passando dalle tenebre alla luce e stanno rientrando verso terra senza aver ottenuto nulla dal loro lavoro. Qualcuno dalla riva chiede loro non, come sarebbe logico aspettarsi, se hanno del pesce da mangiare, ma se hanno qualcosa da mangiare con il pane (questo significa il termine greco usato da Giovanni). Avuta una secca risposta negativa, quella “presenza” li invita a gettare nuovamente la rete dalla parte destra della loro barca e questa si riempie all’inverosimile.

Gesù in questo modo allaccia la loro vita quotidiana con la missione affidata. Non si tratta di fare “altro” o chissà cosa, ma di vivere il proprio mestiere con coerenza e capacità. Già questo è “annuncio” e, rimanendo in mezzo a loro, li aiuta evidenziando una carenza nel loro agire (la pesca infruttuosa) e indica come colmarla (gettare le reti dalla parte destra). Perché dalla parte destra la pesca diventa abbondante? Perché quello è il fianco trafitto del crocefisso dal quale uscì sangue e acqua. Questo significa due cose: che la missione può essere efficace solo se fatta e condotta nelle ferite d’amore di Gesù, assumendo la sua identità, vivendo come lui ha fatto. Contemporaneamente questo ci fa prendere coscienza che l’opera di evangelizzazione è il risultato della presenza di Gesù che sola può rendere efficace l’azione dei discepoli, delle nostre Comunità, della Chiesa.

 

Non viene descritta una reazione rispetto alla pesca straordinaria, ma il riconoscimento della persona in riva al mare di Galilea da parte di Giovanni: “È il Signore!” che mostra una capacità maggiore nel comprenderne la presenza. Pietro si disinteressa allora della pesca e, stretto il camiciotto che portava sopra la pelle per non essere impedito nel nuoto (non era “nudo” come viene normalmente tradotto), si getta in acqua per raggiungere Gesù. 

Sottolineando lo slancio di Pietro verso il suo Signore, l’evangelista ci mostra che non è rimasto ripiegato sul suo rinnegamento, ma corre verso Gesù, come aveva fatto verso la tomba una volta saputo che era stata trovata vuota.

Sulla spiaggia c’è un fuoco acceso che può richiamare quello accanto al quale Pietro si scaldava durante il processo a Gesù che, ora, chiede di portare alcuni dei pesci appena pescati. Pietro di nuovo corre verso la barca e trascina (da solo) a riva la rete che non si spezza. Gesù aveva predetto che sarebbe morto “per riunire i figli di Dio dispersi” (Gv 11,52) e anche “Attirerò a me tutti gli uomini” (Gv 12,32). Lui ha svolto il suo compito: qui c’è un passaggio di consegne, la rete ora è “tirata” da Pietro e questa non si lacera.

 

Gesù a questo punto invita a condividere quello che lui è (il pane) e il frutto del lavoro dei discepoli (i pesci), riaffermando che la sua opera si assembla quella della comunità. Non c’è una senza l’altra e viceversa; ambedue assieme realizzano nuovamente e per sempre, quella comunione che la morte aveva spezzato.

 

Dopo aver mangiato Gesù chiede per tre volte a Pietro se lo ama ricevendone conferma. La terza volta aggiunge “più di costoro?”. Qui non viene chiesto di fare un confronto tra lui e gli altri presenti; non sarebbe possibile e, d’altra parte, Gesù aveva rifiutato ogni competizione tra coloro che lo seguivano. Il significato piuttosto sta nella parabola dei due debitori insolventi ai quali il creditore aveva cancellato un debito di 50 e 500 denari chiedendo poi: “Quali dei due lo amerà di più?”.

Gesù dimostra così di aver perdonato tutti e senza rimproverare nessuno, suscitando così un amore proporzionale alla misericordia ricevuta.

Il dialogo con Pietro è pieno di sfumature, la sua risposta è importante perché mostra come la sua esperienza l’abbia trasformato. Non solo non cerca di prevalere sugli altri, ma non osa nemmeno affermare direttamente che sì, lo ama. Si affida piuttosto alla conoscenza che Gesù ha del suo cuore. Infatti la sua risposta non inizia con “io”, bensì con “Tu”: “Tu conosci il mio amore per te”.

Pasci i miei agnelli!” risponde per tre volte Gesù. Qui non dà alcuna prerogativa o potere a Pietro, lo carica invece del compito di vegliare sul gregge che lui ha riunito fino al dono di sé: le pecore rimangono di proprietà del Signore.

 

Pietro in passato aveva fatto professione di voler e saper seguire il Signore ovunque fino alla morte, smentendosi poi tradendolo e abbandonandolo; ora riceve l’invito di Gesù a seguirlo e questo avviene. Vale anche per noi: mettersi alla sua sequela non dipende dalla nostra volontà ma dalla capacità di rispondere alla chiamata o all’invito ricevuto. “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre” ha detto Gesù (Gv 6,44). Pietro aveva ricevuto un primo invito all’inizio dell’Evangelo e poi l’aveva contraddetto, ora ne ha ricevuto un altro … anche per noi, l’invito viene ripetuto continuamente, giorno per giorno …

(BiGio)

E alla fine seguirlo di nuovo

Si avrebbe voglia di iniziare dalla fine, da quel Seguimi, che è detto a Pietro proprio quando tutto sembra finito, quando il libro sta ormai per chiudersi, quando il sipario sta per calare. 

Seguimi è il fine di tutta la vita, è l’inizio di ogni virata, di ogni tornante che è sempre in salita. Seguimi è l’annuncio che è sempre possibile restare insieme, anche in mezzo a cadute e ferite. Seguimi è scommessa che dice fiducia, è riscatto che abilita e dona, è comunione che viene offerta. Seguimi è invito che dice credimi, amami ancora, vivi di me e saprai anche morire vivendo, saprai lasciare che le tue mani siano tese da altri e restino aperte su Dio, sul mondo e sulla vita perché ormai hai saputo che ogni cammino può diventare sequela, ogni caduta può farsi incontro, ogni notte può aprirsi all’alba, ogni fallimento diventare risorsa, ogni pesca infruttuosa raccolto abbondante.




È l’ultima manifestazione, in Giovanni, del Maestro ai discepoli. Essi sanno già egli è risorto, ma non sanno nulla della loro vita, cosa abbia senso per il loro futuro, dove abbia termine il loro cammino. 
E in Pietro, prima ancora di vedere il pastore, colui che pasce la Chiesa per conto di Cristo, è bene vedere ogni volto, vedere lo stile di ogni chiamato, di ogni figlio di questo mondo che è stato attratto dall’amore divino. 

Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci (Gv 21, 4-6)

Dopo la notte l’alba arriva sempre. Arriva un giorno che cancella gli incubi e chiarisce le cose, che mette a tacere i sinistri rumori e fa vedere ciò che già si conosce. Ma non sempre l’alba riempie le mani, non porta sempre abbondanza di vita. Le reti restano vuote e allora solo un incontro può dare senso alle notti vane, ai vuoti e ai fallimenti, alle fatiche che non hanno futuro.

Gesù stette sulla riva. Arrivato dal nulla rivolge parole che scavano a fondo del loro niente. 
Non si erano accorti che era Gesù, ma quella domanda rimesta il cuore. Figlioli, perché nati da un nuovo parto, perché figli del suo travaglio, perché nati dalla sua agonia. Non basta essere nati una volta, non basta aver aperto gli occhi sul mondo, ci vuole qualcuno che ci rigeneri, che ci riapra ogni volta lo sguardo, che ci ricordi che siamo figli perché è l’amore a rimetterci in vita. Eppure il suo chiamarli figlioli si unisce a quella dura domanda. Non hanno nulla da mangiare, non c’è nulla con cui riempire la vita, non c’è niente con cui mettere a tacere il bisogno che dentro ci scava. Quella domanda è sguardo che azzanna, è rimando a fatiche inutili, a propositi andati perduti, a progetti mai realizzati. 
Non basta decidere di andare a pescare. Ci vuole ben altro per avere cibo, ci vuole altro per restare vivi. E i sette non possono far finta di niente. La domanda è cruda ed è nuda la loro risposta. 

E l’alba si fa più vera. E gli sguardi ora più aperti. Non c’è nulla da mangiare se si è soli e tra disperati, se si è di notte senza una guida, se si è in cerca di consolazione. Il mare, che è morte e male, angoscia e pericolo, non dona da sé il suo bottino, non porta alla luce ciò che trattiene.
Ed è davanti ai fallimenti umani, alle reti rimaste vuote, ai progetti andati in fumo, ai propositi ormai falliti, ai desideri diventati disastri, che la voce di quell’uomo insolito, che ci ha generati e rimessi al mondo, spinge ora a provarci ancora, a riprovare a raccogliere vita, a scommettere su un nuovo raccolto. Gettate e troverete, provateci ancora, non per impegno e forza d’inerzia, non per assillo e prepotenza, non per testardaggine e presunzione, non per orgoglio e sicurezza, ma solo per aver accolto un invito nuovo, inopportuno e inadeguato....

Solo l’amore per Cristo abilita al dono, solo l’amore rende adatti al servizio, solo l’amore consente il potere. Perché potere, di Pietro e di tutti, è solo quello poter amare Cristo amando ciascuno, prendersi cura e nutrire greggi, pascolare e condurre a ristoro. E non importa come vada a finire, se saranno altri a cingere vesti, ad allargarti con forza le braccia. Perché ora Pietro può seguire di nuovo il Maestro, perché ogni chiamata è sempre la prima, è solo il contesto di nuovi appelli, di nuovi inviti a raddrizzare il cammino, ad iniziare nuove avventure. Seguimi è invito e dolce promessa che, attraverso le cadute e le miserie, i rinnegamenti e le paure, giunge per noi un nuovo appello, una chiamata a salire ancora, fino a giungere in Croce con lui per essere complici del suo dono d’amore. 

(dal Blog di Marco Manco)




Sabato 14 maggio. "inMARCIA per la Pace 2022: Pace e Ambiente"

 


I giovani e i dubbi sul futuro

Diciassette obiettivi per uno sviluppo sostenibile. Li aveva forniti, qualche anno fa, l’Agenda 2030 dell’ONU. Un tentativo per agganciare «natura» a «cultura» e ridare vitalità non solo alla civiltà occidentale. Motivazioni e traguardi possibili, soprattutto ai giovani, per impegnarsi e migliorare il mondo in cui viviamo. Pandemie ed ora ventagli di guerra distolgono e frenano le migliori volontà, pongono nuovi interrogativi, inducono a riflessioni straordinarie


«Pensare futuro», come lo vedono i giovani? Le domande più ricorrenti partono da sconfiggere la povertà, la fame, pongono il tema di salute e benessere, istruzione di qualità, parità di genere, acqua pulita, energia accessibile, lavoro dignitoso e crescita, innovazione, infrastrutture, disuguaglianze, riorganizzazione delle città e comunità sostenibili, consumo e produzione responsabili, lotta al cambiamento climatico, la vita sottacqua, pace, giustizia, istituzioni solide ed infine leadership per gli obiettivi. Una indagine curata dall’UCSI (i giornalisti cattolici) ha raccolto un campione di giovani tra i 18 e 32 anni, attraverso una piattaforma web, partendo dalle abitudini di informazione e dalla fiducia attribuita ai diversi media, per concludere con una lettura problematica, di rilevante incertezza dei giovani stessi verso il futuro ed una diffusa e prevalente mancanza di ideali per l’ambiente e genericamente «per gli altri». Una fotografia di una generazione costretta a giocare in difesa in cui tutto è connesso, ma in realtà si percepisce uno scarso coinvolgimento. Una generazione disaffezionata alla politica. Anche se a scorrere la grafica della distribuzione di frequenza del genere di informazione che attrae i giovani proprio la politica si attesta al secondo posto (46%) delle scelte, subito dopo una generica definizione di cultura (54%), prima di scienza e tecnologia (35%), e via via cronaca, notizie locali, sport (solo il22%), attualità e gossip (20%) e medicina (19,80% anche in tempo di pandemia). 

Interessante, su questo tema «i giovani e la politica», un sondaggio appena concluso a Vicenza, tra i.400 studenti del prestigioso Istituto tecnico industriale «Alessandro Rossi», riferimento di intere generazioni di imprenditori nordestini. Coinvolti da alcuni insegnanti, gli allievi del «Rossi», seguiti in tutti i passi della ricerca, fino alla elaborazione dei dati, suddivisi nei due cicli del biennio e del triennio, i futuri «periti» hanno risposto con franchezza, offrendo subito un primo percorso di lettura. Per il biennio già il numero delle risposte appare indicativo: solo il 32% degli intervistati (200 su 693) si è sentito coinvolto; il 34% nel triennio (250 su 734). Pressocchè analoghe, nei due settori di età, le percentuali di risposta. La politica interessa molto in 41 casi, abbastanza per 102, poco in 82, per niente lo hanno detto in 22. Con una percentuale di convinzione sul fatto che i politici non si rendano conto dei problemi della cittadinanza decisamente inquietante. Ed anche per i ragazzi del «Rossi», come già nella indagine nazionale, ad informarli sulla realtà sociale e della vita del Paese restano in prevalenza tv (192) e social (187) le prime fonti, seguite da giornali (85), passa parola (65), con canali informali (45) e radio (44) fanalini di coda.

Andando a chiedere se i politici abbiano a cuore il futuro delle giovani generazioni ti dicono seccamente nel 57% che li vedono solo interessati alle proprie poltrone con appena un 2% convinto che gli eletti si stanno muovendo nel senso giusto. C’è sempre un 40% che non ha maturato convinzione alcuna. Nessun leader, oggi, sembra attrattivo. E ciò fa ritenere al 49% degli studenti che il funzionamento della democrazia in Italia va migliorato. Solo il 4% esprime soddisfazione. C’è in fondo, nella concretezza delle interpretazioni di un istituto tecnico industriale, una richiesta, formulata pure da un interessante caleidoscopio di sollecitazioni, di «fare scuola» proprio a scuola, se non di politica almeno di partecipazione attiva alla vita pubblica.

(Giandomenico Cortese in Corriere del Veneto)

Chiesa sinodale, per Francesco non si può tornare indietro. Ecco cosa vuol dire

La sinodalità è il tema, il metodo, la scelta su cui il papa, anche per le domande che gli sono state poste, torna di più, per sottolineare consolazioni e desolazioni. Padre Antonio Spadaro racconta la conversazione di Bergoglio con i gesuiti maltesi


La Civiltà Cattolica pubblica sul suo sito il resoconto del lungo colloquio che papa Francescoha avuto con i gesuiti a Malta.

Il punto più rilevante che emerge subito è la prospettiva sinodale, ormai centrale per la Chiesa: “Fu Paolo VI a riprendere il discorso sinodale, che era andato perduto. Da allora siamo andati avanti nella comprensione, nel capire che cosa sia il Sinodo. Ricordo che nel 2001 sono stato relatore per il Sinodo dei vescovi. In realtà il relatore era il cardinale Egan, ma, a causa della tragedia delle Torri gemelle, è dovuto tornare a New York, la sua diocesi. Io ho fatto il supplente. Si raccoglievano le opinioni di tutti, anche dei singoli gruppi, e si inviavano alla Segreteria generale. Io raccoglievo il materiale e lo sistemavo. Il segretario del Sinodo lo esaminava e diceva di togliere questa o quella cosa che era stata approvata con votazione dei vari gruppi. C’erano cose che non riteneva opportune. C’era, insomma, una preselezione dei materiali. Chiaramente non si era capito che cos’è un Sinodo. Oggi siamo andati avanti e non si torna indietro. Alla fine dell’ultimo Sinodo, nel sondaggio sui temi da affrontare nel successivo, i primi due sono stati il sacerdozio e la sinodalità. Mi è parso chiaro che si volesse riflettere sulla teologia della sinodalità per fare un passo decisivo verso una Chiesa sinodale. Infine, voglio dire che non dobbiamo dimenticare quel gioiello che è l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI. La vocazione della Chiesa qual è? Non sono i numeri. È evangelizzare. La gioia della Chiesa è evangelizzare. Il vero problema non è se siamo pochi, insomma, ma se la Chiesa evangelizza. Nelle riunioni prima del Conclave si parlava del ritratto del nuovo Papa. È stato proprio lì, nelle Congregazioni generali, che è stata usata l’immagine della Chiesa che esce, in uscita. Nell’Apocalisse si dice: «Io sto alla porta e busso». Ma oggi il Signore bussa da dentro perché lo si lasci uscire. Questa è la necessità di oggi, la vocazione della Chiesa oggi”.

Se questo è il vero tema che Francesco pone oggi, e che dice molto non solo alla Chiesa, un altro tema affrontato e che parla a moltissimi altri, non solo alla Chiesa e ai suoi superiori, è il tema dell’ipocrisia, sul quale il papa si è a lungo soffermato, con parole ed esempi importantissimi ....


L'articolo di Riccardo Cristiano continua a questo link:

https://formiche.net/2022/04/chiesa-sinodale-francesco-gesuiti/




Riforma delle Forze Armate. Il sì della Camera, ora si passa al Senato. Di cosa si tratta?

Passata alla Camera la proposta di legge voluta dalla Commissione Difesa che prevede la revisione del modello delle Forze armate interamente professionali, nonché la proroga al 2033 (e non più al 2024) del termine per la riduzione delle dotazioni organiche complessive a 150mila unità, e la delega al governo per la revisione dello strumento militare nazionale. “Un risultato”, ha detto Guerini “di significativo rilievo tecnico e politico”


La guerra in Ucraina ha messo l’occidente di fronte a una nuova sfida per lo strumento militare. Non ci si vuole più far trovare impreparati e insieme al dibattito europeo sull’aumento dei budget destinati alla Difesa, vi sono sul tavolo anche riforme e proposte per modernizzare le Forze armate affinché rispondano ancor più efficacemente alle esigenze contemporanee della collettività. Esse sono chiamate via via a svolgere compiti sempre più diversi che si aggiungono a quelli più tradizionali, dal contrasto alle pandemie alle nuove minacce ibride alla sicurezza, che raggiungono anche lo spazio.

È in questo clima di fermento che nel nostro Paese, grazie al lavoro della Commissione Difesa, è stato approvato alla Camera il disegno di legge che prevede la revisione del modello delle Forze armate interamente professionali, nonché la proroga al 2033 (e non più al 2024) del termine per la riduzione delle dotazioni organiche complessive a 150mila unità, e la delega al governo per la revisione dello strumento militare nazionale. L’approvazione del testo, che ora passerà al Senato.

La riforma riguarderà ...


L'articolo di Gaia Ravazzolo a questo link:



La carestia alle porte

Salta la stagione della semina in Ucraina. Impennata dei prezzi dei generi alimentari in tutto il mondo. Conseguenze per le organizzazioni che supportano i Paesi in via di sviluppo come il Wfp, e per molti Paesi dove i sussidi per il pane fanno parte del contratto sociale (soprattutto in Africa e Medio Oriente). Fame, proteste, rivolte, aumento dei flussi migratori...


È la stagione della semina in Ucraina, uno dei granai del mondo, che insieme alla Russia produce il 30% della fornitura mondiale di grano, il 20% di quella di mais e l'80% dell'olio di semi di girasole. Ma questa primavera è segnata dalla guerra e dalle sue conseguenze che stanno investendo non solo l'Ucraina invasa dall'esercito russo, ma il mondo intero, dipendente dal suo grano per l'approvvigionamento alimentare.

I prezzi dei generi alimentari hanno subito un'impennata già poche settimane dopo l'invasione, quando i combattimenti hanno interrotto le catene di approvvigionamento, gran parte delle infrastrutture necessarie alle esportazioni, compresi i porti e le linee ferroviarie, sono state distrutte o danneggiate e l'Ucraina ha vietato l'esportazione di alcuni cereali per proteggere le proprie forniture, creando un'immediata, generale, carenza di cibo.

L'Opec Basket, che misura i prezzi delle miscele di petrolio prodotte dai membri dell'Opec, è passato da 95 dollari il giorno prima che la Russia invadesse l'Ucraina a 120 dollari il 24 marzo 2022, il prezzo più alto dal 2014. Secondo la Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, i prezzi globali dei generi alimentari in meno di due mesi - tra febbraio e marzo - sono aumentati del 12%, cifra che corrisponde al più alto incremento dal 1990, anno in cui la Fao ha iniziato a monitorare l'indice dei prezzi del cibo.

Le conseguenze sono state immediate....


Il documentato articolo di Francesca Mannocchi continua a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202204/220423mannocchi.pdf







Iftar condiviso con la Comunità Murid senegalese

Prima di tutto la loro preghiera iniziata con un canto che intesseva le lodi a Maria


Dopo la cena un incontro con questa piccola Comunità



Una comunità giovane, che fa del canto una delle forme principali della sua preghiera
La Muridiyya è una confraternita islamica che ha origine in Senegal molto diffusa in tutto il mondo
Sorprende lo sguardo gioioso e mite dei suoi affiliati che fa del detto "Prega come se tu dovessi morire domani e lavora come se tu dovessi vivere per sempre" uno dei cardini della propria spiritualità e della propria vita.

Iftar con la Comunità Islamica di Venezia e Provincia: un incontro fraterno e ricco di amicizia

 L'invito



La cena






L'incontro






Nessuna formalità, ma un semplice e significativo scambio di pensieri su come questo incontri possono aumentare la conoscenza e la collaborazione reciproca per rafforzare, nelle proprie identità, un cammino comune verso una società accogliente, nel rispetto delle differenze che sono una ricchezza 

Gli effetti della guerra di Putin sull’area Mena

 Molte parti della regione sono dipendenti dal grano e dai fertilizzanti russi e ucraini. Così, il rischio di una crisi alimentare e i legami con Mosca rappresentano una sfida per gli Stati. 

L’analisi di Marco Vicenzino


L’impatto economico della guerra continuerà ad avere conseguenze di vasta portata.

L’aumento esponenziale dei prezzi dell’oro nero ha dato impulso alle economie degli Stati produttori nel Golfo, almeno per ora. Anche se gran parte del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena) sta affrontando l’aumento dell’inflazione che minaccia una maggiore instabilità, il pieno impatto della guerra di Putin in Ucraina deve ancora essere sentito in tutta la regione. Il punto è che il peggio si manifesterà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, quando la violenza, le ricadute umanitarie e le conseguenze economiche globali raggiungeranno livelli esponenzialmente maggiori.

Molti Stati della regione Mena hanno fatica a prendere una chiara posizione diplomatica sull’invasione dell’Ucraina da parte di Putin – in particolare a causa dell’intensificazione della relazioni con la Russia negli ultimi anni. Tuttavia, una delle ragioni principali è l’insicurezza alimentare, poiché molte parti della regione rimangono dipendenti dal grano e dai fertilizzanti russi, e anche ucraini.

La situazione è ulteriormente aggravata dalle restrizioni della Russia sulle proprie esportazioni di grano e dagli attacchi ai porti ucraini e agli impianti di stoccaggio di carburante e grano. Molti Stati dell’area Mena, inoltre, non vogliono incorrere nell’ira delle nazioni occidentali, soprattutto degli Stati Uniti, per essere visti come troppo vicini alla Russia.

La nuova offensiva della “diplomazia alimentare” dell’Unione europea mira a dare l’urgente sollievo agli Stati a rischio di turbolenze socioeconomiche e a sfidare la narrativa della Russia secondo cui le sanzioni occidentali sono responsabili dell’attuale crisi alimentare.

Mentre la guerra di Putin in Ucraina corre sempre più verso il baratro e la situazione socioeconomica si deteriora ulteriormente in gran parte del Medio Oriente, molti Stati della regione continueranno probabilmente a perseguire un delicato esercizio di bilanciamento diplomatico nel prossimo futuro.



Sinodo: è il tempo delle sintesi!

Anche durante la guerra il processo sinodale procede e tocca, finalmente, la fase del discernimento e delle sintesi finali, sollevando un problema: ma le sintesi saranno rese pubbliche?


Il dramma della guerra in Ucraina ha talmente assorbito la nostra attenzione da non esserci accorti, forse, che il processo sinodale è giunto a un punto molto importante, se non decisivo: la preparazione delle sintesi diocesane e il loro invio alla CEI, affinché quest’ultima elabori la sintesi nazionale. Dopo la fase dell’ascolto, infatti, stiamo entrando nella fase del discernimento. Rispetto ad essa, era talmente forte la preoccupazione che il tempo dell’ascolto potesse essere vanificato o tradito da sintesi poco adeguate, che già il Vademecum per il Sinodo aveva cercato di scioglierne i possibili nodi.

Degli stessi referenti diocesani e dell’equipe sinodale diocesana si dice chiaramente che potranno continuare nel loro «ruolo» anche in «futuro»; d’altronde, «la fase di attuazione sarà cruciale (…) in modo che il processo sinodale abbia l’intero Popolo di Dio sia come punto di partenza che come punto di arrivo».
Sin da ora, dunque, sappiamo che tutto ciò che al termine di questa fase di discernimento potrà apparire come incompiuto o insoddisfacente – sia in termini di ascolto che di rinnovamento personale e, soprattutto, strutturale – potrà e dovrà essere ripreso negli anni successivi. Ciò non stupisce se pensiamo che per ascoltare veramente «tutti» – e magari imparare da essi – il tempo previsto per la fase diocesana e nazionale dell’ascolto non poteva che essere insufficiente. D’altra parte, per il Vademecum sembra essere importante che il processo sinodale conduca almeno a un «nuovo inizio», a «una nuova primavera in termini di ascolto, discernimento, dialogo e decisioni».
Nei suggerimenti della CEI troviamo scritto che «una Conferenza Episcopale o una Diocesi potrebbero sentirsi chiamati a vivere questa fase restituendo, in qualche modo, la bozza di sintesi al Popolo di Dio per ricevere un ulteriore feedback e altri suggerimenti». Potrebbero sentirsi chiamati suona diverso da dovrebbe, così come la bozza della sintesi è cosa diversa dalla sintesi. Speriamo si tratti solo di sfumature linguistiche senza ulteriori significati e che dal prossimo mese potremo leggere con profitto tutta la ricchezza di queste sintesi. In caso contrario, forse, qualche chiarimento da parte della segreteria del Sinodo sarebbe auspicabile…


L'intero articolo di Sergio Ventura a questo link:




Domenica 8 maggio, ore 18.00: Hospitalito con Paolo Zambaldi


 

Il nome della Resisteza oggi


Senza dimenticare che la liberazione deve condurre a istituzioni in grado di garantire la libertà attraverso l’assunzione di una responsabilità collettiva. Si tratta di un cammino sempre bisognoso di essere riattualizzato.



 

25 aprile, Festa di S. Marco e della Liberazione


Si ricorda oggi, nella comunione dei santi, l’evangelista Marco. Marco, cugino di Barnaba, accompagnò Paolo nella prima missione da cui si separò poi per un contrasto, ma lo ritroviamo accanto a Paolo negli ultimi anni della sua prigionia romana. Fu soprattutto vicino a Pietro che nella sua prima lettera lo chiamerà “figlio mio”. A Marco dobbiamo il genere letterario dei vangeli: fu il primo a mettere per iscritto le parole, la vita e la passione, morte e resurrezione di Gesù.

Il brano scelto per questa festa è una parte del sommario finale del vangelo di Marco. Una parte aggiunta – ma accettata come ispirata dalla chiesa - allo scritto propriamente di Marco che terminava con lo spavento e lo stupore delle donne andate al sepolcro di fronte alla rivelazione della resurrezione: evento che supera la nostra umana misura della realtà.

 Nei versetti del sommario che precedono il brano di oggi Gesù rimprovera gli Undici per la loro incredulità e durezza di cuore perché non hanno creduto a quanto detto dai primi annunciatori della risurrezione. E tuttavia proprio a loro, non a dei professionisti di santità, affida il compito di annunciare l’evangelo. “Andando in tutto il mondo proclamate l’evangelo a ogni creatura …”: è un compito infinito e immenso eppure affidato a poveri discepoli e discepole chepotranno contare solo sull’aiuto del Signore, che ha promesso il suo accompagnamento e la sua cooperazione; è evento di fede e non di progetti religiosi o calcoli politici.Il contenuto dell’annuncio è l’evangelo, la buona notizia sempre nuova cioè Gesù Cristo, figlio di Dio (e proprio così inizia il vangelo di Marco).

“Chi crederà sarà salvato …. chi non crederà sarà condannato …”, è questa ormai la discriminante decisiva: non più puro o impuro, circonciso o non circonciso, giusto o ingiusto, santo o peccatore, ma l’accettare o non accettarela salvezza, gratuita e immeritata, che Dio ci offre in Gesù Cristo. Di fronte a Gesù si pone la nostra scelta per la vita o per la morte. Salvezza o rovina sono sempre cammini possibili per ciascuno. A tutti coloro che gemono sotto la schiavitù della morte, e di tutto il suo corteo di odio e di violenza, è offerta una via di pace al seguito del Signore risorto. 

Marco non scrive la cronaca di una storia che ha avuto un lieto fine, sarebbe solo un bel racconto edificante, Marco scrive a partire dall’evento della risurrezione, che ha lasciato i discepoli pieni di timore e stupore, e li ha costretti a rileggere la vita di Gesù, comprendendone il disegno salvifico di Dio. Sono i discepoli i primi convertiti: da una comprensione solo umana all’accoglienza di una rivelazione che riguarda la novità e la potenza di Dio.

I segni che accompagneranno la predicazione dei discepoli nella storia non possono che ricalcare la presenza di Gesù: la sua lotta contro i mali che affliggono l’uomo materialmente e spiritualmente, la capacità di ascoltare e di dire una parola di verità, il seminare speranza, il suscitare comunione … “Allora essi partirono e predicarono dappertutto mentre il Signore agiva insieme con loro …”.

(fr. Domenico)

II Domenica di Pasqua: la nostra preghiera nella festa di Idelma e Walter

Introduzione all'Eucaristia:

Oggi è la seconda domenica di Pasqua. Noi che ci siamo radunati in questa assemblea eucaristica, siamo chiamati a prendere coscienza di essere segno visibile della Pasqua. Questa assemblea è il luogo dove si vive e si manifesta la Risurrezione di Cristo.

L’esperienza della Pasqua si incarna e si sviluppa nella prima comunità, come viene narrato dagli Atti degli Apostoli. La potenza dello Spirito di Cristo Risorto suscita la fede nella resurrezione e nella sua forza di guarigione dalla paura e dall’incredulità.

La lettura dell’Apocalisse testimonia la fede pasquale della Chiesa delle origini che cresce e vive secondo lo Spirito di Colui che è il Vivente.

Il Vangelo di oggi ci dice qualcosa di importante: Gesù viene e sta in mezzo, non appare e poi sparisce; lo si scopre non solo presente ma pure che non se ne va, rimane al centro della realtà vissuta. A fare cosa? A rassicurare, a invitare a prenderne piena coscienza, a fare della fragilità la propria forza.

Siamo invitati a “vedere il Signore”. Questa esperienza non la si fa da soli: è possibile solo in comunità e richiede di passare attraverso la relazione con i fratelli e le sorelle.

In questo modo collaboriamo a manifestare il volto misericordioso del Padre, sviluppando un atteggiamento di fiducia filiale, verso ogni persona, sempre e ovunque.

San Giovanni Paolo II ha dedicato questa domenica alla divina Misericordia che ci invita a diventare misericordiosi come il Padre. 


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Questa Domenica Idelma e Walter hanno ringraziato il Signore per i 50 anni del loro matrimonio 

 
Era il 25 aprile del 1972 quando i nostri Walter e Idelma dissero il loro si davanti al Signore. Un giorno così indimenticabile che ad ogni occasione, il racconto di quel giorno fa ancora brillare gli occhi e sorridere. Una giornata freddissima, una pioggia fitta a non finire, il momento di scendere dalla macchina e il vestito da tirare su... e poi Walter che, durante la messa, lasciava trasparire qualche movimento rapido di cui solo dopo Idelma ne capi' il perché ... quando le donò il boccolo di San Marco che aveva tenuto nascosto tutto il tempo della celebrazione sotto la giacca!
Un giorno felice, introduzione di quel libro che insieme stanno ancora scrivendo...
Grazie Signore per aver fatto incontrare lungo il nostro cammino Walter e Idelma, un esempio per noi tutti di vocazione, genitori accoglienti, di amore gratuito e sostegno "in salute e malattia". Una vita di gioie e dolori ma sempre vissuti nella certezza che il Signore è vicino e accompagna. 
Dona loro Signore la forza per affrontare insieme anche questa parte della vita, impreziosita dai ricordi del loro amore e ancora ricca di sguardi, gesti e parole di chi si ama ancora.

Signore ti ringraziamo per la felicità e l’amore della nostra vita comune, per averci donato Serena, vogliamo viverli come un tuo dono.

Ti preghiamo che l’unione e l’amore fra di noi cresca ogni giorno di più e che in esso troviamo te.

 

Chiediamo a Dio il dono di un cuore giovane a 70 e 80 anni. Con Cristo il cuore non invecchia mai e che ci aiuti ad accogliere l’amore sempre.


Signore, siamo qui oggi per festeggiare una delle tappe più importanti nella vita di mia mamma e mio papà: i 50 anni del loro matrimonio.

Ti prego, Signore, continua a mantenere forte il loro legame da sempre autentico basato sull’amore, sulla fiducia reciproca e sulla disponibilità verso tutti, rendili felici non solo oggi ma per il resto della loro vita.








 








Il Foglietto "La Resurrezione" della II Domenica di Pasqua

 



II di Pasqua – Gv 20,19-31

Non si "vede" il Signore da soli e non si tratta di una semplice apparizione ma di ben altro

La foto sulla "Carta di Identità di Gesù? Non il suo volto, ma le sue mani e il suo costato feriti


La piccola comunità dei discepoli di Gesù (non solo gli Apostoli) si è rinchiusa per paura. L’averne per qualsiasi motivo come pure ogni situazione di difficoltà, sollecita l’istinto di conservazione, costringe a prendere coscienza della propria realtà e l’attenzione ricade su sé stessi per trovare le risorse per la propria autodifesa. L’esperienza comune della pandemia in questi ultimi due anni ce lo ha fatto provare.

Ma quella piccola comunità delle origini non aveva solo paura, si trovava ad essere ferita nelle sue speranze, si era vista strappare via ciò che l’aveva riunita; anche il gruppo degli Apostoli non era più integro: Giuda si era suicidato e Tommaso non era con loro. Oggi, stiamo vedendo la paura negli occhi di una nazione che si trova a fare i conti con una distruzione che non si pensava più possibile in Europa, un cristianesimo diviso in sé stesso su opposti fronti. Percepiamo che l’intera umanità è ferita nel suo corpo e nel suo sentire.

La paura può riguardare anche ogni comunità cristiana quando teme il confronto con chi la pensa e vive in un modo diverso. La reazione più facile è il rinchiudersi, l’arroccarsi, l’isolarsi, di fronte alle interrogazioni e alle provocazioni che la realtà le rivolge, volgendosi all’esterno con aggressività, intolleranza, smettendo di dialogare e di proporre. Mostra così tutta la sua debolezza e la mancanza di una piena coscienza di sé, della propria realtà diventando incapace di sostenere ogni tipo di confronto.

La paura che deriva dalla fragilità può essere vissuta anche nel cammino sinodale al quale siamo stati chiamati dal Papa, se si cerca di depotenziarlo, di svuotarlo dall’interno per la paura di dove potrebbe portare, o per difendere di privilegi di ruolo.

 

In queste situazioni, l’evangelo di oggi ci dice una cosa importante: Gesù viene e sta in mezzo, non appare e poi sparisce, lo si scopre non solo presente ma pure che non se ne va, rimane al centro della realtà vissuta. A fare cosa? A rassicurare, a invitare a prenderne piena coscienza, a fare della fragilità la propria forza: “ci sono io in mezzo a voi; coraggio, proseguite il vostro cammino. Voi siete oggi e sarete quello che diventerete domani anche grazie a quanto state vivendo. Non rimanete ripiegati su di voi stessi, rialzatevi e riprendete il cammino”. 

È questo il significato di quell’annuncio che compare tre volte in questa pericope evangelica: “Pace a voi!”, la radice ebraica di Shalom esprime proprio tutto questo, non l’assenza di conflitti.

 

I discepoli gioiscono e annunciano a Tommaso di aver “visto il Signore”. Qui Giovanni usa un verbo particolare che non riguarda semplicemente quello che gli occhi percepiscono, è un “vedere” che interpreta una esperienza vissuta. Infatti loro lo hanno riconosciuto quando ha mostrato loro le sue mani e il suo costato feriti. Normalmente riconosciamo una persona dal suo volto, se vedessimo solo le sue mani difficilmente lo riconoscemmo. Cosa significa allora queste “mani”, perché lo riconoscono nel “vederle”. Con quelle Gesù ha guarito, benedetto, accarezzato, sollevato, lavato i piedi dei discepoli; con quelle ha fatto la sua proposta e, quell’agire, è la sua proposta di vita, è la sua carta di identità. Dal suo costato ferito è uscito sangue e acqua, cioè la vita donata fino al sacrificio di sé e lo Spirito divino che ci è stato donato.

Ricordando il suo agire, percepiscono il suo permanere realmente efficace in mezzo a loro che li aiuta a fare di quelle mani bucate e di quel costato ferito anche la loro carta di identità: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” sapendo che non sarà indolore, che ci sarà sempre il tentativo di fermare queste mani, di inchiodarle, di impedire che mostrino l’amore e la misericordia del Padre. Lavando loro i piedi non aveva forse detto: “Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi”? e dopo aver spezzato il pane: “Fate questo in memoria di me”, cioè fate della vostra vita quello che io ho fatto della mia, pane spezzato, vino condiviso?

Per donare questa capacità, “Gesù alitò su di loro”. Solo due altre volte questo verbo compare nella Scrittura: in Genesi alla creazione dell’uomo e in Ezechiele nella visione delle ossa aride che riprendono vita. Con questo Gesù dona ai discepoli (non solo agli Apostoli) un potere efficace sul peccato, non solo la forza di perdonare, ma anche quella di “ritenere i peccati” (non di “non perdonare” come abitualmente tradotto), cioè di afferrarli per domarli e vincerli quando non possono essere perdonati.

 

Tommaso non era con loro. Forse era meno spaventato, forse più coraggioso o più irrequieto. Forse desiderava capire cosa stesse succedendo attorno a loro per poter rispondere o proteggere i suoi fratelli, forse … non lo sappiamo. Quello che si sa è che era chiamato “didimo” il “gemello”, di chi non si dice, forse per darci la possibilità di sentirci noi simili a lui e, con questo, vivere la sua stessa esperienza. Ma quale è stata? 

Nella sua incredulità possiamo certamente riconoscerci, ma è un altro l’aspetto importante: l’esperienza di “vedere il Signore” non la si fa da soli: è possibile solo in Comunità, richiede di passare attraverso la relazione con i fratelli; non aveva forse detto: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro"? (Mt 18,20). È per questo che la Comunità si riunisce ogni settimana, il primo giorno dopo il Sabato. Per poter “vedere il Signore” e, partecipando al pane unico, diventare il suo corpo e far nostra la sua carta di identità da vivere lungo tutta la settimana, negli ambienti che frequentiamo essendo le sue mani.

 

Gesù mostra il suo corpo ferito, la sua umanità – che è la nostra umanità – ferita e invita a partire da questa. Nelle sue parole non c’è alcun accenno di rimprovero verso nessuno, nemmeno a chi tentenna come Tommaso e chiede di verificare. Quel corpo ferito chiede di perdonare, ci parla di un amore vissuto fino alla fine e di uno Spirito che ha accompagnato tale amore fino a rendere le ferite, le ingiurie e la morte subita, occasione di ulteriore dono, di ulteriore amore. 

Ci chiede allora di amare l’umanità ferita dalla malattia, dall’odio, dalla diversità perché questa è la Sua carta di identità che ci propone di condividere. Questo ci chiede, non altro.

 

(BiGio)