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La dolce vita è qui a Rimini?


Ah, Rimini! L’immaginario del “Privilegiato stabilimento dei bagni di mare” e dei party nei templi della notte, è ancora la stoccata, il colpo nascosto sfoderato dai narratori del nostro secolo?

«La dolce vita? È qui, a Rimini»: è il 1993 e il primo stabilimento balneare di Rimini si appresta a festeggiare i suoi 150 anni. La donna dei sogni di Fellini, Magali Noëlle Guiffray, decreta con queste parole che qui, sulla costa occidentale del Mar Adriatico, la finzione è diventata realtà.

Eldorado riminese, vacanzopoli romagnola, Miami d’Europa, capitale delle vacanze, supermarket del sesso, industria delle ferie, Fiat delle vacanze, città regina del turismo italiano, sogno balneare, spiaggia-palcoscenico, Star Wars del litorale. Gli epiteti della Rimini balneare raccontata da registi e scrittori dagli anni di piombo fino a oggi, esprimono un unico eterno contrappasso per la città del disimpegno: rivivere all’infinito il «caleidoscopico plot» fatto di sogni, pulsioni esplosive e abbondanze rabelesiane smantellando ad ogni equinozio d’autunno la scenografia della vacanza kitsch nazionalpopolare. Rivivere la libido prefabbricata all’ombra marmorea dei grandi edifici del Ventennio, specchiarsi nel mito anche quando il peso della vita quotidiana pungola i nostri inconsci sbeccando l’intonaco delle cabine dei bagni che quasi ci riesce a scalzare via quella vita in technicolor raccontata una volta per tutte dalla presa diretta di Pier Vittorio Tondelli.

Dalle pagine di Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta – il romanzo-reportage uscito nel 1990, da Bompiani, che fece del giovane di Correggio il cantore espressionista dello spaccato antropologico e sociale di questa «Italia un po’ sbracata che culla il sogno di una propria efficienza import-export» – l’esilissima striscia di sabbia chiara e la sua metropoli ora abbandonata ora popolata a dismisura, «costruitasi da sé dalle acque», sembrano nascere prima di tutto come mỳthos.Rimini come luogo della mente e delle possibilità per tutti. Rimini come Hollywood, appunto. Ma l’immaginario del “Privilegiato stabilimento dei bagni di mare” e dei party nei templi della notte, è ancora la stoccata, il colpo nascosto sfoderato dai narratori del nostro secolo? Chi affermerebbe oggi che Fiabilandia riassume il panorama di sfrenata ricerca del divertimento?

L'articolo di Giulia Penta continua a questo link:





Se tutto passa... e quasi orma non lascia

Anche il corpo è un divenire, è stato creato per essere mutato, migliorato, trasformato a favore della vita che esso stesso porta come sete e chiede come pienezza

«Come sono belli i tuoi occhi dietro il velo » dice il Cantico dei Cantici alludendo a ciò che traspare del viso di lei coperto da un velo. Trame di seta che lo rendono ancor più affascinante e desiderabile. Ora le donne, da noi, non tengono più nulla dietro un velo, specialmente d’estate. 
Se ancora ai tempi di Totò mostrare il corpo con un bikini significava liberarsi da moralismi repressivi esercitati dai patriarcati familiari e sociali, che volevano soffocarne la pelle dentro degli “scafandri da palombari” (= costumi interi e castigati), oggi segnala, invece, più che voglia di esibire quasi un’indifferenza, un’estraneità tra sé e il proprio corpo e tra il proprio corpo e quello degli altri. Una nudità senza attesa, membra inermi esposte agli anonimi passanti e pure al vuoto di uno sguardo d’amore. Un corpo senza porte, senza un velo a vegliarne l’intimità. Il corpo si trasmette sempre più come immagine e il “velo” si trasforma nella prosaica calza da mettere sulla telecamera affinché si ottenga un effetto flou che spiani le rughe così da rendere impossibile l’emergere dei segni del tempo sulla fronte e sul collo. Ridotto ad immagine il corpo non sembra veicolare più il passato quindi la storia, le esperienze, le maternità, gli allattamenti, tutte le cicatrici che la vita vi ha scolpito. Qualcosa che molti condannano come fosse un peccato e qualcuno, con rara sapienza, non accettava, dicendo: “c’ho messo tanti anni a fare queste rughe perché dovrei cancellarle?” (Anna Magnani). Ma il desiderio di togliersi di dosso il peso degli anni è ...

L'intervento di Rosanna Virgili continua a questo link:







Domenica XVII PA - Mt 13,44-52

La scoperta per caso di un tesoro di un uomo, la ricerca delle perle preziose di Dio e il suo amore che brucia tutto il marcio che la rete tirerà su alla fine dei tempi (non del mondo): tre parabole che fanno esplodere la gioia



Oggi la Liturgia ci propone in continuità con le domeniche precedenti le ultime tre parabole delle sette che Matteo ha raccolto nel suo tredicesimo capitolo dopo che Gesù, essendosi accorto che il suo annuncio non era stato capito, cambia linguaggio e, da quello diretto, passa a quello mediato dagli esempi presi dalla vita concreta.

Così dopo aver posto l’attenzione sulla realtà personale dei discepoli, di noi, composta di tanti terreni diversi più o meno capaci di accogliere la sua Parola, di farla propria e di portarla a frutto, (la parabola del seminatore “disattento”), la scorsa settimana ha avvisato di tre pericoli nei quali ciascuno di noi e le nostre Comunità possono incorrere: il pensarsi dei “perfetti” escludendo chi non consideriamo tali; oppure dei maestosi cedri del libano mentre invece siamo chiamati ad essere una semente impalpabile che però si diffonde ovunque; o, infine, a fare attenzione che, tra la grande quantità della farina (40 chili!) e la piccola parte del lievito che serve a farla crescere, siamo la seconda. Vale a dire che, di fronte alla grande quantità di lavoro che si intravede davanti, non ci si deve scoraggiare perché siamo garantiti nella riuscita dal Signore: è lui che “impasta”.

 

Le tre parabole di oggi ci propongono le immagini di un tesoro scoperto per caso nel campo, di una perla preziosa cercata e scovata dal mercante. Per finire contemporaneamente la ripresa della figura dei discepoli come “pescatori di uomini” e il campo dove crescono assieme il grano e le gramigne; ecco quindi, una la rete gettata nel mare che, alla fine dei tempi, sarà tirata a riva e conterrà di tutto.

 

Quel tesoro nascosto nel campo della vita di ciascuno, da sempre sta lì e per tutti c’è la possibilità prima o poi di farci caso, accorgersene e prenderlo; non è “meritato” da nessuno ed è totalmente gratuito. La gioia della scoperta è grande quanto più si capisce quanto possa essere importante per la vita averlo trovato per caso ed è questa consapevolezza che, nella gioia, muove a fare ogni sforzo per acquisirlo, anche a costo di “vendere”, lasciare o meglio capovolgere la scala di valori che aveva guidato fino a quella scoperta la vita. Probabilmente trascorreva tranquilla nel tran-tran quotidiano senza sussulti, guidata dalla necessità di sbarcare il lunario. Quell’uomo ora capisce che c’è altro e a questo dedica tutto sé stesso, tutta la sua vita. Capisce che non si tratta di lasciare qualcosa, ma di aver trovato il tutto.  Quel “tesoro” dà un senso nuovo al suo esistere, lo rende una persona nuova, un “beato” secondo il lieto annuncio fatto da Gesù; è la scoperta della signoria di Dio sulla e nella sua vita. È questo che ci è offerto di scoprire; non ci è chiesto di rinunciare a nulla: è la gioia che muove e non crea rimpianti nella ricerca di potervi partecipare, anche a costo di cambiare totalmente vita.

 

Nel libro dei Proverbi e in Giobbe si parla di “perle preziose” paragonandole alla sapienza. A differenza di chi ha trovato per caso il tesoro nel campo, nella seconda parabola siamo di fronte a un cercatore di perle preziose, un intenditore, uno che continua a inseguire la bellezza e non è mai soddisfatto. Mentre nella prima parabola, quel tesoro nascosto potrebbe essere per lo più nella vita di un uomo che non conosce già la fede e la scopre, qui potrebbero riconoscersi tutti i discepoli noi compresi. Al centro non c’è la perla più preziosa di tutte da trovare, ma la ricerca del mercante fino a scoprire che quel “mercante” è il Padre (in tutta la Scrittura è Dio che va in cerca dell’uomo e non viceversa!) che è disposto a tutto pur di trovare quella perla preziosa che siamo noi, per renderci partecipi della sua gioia e del suo amore.

A queste due parabole gemelle, ne segue un’altra per la quale Matteo propone una spiegazione che richiama quella sulla mietitura del grano frammisto alle zizzanie. “Il regno dei cieli è simile a [ciò che avviene quando] una rete [è] gettata nel mare [per la pesca] … Quando è piena …”. Il processo è iniziato e avanza inesorabile verso un compimento. 

Gesù ha chiamato i suoi discepoli, ha affidato loro una grande missione, quella di pescare uomini, non pescare con l’amo, ma con la rete perché il loro compito è quello di tirar fuori dalle acque del mare che sono il simbolo di tutte le forze di morte, di corruzione morale, di passioni sregolate, di cattive compagnie, di droga e di tutto quello che impedisce all’uomo di vivere. Devono tirar fuori gli uomini da questa condizione per collocarli nelle acque di vita che è lo Spirito di Cristo. 

Alla fine dei tempi avverrà una distinzione come quella che fanno i pescatori e il testo greco, a differenza della nostra traduzione, dice che gli angeli faranno la separazione “tra le cose belle e le cose marce” cioè morte. Non afferma che ci sono uomini vivi e uomini morti, dice che nella rete c’è del bello e del marcio che sono presenti in ogni uomo.

Certo c’è una minaccia, in questa parabola. Ma contemporaneamente c’è la grande e lieta notizia per ognuno di noi che rimarrà accolta nel regno del Padre la parte bella, presente in ogni persona. In fin dei conti l’oro viene purificato nel crogiuolo che lo rende puro, tutto il male, il marcio sarà consumato dal fuoco dell’incontro con l’amore infinito del Padre che porterà una grande gioia

Avete compreso tutte queste cose?” chiede alla fine Gesù: la nostra risposta?

(BiGio)


Un tesoro nascosto

Per caso o dopo una lunga ricerca, la reazione è quella di una gioia piena ma non si può avere e servire due padroni: Dio e il denaro


Le parabole che troviamo nel vangelo di Matteo, non sono semplici artifici didattici per una più facile comprensione di un insegnamento. Gesù ci indica un modo nuovo di concepire la vita, di darle senso, ci propone il progetto di una società nuova, giusta e solidale, che egli chiama “il regno di Dio” e ci costringe a riflettere profondamente per scoprirne il senso e le dinamiche. Questo messaggio innovativo e profondo, paradossalmente, lo possono comprendere solo persone "umili e semplici". I "sapienti e dotti", che hanno la mente e il cuore occupati dalla loro sapienza e dai loro interessi, potranno certamente capire molte cose teoricamente, ma non sarà facile per loro dare la piena adesione a Gesù e seguire i suoi passi.
Sul regno di Dio Matteo ci propone tre parabole di Gesù, semplici ed enigmatiche allo stesso tempo.
Come un tesoro nascosto o una perla di grande valore: così è il regno di Dio. Ci sono persone che lo trovano per puro caso, a volte a causa di qualche avvenimento imprevisto, felice o doloroso, o a causa di un'esperienza molto significativa. Altre persone possono trovarlo come risultato di una lunga e paziente ricerca, avendo sperimentato l'insufficienza di altri percorsi. Ciò che qualifica la scoperta è la reazione di chi lo trova: "Pieno di gioia, vende tutti i suoi averi". Non c'è niente di più importante ora per lui, solo il tesoro trovato, o la perla di grande valore: il regno di Dio è l'unica cosa che conta. La gioia e l'entusiasmo di aver scoperto il valore più grande e più attraente lo travolgono, quasi lo costringono a mettersi su questa strada, ad occuparsi della costruzione del Regno come unico obiettivo della vita, relativizzando tutto: interessi, prestigio, potere, beni, divertimenti, affetti, salute e la vita stessa.
Fare che Dio sia re della nostra vita non è solo frutto di buona volontà. Solo se siamo "pieni di gioia", profondamente innamorati, possiamo donarci veramente a Gesù e al suo progetto. Attratti e sedotti da lui, possiamo anche annunciarlo coraggiosamente e condividere la nostra gioia con altri.
"Vende tutti i suoi averi", perché "non si può servire due padroni: Dio e il denaro". Anche chi ha trovato “la perla di grande valore” ha bisogno di denaro per vivere in questa società, ma il proprietario del suo cuore sarà Dio. Chi ha scoperto la perla appartiene a lui e segue Gesù, come i primi discepoli, che “lasciandolo tutto, lo seguirono”. Non si lascia tutto per disprezzo delle cose o come prezzo da pagare, ma per l'accoglienza di un dono più grande, che attende la totale adesione e al quale tutto deve essere subordinato.
L'altra parabola, sulla "rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci", sembra orientarci verso la paura del giudizio finale, quando "verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni" e getteranno i cattivi "nella fornace ardente". Forse questa era la preoccupazione di san Matteo, che aveva una comunità un po' addormentata, bisognosa di essere scossa e incoraggiata. In realtà, lo scopo di questo paragone è simile a quello della parabola del grano e della zizzania. Convivono nella società, nella comunità cristiana e nei nostri stessi cuori, il bene e il male. Siamo chiamati a fare un processo di illuminazione e di pacificazione personale e comunitaria, senza giudicare nessuno, senza imporre il bene a nessuno, facendo crescere il bene e la giustizia secondo i ritmi e i percorsi di ciascuno e lasciando a Dio il giudizio ultimo. Più che uno sguardo verso il giudizio futuro, è un insegnamento per il presente, per impegnare la nostra vita. Tutto l’enorme lavoro e la pena di chi nel mondo idolatra il denaro e il potere avrà un esito inconsistente, degno di essere bruciato come paglia. I membri della comunità, se non producono oggi frutti buoni con opere concrete, diventano sconosciuti: "Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, operatori di male".

La conclusione di tutto il discorso in parabole sul regno di Dio, nel vangelo di Matteo, apre un orizzonte universale. Le tradizioni religiose del popolo ebraico e di tutti i popoli sono patrimoni importanti, che arricchiscono il progetto del Regno. Il discepolo sa armonizzare "cose nuove e cose antiche", il messaggio di Gesù e i valori delle culture del popolo a cui appartiene.
(Bernardino Zanella)

Quando l'antiproibizionismo fa comodo

Del gioco legale si parla ancora troppo poco. Eppure i dati, allarmanti, esistono: per questo occorre un dibattito serio che respinga logiche negazioniste e guardi in faccia la realtà 

Il secondo Rapporto di Lottomatica e Censis su Il gioco legale in Italia. Il valore sociale ed economico del gioco, presentato il mese scorso, si propone, tra l’altro, di porre rimedio alla narrazione comune nella quale “viene sottaciuto che il sistema del gioco legale è un settore economico con imprese, occupati e proventi fiscali per la collettività, un universo altamente regolato dallo Stato e gestito da concessionari, cioè gruppi imprenditoriali affidabili, verificati e capaci. E viene anche misconosciuta l’essenza della sua funzione sociale: l’essere il nemico più irriducibile del gioco illegale, di solito controllato dalla criminalità”.

Sarà stato per questo che il comparto del gioco d’azzardo è stato l’ultimo a chiudere in tempi di pandemia da Covid-19 (21 marzo 2020) e il primo a riaprire: il 27 aprile nei tabaccai tornarono 10 & Lotto, Winforlife, Winforlife Vincicasa, Millionday e il 4 maggio Lotto e SuperEnalotto unitamente al SuperStar, SiVinceTutto SuperEnalotto ed Eurojackpot.

Un mercato da valorizzare, dunque, per le sue grandi capacità di farsi volano per lo sviluppo sociale ed economico, oltre che occupazionale, non tralasciandone la funzione di argine rispetto alla piena del gioco illegale, area di transito per il riciclaggio di denaro sporco.

L'articolo di Anna Paola Lacatena continua a questo link:

https://www.rivistailmulino.it/a/quando-l-antiproibizionismo-fa-comodo?&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Strada+Maggiore+37+%7C+24+luglio+%5B9218%5D




Fiumi di coca e fabbriche di nuove droghe così le narcomafie si prendono l'Ucraina

Yanina Sokolova, celebre presentatrice tv ucraina, ha postato su Facebook tutto il dolore dei soldati: il corpo amputato di un ferito in guerra, malconcio, pieno di traumi fisici e lesioni. «Sente male h24, 7 giorni su 7 – ha scritto –. Che male terribile. Gli oppiacei che deve prendere continuamente per sopravvivere danneggiano cuore e stomaco e hanno effetti collaterali. Cannabis terapeutica per Bakaliuk e per gli altri soldati. Votate, per favore, votate». L'appello ha avuto seguito, ma non ce n'era bisogno.

Pochi giorni fa, la Verchovna Rada, il parlamento ucraino, ha ratificato d'urgenza, per ora in prima lettura, una legge per legalizzare la marijuana per scopi terapeutici, per alleviare le terribili sofferenze di militari e civili sconvolti dal conflitto. Solo due anni fa, in tempo di pace, la proposta era stata respinta. Ma ora, non si può morire di spasmi, la sofferenza di un Paese aggredito, va sedata.

La guerra in Ucraina ha sconvolto il mondo, e come effetti economici collaterali anche i traffici mondiali della droga. Pensiamo alle rotte della cannabis, della cocaina, così come a quelle delle nuove sostanze psicoattive (Nps), che prima partivano dalla Russia, dall'Afghanistan, dai Balcani, e ancora dal Sudamerica verso il porto di Odessa: il conflitto nel mezzo dell'Europa orientale ha atrofizzato i tradizionali canali illegali di transito che i trafficanti utilizzavano fino al 24 febbraio 2022. Con la chiusura del porto di Odessa, ad esempio, che era il principale scalo marittimo per il business della droga nel Mar Nero, e con la militarizzazione massiccia della regione, e ancora con la pressione ai confini, i flussi si sono presto riorganizzati. Per soddisfare la crescente domanda da Est, e continuare a garantire le richieste dei Paesi dell'Europa occidentale, non certo calate. ...

L'articolo di Letizia Tortello continua a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202307/230721tortello.pdf


L'appello di Alex Zonotelli, "Rompiamo il silenzio sull'Africa, non ha avuto grande spazio

È passata una settimana da quando padre Alex Zanotelli ha lanciato ai giornalisti e alle giornaliste italiani un appello con lo stile, la consueta passione evangelica e la libertà di giudizio. Ma se ne è parlato poco sui media.



Cari colleghi e colleghe,


scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo come missionario uso la penna (anch’io appartengo alla vostra categoria) per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media, purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che vorrebbe. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo.

Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. (Sono poche purtroppo le eccezioni in questo campo!).
È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel ...

L'intero appello al seguente link:

https://www.avvenire.it/amp/opinioni/pagine/rompiamo-il-silenzio-sull-africa

Parrocchie senza parroci: a Torino e Susa le gestiranno gruppi di laici

Parrocchie senza parroci: una situazione che interessa tutta la Chiesa in Italia e alla quale si inizia a cercare di dare risposte. 
Una arriva dalle diocesi di Torino e Susa, guidate dall'arcivescovo Roberto Repole


Nelle due diocesi la riorganizzazione annunciata dall’arcivescovo Repole. Una scuola per formare quanti saranno guide nelle comunità. I ministeri laicali “a tempo” per favorire il ricambio.
Invita alla «benevolenza reciproca» l’arcivescovo Roberto Repole. Nella Lettera pastorale diffusa nei giorni scorsi, dedicata al «futuro delle Chiese di Torino e Susa», le due diocesi che guida, il presule consegna non tanto un piano di lavoro, quanto una serie di «indicazioni di stile» che rappresentano però la sostanza di quella gioia della vita cristiana che l’arcivescovo intende promuovere. La Lettera arriva dopo le due Convocazioni che a giugno e luglio hanno concluso il cammino di ascolto nelle diocesi. Repole aveva lanciato lo scorso anno, pochi mesi dopo l’inizio del suo mandato (7 maggio 2022), l’invito alla ricerca dei «germogli», cioè dei semi di speranza e di futuro da coltivare, in vista di quel necessario rinnovamento nella vita e nell’organizzazione delle due Chiese locali, ormai impoverite nel numero dei preti e dei consacrati ma anche «invecchiate» nell’età media dei praticanti. Il rischio è che la presenza dei cristiani nel territorio e nella vita civile sia orientata a un «tirare avanti» nei servizi e nelle strutture, ma perdendo di vista quella «freschezza del Vangelo» che è invece il centro della vita cristiana, e anche la testimonianza che il mondo si attende. «Dobbiamo prendere consapevolezza in modo lucido – scrive l’arcivescovo – che mantenere semplicemente e stancamente il modello attuale significa condannarci a non essere più una presenza capace di trasmettere la ricchezza inesauribile e coinvolgente del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi ...

L'artico di Marco Bonatti continua a questo link:



La Lettera Pastorale "Quello che conta davvero" a questo link: 



Un’eucaristia meno formale e più relazionale

Nell’epoca post-cristiana, in cui le chiese si svuotano, è ancora possibile proporre una riflessione sull’Eucarestia? La fede e la liturgia possono incontrare uomini e donne di oggi e di domani solo se riescono a dialogare con loro “per la strada”, cioè nei contesti concreti dove si svolgono le loro vite e dove nascono le loro domande di senso e il loro bisogno di conforto e speranza. Il saggio di Paolo Cugini L’Eucarestia domani. Inculturazione e inclusività della liturgia (Cantalupa, TO, Effatà 2023), pertanto, si propone il disvelamento dell’autentico tesoro d’amore che Gesù ha nascosto nelle parole dell’ultima cena (p. 7).

A differenza dei sinottici, il Vangelo di Giovanni non rappresenta la benedizione sul pane e sul vino, fatta da Gesù durante l’ultima cena, ma la scena della lavanda dei piedi, che porta alla luce il profondo significato dell’Eucarestia: essa si configura come una coerente scelta di amore che Gesù fa “fino alla fine” invitandoci a seguire il suo esempio. Ricevere l’Eucarestia vuol dire rendere proprio questo sguardo di misericordia che alimenta l’impulso verso il servizio vicendevole. Non si tratta del “premio dei perfetti”, ma del nutrimento per continuare il viaggio, senza abbattersi di fronte alle difficoltà, e prendersi cura gli uni degli altri. Di conseguenza, non può che rivolgersi a tutti e tutte, in un abbraccio di inclusione cui sono ispirate pagine meravigliose (pp. 47-59): Gesù intendeva demolire la “religione del Tempio” con i suoi pregiudizi e i suoi privilegi per mettere al centro l’ascolto delle persone e la loro ricerca di amore.

 

Ormai nessuno può più credere o praticare una fede come precetto, ma solo per una sincera motivazione etica e spirituale. È giunto il momento che la fede perda la sua connotazione metafisica per diventare ermeneutica della vita in cui il soggetto umano sia pienamente ascoltato, coinvolto, liberato. Ma per questo è necessario che la liturgia sia attenta alla vita concreta del presente, valorizzando la comunità dei credenti come popolo di Dio: è, di fatto, il messaggio del Concilio Vaticano II. 



L'intervento di Antonio De Caro continua a questo link:


https://www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/192656/un%E2%80%99eucaristia-meno-formale-e-pi%C3%B9-relazionale





 

Israele: avanza fra le proteste la riforma giudiziaria

Il governo di Netanyahu toglie alla Corte Suprema la facoltà di bloccare le decisioni dell’esecutivo giudicate “irragionevoli”. Migliaia scendono in piazza per protesta.


Il voto della Knesset di ieri segna un importante punto di svolta per Israele e per il processo di revisione del sistema giudiziario portato avanti dal governo Netanyahu. La cancellazione della clausola di ragionevolezza – uno dei punti più discussi della riforma – offre infatti nuove opportunità all’esecutivo. Tra queste il reintegro al suo incarico ministeriale di Aryeh Deri, leader del partito religioso Shas, così come l’approvazione di una nuova legge fondamentale che garantirebbe l’esenzione al servizio militare per gli ultraortodossi. Se il voto dimostra che il tavolo di trattative aperto a marzo con l’opposizione era destinato a fallire, l’immagine che resta è quella di un governo che procede imperterrito sulla strada di una riforma che sta lacerando il tessuto sociale e cambiando profondamente l’assetto istituzionale del Paese.

L'intera analisi dell'ISPI a questo link:






Antonio: “Il sì al suicidio assistito mi ha fatto tornare la voglia di vivere ancora”

Intervista al paziente tetraplegico che a ottobre 2022 ha avuto l’ok per poter morire dall’Asur Marche, ma ha deciso di rinunciare. “Le mie condizioni sono peggiorate, ma ora che ho la chiave per uscire dalla prigione del corpo ogni attimo mi sembra prezioso”


«Quando ho deciso? Alla vigilia del suicidio assistito. È stato come aprire gli occhi e accorgersi che c’è il sole. Adesso che sono libero, adesso che ho la chiave per uscire dalla prigione del mio corpo, perché non vivere un giorno ancora? Nessuno potrà togliermi domani il diritto di mettere fine alle mie sofferenze. Così, per adesso, ho scelto di restare».

Antonio parla forte e chiaro, sorride, anzi scherza, come sempre. Si collega dalla sua casa nelle Marche per raccontare la sua dirompente e umanissima scelta. «La mia famiglia ha fatto una festa, mia madre piangeva, gli amici mi abbracciavano».

Quarantaquattro anni, tetraplegico, immobilizzato dal tronco in giù dopo un gravissimo incidente di moto nel 2014, Antonio, così ancora si fa chiamare, era stato il secondo paziente in Italia, dopo “Mario”, cioè Federico Carboni, morto a Senigallia nel giugno del 2022, ad ottenere dall’Asur Marche, assistito dall’Associazione Luca Coscioni, il via libera al suicidio assistito, secondo le regole decise dalla Consulta nel caso di Dj Fabo. Doveva accadere a ottobre, era tutto pronto. I documenti, il medico, i tanti addii.

Antonio, lei ha lottato con tutte le sue forze per ottenere il diritto di morire. Poi ha scelto invece, felicemente, di continuare a vivere. Le sue condizioni sono migliorate?

«No, purtroppo lentamente peggioro ogni giorno.....


L'intervista di Maria Novella De Luca continua a questo link:

https://www.repubblica.it/cronaca/2023/07/23/news/antonio_il_si_al_suicidio_assistito_mi_ha_fatto_tornare_la_voglia_di_vivere_ancora-408635998/?ref=RHLF-BG-I408651722-P6-S1-T1





"L'umano come passione" conversazione con Luciano Manicardi

«La parola è l’elemento costitutivo di ogni nostra giornata e dell’intera vita umana. La parola è delicato strumento di tessitura di relazioni, ma può anche distruggere le relazioni. Dalla parola dipende molto della qualità della nostra vita e dei nostri rapporti. La parola, poi, è strumento privilegiato del lavoro psicoterapeutico, del colloquio con il paziente, del lavoro di ascolto ed empatia. Appunto, la parola si accompagna al silenzio, all’ascolto, attenzione al linguaggio corporeo, emotivo e affettivo: nella comunicazione gli elementi corporei si radicano nell’affettività e in un certo modo la esprimono». 
Con queste parole inizia l’ultimo libro scritto da Luciano Manicardi, biblista, autore di numerosi saggi e monografie, monaco della Comunità Monastica di Bose, dov’è stato anche priore.


intervista a cura di Stefano Zecchi

È da pochi giorni in libreria il suo ultimo libro “La passione per l’umano”, edizioni Vita e Pensiero. Come mai questo titolo…e come nasce questo libro?

Questo libro è la raccolta di sei seminari che ho tenuto nel corso degli ultimi anni presso la scuola di psicoterapia del Ruolo Terapeutico a Milano. Una scuola che abilita all’esercizio della psicoterapia dei laureati in psicologia o in medicina e che integra i programmi ministeriali con qualche seminario o lezione tenuti da persone che si occupano di altri ambiti e che non hanno competenze specificamente psicologiche o psicanalitiche. Ogni seminario che ho svolto (e ve ne sono diversi altri non entrati nel libro) è tematico e corrisponde a un capitolo del libro, che può dunque essere letto indipendentemente dagli altri: la parola, la narrazione, la menzogna, l’invidia, la vergogna, la volontà. Il titolo, La passione per l’umano, fa l’unità tra questi diversi temi dicendo il legame che sottostà ai vari capitoli: l’interesse per ciò che è umano, il desiderio di esplorare e conoscere ciò che concerne la condizione umana, insomma, la passione per l’umano. Questo interesse rientra nella ricerca più profonda che vi sta dietro: la convinzione, cioè, della necessità di ripensare l’umano e riscrivere una grammatica dell’umano. Che cos’è “umano”? Occorre ripensarlo alla luce di quell’inumano che è sempre alla portata dell’umano e di cui il secolo scorso con la Shoah e Auschwitz ci ha dato l’esempio più devastante. Ma l’inumano si presenta nel nostro quotidiano ogni qualvolta una persona è trattata come un oggetto, è disprezzata o umiliata. E l’umiliazione avviene quando una persona viene considerata e trattata come meno umana di altre e quando le istituzioni di una società privilegiano alcuni e discriminano altri creando scarti e rifiuti umani. L’inumano è poi visibile nel discorso d’odio (hate speech) presente soprattutto nella comunicazione on-line. Ma l’umano oggi si deve confrontare anche con il postumano. Con il postumano che sfonda il limite tra uomo e cosa, crea robot senzienti, che con l’Intelligenza Artificiale crea macchine sempre più umanizzate, dotate di capacità cognitive fino a rendere pressoché impalpabile l’appannaggio esclusivo da parte dell’uomo di facoltà che fino a ieri ne definivano lo “specifico”. Quel postumano che, applicando l’arsenale delle tecnoscienze al campo della biomedicina muta lo statuto della medicina stessa facendola passare da disciplina che “ripara” i danni che l’organismo subisce, a tecnica di potenziamento e “aumento” dell’uomo stesso fino a ipotizzare e perseguire nei movimenti transumanisti l’idea di amortalità. Ma anche con quel postumano che sta erodendo l’idea di eccezione umana mostrando come di diversi elementi ritenuti propri dell’uomo si possono trovare tracce di presenza in altri viventi. Si pensi agli studi di neurobiologia vegetale portati avanti e anche divulgati da Stefano Mancuso. Un postumano che, in questo caso potrebbe avere come esito quello di una maggiore solidarietà e prossimità con tutti i viventi, ispirando una pratica di convivenza mite con la terra e tutti i suoi abitanti, umani, animali, vegetali, minerali. Insomma, l’umano, oggi, è una domanda. Domanda complessa, articolata e che richiede studio, riflessione, pluralità di punti di vista, interdisciplinarità. In questo contesto nasce il mio libro. 

L'intera intervista a questo link:

Gente disperata o gente di speranza?

A partire da Leopardi qualche appunto sulla felicità e sulle difficoltà della vita, e su come da cristiani siamo chiamati a coniugarle nel quotidiano

«Leopardi era pessimista, eppure anche lui continuava a sperare ogni singola volta. Non si è mai arreso: diceva che la felicità era solo un intervallo fra un dolore e l’altro, è vero. Ma non mi sembra che si sia mai rifiutato di cercare quegli intervalli ogni volta che era possibile.    
Anzi, è proprio dei pessimisti cercare di aggrapparsi come possono alla felicità ogni volta che la trovano, perché per primi sanno quanto possa essere rara e preziosa». Così scriveva qualche anno fa su un social network una mia ex alunna ormai laureata, pensiero che ho da allora conservato con cura.

La felicità non è la risata facile o l’ilarità smodata, non è la vittoria della propria squadra né una vincita alla lotteria, non è però neanche il pensare di aver trovato tutte le risposte ai propri problemi e ritenere di essere tanto nella verità che l’importante è che noi siamo felici e che magari la felicità dell’altro possa dipendere da noi. E per un cristiano che cos’è la felicità? Mi piace allora riportare una frase che mi ritorna in mente costantemente: Chi ha incontrato Gesù Cristo è felice, ma se non lo è, vuol dire che ha incontrato qualcun altro!

Un cristiano, dunque, può essere pessimista ed infelice?

L'articolo di Marco Pappalardo continua a questo link:

https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/gente-disperata-o-gente-di-speranza/

 


 

Il rapporto del governo giapponese sulle sterilizzazioni forzate: in quasi 50 anni coinvolte 25mila persone

L’indagine di 1.400 pagine, frutto di tre anni di lavoro, consegnata nel giugno scorso alle due Camere della Dieta nipponica, ripercorre e riassume la macabra storia delle sterilizzazioni forzate imposte su donne, uomini e persino bambini giapponesi con diverse disabilità in ‘ottemperanza’ alla “Legge sulla protezione dell’eugenetica“ rimasta in vigore 48 anni, dal 1948 fino al 1996 quando venne di fatto abrogata trasformandosi nella attuale “Legge per la protezione della salute della madre”

“Ognuno di noi deve prenderla in seria considerazione affinché una tale vicenda non abbia mai più a ripetersi in futuro”. Con queste parole il presidente della Camera dei consiglieri giapponese Hidehisa Otsuji si esprimeva il 19 giugno scorso riferendosi alla Relazione parlamentare su quella che alcuni quotidiani italiani, commentando la notizia, avevano definito una ‘vergogna’ del Giappone. L’indagine di 1.400 pagine, frutto di tre anni di lavoro, consegnata nel giugno scorso alle due Camere della Dieta nipponica, ripercorre e riassume la macabra storia delle sterilizzazioni forzate imposte su donne, uomini e persino bambini giapponesi con diverse disabilitàin ‘ottemperanza’ alla “Legge sulla protezione dell’eugenetica“ rimasta in vigore 48 anni, dal 1948 fino al 1996 quando venne di fatto abrogata trasformandosi nella attuale “Legge per la protezione della salute della madre”. ...


L'articolo di Massimo Succi continua a questo link:


https://www.agensir.it/mondo/2023/07/22/il-rapporto-del-governo-giapponese-sulle-sterilizzazioni-forzate-in-quasi-50-anni-coinvolte-25mila-persone/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2





Ottant’anni dalla stesura del “Codice di Camaldoli”

Non poteva passare inosservato l’importante anniversario degli ottant’anni dalla stesura del “Codice di Camaldoli”. La memoria va a quei giorni, tra il 18 e il 24 luglio del 1943, quando alcuni intellettuali cattolici, sotto la guida di mons. Adriano Bernareggi, si ritrovarono nel monastero benedettino di Camaldoli per confrontarsi e individuare linee programmatiche riguardanti la dottrina sociale della Chiesa, in particolare circa i temi del lavoro, della giustizia sociale, della libertà, del rapporto individuo-Stato


La memoria va a quei giorni, tra il 18 e il 24 luglio del 1943, quando alcuni intellettuali cattolici, sotto la guida di mons. Adriano Bernareggi, si ritrovarono nel monastero benedettino di Camaldoli per confrontarsi e individuare linee programmatiche riguardanti la dottrina sociale della Chiesa, in particolare circa i temi del lavoro, della giustizia sociale, della libertà, del rapporto individuo-Stato.
Sono tematiche che poi confluiranno anzitutto in molte parti di quella che sarà la Costituzione Italiana e anche nella politica che la storia della Democrazia Cristiana ha cercato di interpretare e realizzare nella vita del Paese.
E’ significativo che il lavoro e la riflessione sia maturata ancora in tempo di guerra, ma guardando alle esigenze che la pace e il superamento degli effetti della distruzione bellica avrebbero poi richiesto alla Nazione per ritrovare non solo risorse umane ed economiche, ma anche i princìpi fondamentali di una nuova idea di società civile.
La stesura finale del cosiddetto Codice di Camaldoli, che vedrà ...

L'articolo di Andrea Migliavacca continua a questo link:



A questi link gli interventi al Convegno di:

Cinque testimonianze a una settimana dalla morte di Luigi Bettazzi



A questo link:


“Noi siamo Chiesa”: Dal Concilio a Sarajevo: un vescovo in uscita

Giovanni Gennari: La lettera a Berlinguer

Enrico Peyretti: Eucaristie di desiderio

Francesco Comuna: Alla sinistra di Dio

"Chiesa di tutti chiesa dei poveri": La chiesa di Bettazzi