Nella selva degli articoli più o meno coccodrilleschi, finti , parziali, elogiativi, poco equilibrati, propongo un semplice ricordo personale ma, a mio avviso, molto significativo, capace di trasmettere un'immagine efficace di papa Francesco e del suo interlocutore
Riposare? Ma quando mai. La vita va bruciata fino in fondo», rispose. E aggiunse con un sorriso ironico: «Avremo tutto il tempo di riposare… dopo». Gli avevo appena comunicato, congedandomi da lui, la preoccupazione mia e di tanti per il suo spendersi senza risparmio e gli avevo raccomandato di tirare il fiato ogni tanto.
Quella sua frase che non ammetteva dubbi, e in particolare la parola «bruciata», mi iniettaronouna carica energetica che a distanza di anni sento ancora in me e che mi fa vergognare di ogni esitazione, dubbio o lentezza nel bene operare.
A potenziare l’effetto di quella scarica di adrenalina fu il calore trasmesso dalla stretta di mano, anzi di due mani, grandi come di contadino, che avevano afferrato la mia quasi per non lasciarla andare. Mi resi conto, in quegli attimi, di come Francesco comunicasse a tutto campo e considerasse il corpo — e quindi la carne — una macchina di comunicazione spirituale e non un impiccio all’elevazione di sé, come secoli di catechismi sessuofobi ci avevano inculcato.
Era un Papa fisico. Ed era davvero così: Wojtyla era stato un Papa da guardare, Ratzinger un Papa da ascoltare, Bergoglio un Papa da toccare. Capii, dopo quell’incontro, che si sarebbe speso fino all’ultimo e soprattutto che avrebbe lavorato in ogni attimo libero per spianare le strada a un successore capace di continuare la sua battaglia. In quale direzione era chiarissimo. In quello stesso incontro, quando — facendo sobbalzare l’uditorio — mi presentai a lui dichiarandomi provocatoriamente «mangiapreti», lui reagì augurandomi «buon appetito» e poi, di fronte allo sconcerto generale, ribadì il concetto dicendo: «Forse non lo avete capito. Qui dentro, se c’è un anticlericale, quello sono io».
Cosa accadrà adesso? Un alto prelato mi ha fatto intendere a mezze parole che senza un segnale verde di Bergoglio, un film come Conclave non si sarebbe potuto girare. Solo i vertici del Vaticano potevano dare l’assenso a un accesso così intimo alle stanze cardinalizie per la realizzazione di una pellicola dove un Papa tremendamente simile a Francesco fornisce — guarda un po’, da morto — al primate incaricato le carte necessarie a incastrare i nemici. Un Papa che riesce persino a nominare in extremis un giovane cardinale completamente fuori schema, che poi salirà al soglio di San Pietro.
Rividi Francesco tre anni dopo, per un incontro plenario con i medici italiani in Africa. Era già sulla sedia a rotelle, stanco, ma tremendamente vigile. Si fermò a salutare un po’ di personalità, e salutò anche me. Mi ricordava bene, per via del «mangiapreti», ma anche perché mio padre, come lui stesso, era nato da emigranti italiani in Argentina. Gli dissi: «Lei
deve benedire tutti, ma non ha mai bisogno di essere benedetto?». Rise e disse: «Mai come adesso». «Posso farlo io?», osai replicare. Lui assentì e così, in nomine Patris et Filii et Spiritus sancti, gli diedi un viatico per me indimenticabile. Poi se ne andò, mentre un’orchestra intonava My way come un congedo.
Fu lì che pensai che non lo avrei più incontrato. E così, quando in tv l’ho visto ricevere in Vaticano J. D. Vance e regalargli uova di Pasqua, mi è parso di scorgere nel suo sguardo una luce che faceva capire di essere già oltre e avere già preparato la valigia. Francesco era ormai in contatto con l’Altissimo e non gli importava nulla di messaggeri di omuncoli come Donald Trump che osavano millantare di essere stati scelti da Dio. Forse non li vedeva nemmeno.
(Paolo Rumiz)