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“Il cristianesimo non esiste ancora perchè ci sta davanti, non dietro”

Sabina Baral intervista Mons. Derio Olivero, nuovo presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana. Cinque minuti densi.


XXII Domenica PA: due avvertenze importanti sul brano evangelico di questa domenica

Il testo evangelico odierno è costituito da un brano di Marco molto frammentato e questo intralcia una comprensione piena del testo che costituisce un’unità letteraria dal v. 1 fino al v. 23 e che può essere posta sotto il titolo di “Discussione circa il puro e l’impuro”. 

Il brano, infatti, è racchiuso in un’inclusione fra il sostantivo “impuro” (Mc 7,2: koinòs) e il verbo “rendere impuro” (Mc 7,23: koinóo). Ora, se giustamente il criterio del Lezionario liturgico è quello del taglio, tuttavia i tagli espongono inevitabilmente il testo a comprensioni parziali, certamente impoverite. Per esempio, nel nostro caso, il taglio liturgico esclude il forte ammonimento con cui Gesù rimprovera i farisei di “annullare la parola di Dio” (Mc 7,13) con la tradizione da loro tramandata. Ammonimento che, ovviamente, non si limita ai farisei ma si applica a situazioni vissute dai cristiani e dalle chiese. È dunque consigliabile che il credente legga personalmente per intero il testo di Mc 7,1-23, per una comprensione più adeguata del messaggio evangelico.

Una seconda avvertenza preliminare è opportuna prima di leggere brano evangelico. Mc 7,1-13 presenta una discussione di Gesù con i farisei e gli scribi, dunque con rappresentanti religiosi del giudaismo dell’epoca. La specificazione che gli scribi erano “venuti da Gerusalemme” (Mc 7,1; cf. Mc 3,22), sottolinea il carattere ufficiale e autorevole di una delegazione inviata dal Sinedrio. Il testo presenta una discussione in cui Gesù entra in aperto conflitto con scribi e farisei arrivando anche ad apostrofarli come “ipocriti” (Mc 7,6). Di fronte a tutto questo, è importante non fare di questo brano evangelico l’occasione di predicazioni o annotazioni antigiudaiche o anche solo di commenti caricaturali che presentino un giudaismo legalista, esteriore e formale, a differenza di un cristianesimo spirituale e interiore. Già il testo di Marco si esprime con una certa approssimazione (si pensi alla generalizzazione “tutti i giudei” del v. 3: in realtà la prassi di lavarsi le mani prima di mangiare, all’epoca di Gesù, era solo di una parte e probabilmente minoritaria di gruppi farisaici che estendevano al quotidiano le norme di purificazione sacerdotale), e comunque, da un lato, la tradizione cristiana ha conosciuto essa stessa fenomeni analoghi a quelli qui denunciati e, dall’altro, importante è cogliere queste parole come rivolte a noi oggi e trovarne un’ermeneutica adeguata. Non ci si dimentichi mai che Gesù è ebreo e lo è per sempre.

(dal sito: www.monasterodibose.it)

XXII PA – Mc 7,1-8; 14-15; 21-23

La Comunità cristiana è invitata ad annunciare che oramai il cuore Dio sta dentro la miseria, le impurità dell'uomo. Ma cosa sono queste "impurità"? Gesù le lega al peccato perché è l'allontanamento dell'agire dell'uomo dalla Parola, dalla volontà di amore del Padre.


Si riprende oggi la lettura di Marco dopo l'interpolazione del sesto capitolo dell'Evangelo di Giovanni, centrale per comprendere tutta la vicenda di Gesù di Nazareth, la maniera nella quale Dio è presente in mezzo a noi nella nostra storia, come lui desideri sia la Comunità cristiana, la Chiesa presente nel mondo per continuare l'opera incontrata e vista nella vita di Gesù di Nazareth. 


È chiamata ad essere “Eucaristia” per e nel mondo, perché chi l’incontri possa incontrare Dio e perché chi incontri Dio possa diventare più umano mentre vive e segue la fatica e i percorsi dell’uomo in questo mondo. 

È chiamata ad essere il “sacramento” cioè il segno efficace dell’amore di Dio presente in mezzo a noi, perché tutti gli uomini possano vivere come è vissuto Gesù. Un sacramento paragonabile al pane di cui l’uomo si nutre non solo per cibarsi e crescere, ma anche perché tutti possano riuscire a dire con S. Paolo: “non vivo più io ma è Cristo vive in me” (Gal 2,20).

 

L’Evangelo di oggi inizia dicendo:Avendo visto i discepoli prendere il cibo con mani immonde, i farisei e gli scribi mormorarono”. Una domanda che ce ne ricorda una analoga posta sempre a GesùPerché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?” (Mc 2,18). Gesù viene ancora interpellato dai farisei sul comportamento dei suoi discepoli e, di nuovo, incontriamo questo verbomormorare che, si è visto, ci riporta nel deserto, ma anche alla reazione di domenica scorsa di fronte alla richiesta di Gesù di condividere la sua vita fino in fondo. 

Di fronte a questo Gesù che ci presenta una cosa grandissima ed inedita: Dio presente in mezzo a noi fino alla morte perché l’uomo possa diventare come Dio, incontriamo una polemica di profilo basso sulla purità di tipo legale.

Gesù risponde facendo un discorso essenziale che punta al cuore della questione:Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me”. Per lui innanzitutto sta il rapporto tra l’uomo e Dio e solo inseguito la questione della purità o impurità legale. 

C’è (abbiamo) cioè, la possibilità tremenda di annunciare attraverso azioni culturali, gesti e riti, un Dio vicino e tuttavia possiamo essere lontani da luidi vivere una fede parolaia senza adesione profonda, di compiere gesti cultuali imparati a memoria, ma non vissuti nel profondo. Gesù ci mette in guardia dal pericolo di ridurre l’azione liturgica alla ricerca della bellezza, della ricchezza riducendola a puro spettacolo, teatralità, a recitazione, oppure ad una azione meccanica che va da sé, facendola diventare pura esteriorità.

Per Gesù è invece importante che noi scopriamo questo Dio vicino, che sta con noi, non solo con le parole, ma con il cuore; un Dio presente anche nella storia degli ultimi e di quelli che sembrano essere lontani definitivamente da lui.

Perché siamo invitati a scoprire che Dio sta con noi? Perché vuole che anche noi siamo con e come lui. In questo modo tutto sarà puro. Questo è il senso ultimo della parola di Gesù: tutto ciò che esce dall’uomo lo contamina se non riesce a raccordare la Parola di Dio e l’umanità dell’uomo. La prima ha come meta il cuore umano e tende a suscitare una risposta che sia di tutto l’essere, senza divisione tra lingua e cuore, tra dire e fare, tra esistenza e culto. Questa scissione, quando avviene, rende impurol’uomo. Impurità che Gesù lega al peccato perché è l’allontanamento dell’agire dell’uomo dalla Parola, dalla volontà di amore del Padre.

 

La comunità cristiana è chiamata ad avere una sapienza del cuore nel quale riposa la presenza di Dio che sta vicinissimo a noi, non solo nelle nostre parole ma anche nel nostro cuore; non solo con la dottrina ed il culto, ma con la nostra stessa vita, seguendo il suo esempio fino a dare la sua carne e il suo sangue come ha annunciato Giovanni nelle scorse domeniche.

La comunità annuncia questo perché tutti gli uomini possano scoprire che anche loro possono stare con Dio aldilà della loro impurità, aldilà delle cose che escono da loro, aldilà delle cose che entrano in noi perché nel cuore degli uomini oramai sta il cuore di Dio. 

La parola misericordia in fondo è stata letta da alcuni padri come l’unione di due termini: la miseria e il cuore. La misericordia e l’unione della miseria dell’uomo e del cuore di Dio, proprio perché la nostra miseria oramai sta nel cuore di Dio, perché Gesù nella sua morte l’ha presa con sé e l’ha resa misericordia. 

Il cuore di Dio oramai sta dentro la miseria le impurità dell’uomo perché, abbassandosi fino alla morte e alla morte di croce, abita la miseria della storia degli uomini, per aprirla alla compassione, all’amore di Dio. 

Questo la comunità cristiana è invitata ad annunciare. Gli uomini incontrano anche oggi un mondo nel quale tutto sembra profano (impuro), nel quale troppo profeti di sventura annunciano soltanto una realtà lontana da Dio, segnata dal male, dimenticando che, invece, tutti gli uomini in questo mondo possono incontrare la sua compassione, il suo amore e possono credere in lui. 

Gesù anche oggi ripete: volete andarvene anche voi? perché potete non credere. Ma noi siamo invitati come gli apostoli a rispondere: “da chi Signore noi andremo perché tu solo hai parole di vita eterna; perché noi abbiamo conosciuto che tu sei così vicino in mezzo a noi come Dio, il figlio del Dio vivente”.

 

(BiGio)

L' Evangelo di oggi è quanto mai capace di parlare al nostro oggi ecclesiale

La parola di Dio ha come mèta il cuore dell'uomo e tende a suscitare una risposta che sia di tutto l’essere, senza divisione tra lingua e cuore, tra dire e fare, tra esistenza e culto. L’affermazione di Gesù circa l’origine interiore, nel cuore, di ciò che rende impuro l’uomo, è importante perché lega l’impurità al peccato, che è allontanamento dalla parola di Dio. dalla sua volontà d'amore e fallimento umano. 

Soprattutto invita il credente a ricercare in sé l’origine del male che compie e a non rifugiarsi in sistemi di autogiustificazione in base a cui si accusano gli altri per discolpare sé stessi.

Le parole evangeliche riguardano usanze giudaiche, ma il meccanismo denunciato da Gesù è attivo in ogni sistema religioso e facilmente individuabile anche nel cristianesimo

Occorrerebbe sempre passare al vaglio del vangelo le priorità che noi cristiani ci assegniamo: sul piano pastorale o morale o altro ancora. Occorrerebbe sempre porsi la domanda: che cosa è davvero irrinunciabile, talmente centrale da non poter essere tralasciato nella vita e nell’annuncio cristiano? 

Come criterio di discernimento essenziale e minimale al tempo stesso, va ricordato ciò che diceva Isacco della Stella: “È la carità, l’agape, il criterio di ciò che nella chiesa deve essere conservato o cambiato”. Questo discernimento è importante all’interno di una riforma ecclesiale che cerca di riportare all’essenziale e all’irrinunciabile il vissuto di fede. 

La dialettica fra comandamento o parola di Dio e “tradizioni”, presente nelle parole di Gesù, è echeggiata dai Padri della chiesa che distinguono verità e consuetudine. “Nel Vangelo il Signore dice: Io sono la verità. Non dice: Io sono la consuetudine” (Agostino). 

Il rischio è che la consuetudine prevarichi sulla verità divenendo tradizione immutabile e sacralizzata quando altro non è che cattiva o pessima abitudine: “La consuetudine non deve impedire che la verità prevalga. Infatti, la consuetudine senza la verità è errore inveterato” (Cipriano). 

Una consuetudine, magari nata “da una certa ignoranza o da dabbenaggine, con l’andar del tempo si radica sempre più e si trasforma in prassi abituale, e così ad essa ci si appella in opposizione alla verità” (Tertulliano). 

E così, una pagina che affronta tematiche distanti dai nostri vissuti e dalla nostra sensibilità si svela incredibilmente attuale e capace di parlare al nostro oggi ecclesiale. 

(dal sito: www.monasterodibose.it)



Piccola Rassegna Stampa: una selezione di temi .... (12 segnalazioni)

Questa piccola "Rassegna Stampafatta di indicazioni di articoli (con relativo link) su temi che si ritengono interessanti per le attenzioni spesso sollecitate nella nostra Comunità. Un breve sommarietto ne anticipano il contenuto così si può scegliere quello che eventualmente interessa. In ogni caso anche solo la titolazione e il sommarietto offrono una informazione.


 

Questa edizione è divisa in blocchi ordinati:

·      Due articoli di spiritualità

·      Cinque articoli sull’Afganistan (di riflessione, non di cronaca)

·      Tre articoli sul Sinodo (Valdese e Chiesa italiana) 

·      Due articoli di carattere ecclesiale (le Messe con sempre meno fedeli e a due mesi dall’intervento di Papa Francesco che regola la permanenza nei ruoli di governo nei movimenti)

 

 

 

Spiritualità

 

Dio ci precede in umanità 

di Jean-Claude Thomas in saintmeryy-hors-les-murs.com del 12 agosto 2021 (nostra traduzione)

Non solo oso dire "Dio ci precede in umanità", ma arriverei a dire: "Solo Dio è umano". Già la storia di Abramo porta il segno di questo Dio "compagno dell'emergere della persona": "leikh leikha", "Va verso di te". La salvezza, tanto per papa Francesco che per Joseph Moingt, è non la salvezza individuale, ma la salvezza di tutta l'umanità. Lo si vede bene in Laudato Si' e Fratelli Tutti...

 

Haim Baharier Un pellegrino mi ha insegnato il senso della vita 

colloquio con Haim Baharier a cura di Antonio Gnoli in Robinson del 21 agosto 2021 (la Repubblica)

È nato a Parigi nel 1947, l'anno prima della fondazione dello Stato d'Israele Di origini polacche, fa lo psicoanalista a Milano. Suo padre fu uno dei pochi a tornare vivo da Auschwitz. " Il cappello scemo" è il titolo del suo nuovo libro

 

 

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Afganistan

 

Afghanistan, piovono lacrime di coccodrillo 

di Gad Lerner in il Fatto Quotidiano del 20 agosto 2021

Spero che da quegli errori si tragga insegnamento e che trovino minor udienza i soliti bellicosi cantori dell'"armiamoci e partite". L'odierna loro indignazione per la sorte della popolazione civile afghana maschera pessime intenzioni.

 

Quei mujaheddin sanguinari che un tempo chiamavamo eroi 

di Domenico Quirico in La Stampa del 25 agosto 2021

Da una settimana i taleban sono padroni di Kabul. Tra loro e l'aeroporto, un mare invalicabile. Delle angosce dei fuggiaschi vedo, leggo. Ma quei guerrieri in turbante che pattugliano le strade, che pensano? Ho vissuto con jihadisti in un altro luogo del mondo. Le storie dell'odio si assomigliano tutte, come quelle del dolore. Eppure c'è stato un tempo in cui i jihadisti afghani erano nostri amici...

 

Cosa può fare l'Occidente 

di Agostino Giovagnoli in Avvenire del 22 agosto 2021

Non si tratta di affermare i propri modelli, ma di far progredire valori universali, intessendo un dialogo anche con popoli e governi lontani dalla sensibilità occidentale. Urgente: accogliere i profughi afghani. E poi cercare cooperazione ampia, anche con Cina e Russia. Perché ovunque ci sono uomini e donne che cercano pace, dignità, opportunità, solidarietà...

 

Una matita per la libertà 

di Letizia Tortello in La Stampa del 21 agosto 2021

Shamsia Hassani è un'artista e docente di scultura a Kabul. Per le strade della sua città, le silhouette colorate che disegna in non più di 15 minuti per paura di aggressioni hanno ingentilito il volto di una terra che vede nell'arte una minaccia. Figuriamoci se a farla è una donna che dipinge altre donne.

 

"Non esiste una vera norma che proibisca la musica, sono solo interpretazioni di detti del profeta" 

intervista a Paolo Luigi Branca a cura di Fabio Albanese in La Stampa del 27 agosto 2021

Il Corano non parla mai di musica. Nella sunna, nell'interpretazione di alcuni detti del profeta è prevalso che la musica ecciti, come vino e alcol, e dunque induca al peccato. Il problema è l'utilizzo ideologico che di queste cose fanno certi regimi.

 

 

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Sinodo

 

 

Sinodo valdese e metodista, il progetto di "Essere Chiesa insieme" 

di Donatella Coalova in Avvenire del 25 agosto 2021

La lezione venuta dalla pandemia, lo sviluppo delle comunità interculturali, l'esperienza dei corridoi umanitari, la sfida demografica, il futuro dell'Europa e dei giovani, la crisi afgana, tra i temi delle assise che si chiudono oggi. Etica della responsabilità vuol dire anche non minacciare la salute degli altri.

 

Sinodo valdese e metodista Trotta resta moderatora 

di Donatella Coalova in Avvenire del 26 agosto 2021

Nel briefing conclusivo sono stati ripercorsi i lavori appena conclusi. Filo rosso, la ricerca di modelli integrati di interventi umanitari, assistenziali e culturali. Rilancio del percorso "Essere Chiesa insieme". L'otto per mille destinato alle crisi di Afghanistan ed Haiti.

 

«Un nuovo "stile" di Chiesa, sfida del cammino sinodale» 

intervista a Tonio Dall'Olio a cura di Riccardo Maccioni in Avvenire del 25 agosto 2021

Si è conclusa la tre giorni sul Sinodo presso la Pro Civitate Christiana ad Assisi. «Aver aperto una riflessione ampia e partecipata, al contributo di credenti provenienti da associazioni, movimenti, parrocchie, Chiese locali... ci è sembrata una modalità efficace per vivere l'esigenza di un processo sinodale dal basso». Il ricordo delle esperienze ecclesiali del cardinale Michele Pellegrino e di don Tonino Bello, ma anche di molti altri. È giunto il momento di riannodare quei fili e di proseguire il cammino con uno stile nuovo. Abbiamo bisogno di metterci in ascolto di esperienze concrete e di rispettarle.

 

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Ecclesiale

 

«Le Messe? Con sempre meno fedeli Le comunità siano case aperte a tutti» 

di Giacomo Gambassi in Avvenire del 27 agosto 2021

Settimana liturgica nazionale: «"Dove sono due o tre riuniti nel mio nome". Comunità, liturgie e territori». Presenze diradate. Ma il Risorto custodisce la libertà dei credenti... Di fronte a comunità ormai multiformi «pensare a modalità differenti di celebrazione», senza sfociare nelle Messe fai-da-te (?). Ineludibile il ricorso alle nuove tecnologie...

 

 

 

I cento movimenti e la spinta del Papa per ripulire la Chiesa da sette e santoni 

di Paolo Rodari in la Repubblica del 25 agosto 2021

Non è il Vangelo di Cristo, è il Vangelo del fondatore o della fondatrice: e questo potrà aiutare all'inizio ma alla fine non fa frutti con radice profonda

 

Marango la "Piccola Famiglia della Risurrezione" in festa

Domenica 29 agosto 2021, alle ore 10.00, a Marango sarà celebrata una Eucaristia in ringraziamento per i venticinque anni di professione di Maria Cristina, Loredana e Alberto

Sabato 11 settembre 2021 Cristina pronunzierà il suo sì, gioioso e solenne, davanti al vescovo, alla comunità monastica e all'intera assemblea diocesana, radunata dal soffio dello Spirito. Sarà festa grande.


Ma cosa sono i voti, cos'è una professione monastica?      

I voti, come si legge nella 'Piccola Regola' della Comunità, sono soltanto «un'umile risposta, da approfondire incessantemente, ai due doni che solo il Cristo sposo può dare: il dono della verginità e il dono della povertà evangelica». Il Signore sceglie alcuni per una verginità di spirito, per una vita di silenzio, di pace interiore, di libertà dalle cose, che permettono di cercare Dio nella sua Parola, di ascoltare le parole di Cristo, di agire secondo le ispirazioni dello Spirito.      
Allora, se è così, la vita monastica non è una vita per i migliori, non è il risultato di un atto di coraggio, di una decisione generosa del cuore; e non è nemmeno una fuga dal mondo e dalle sue responsabilità. Essa è, innanzitutto, l'essere stati afferrati, scelti, da Dio per un puro atto della sua Misericordia. La scelta è sua, e noi abbiamo risposto con un gesto di abbandono «umile e totale», per un semplice atto di fede, di speranza, di carità. 
La professione monastica è il sì definitivo alla chiamata, pronunciato con umiltà e piena fiducia davanti alla propria comunità, alla Chiesa, e soprattutto davanti a Dio. È il "per sempre" posto come sigillo di una Alleanza d'amore. 

Nella Piccola Comunità della Risurrezione, a differenza di molti altri monasteri e dell'intera tradizione, la professione avviene nelle mani del vescovo.   
Il perché lo aveva spiegato il patriarca Marco, il giorno della professione di don Giorgio: «È un dono grande fatto alla comunità, una vita per la lode! È veramente un momento essenziale perché tutta la Chiesa, nell'offerta della propria vita, giorno per giorno, distaccandosi dalle idolatrie del denaro, del potere, dell'attivismo illusorio, si trasformi essa stessa in sacrificio di lode a Dio gradito, in comunione sempre più vera e reale con l'Ostia vivente di lode: Gesù il Signore, il crocifisso per amore».
Così, il dono ricevuto da Dio, diventa non solo un dono e un impegno a intercedere ogni giorno per la nostra Chiesa ma, attraverso questo dono, anche tutta la Chiesa cresce e matura fino alla sua pienezza. Dimorando alla sorgente, la Chiesa ritrova se stessa. La vita monastica, come espressione di una Chiesa locale, sottolinea anzitutto il primato dello Spirito, che è Signore, e dona la vita nella grazia inesauribile della Parola e dell'Eucaristia; testimonia che, mentre «passa la scena di questo mondo», tutti siamo chiamati a vivere l'essenziale in una vita radicalmente fraterna e solidale con il mondo, soprattutto con i più poveri e umiliati.     

San Benedetto, nel prologo della Regola, scrive: «Sorgiamo una buona volta, svegliáti dalla Scrittura che dice: "È tempo ormai di levarci dal sonno"». La parola di Dio, ascoltata con perseveranza e nel silenzio, ha il potere di svegliare dal sonno i dormienti nei sepolcri. 
Udendo questa voce, molti hanno risposto all'appello, e hanno detto: «Ecco, io vengo». Nella nostra piccola famiglia monastica il primo sì è stato pronunciato trentaquattro anni fa. 

 

Sabato 11 settembre 2021 Cristina pronunzierà il suo sì, gioioso e solenne, davanti al vescovo, alla comunità monastica e all'intera assemblea diocesana, radunata dal soffio dello Spirito. Sarà festa grande.

 

I fratelli e le sorelle di Marango

Due opinioni: Il silenzio dei musulmani e Il Corano alla prova

  Il Silenzio dei Musulmani


di Tahar Ben Jelloun (Fès, 1º dicembre 1944) è uno scrittore, poeta e saggista marocchino (la Repubblica del 21 agosto 2021

Un silenzio assordante dei paesi musulmani ha accolto la vittoria dei talebani in Afghanistan. Indifferenza o semplice passività, o una vecchia abitudine a non dire né fare nulla quando l’Islam viene usato per un compito indegno dei suoi valori?  

Il Qatar, che ha aiutato i talebani, si comporta come se non avesse nulla a che fare con loro. Non una parola. Né l’Arabia Saudita ha fatto alcun commento. Eppure c’è molto da dire sul modo in cui l’Islam viene deviato per diventare bandiera e ideologia del terrorismo. 

Perché i popoli musulmani non reagiscono a questa orribile deviazione della loro religione? Perché un’istituzione come Al Azhar, al Cairo, non si esprime con fermezza e senza ambiguità contro queste bande di distruttori dell’Islam? Perché assistiamo al trionfo dell’orrore in Afghanistan come in alcuni Paesi africani, senza muoverci, senza gridare, senza manifestare il rifiuto di questa barbarie? 

Boko Haram significa “libro proibito”. Talebani significa “studenti”. Sia il primo che i secondi si incontrano nel tunnel dell’oscurantismo. Entrambi i fenomeni sono segnati dall’odio per i libri e la cultura.
Dall’odio e l’asservimento della donna. 

Da molto tempo l’Islam è usato da dei criminali come ideologia e bandiera di un nuovo ordine, quello della sottomissione e della schiavitù dei bambini e delle donne. Inutile ricordare che niente di tutto questo esiste nell’Islam.      
I testi, letti con intelligenza, scagionano l’Islam da questi atti di violenza. Ma è necessario mobilitarsi ovunque nel mondo musulmano per rifiutare gli abusi.         
In Nigeria, Boko Haram rapisce giovani liceali per indurre i genitori a non mandare più le figlie a scuola. I talebani fanno traffico di droga per comprare armi e conquistare un Paese. L’11 marzo 2001, il patrimonio culturale mondiale subì un danno irreparabile con la distruzione delle monumentali statue di Buddha a Bamiyan. Il mondo musulmano, contrariamente al mondo occidentale, non reagì.   
Vent’anni dopo, gli insorti si sono impadroniti delle principali città senza dover combattere. Kabul si è arresa. Il presidente del Paese è fuggito all’estero.        
L’esercito regolare afghano è così corrotto che non ha opposto resistenza. Ha consegnato il Paese a una banda di uomini armati fino ai denti, pronti a imporre le proprie regole sul funzionamento di una società in cui le donne sono considerate schiave.           
Un abitante di Baghlan (una provincia del Nord) racconta: «Tutte le forze governative sono fuggite subito dopo l’arrivo dei talebani senza resistenza».    
Le donne fuggono prima che arrivino i talebani. Sanno che saranno violentate o costrette a sposare uno dei capi. Una giovane afghana ha detto all’Afp che «piange giorno e notte nel vedere i talebani costringere le ragazze a sposare i combattenti». Piange perché sa cosa l’aspetta se cade nelle mani di questi individui.           
Per ordine di Joe Biden, gli americani, dopo vent’anni di presenza, si sono ritirati da questo pantano. Ci si chiede perché si siano imbarcati in questa avventura. I vari leader non hanno tratto alcuna lezione dalla sconfitta in Vietnam.        
Certo, c’è stato prima l’intervento sovietico, poi la lotta contro il comunismo e l’ateismo dell’Arabia Saudita e infine l’arrivo degli americani con l’intenzione di addestrare l’esercito afghano per difendere il Paese dalla barbarie. Un fallimento su tutti i fronti. La guerriglia urbana ha più risorse della guerra convenzionale. E così l’Afghanistan diventerà il centro del terrorismo su scala globale.
Gli europei temono un afflusso massiccio di rifugiati afghani. L’Iran ha già accolto 3,5 milioni di afghani in fuga e il Pakistan 1,4 milioni. Gli europei sono pronti a dare soldi a questi due Paesi perché accettino altri rifugiati. La paura di vedere arrivare sul suolo europeo delle famiglie afghane è reale. L’asilo politico per questi milioni di rifugiati non funziona più.                     
Il mondo ha assistito al crollo di un esercito e di uno Stato in pochi giorni. Si dice che alcuni governatori abbiano negoziato con gli insorti per fuggire, lasciando le città aperte ai talebani. Il male viene da lontano. La corruzione e la mancanza di legittimità dei governanti hanno contribuito alla rapida vittoria dei talebani. 

Il silenzio del mondo musulmano ha sorpreso tutti. Un Paese, una società, sono caduti nelle mani di persone che non sanno nulla dell’Islam e della sua filosofia. La vittoria dei talebani è il trionfo dell’oscurantismo religioso, la sottomissione delle donne e la fine della cultura. E tutto questo viene imposto a un popolo in nome dell’Islam. 


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Il Corano alla prova



di Luigi Sandri. A lungo corrispondente dell’ANSA a Mosca e a Tel Aviv. Attualmente è corrispondente a Roma dell'”Ecumenical News International” (ENI), agenzia del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra, vaticanista del quotidiano “L’Adige”, di Trento, e componente del comitato di redazione della rivista del dialogo interreligioso “Confronti”(L'Adige del 23 agosto 2021)


Insieme ad aspri sconvolgimenti politici e sociali, i drammatici eventi che stanno scuotendo l'Afghanistan evidenziano intricati problemi teologici, derivanti da una lettura fondamentalista del Corano che comporta devastanti conseguenze sulla vita della gente, soprattutto le donne. (…)

I musulmani, infatti, ritengono che il Corano sia stato rivelato da Allah (=Dio) parola per parola. Tuttavia nelle varie “sure” (capitoli) vi sono affermazioni che, all’apparenza, potrebbero sembrare
contraddittorie. Per bene interpretarle occorre dunque considerarle nell’insieme del messaggio coranico. D’altronde alcune rigidissime prassi, come quelle che i Talebani impongono alle donne e al loro modo di vestirsi, non sono affatto richieste dal Corano, ma da tradizioni maschiliste locali, che si perdono nei secoli. 

Spetta ai musulmani (1,5 miliardi di persone) decidere come oggi il Corano vada interpretato; ma è certo che moltissimi di essi ritengono tradimento, e non attuazione della volontà divina, decidere come le donne debbano vestirsi, o tagliare la testa agli/alle “infedeli”.  
Sarebbe perciò importante che il mondo musulmano sparso nel mondo alzasse forte la voce per denunciare, esso per primo, l’abuso del Corano che hanno fatto in passato, e fanno anche oggi, alcuni loro correligionari, fondamentalisti, quando basano sul libro sacro dell’Islam le loro atrocità contro persone inermi. 

Purtroppo - salvo rare eccezioni - in questi giorni è mancato un sussulto generalizzato di organizzazioni musulmane, e di governi di Paesi massicciamente musulmani, contro le sanguinose “imprese” di fanatici che, pretendendo di attuare correttamente il Corano, in Afghanistan compiono delitti efferati. Beffandosi della sura 5 che afferma: «Chi uccide un innocente, uccide l’intera umanità; chi salva una vita, salva l’intera umanità». 


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Quei muri di Erdogan e Atene Un’altra vergogna per l’Europa

 Un’estate di morte e dolore, alla quale potrebbero seguire settimane drammatiche, con decine di migliaia di afghani in fuga verso una vita migliore e un mondo attorno che non ha le risorse, non di rado la volontà, di gestire una crisi umanitaria persino più grossa di quella siriana. L’unico “rimedio” a cui si ricorre è quello più facile, crudele, ormai stampato negli occhi di molti: i muri. Muri che per fermare finiscono invece di isolare l’intera Europa. 



Nelle ultime ore, tanto la Turchia, quanto la Grecia, hanno fatto sapere di avere rafforzato i propri confini. Ankara ha ultimato la costruzione di una recinzione lunga in totale 295 chilometri, molto simile a quella che si trova sul confine con la Siria. Si tratta di una fortificazione munita di sofisticati sistemi per rilevare la presenza di persone e oggetti, anche nelle ore notturne, come sensori a infrarossi, telecamere e meccanismi elettronici di controllo del perimetro. Negli ultimi giorni, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a fare la voce grossa contro la Ue, dicendo chiaramente che la Mezzaluna «non è il deposito di migranti della Ue», con il chiaro riferimento agli accordi economici stretti negli scorsi anni dove, in cambio di denaro, i rifugiati siriani sono rimasti in Turchia. 

Da settimane, migliaia di afghani si ammassano sul confine fra Iran e Turchia, ma sono fermati dall’esercito e anche da privati cittadini turchi. La preoccupazione più grossa è quella di Atene, che teme scene come quelle dell’anno scorso, quando Ankara spinse contro la frontiera di terra oltre 10mila migranti, o che si ripeta la maxi-ondata migratoria da oltre un milione di persone del 2015. Il governo Mitsotakis ha reso noto – quasi con un tono trionfalistico – di aver completato, a tempo di record, la costruzione di una barriera di 40 chilometri al confine con la Turchia: in realtà i lavori sono iniziati più di due mesi fa. Da giorni, poi, il confine è stato rafforzato con la presente di forze di sicurezza, pronte a intervenire nel caso in cui il flusso migratorio dovesse aumentare. Ieri il premier greco ha avuto un colloquio telefonico proprio con il presidente turco. Ne hanno concluso che una nuova ondata è «inevitabile» e che quindi sono Pakistan e Iran, i due Paesi limitrofi, a doversi fare carico dell’emergenza, pur con aiuti da altre regioni. L’Iran però ha sul suo territorio 800mila afghani registrati e due milioni che vivono lì illegalmente e ai quali Teheran ha fatto appello perché tornino a casa. Il Pakistan ospita già oltre 1,5 milioni di afghani regolari e diverse centinaia di migliaia che sono entrati nel Paese senza documenti e che vivono come fantasmi, in condizioni misere pur di sfuggire all’orrore dei taleban. Secondo l’Acnur/ Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, da inizio anno sono oltre mezzo milione gli afghani scappati all’estero. L’Europa non è pronta e non vuole esserlo. L’Austria, l’Ungheria vorrebbero istituire centri di espulsione per i migranti afghani respinti, idea che non dispiace nemmeno a Danimarca e Olanda. Frontex, l’agenzia che pattuglia i confini, è rafforzata per poter meglio fare fronte (e respingere) i flussi migratori. Ci sono poi i migranti in transito, sospesi fra un muro e altro, come le decine di persone al confine con la Serbia e che cercano disperatamente di passare in Ungheria o Bulgaria, quindi nell’Unione Europea, ma davanti a loro trovano solo filo spinato e uomini in divisa pronti a respingerli. 

Marta Ottaviani

Avvenire 22 agosto 2021


Speciale Afganistan ISPI: L'Europa al Varco

All’indomani del trionfo dei talebani, l’Europa si interroga sugli errori commessi e le sfide all’orizzonte. Ma cosa significa la caduta dell'Afghanistan per il Vecchio Continente?

L'ISPI (l'importante ed affermato a livello europeo Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) cerca di offrire elementi per rispondere a questa domanda.


Secondo questo Istituto, nell’ultima settimana i leader europei hanno dimostrato che, quando c’è volontà politica, sanno essere davvero reattivi e veloci. La mobilitazione di fronte ad una possibile per quanto improbabile nuovo in data di migranti irregolari dall’Afghanistan verso l’Unione Europea, attivato le cancellerie e riallineato le posizioni.

Ma questo ha reso ancora più udibile il silenzio su ciò che manca: per esempio una soluzione sostenibile per i 200-300.000 afghani già oggi in Europa senza protezioni, perché di negati dai sistemi d’asilo negli ultimi due decenni ma mai rimpatriati. Regolarizzarli sarebbe il modo migliore per dimostrare che i governi europei riconoscono che nell’Afghanistan dei talebani e non si può tornare. Questo sarebbe un preciso segnale a Kabul: dialoghiamo, certo, ma senza sconti.


Per chi lo desidera a questo link l'intero servizio con anche l'audio di un confronto sul tema:


https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/speciale-afghanistan-leuropa-al-varco-31382



Mai più tornerò sui miei passi

Questa poesia è stata scritta da Meena Keshwar Kama, un'attivista afghana impegnata nella difesa delle donne e fondatrice del movimento femminista Associazione Rivoluzionaria delle donne dell'Afghanistan (RAWA).

E’ stata assassinata dai fondamentalisti islamici nell’anno 1987 quando aveva appena compiuto trent'anni.

Meena Kamal (1957-1987)

Sono una donna che si è destata
Mi sono alzata e sono diventata una tempesta
che soffia sulle ceneri
dei miei bambini bruciati
Dai flutti di sangue del mio fratello morto sono nata
L'ira della mia nazione me ne ha dato la forza
I miei villaggi distrutti e bruciati mi riempiono di odio contro il nemico,
Sono una donna che si è destata,
La mia via ho trovato e più non tornerò indietro.
Le porte chiuse dell'ignoranza ho aperto
Addio ho detto a tutti i bracciali d'oro
Oh compatriota, io non sono ciò che ero.
Sono una donna che si è destata.
La mia via ho trovato e più non tornerò più indietro.
Ho visto bambini a piedi nudi, smarriti e senza casa
Ho visto spose con mani dipinte di henna indossare abiti di lutto
Ho visto gli enormi muri delle prigioni inghiottire la libertà
nel loro insaziabile stomaco
Sono rinata tra storie di resistenza, di coraggio
La canzone della libertà ho imparato negli ultimi respiri,
nei flutti di sangue e nella vittoria
Oh compatriota, oh fratello, non considerarmi più debole e incapace
Sono con te con tutta la mia forza sulla via di liberazione della mia terra.
La mia voce si è mischiata alla voce di migliaia di donne rinate
I miei pugni si sono chiusi insieme ai pugni di migliaia di compatrioti
Insieme a voi ho camminato sulla strada della mia nazione,
Per rompere tutte queste sofferenze, tutte queste catene di schiavitù,
Oh compatriota, oh fratello, non sono ciò che ero
sono una donna che si è destata
Ho trovato la mia via e più non tornerò indietro.