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Accordo sul grano: la UE non dorma deve ripensare la sua sicurezza alimentare. Anche a fronte del grande “riarmo” agricolo cinese.

Il tema dell’analisi geopolitica legata al rinnovo dell’accordo del Mar Nero sul grano impone di discutere il ruolo dell’elefante nell’armadio: la Cina. In effetti, se da un lato l’Ucraina rimarca senza sosta che le sue esportazioni servono a “sfamare il mondo”, e le Nazioni Unite (con in testa l’Europa) ribadiscono che il 55% del grano trasportato attraverso il Mar Nero prende la via dei Paesi in via di sviluppo, un’analisi più attenta dei dati rivela una realtà molto diversa: la Cina, Paese considerato tra quelli in via di sviluppo dalle Nazioni Unite, egemonizza l’importazione di grano ucraino. Pechino ha importato circa 5,5 Mt di grano sulle 25 Mt totali esportate grazie all’accordo, incluso il 32% delle esportazioni di mais (4 Mt) e l’80% delle esportazioni di olio di girasole (1,1 Mt). 


Non è più possibile ignorare il fattore geopolitico rappresentato dal riarmo agricolo del colosso asiatico. Con solo l’8% delle terre arabili mondiali a fronte del 22% della popolazione globale, la Cina esprime una crescente fame di prodotti agricoli da reperire sui mercati mondiali – nonostante sia diventata recentemente il più grande produttore mondiale di grano – e sete di risorse idriche con il tema del controllo delle acque dell’Himalaya (contese all’India) destinato potenzialmente a far deflagrare un nuovo “caso Taiwan” nei decenni a venire. 

L’accresciuta capacità produttiva cinese non basta a soddisfarne il fabbisogno interno – impedendo di fatto alla Cina di esportare grano – e per di più l’apparato agricolo nazionale sta raggiungendo rapidamente i livelli strutturali massimi, producendo una serie di implicazioni che l’Europa ha il dovere di monitorare attentamente. Primo, la Cina, al contrario dell’Unione europea, ha una visione organica della sicurezza alimentare come pilastro tanto per la sicurezza domestica quanto per la volontà di proiezione esterna. Non a caso, nella proposta cinese di pace per porre fine al conflitto ucraino spicca l’insistenza sulla dimensione agricola elementare della guerra, e sulla necessità di preservare il corridoio commerciale nel Mar Nero. Visti i buoni rapporti che Pechino intrattiene con Mosca, non è del resto da escludere che la Cina cerchi di sostituirsi alla Turchia come garante dell’accordo attualmente in vigore, in caso la Russia minacciasse una nuova sospensione. Secondo ....

L'intero articolo e analisi di Tommaso Emiliani a questo link:

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/accordo-sul-grano-la-ue-non-dorma-122943

L'adozione da parte di coppie omosessuali. Il Nord-Est è diviso ma crescono i sì

La legge 184 del 1983 che regola le adozioni in Italia compirà quarant'anni a maggio. La revisione che ha avuto nel 2001 non ne ha toccato l'impianto che sostanzialmente limita questa possibilità a "coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni". Ma questo riferimento stringente al vincolo matrimoniale è ancora attuale oggi?

Non molto, secondo i dati analizzati da Demos per l'Osservatorio sul Nord Est del Gazzettino. L'opinione pubblica dell'area, infatti, mostra una (crescente) apertura alle adozioni da parte di "forme di famiglia" attualmente escluse dalla legge. L'83% dei nordestini è favorevole che questa possibilità sia concessa ai conviventi: rispetto al 2011, quando la medesima opinione raggiungeva il 67%, osserviamo una crescita di 16 punti percentuali. Molto larga (71%), inoltre, è l'apertura verso le adozioni da parte dei single, e anche in questo caso registriamo una crescita rispetto a dodici anni fa: + 13 punti percentuali.

Se per single e coppie eterosessuali conviventi sembra esistere un ampio e marcato sostegno alla possibilità di adottare dei bambini, più divisiva sembra essere l'ipotesi di consentirlo a coppie omosessuali: in questo caso, la quota di favorevoli si attesta esattamente al 50%. D'altra parte, però, se guardiamo alla serie storica, dobbiamo considerare come sia rapidamente aumentata questa componente: rispetto al 31% di dodici anni fa, il balzo in avanti è di 19 punti percentuali.

L'intera analisi dei dati a cura di Natascia Porcellato a questo link:



16 schede per conoscere l’ebraismo

Le sedici schede sono il frutto di un lavoro tra gli Uffici della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale italiana (Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso; Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università; Servizio Nazionale per l’insegnamento della religione cattolica) e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

Tutto questo dice concretamente la reciproca stima e la fattiva collaborazione, fondata su un dialogo schietto e onesto, nel rispetto delle differenze e nella approfondita conoscenza delle tradizioni.
A fondamento di tale progetto sta l’attenzione condivisa per una corretta conoscenza e trasmissione dell’ebraismo. Per questa ragione, esperti della tradizione cristiana e della tradizione ebraica hanno individuato alcuni fra i temi più rilevanti.
Queste schede testimoniano come il processo avviato dalla svolta conciliare con Nostra Aetate n.4, sia attivo, efficace ed hanno lo scopo di assicurare alla scuola italiana testi IRC di qualità promuovendo cultura e conoscenza come vero antidoto ad ogni forma di antisemitismo. Questa pubblicazione è la testimonianza che ciò che è possibile fare deve essere fatto e fatto bene, con competenza, per la crescita delle nostre comunità e della società intera. Ci auguriamo che la collaborazione iniziata possa continuare con la scrittura di nuove schede e crescere sempre più.




Diaco: “I giovani hanno bisogno di essere ascoltati e valorizzati, soprattutto amati. Chiedono di ‘parlarsi di più’”

Da parte dei ragazzi “c’è una grande richiesta di condivisione e di comunità, a volte si sentono anonimi anche nei luoghi ecclesiali. Ci chiedono sincerità e coerenza, una Chiesa che vada al senso delle cose, calandosi nella quotidianità e dando a tutti la possibilità di esprimere il proprio pensiero”, spiega al Sir il direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei


Gli anni dell’Università sono un tempo decisivo, fatto di incontri, esperienze, responsabilità, scelte. Un tempo in cui prende forma la vocazione personale, l’orientamento di fondo della propria vita. In questo contesto si è tenuto l’Incontro nazionale degli studenti e dei ricercatori universitari che l’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e l’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei hanno promosso dal 10 al 12 marzo ad Assisi, sul tema “Dove lo Spirito è di casa”. L’appuntamento ha offerto un’occasione di fraternità e di ricerca comune, in cui ascoltare la Parola, la vita, le persone. Un passo importante anche per il Cammino sinodale della Chiesa italiana.


L'articolo di Gigliola Alfaro a questo link:



Giovani generazioni: fragilità, sogni e attese

Alcuni interessanti appunti presi a margine del convegno di dialogo ecumenico e interreligioso delle diocesi laziali dedicato ai giovani

Il saluto iniziale è stato d’impatto. Mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri, ha confessato che dopo l’uccisione di Thomas ad Alatri incontrare i giovani ha significato diventare ancora più consapevoli che dietro ciascuno di loro ci sono storie di vita, speranze, gioie, ma anche difficoltà, tristezze. Per cui bisogna chiedersi sempre se e quanto tempo spendiamo per fermarci ad ascoltarli, loro e gli adulti che li circondano. A tal proposito, Pietro Alviti ha presentato i risultati di un’intervista realizzata a più di 3000 giovani delle Scuole Superiori. I ragazzi non frequentanti le parrocchie sono risultati essere il 93% ma il 53% di essi vi ritornerebbe per realizzare attività di solidarietà e attività ricreative e sportive.
Profondamente coinvolgente ed empatica è stata Daniela Lucangeli, ordinario in Psicologia dell’educazione e dello sviluppo all’Università di Padova, la quale, partendo dalle domande dei ragazzi espresse nei video condivisi in apertura di convegno, si è chiesta quale fosse il loro dolore più grande, quali fossero le loro aspettative. E, premesso che l’OMS definisce (1998) la salute come «uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia», ella ha evidenziato che la salute è dunque anche “qualcosa” di spirituale: l’organismo vivente della nostra specie ha bisogno di star bene nelle relazioni e negli scopi/fini che si prefigge. D’altra parte, la Lucangeli ha ricordato che scientificamente siamo un intero “SELF”, per cui dobbiamo smettere di scindere in modo dualistico, cartesiano, corpo e mente: “io non ho un cervello, io sono un radar vivente”. Noi non siamo questo organo, è questo organo che è noi. Noi siamo un intero senziente. Noi siamo filogeneticamente una unità corpo-mente.

L'intero interessante articolo di Alessandro Manfredi a questo link:

 

Società. Il mondo dei giovani ha bisogno di aprirsi agli altri

Di solito si parla di aspetti negativi, ma ci sono realtà buone tra i ragazzi e, se si va a conoscere le storie dei singoli, sono sempre il frutto di un’educazione improntata al rispetto e alla responsabilità: dietro c’è la famiglia, una buona scuola, la parrocchia, un’associazione di volontariato, un sodalizio politico


Il mondo giovanile è una realtà variegata e complessa, spesso oggetto di visioni parziali e strumentalizzato ora per un fine, ora per un altro. In ogni caso il mondo dei giovani, con particolare riferimento alla loro educazione e alla loro formazione a 360°, deve godere di un’attenzione pari se non superiore ai tanti altri temi che attanagliano l’attenzione dei media, come la guerra in Ucraina, l’immigrazione, il rincaro energetico e via discorrendo.
Dei giovani si tende il più delle volte a sottolineare maggiormente gli aspetti negativi che quelli positivi. Eppure, lo costato ogni giorno di più,  sono tanti i giovani seriamente impegnati nello studio, nel lavoro, nei diversi campi del volontariato, nei ranghi dei diversi schieramenti della politica.


L'articolo di Anna Monia Alfieri continua a questo link:


Dalla Domenica degli Ulivi alla Pasqua: Appuntamenti e Liturgie

 Aprire questo link:

https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/02/appuntamenti.html

Per restare umani - Quaresima in tempo di guerra

Ogni tempo liturgico che ci è dato di vivere è un dono, un’opportunità per rimettersi in cammino, per ridare vigore ai nostri passi a volte esitanti, stanchi o delusi. Un dono che ci è offerto anche in questo tempo di guerra, patita non solo dagli abitanti dell’Ucraina, ma anche da tanti altri popoli della nostra Terra, impegnati in lotte più o meno dimenticate dall’opinione internazionale.


La Quaresima è un tempo per lottare, ma non come stiamo facendo. «La nostra lotta — dice infatti Paolo — non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male» (Ef 6,12). La Quaresima è il «momento favorevole» (cfr. 2Cor 6,2) per una battaglia che vorrebbe prepararci alla Pasqua, che è passaggio dalla morte alla vita e non il contrario, verso un’esistenza più rispettosa della dignità nostra, degli altri e del mondo che ci circonda. Un tempo che dovrebbe essere abitato da domande capaci di aiutarci a rinascere; di parole che scandagliano il cuore, per rivelarlo a noi stessi che pure lo ospitiamo spesso ignorando ciò che lo abita. È quanto suggerisce il passo del Deuteronomio dove Mosè giustifica il cammino del popolo d’Israele per quarant’anni nel deserto con queste parole: «Per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore» (Dt 8,2). Nel testo ebraico non è chiaro chi sia il soggetto di quel “sapere”. Sembrerebbe Dio, ma egli conosce meglio di noi il nostro cuore. È dunque più probabile che quel verbo debba riferirsi all’uomo, bisognoso di prendere coscienza di quanto alberga nel suo cuore, perché da lì, come insegna anche Gesù (cfr. Mc 7,21-22), scaturiscono pensieri, sguardi e azioni.

La riflessione di Sabino Chialà continua a questo link:

Nella Domenica di Lazzaro (V di Quaresima) abbiamo pregato così ....

"Sperare al di là di ogni umana speranza"

Questo versetto dalla Lettera ai Romani (4,18) accompagna il nostro cammino verso la Pasqua di Risurrezione che ogni Domenica sarà articolato in una sintesi del messaggio evangelico. 

I Domenica (Tentazioni): "Sperare di resistere alle seduzioni del potere"

II Domenica (Trasfigurazione): "Sperare di saper accogliere l'invito: "Ascoltatelo!"

III Domenica (La Samaritana): "Sperare di saper riconoscere la vera sete"

IV Domenica (Il cieco nato): "Sperare si aver sempre gli occhi aperti sul mondo"

V Domenica (Lazzaro): "Sperare di vivere in eterno: è possibile già da oggi"





INTRODUZIONE

La Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù. In un crescendo, l’autore del Quarto Vangelo ci ha portato durante questo cammino quaresimale a meditare sul mistero di Gesù che dona acqua viva (la Samaritana) che è luce del mondo (il cieco nato) e ora dona la vita a chi crede in lui. 
Nel fatto raccontato incontriamo la profonda umanità di Gesù che soffre per la perdita del suo amico e si unisce al dolore delle sorelle Marta e Maria. Ma Gesù non si lascia bloccare dal dolore, va oltre le resistenze di chi non vuole che la pietra del sepolcro venga rotolata, e ridona la vita all’amico che l’aveva perduta. 
In questo brano Gesù ci ricorda che Lui non ci lascia soli, sommersi dalle pietre delle nostre fatiche e delle nostre sconfitte, ma cammina con noi ed è l’amico che piange al vederci tristi e senza vita. E’ Lui che ci dà la forza e il coraggio per ripartire e ricominciare sempre, anche quando siamo soffocati dalle nostre paure e dalle nostre fatiche. 
Gesù ci dimostra anche che la morte non è la fine e che la perdita delle persone care, sempre dolorosa, se affrontata alla luce della Resurrezione può donare luce nuova alla nostra vita.
La visione di Ezechiele, nella prima lettura, prefigura ed annuncia un’alba nuova, quando i nostri corpi saranno rivestiti dallo Spirito della vita. San Paolo l’annuncia, ricordando che la vita e la morte del cristiano sono unite intimamente alla vita e alla morte di Cristo, nel battesimo.


INTENZIONI PENITENZIALI

- Signore che hai dato significato nuovo alla morte, Kyrie eleison.

- Cristo, che fai passare dalla morte alla vita chi crede in te, Christe eleison.

-S ignore che ci chiami a vita nuova con la tua parola di salvezza, Kyrie eleison


PREGHIERE DEI FEDELI


- Per Papa Francesco, sempre così vicino e attento a tutti coloro che soffrono, fisicamente e spiritualmente. Per questo ti preghiamo.

- Signore invochiamo da te la pace in Ucraina e in altri luoghi nel mondo; apri le vie della giustizia nel cuore e nelle decisioni dei governanti, sostieni ogni opera di bene in favore degli oppressi e dei perseguitati. Per questo ti preghiamo.

- Per tutti i migranti, affinché la loro speranza di trovare una vita migliore non si infranga nei muri della burocrazia e della chiusura politica.  Per questo ti preghiamo

Signore, sostienici nella lotta per promuovere una legislazione e una cultura di accoglienza. Per questo ti preghiamo.

- Signore, libera tutti noi dall’indifferenza e dal pessimismo. Ridesta nei nostri cuori la speranza per poter essere annunciatori di vita e di gioia. Per questo ti preghiamo


*****

Il nostro cammino in questa Quaresima 2023

"Sperare al di là di ogni umana speranza (Rm 4,18)

 

1 di Quaresima

Le Tentazioni

2 di Quaresima

La Trasfigurazione

3 di Quaresima

La Samaritana

4 di Quaresima

Il cieco nato

5 di Quaresima

Lazzaro

Sperare

di resistere alle seduzioni del potere

Sperare

di saper accogliere l’invito: “Ascoltatelo!”

Sperare

di riconoscere la vera sete

Sperare

di avere sempre gli occhi “aperti” sul mondo

Sperare

di vivere in eterno è possibile anche oggi

Il Foglietto "La Resurrezione" di domenica 26 marzo

 


V di Quaresima - Gv 11, 1-45

Dice il Signore: "Chi crede in me vive in eterno" - Vivere oggi da risorti in eterno è possibile: basta "credere" ma, questo, non è un'esercizio intellettuale.

 


In queste settimane la liturgia ci fa fare un cammino attraverso le nostre paure. La paura di non saper colmare le nostre esigenze: siamo sempre alla ricerca di un’acqua che zampilli e ci risparmi la fatica di andare alla ricerca di ciò che può estinguere le nostre seti. Abbiamo paura del buio, di non riuscire ad avere la lucidità di sapere dove stiamo andando, di sbagliare, il terrore di ciò che ci è ignoto e sconosciuto.

Ma quello di cui abbiamo veramente paura è la morte tanto che la esorcizziamo continuamente cercando di rimuoverla dai nostri pensieri, ma è una paura che riassume e porta con sé ogni altra. 

Nell’Evangelo di oggi Gesù incontra quella di un amico, ne rimane coinvolto tanto da non semplicemente piangere ma, con un’immagine molto più ricca, lascia scorrere le sue lacrime (questa la traduzione letterale e non semplicemente “si commosse profondamente”). Non è disperazione la sua: è dolore. La disperazione ti lascia inerme, ti fa abbandonare ogni speranza di futuro: si percepisce solo il vuoto senza una possibilità di salvezza per una vita che se n’è andata. 

Quando il dolore lascia il posto alla disperazione, si fa spazio la rassegnazione che sembra essere l’unico rimedio per sopravvivere e, di fronte alle cronache quotidiane di morti e di morte siamo più che altro rassegnati, ripieghiamo arroccandoci su noi stessi. Pensiamo che tutto continuerà ad andare come sempre stato, che le guerre continueranno (ci basta che siano altrove dalla nostra realtà), che le malattie non saranno vinte, che le migrazioni continueranno con le morti che “inevitabilmente” comportano. Ma così, nella rassegnazione, muore anche la nostra vita.

Gesù invece, come Messia, è venuto a dirci che anche in queste situazioni buie e di morte, può germogliare una novità se noi abbiamo occhi per accorgercene e cuore per aderirvi. Ci ha mostrato che una vita donata per gli altri libera dalla paura della morte. Con il suo annuncio e con la sua vita ci ha mostrato che la storia può essere abitata da una novità radicale fonte e garanzia novità.

Se noi riusciamo a scorgere nel volto di Gesù i tratti del Signore, del Messia e del Figlio di Dio come hanno fatto Marta e Maria, può dirci: “Vieni fuori!”, esci dalle tue paure che sono i tuoi sepolcri sigillati e invitarci a sciogliere i legami che ci tengono legati, incapaci di reagire. 

C’è un preciso invito di Gesù, quello di lasciar andare Lazzaro e, qui, l’Evangelista usa il medesimo verbo che adopera per indicare il cammino del Signore nel fare la volontà del Padre. In questo modo desidera precisarci che Lazzaro, una volta rianimato (e non risuscitato; si risuscita per l’eternità mentre lui morirà come tutti gli uomini), deve essere lasciato libero di immettersi nella sequela di Gesù ed è un invito a tutti noi. Una vita vissuta come Gesù ha fatto avrà il medesimo “sì” del Padre che la renderà eterna perché degna di essere vissuta per sempre.

Centrale in questo senso è l’affermazione solenne di Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vive; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”. Credere in Lui non è però una adesione intellettuale, è ben altra cosa: è inserirsi nel suo modo di vivere e di fare. Questo ci porta ad essere già oggi nella realtà del Regno di Dio che non muore e, questa, è la “gloria di Dio” che, se crediamo, possiamo “vedere” e “godere” tutti i giorni.

(BiGio)

Nella risurrezione di Lazzaro Gesù insegna ad amare

La fede è il luogo della risurrezione e l’amore non trattiene ma, più ama, più lascia liberi.

Il vangelo parla della morte fisica, e, dal punto di vista di Gesù, della morte di una persona amata, di un amico. E questa è forse l’unica, o almeno la più drammatica esperienza della morte che noi possiamo fare in vita. Nella morte dell’altro a cui eravamo legati da amore, muore qualcosa di noi, muoiono possibilità di vita, viene menomato il nostro essere. E noi sperimentiamo che è l’amore, la qualità del legame che ci unisce a una persona che fa il ponte tra la vita e la morte e tra la morte e la vita. E l’amore è l’unica via che possiamo percorrere per dar senso alla nostra vita mortale. Dal testo evangelico possiamo evincere che se noi, per paura della morte, siamo indotti ad atteggiamenti difensivi, di protezione dal soffrire, che mortificano la vita stessa, Gesù, invece, chiedendo fede, suggerisce di entrare nel suo atteggiamento di fiducia anche di fronte alla morte (“Padre, io sapevo che sempre mi ascolti”: Gv 11,42), atteggiamento che, mentre assume la morte e soffre per colui che è morto, vivifica la morte. La fede è il luogo della resurrezione. La fede di Gesù è un magistero perché noi impariamo a credere: “L’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano” (Gv 11,42). Proclama un’omelia dello Pseudo Ippolito: “Avendo tu visto l’opera divina del Signore Gesù, non dubitare più della resurrezione! Lazzaro sia per te come uno specchio: contemplando te stesso in lui, credi nel risveglio”. Ma se la fede è il luogo della resurrezione, l’amore ne è la forza: Gesù “amava molto Lazzaro” (11,5) e questo amore si fece visibile nel suo pianto dirotto (cf. 11,35-36). L’amore integra la morte nella vita e trova il senso di quest’ultima nel dono: dare la vita diviene un dare vita. E anche questo fa parte della pratica di resurrezione che noi possiamo vivere e di cui possiamo farci dono gli uni gli altri. Aver fede in Gesù che è resurrezione e vita significa fare dell’amore un luogo in cui la morte viene messa a servizio della vita.

Il passaggio dalla morte alla vita con cui ci prepariamo a vivere il passaggio dalla vita alla morte è dunque l’amore. Quell’amore chiamato a divenire il nostro volere come lo fu di Cristo. Quell’amore che Agostino dice essere il contenuto della volontà del cristiano. L’amore è la volontà unificante ultima e decisiva della persona umana, che lì trova la sua libertà. Nelle libere obbligazioni a cui si sottomette, nella morte a sé che affronta amando, facendo dell’amore la bussola della propria vita, l’uomo trova la propria dilatazione umana e spirituale, la sensatezza del proprio vivere. Agostino afferma: voluntas: amor seu dilectio (De Trinitate XV,XXI,41). “La volontà? È amore, è dilezione”. Il dinamismo infinito di questo principio e la sua relazionalità, la sua apertura all’altro, è mostrato da un’espressione spesso attribuita allo stesso Agostino e che dice il risolversi della volontà in amore: Amo: volo ut sis (“Amo: voglio che tu sia”). Amare è volere la vita dell’altro, non è voler possedere l’altro, non è volere che l’altro sia per me, che mi ami a sua volta, ma che sia e basta, che esista, che viva. In questo volere divenuto amore può divenire vivibile e sensata un’intera vita. Questo amare è la morte vivificante che ci prepara al passaggio dalla vita alla morte credendo la forza dell’amore di Cristo che opera il passaggio dalla morte alla vita.

Iniziato con l’annuncio a Gesù “Colui che tu ami è malato” (Gv 11,3), il racconto della resurrezione di Lazzaro non è solo una pedagogia verso la fede cristologica (espressa al v. 27: “Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”), ma anche una pedagogia all’amore e all’amore che si confronta con la morte. Morte che è nemica dell’amore ma anche suo banco di prova. La morte della persona amata pone fine all’amore che vivevamo e al futuro che tale amore prometteva. Gesù vive il turbamento della morte dell’altro amato, e lo esprime emotivamente scoppiando in pianto (v. 35). Ma, di fronte alla tomba, Gesù agisce e Marta sembra volerlo frenare: “Già manda cattivo odore” (v. 39). Marta pare legata alla morte e tiene il fratello ancorato a essa. Ma per Gesù anche la morte è luogo di manifestazione della gloria di Dio (cf. v. 4). E la gloria, nel IV vangelo, è la gloria dell’amore. Il problema non è evitare la morte, ma cogliere che in essa si può manifestare la gloria di Dio, il suo amore. Solo un amore che assuma la tragicità e l’ineliminabilità della morte conduce al passaggio dalla morte alla vita. Gesù crede l’amore anche davanti al cadavere. E il comando che Gesù impartisce dopo aver chiamato Lazzaro è “liberatelo e lasciatelo andare” (v. 43). Il comando riguarda gli astanti: Lazzaro già si sta muovendo. Il problema sono quelli che lo attorniano che devono lasciarlo andare, perché l’amore non trattiene ma, più ama, più lascia libero l’amato. Gesù sta insegnando ad amare: non conduce a sé il morto ritornato alla vita, ma insegna ad amare con libertà. Amare è liberare l’altro. E anche la morte non può trattenere l’amore. Il passaggio dell’amato Lazzaro dalla morte alla vita, anticipa ciò che Gesù farà di lì a poco quando avendo amato i suoi li amerà fino alla fine, consegnandosi a quella morte che non potrà trattenerlo perché la potenza dell’amore scioglie i legacci degli inferi.

(Luciano  Manicardi)

La risposta di Rav Gianfranco Di Segni alle affermazioni del Prof. Vito Mancuso su Abramo

Sul Venerdì di Repubblica del 3 marzo 2023 (n. 1824), in un’intervista su Lucio Dalla, Vito Mancuso racconta di essere stato chiamato ai suoi funerali a leggere in chiesa un passo della Genesi: «Un doppio strazio. Un brano della Bibbia che non sopporto: Genesi22, il sacrificio di Isacco, uno dei passi più terribili. Un modello di fede, quella di Abramo, che io non tollero». E ancora: «Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio. La fede come obbedienza senza criterio, anche quando l’etica viene calpestata».

Mi chiedo: ma se fosse vera questa lettura del passo come qui presentata, se fosse vero che quello di Abramo è un modello di fede che non si può tollerare, come è possibile che si riconosca in Abramo il padre delle tre religioni monoteistiche, dette appunto abramitiche? Metà circa dell’umanità è figlia di un padre omicida e scriteriato?
Capisco che un’intervista in un magazine non è il luogo per riflessioni teologiche e bibliche approfondite, ma i lettori leggono le parole riportate dal Venerdì e si fanno un’idea del tutto sbagliata del passo biblico. A iniziare dal concetto di “sacrificio di Isacco”, espressione estranea alla tradizione ebraica, dove si parla di “legatura di Isacco”. Isacco fu legato sull’altare, ma non fu sacrificato. Dove sta scritto: «Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio»? Da nessuna parte. È esattamente il contrario. Quando Abramo sta per alzare la mano sul figlio, Dio lo ferma e gli dice: «Non alzare la mano sul ragazzo e non fargli nulla». Dove sta scritto che Dio dice ad Abramo di scannare suo figlio? C’è invece scritto «fallo salire sul monte» (come bene spiega il commentatore per eccellenza, Rashì), con un’espressione volutamente ambigua per appurare se Abramo avesse capito il reale significato delle parole divine. Tutto il brano viene a insegnare ad Abramo e a tutti i suoi discendenti che è vietato sacrificare essere umani (come verrà più volte ribadito in seguito nella Torà, per esempio in Deuteronomio 18:10), pratica comune fra i popoli pagani dell’epoca. È questa cultura pagana e omicida che la Torà viene a negare, esattamente il contrario del messaggio che esce fuori dal Venerdì.
Abramo «senza criterio»?! Eppure l’abbiamo visto discutere con Dio per la salvezza degli abitanti di Sodoma e Gomorra ed esclamare: «Il Giudice di tutta la terra non farà giustizia?» (Genesi 18:25). Possibile che qui stia zitto e obbedisca supinamente? Dio gli ha promesso che la sua discendenza continuerà con Isacco: possibile che non si chieda come ciò sarà possibile se sacrificherà il figlio? Abramo cammina per tre giorni e non proferisce parola. Possiamo immaginare che si stia facendo queste domande e stia cercando di darsi una risposta (e infatti il Midrashriempie il silenzio con queste domande). Quando finalmente Isacco gli chiede: «Padre mio, ma dov’è l’agnello?», Abramo risponde: «Figlio mio, Dio provvederà l’agnello». Come in effetti avvenne.
Abramo aveva fiducia nel fatto che il Giudice di tutta la terra avrebbe fatto giustizia. Aspettava con ansia che arrivasse il comando di Dio di fermare la mano. La prova a cui Abramo fu sottoposto era arrivare a capire che nonsi sacrificano i figli (o chiunque altro), anche quando si crede di aver sentito una voce, dentro di sé o fuori di sé, che lo ordini. La prova era capire che dei due ordini apparentemente contraddittori, il secondo – quello di non fare nulla al ragazzo – era l’ordine corretto e definitivo.
Se si fraintende il messaggio biblico nel caso di Isacco, dove vediamo che al padre viene impedito da Dio di alzare la mano sul figlio, a maggior ragione c’è il rischio che lo si fraintenda quando è Dio stesso che sacrifica il figlio, come nella fede cristiana.
Sono stati usati fiumi di inchiostro da parte di decine di commentatori, teologi, filosofi, ebrei e non ebrei, per spiegare questo passo della Genesi, che avrebbe meritato di più della lettura superficiale apparsa sul Venerdì.
Rav Gianfranco Di Segni
Collegio Rabbinico Italiano

Il computer in prestito

Workbench invece che desktop, cassetti e camerette da sistemare a proprio piacimento. Chi si ricorda del sistema Amiga rammenta che era molto duttile e creativo. Utilissimo per sperimentare sin da piccoli, aldilà degli stereotipi
Scena di tanto tempo fa, all’alba del millennio. Mio figlio Riccardo ha otto anni e da qualche giorno ha a disposizione  un computer tutto suo. Non è un Pc, come quello che purtroppo è costretto da tempo a usare il suo papà. E non è nemmeno un Mac, come il nuovo e bellissimo “tutto schermo” blu, plasticoso ma intrigante del fratello Alessandro, che e va già alle superiori. Quelle macchine performanti e “vincenti” non permettono, non hanno mai permesso né permetteranno in futuro agli utenti di organizzarsi davvero il proprio spazio sullo schermo. Forniranno set di icone, sfondi e “temi” e opzioni varie tra cui scegliere, ma sempre all’interno di cataloghi benevolmente proposti ma rigorosamente amministrati dai sistemi operativi. Sempre mancherà quel banalissimo comando, “fissa”, che sui sistemi Amiga  (quello di Riccardo era un Amiga 1200 accelerato, mentre io, insieme e in rete con il Pc, continuavo a usare un altro Amiga 1200 accelerato un po’ di più) consentiva, dopo aver giocato a piacere con il Workbench (metafora del banco di lavoro, piuttosto che Desktop, scrivania) e i cassetti (traduzione grafica delle directory, piuttosto che cartelle) di decidere se adottare o no il nuovo aspetto dello schermo e anche di ogni nostra “cameretta” o magari se ritornare alle configurazioni precedenti.

Qualcuno si chiederà: a cosa serve una cosa così? Semplice: a sentirsi a proprio agio, a casa! Il fatto di poter sistemare un ambiente di lavoro, o di gioco, come più ci piace e ci è comodo, in qualsiasi altro contesto è considerato importante per fare le cose bene. Ma con le macchine attorno a cui sono organizzati da decenni lavoro, produzione e tempo libero, i computer (e in generale gli aggeggi, le procedure, la burocrazia “digitale”) ci siamo abituati diversamente e siamo cresciuti con la convinzione che  fondamentalmente siamo noi che ci dobbiamo adeguare

L'intero articolo di Paolo Beneventi a questo link:

“Tempo di scelte coraggiose, nuova primavera della Chiesa”

Il card. Zuppi ha aperto il Consiglio permanente della Cei tracciando lo scenario e le prospettive della Chiesa italiana del futuro, partendo dal "programma" di Papa Francesco. "La Chiesa del post-pandemia e del Cammino sinodale si configura sempre più chiaramente come una Chiesa missionaria". Tra le priorità: "diffondere una cultura cristiana"


“Riconoscere con sincerità le difficoltà ecclesiali e sociali, credendo, però, che siamo vicini ad una nuova primavera della Chiesa, aprendo nuove e coraggiose prospettive di futuro”. Questa la direzione di marcia indicata ai vescovi italiani dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nella sua introduzione al Consiglio permanente, in corso a Roma fino al 22 marzo. “Per questo occorre passione, visione profetica, libertà evangelica e intelligenza della comunione, generosa responsabilità e gratuità nel servizio”, ha proseguito il cardinale, che ha esclamato: “La sinodalità è tutt’altro che rinuncia o omologazione al ribasso!”. Aprendo i lavori del Cep, Zuppi ha ripreso la metafora dell’inverno, utilizzata nel Consiglio permanente del 20 settembre scorso, tenutasi a Matera, utilizzandola ancora una volta “per individuare alcune fragilità e sofferenze del nostro tempo e della nostra gente: inverno dell’ambiente, della società, dei divari territoriali, della denatalità, dell’educazione. Inverno secondo alcuni irreversibile”. Di qui la necessità di apprendere uno “sguardo dal basso”, per “commuoversi e farsi carico delle fatiche dei più poveri”, ma anche di impegnarsi in uno “sguardo lungo”, per “costruire con generosità e intelligenza, pensando al dopo di noi, per comunicare la speranza cristiana che con fiducia pensa che tutto possa cambiare e il deserto fiorire. Credo che questa sia la nostra prospettiva odierna”.


L'intera sintesi dell'intervento del card. Zuppi a cura di M. M. Nicolais a questo link:

https://www.agensir.it/chiesa/2023/03/20/card-zuppi-tempo-di-scelte-coraggiose-nuova-primavera-della-chiesa/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2

Coscienza e potere

Coscienza e potere appaiono, a una prima impressione, categorie antitetiche. La prima – la coscienza - ha infatti la sua sede nell’interiorità dell’uomo e presiede alla valutazione dei comportamenti e alla produzione delle decisioni che egli, di volta in volta, assume; il secondo – il potere – è un fenomeno del tutto esteriore che si acquisisce grazie al ruolo di cui si è investiti e che si esercita nell’ambito dei rapporti interpersonali e sociali. In realtà, al di là delle apparenze, un legame tra essi sussiste, sia nel senso che la coscienza è a suo modo un potere, il “vero potere di tutti”, così la definiva Turoldo, sia nel senso che l’agire etico esige una corretta coscienza del potere come antidoto al pericolo della sua prevaricazione.

Il potere della coscienza sul quale si sofferma anzitutto la riflessione qui proposta è un potere universale, nel senso che coinvolge la vita di tutti. La morale cristiana non ha esitato a riconoscere da sempre che la coscienza costituisce il riferimento decisivo al quale il soggetto deve, in ultima analisi, ispirare la propria condotta, al punto di giungere a definirla come la norma prossima dell’agire, riconoscendole un primato assoluto, fino a giungere ad affermare il rispetto dovuto alla coscienza invincibilmente erronea e il dovere di obbedirle. Tutto questo non si è accompagnato nei fatti – è importante sottolinearlo – all’elaborazione di una dottrina e di una prassi pastorale coerente: a prevalere è stata per molto tempo nella tradizione morale cattolica (e lo è in molti casi ancor oggi) una morale della legge, nella quale la valutazione dei comportamenti veniva (e viene) del tutto ricondotta alla conformità o meno nei confronti dell’oggetto. Una morale “cosificata – quella della casuistica – che escludeva ogni riferimento al dato soggettivo, scollegando pertanto l’agire dal mondo interiore della persona.

 

Si deve tuttavia riconoscere che il primato della coscienza è oggi fortunatamente presente tanto nella riflessione etica cristiana che in quella laica. A segnare questa svolta hanno concorso in particolare le drammatiche vicende del “secolo breve”, le quali hanno messo in evidenza i grossi rischi che si corrono quando ci si affida in maniera incondizionata alla legge e al principio di autorità.


L'intera riflessione di Giannino Piana a questo link: