e-mail della Parrocchia: ss.risurrezione@patriarcatovenezia.it - Telefono e Fax: 041-929216 - ........................................................................... e-mail del Blog: parrocchiarisurrezionemarghera@gmail.com

Mi presentai come “mangiapreti”, lui reagì augurandomi “buon appetito”

Nella selva degli articoli più o meno coccodrilleschi, finti , parziali, elogiativi, poco equilibrati, propongo un semplice ricordo personale ma, a mio avviso, molto significativo, capace di trasmettere un'immagine efficace di papa Francesco e del suo interlocutore



Riposare? Ma quando mai. La vita va bruciata fino in fondo», rispose. E aggiunse con un sorriso ironico: «Avremo tutto il tempo di riposare… dopo». Gli avevo appena comunicato, congedandomi da lui, la preoccupazione mia e di tanti per il suo spendersi senza risparmio e gli avevo raccomandato di tirare il fiato ogni tanto. 

Quella sua frase che non ammetteva dubbi, e in particolare la parola «bruciata», mi iniettaronouna carica energetica che a distanza di anni sento ancora in me e che mi fa vergognare di ogni esitazione, dubbio o lentezza nel bene operare.

A potenziare l’effetto di quella scarica di adrenalina fu il calore trasmesso dalla stretta di mano, anzi di due mani, grandi come di contadino, che avevano afferrato la mia quasi per non lasciarla andare. Mi resi conto, in quegli attimi, di come Francesco comunicasse a tutto campo e considerasse il corpo — e quindi la carne — una macchina di comunicazione spirituale e non un impiccio all’elevazione di sé, come secoli di catechismi sessuofobi ci avevano inculcato.

Era un Papa fisico. Ed era davvero così: Wojtyla era stato un Papa da guardare, Ratzinger un Papa da ascoltare, Bergoglio un Papa da toccare. Capii, dopo quell’incontro, che si sarebbe speso fino all’ultimo e soprattutto che avrebbe lavorato in ogni attimo libero per spianare le strada a un successore capace di continuare la sua battaglia. In quale direzione era chiarissimo. In quello stesso incontro, quando — facendo sobbalzare l’uditorio — mi presentai a lui dichiarandomi provocatoriamente «mangiapreti», lui reagì augurandomi «buon appetito» e poi, di fronte allo sconcerto generale, ribadì il concetto dicendo: «Forse non lo avete capito. Qui dentro, se c’è un anticlericale, quello sono io».

Cosa accadrà adesso? Un alto prelato mi ha fatto intendere a mezze parole che senza un segnale verde di Bergoglio, un film come Conclave non si sarebbe potuto girare. Solo i vertici del Vaticano potevano dare l’assenso a un accesso così intimo alle stanze cardinalizie per la realizzazione di una pellicola dove un Papa tremendamente simile a Francesco fornisce — guarda un po’, da morto — al primate incaricato le carte necessarie a incastrare i nemici. Un Papa che riesce persino a nominare in extremis un giovane cardinale completamente fuori schema, che poi salirà al soglio di San Pietro.

Rividi Francesco tre anni dopo, per un incontro plenario con i medici italiani in Africa. Era già sulla sedia a rotelle, stanco, ma tremendamente vigile. Si fermò a salutare un po’ di personalità, e salutò anche me. Mi ricordava bene, per via del «mangiapreti», ma anche perché mio padre, come lui stesso, era nato da emigranti italiani in Argentina. Gli dissi: «Lei

deve benedire tutti, ma non ha mai bisogno di essere benedetto?». Rise e disse: «Mai come adesso». «Posso farlo io?», osai replicare. Lui assentì e così, in nomine Patris et Filii et Spiritus sancti, gli diedi un viatico per me indimenticabile. Poi se ne andò, mentre un’orchestra intonava My way come un congedo.

Fu lì che pensai che non lo avrei più incontrato. E così, quando in tv l’ho visto ricevere in Vaticano J. D. Vance e regalargli uova di Pasqua, mi è parso di scorgere nel suo sguardo una luce che faceva capire di essere già oltre e avere già preparato la valigia. Francesco era ormai in contatto con l’Altissimo e non gli importava nulla di messaggeri di omuncoli come Donald Trump che osavano millantare di essere stati scelti da Dio. Forse non li vedeva nemmeno.

(Paolo Rumiz)

A 15 anni questo ragazzo ha fondato un’organizzazione no-profit che ha già riciclato 625mila batterie

A dieci anni ha fondato una no-profit per salvare il pianeta dalle batterie usate: la storia di Sri Nihal Tammana


Nel cuore del New Jersey, un giovane di nome Sri Nihal Tammana ha intrapreso un viaggio straordinario che lo ha portato a diventare un faro di speranza per l’ambiente. All’età di 10 anni, mentre festeggiava il suo compleanno, Nihal assistette a una notizia sconvolgente: un impianto di smaltimento rifiuti in California era stato devastato da un’esplosione causata da una batteria al litio smaltita impropriamente. Un evento che gli lasciò un’impronta.
Con il sostegno della sua famiglia, così, Nihal fondò nel 2019 “Recycle My Battery”(RMB), un’organizzazione no-profit dedicata a promuovere il corretto smaltimento e riciclaggio delle batterie. Iniziò ...

L'articolo di Germana Carillo è a questo link:

https://www.greenme.it/ambiente/rifiuti-e-riciclaggio/a-15-anni-questo-ragazzo-ha-fondato-unorganizzazione-no-profit-che-ha-gia-riciclato-625mila-batterie/

Quegli ex soldati che si oppongono alla guerra di Netanyahu

La protesta di migliaia di riservisti scuote Israele: cresce ogni giorno il numero delle adesioni alla petizione per riportare a casa gli ostaggi «anche se ciò significa mettere fine allo scontro»


Gli ultimi sono stati duecento ex ufficiali di polizia. Almeno fino ad ora, perché la mobilitazione cresce di ora in ora. Uno dopo l’altro, migliaia di riservisti delle forze di sicurezza israeliane – in maggioranza pensionati ma anche in servizio attivo – si stanno unendo al grido della società per la fine della guerra a Gaza. O, meglio, come recita la formula scritta e pubblicata in ebraico e in inglese, per un accordo che riporti a casa i 59 ostaggi ancora nelle mani di Hamas «anche se ciò significa mettere fine al conflitto». «Abbiamo scelto le parole con molta attenzione. Ogni termine, perfino ogni virgola è stata discussa. Ci abbiamo messo dieci giorni e diciassette versioni per arrivare a un testo condiviso che equilibrasse le differenti istanze. Alcuni premevano per una posizione più forte, altri volevano una petizione più soft», racconta in un bar di Giaffa Guy Poran, 69 anni, imprenditore in pensione nel settore dell’high-tech, per oltre vent’anni volontario nell’aeronautica di Tel Aviv...

Il reportage di Lucia Capuzzi è a questo link:

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/gli-ex-soldati-che-si-oppongono-a-netanyahu

Asilo e Paesi sicuri, quale sarà il risultato? Più emarginati nelle città

L'Unione Europea accelera nell'introduzione delle nuove disposizioni per l'esame delle domande di asilo. Ecco perché l'effetto non sarà più espulsi ma più persone nel limbo


Come in altre simili occasioni, il governo italiano ha espresso «grande soddisfazione» (Meloni) vedendo nelle nuove misure una conferma della propria linea e ponendo in rilievo il fatto che le procedure accelerate erano già previste dal protocollo Italia-Albania.

Non è esattamente così, sia perché le procedure accelerate comparivano già nel Nuovo Patto UE (l’Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione aveva parlato di «discriminazione per nazionalità»), sia perché quelle che il governo italiano voleva adottare in Albania si riferivano soltanto a maschi adulti non fragili, comprimevano il tempo di esame in quattro settimane, di cui una sola per l’appello, anziché le 12 settimane, il triplo, ipotizzate dall’Ue, sia infine perché  Roma aveva definito come sicuri ben 22 paesi, poi ridotti a 19.

Una consonanza tuttavia è riscontrabile ...

L'articolo di Maurizio Ambrosini è a questo link:

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/quale-sara-il-risultato-piu-emarginati-nelle-citt

Green deal, la vera ideologia è fermarlo. E rimandare i conti con il pianeta

I governi continuano a favorire le multinazionali del vecchio modelli, in barba all'emergenza climatica. E il paradosso è che si mette sotto accusa il piano europeo per la transizione, accusandolo di ideologismo. Ma verità è ben diversa


Sto scrivendo questa pillola perché mi pare che da più parti e con più voci vengano appelli a una “transizione ecologica, non ideologica”, che contemperi l’aspetto ambientale con quello economico e sociale, come ha detto la presidente Meloni alla Cop 29 di Baku del novembre scorso: «È prioritario che il processo di decarbonizzazione prenda in considerazione la sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. La natura va difesa con l’uomo al centro....

La "pillola" di Tommaso D'Alessio è a questo link:

https://sapereambiente.it/green-deal-la-vera-ideologia-e-fermarlo-e-rimandare-i-conti-con-lambiente/

Maddalena e il giardiniere di nome Gesù

Non è ancora sorto il sole del nuovo giorno, quando Maria Maddalena corre alla tomba del maestro. E non lo trova - «Cercai l'amore dell'anima mia, lo cercai senza trovarlo» aveva predetto il Cantico dei Cantici.

 Poi «si voltò indietro, e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo". Gesù le disse: "Maria!". Essa, allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbunì!", che significa: "Maestro!". Gesù le disse: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre"» (Giovanni, 20).Traducendo in immagine questo brano densissimo - in cui tutto ruota intorno al corpo, individualissimo e maschile, di Gesù - gli artisti di ogni tempo hanno dato sfogo alla loro libertà immaginando un Cristo giardiniere - con pale, annaffiatoi, zappe, cappelli di paglia; e mettendo in scena il noli me tangere, il "non toccarmi", o meglio "non trattenermi". A volte rendendolo come uno schizzinoso ritrarsi, altre come un erotico minuetto, come fa qua Correggio: che sembra immaginare un'irresistibile danza campestre di due amanti sorpresi dall'alba in un giardino.
La domanda a cui i pittori non potevano rispondere è: perché Maria non riconosce il suo amatissimo Maestro? Forse perché un corpo risorto, un corpo che non muore e non soffre, non è nemmeno pensabile, per noi. E non perché sia avvolto in nubi rotanti o in mandorle di luce, no.
Maddalena lo scambia per il custode del giardino: come dire che l'umanità libera dalla morte è finalmente un'umanità in comunione con il giardino del mondo - quello perduto da Adamo ed Eva. Un giardino del quale oggi non siamo custodi: ma carnefici e distruttori.
 E poi, in un lampo, le cade il velo dagli occhi, e lo riconosce. Quando? Quando Lui la chiama per nome. Così come gli apostoli lo riconosceranno mentre arrostisce del pesce per loro, e i discepoli di Emmaus nel momento in cui spezza il pane. Chiamare per nome, dividere il cibo, prendersi cura: è così, lo sappiamo, che è possibile fare di ogni estraneo un amico.
E chissà che non sia proprio questo il senso ultimo di quel memorabile dialogo. I nostri occhi spesso non bastano a riconoscere chi ci sta di fronte. Ma è proprio lì, in quello straniero, ciò che stiamo cercando: la nostra comune umanità. La salvezza. Imparare a chiamarci per nome in tutte le lingue del mondo, custodire insieme il Giardino: un'idea di resurrezione che, sì, assomiglia davvero a una danza

(Tommaso Montanari)

La "Via Crucis! di Papa Francesco: Il cammino che trasforma.

Impossibile soffermarsi su tutto, ma alcuni passaggi possono essere estrapolati per la forza e la chiarezza, innanzitutto di un invito chiarissimo, sorprendente per chi non conosce la spiritualità di Francesco: “La Via Crucis è la preghiera di chi si muove. Interrompe i nostri percorsi consueti, affinché dalla stanchezza andiamo verso la gioia”. 


Il papa malato, che non può partecipare al rito del Venerdì Santo per i noti motivi di salute, consegna i testi delle meditazioni da lui scritti per la Via Crucis, e la parola diviene un invito importante, che riesce a dire molte cose che entrano dritte nell’oggi di tutti, credenti e secolarizzati. Impossibile soffermarsi su tutto, ma alcuni passaggi possono essere estrapolati per la forza e la chiarezza, innanzitutto di un invito chiarissimo, sorprendente per chi non conosce la spiritualità di Francesco: “La Via Crucis è la preghiera di chi si muove. Interrompe i nostri percorsi consueti, affinché dalla stanchezza andiamo verso la gioia. È vero, ci costa la via di Gesù: in questo mondo che calcola tutto, la gratuità ha un caro prezzo. Nel dono, però, tutto rifiorisce: una città divisa in fazioni e lacerata dai conflitti va verso la riconciliazione; una religiosità inaridita riscopre la fecondità delle promesse di Dio; persino un cuore di pietra può cambiarsi in un cuore di carne. Soltanto, occorre ascoltare l’invito: «Vieni! Seguimi!». E fidarsi di quello sguardo d’amore”...

La riflessione di Riccardo Cristiano è a questo link:


Nella celebrazione della Pasqua di Risurrezione abbiamo pregato così ...

Celebrazione della Pasqua di Risurrezione



Messa della Cena del Signore


Introduzione


Con questa liturgia entriamo nella celebrazione del Triduo Pasquale continuando il periodo di rinnovamento del nostro credere che è stato questa Quaresima. Partendo dalla domenica delle seduzioni nell’uso del proprio potere, abbiamo imparato che esse si possono superare confidando, credendo nel Dio che incontriamo e riconosciamo guardando Gesù che viene confermato dal Padre con l’invito ad ascoltare la sua Parola ricca di promesse nelle quali porre la nostra fiducia. Lui è il Dio della vita che desidera sia da noi vissuta in quella pienezza alla quale siamo stati chiamati: è l'accorgersi che l’amore del Padre ci incalza a credere che la fraternità è condivisione nella festa e non nel rancore. Infatti la misericordia apre alla fiducia e questa porta alla speranza, ma tenendo sempre presente che la conversione è un’assunzione di responsabilità ed un impegno al rinnovamento continuo. Misericordia, fiducia nel Dio della Vita, speranza, perdono, conversione sono parole chiave per la nostra Quaresima in attesa della festa di Resurrezione.

 



Veglia Pasquale




Introduzione alla Liturgia della Luce


Cristo nostra Pasqua, è stato immolato (cf 1 Cor 5, 7) e, in questa Notte Santa, siamo invitati a vigilare nell’attesa di accogliere la luce del Cristo risorto, a ricordarci che la Chiesa sta sveglia finché non venga il Signore, attenta con gli occhi della fede alla Scrittura, come a lampade accese nella notte. 

Siamo invitati a vegliare non solo questa notte, ricordando la morte del Signore Gesù e ad esultare aspettando la sua risurrezione, ma ogni giorno della nostra vita. 

Nella liturgia della luce sono presenti due simboli: il fuoco e il cero pasquale. Questo fuoco è il trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo, della vita sulla morte.

Questo fuoco che arde e dal quale si accenderà il cero pasquale segno del Cristo Risorto è la luce vera che illumina ogni uomo e l’intero creato.  È Lui la luce della vita che impedisce di camminare nelle tenebre.

 

Introduzione alla Liturgia della Parola

 

Abbiamo iniziato la nostra Quaresima chiedendoci: “credere in chi?” Abbiamo trovato la risposta nella Liturgia della Parola: in un Dio che è misericordia nel quale riporre la nostra fiducia, la speranza, nel suo perdono che ci invita ad assumere la responsabilità di camminare seguendo e facendo quello che lui ha fatto e continua a fare.

Questa notte la Liturgia della Parola ci fa ripercorre la storia della salvezza nelle diverse tappe dell’alleanza tra Dio il suo popolo, Israele, e noi.

Siamo invitati a rivivere il lungo dialogo di Dio con l’umanità. La liturgia si svolge come una conversazione, un dialogo, l’assemblea ascolta e risponde pregando un salmo. Le nove letture esprimono la fatica di un cammino comune tra Dio e l’umanità che continua anche oggi nel cadere e nel rialzarsi della storia, appoggiandoci e sostenendoci alla sua fedeltà.

Tutto sfocerà nel canto dell’HalleluJa e nell’Evangelo della Risurrezione di un Cristo che siamo chiamati a riconoscere negli ultimi sui quali chinarci per essere le sue mani. 

S. Agostino ha scritto che tutte le domeniche celebriamo la Pasqua di Cristo, ma una volta all’anno, in questa notte, celebriamo quella dei cristiani, cioè il passaggio da Cristo alla Chiesa, a noi chiamati, partecipando al pane unico, a diventare ed essere il suo Corpo, ad agire come lui.

 

Preghiere dei fedeli

 

Signore Risorto, aiutaci a saper guardare oltre la morte, oltre le morti che costellano le nostre vite: lutti, separazioni, abbandoni, fine di relazioni e di amicizie, aiutaci a viverle in te che sei il Vivente.

Per questo ti preghiamo

 

Signore Risorto, aiutaci a non essere noi fonte di morte con le nostre chiusure egoistiche, arroganze, abusi, violenze, manipolazioni, indifferenze, ma a vivere in te che sei il Vivente portando sempre l’amore della tua vita rinnovata

Per questo ti preghiamo

 

Signore, “Pace a voi” sono state le prime parole che hai detto dopo la tua Risurrezione, aiutaci ad accoglierla ed essere strumenti di pace, soprattutto a riconoscere e a dar voce a chi è e si fa concretamente strumento di pace e di pacificazione in questo nostro mondo sconvolto dalle guerre

Per questo ti preghiamo

 

Signore Risorto, di fronte a te ci ricordiamo di chi è vittima di ogni tipo di violenza, da quella delle armi a quelle di genere, dalla violenza giovanile a quella economica, dai morti sul lavoro a quella che subiscono i dimenticati migranti per mare e per terra, aiutaci a far sì che il nostro ricordo si trasformi in concreta solidarietà

Per questo ti preghiamo 

 

 

Domenica di Pasqua

 


Introduzione

 

Abbiamo iniziato la nostra Quaresima chiedendoci: “credere in chi?” Abbiamo trovato la risposta nella Liturgia della Parola: in un Dio che è misericordia nel quale riporre la nostra fiducia, la speranza, nel suo perdono che ci invita ad assumere la responsabilità di camminare seguendo e facendo quello che lui ha fatto e continua a fare.

Oggi siamo giunti a Pasqua e la prima lettura dagli Atti degli Apostoli ci inviata a farci testimoni di tutto questo. L’Evangelo ci invita a far memoria della Scrittura, a renderla attuale per comprendere ciò che avviene: la tua Risurrezione. Paolo ci ricorda che siamo risorti con Cristo.

Questa Pasqua è poi particolare perché, come accade molto raramente, coincide con quella celebrata dagli ortodossi ed anche con quella degli ebrei (per loro questa festa come anche per noi, loro fratelli gemelli, dura otto giorni e oggi per loro è l’ottavo).

 

 

Intenzioni Penitenziali

 

Signore, nel nostro agire noi non riusciamo ad essere fedeli testimoni della tua risurrezione, 

Signore Pietà

 

Cristo, noi non riusciamo a far risuonare come dovremmo la Scrittura nella nostra vita che ci conduce a riconoscerti come il Risorto

Cristo Pietà

 

Signore, noi frequentemente non ci ricordiamo che siamo risorti con te e che questo ci rende il tuo corpo, le tue mani

Signore pietà


Preghiere dei fedeli

 

Signore Risorto, aiutaci a saper guardare oltre la morte, oltre le morti che costellano le nostre vite: lutti, separazioni, abbandoni, fine di relazioni e di amicizie, aiutaci a viverle in te che sei il Vivente.

Per questo ti preghiamo

 

Signore Risorto, aiutaci a non essere noi fonte di morte con le nostre chiusure egoistiche, arroganze, abusi, violenze, manipolazioni, indifferenze, ma a vivere in te che sei il Vivente portando sempre l’amore della tua vita rinnovata

Per questo ti preghiamo

 

Signore, “Pace a voi” sono state le prime parole che hai detto dopo la tua Risurrezione, aiutaci ad accoglierla ed essere strumenti di pace, soprattutto a riconoscere e a dar voce a chi è e si fa concretamente strumento di pace e di pacificazione in questo nostro mondo sconvolto dalle guerre

Per questo ti preghiamo

 

Signore Risorto, di fronte a te ci ricordiamo di chi è vittima di ogni tipo di violenza, da quella delle armi a quelle di genere, dalla violenza giovanile a quella economica, dai morti sul lavoro a quella che subiscono i dimenticati migranti per mare e per terra, aiutaci a far sì che il nostro ricordo si trasformi in concreta solidarietà

Per questo ti preghiamo 

Il Foglietto "La Resurrezione" di domenica 20 aprile, Pasqua di Risurrezione





Pasqua - Lc 24,1-12 / Gv 20,1-9

La domanda che si pongono le donne che vanno al sepolcro è la medesima che ciascuno di noi si fa difronte alla morte di una persona, quella del suo senso come quello del “vuoto” che lascia in noi. Cercano e trovano una risposta.

 

La Liturgia quest’anno ci fa incontrare nella Veglia il racconto della Risurrezione di Luca mentre, come consueto, nel giorno di Pasqua  è il racconto dell’Evangelo di Giovanni che inizia ad accompagnare la festa che dura otto giorni.

Tutto sembrava essersi concluso con la sepoltura fatta in fretta senza la rituale unzione del corpo il venerdì seguito dal riposo sabbatico. Il racconto riprende annotando che “Il primo giorno della settimana” le donne vanno con gli aromi necessari e trovano la tomba aperta e vuota. Se si fa memoria del racconto della creazione in Genesi, il primo giorno è quello nel quale Dio inizia la sua opera e il sesto giorno (venerdì) quello nel quale crea l’uomo con il quale la completa ed è il giorno della morte di Gesù che sfocerà nella sua risurrezione. Avviene cioè un capovolgimento: è con l’uomo risorto, nel superamento della morte, della sua caducità che instaura una nuova creazione o, meglio, che questa viene rinnovata e inizia il cammino verso il giorno che non avrà mai fine.

L’Evangelo continua con il racconto delle donne davanti al sepolcro vuoto, la domanda che si pongono è la medesima che ciascuno di noi si fa difronte alla morte di una persona, quella del suo senso come quello del “vuoto” che lascia in noi. Sono sconcertate e vedono venire loro incontro due uomini in abito sfolgorante: è il medesimo termine usato da Luca nella Trasfigurazione ed a questo episodio è necessario riferirsi. In quel caso Mosè ed Elia parlavano con Gesù del suo “esodo” o meglio il Signore comprendeva, confrontandosi con l’intera Scrittura, quanto era chiamato a vivere per compiere la missione affidatagli dal Padre. Oggi continuano il loro compito sulla medesima falsariga.

Le donne sono piene del dolore della morte di Gesù e dai due personaggi che le hanno avvicinate si sentono rivolgere una domanda. C’è chi in questa legge un tono di rimprovero, io invece percepisco molta delicata tenerezza nei confronti di una fragilità facilmente intuibile: “Perché cercate tra i morti colui che è il Vivente?”. Il Vivente. Vale anche per noi di fronte alla morte di una persona cara; per superare il dolore è necessario scegliere se piangerla come morta o sperimentarla come viva, continuare a percepirla vicino a noi seppur in una altra dimensione a noi non totalmente estranea. Non è fermandoci di fronte alla tomba che ritroviamo chi ha compiuto la sua presenza nella nostra realtà, ma facendo memoria di quanto vissuto assieme intendendo questo termine in senso biblico, rendendo attuali le esperienze comuni in nuove situazioni, rinnovandole. Nulla di statico come una fotografia, ma situazioni dinamiche che, dalle radici di quanto vissuto assieme, sbocciano nuove.

È per questo che i due personaggi invitano le donne a ricordarsi, a far memoria di “come vi parlò quando era ancora in Galilea” ed esse “si ricordarono delle sue parole”. Allora possono tornare dagli undici e a tutti i discepoli annunciando loro anche il sepolcro vuoto, ma soprattutto quanto i due personaggi sfolgoranti avevano iniziato a far ricordare loro, quello Gesù aveva detto a riguardo della sua morte. Un “vaneggiamento” incredibile? La testimonianza delle donne in quel mondo ebraico non era considerata attendibile, tanto meno quel racconto di fronte al quale si fermano alla superficie e non riescono a cogliere l’invito a far memoria. Pietro forse intuisce qualcosa, vuole verificare di persona, “corre” al sepolcro dove vede solo i teli per terra “e tornò indietro, pieno di stupore”. Quelle donne, invece, sono diventate le prime testimoni della risurrezione perché avevano condiviso tutto il suo amore e ora lo porgevano con le loro mani, con ciò che poteva allietare il loro dolore: profumi, unguenti, teli di lino che non vanno sprecati ma sparsi sull'umanità.

 

Anche l’Evangelista Giovanni sottolinea come la fede pasquale non nasce dalla semplice visione di una tomba vuota. È solo l’intelligenza delle Scritture che possono illuminare i fatti ieri come oggi e domani. Solo così si può iniziare a credere (Gv 20,8-9) altrimenti c’è solo ignoranza, incapacità di leggere l’accaduto e non si riesce a comprendere la novità impensabile, a volte sconcertante, dell’agire di Dio, al più si rimane sconcertati.

Nel racconto di Giovanni appare un’urgenza che porta a correre; corre Maria, corrono Pietro e il discepolo che Gesù amava e appare il bisogno di comprendere la Scrittura. Solo questa può far vedere nei segni di morte lo sfavillio della risurrezione nella reciprocità di un affetto consolidato dalla condivisione della vita, perché la fede non è mai disgiunta dall’assunzione di responsabilità di un progetto capace di diventare comune. Avere la fede della risurrezione significa saper guardare oltre la morte, oltre le morti che costellano le nostre vite: lutti, separazioni, abbandoni, fine di relazioni e di amicizie. Ma possiamo essere anche noi fonte di morte con le nostre chiusure egoistiche, arroganze, abusi, violenze, manipolazioni, indifferenze. La storia dei nostri giorni ne è piena: dalla politica, all’economia, dalle guerre sanguinose e irrefrenabili, alla società, ai conflitti di genere, all’incapacità di riconosce l’amore ovunque e comunque questo si manifesti in ogni sua forma. La risurrezione ci invita a guardare, a vivere oltre gli orizzonti di tutte le morti amando o cercando di amare come Cristo ha amato e, soprattutto, credendo al suo amore per noi.

(BiGio)

Pasqua 2025: La sfida dell’unità

 Nella Pasqua del 2025, ci sono segni che parlano di unità a cristiani divisi. Il più evidente è che tutte le Chiese, cattolica, ortodosse, protestanti con le antiche Chiese cristiane (armeni, siriaci, copti, etiopi) celebrano la Pasqua nella stessa domenica, per una coincidenza dei calendari d’Oriente e d’Occidente. Questo evidenzia ancor di più il fatto che non si celebri l’eucarestia assieme. Nonostante i dialoghi ecumenici, restano le divisioni

A maggio, si ricordano i 1700 anni dal Concilio di Nicea, tappa decisiva per la chiarificazione della comune fede cristologica. L’unità dei cristiani resta iscritta nei propositi fondamentali delle Chiese. Sono cambiati clima e relazioni, ma non si sono fatti passi decisivi. Gli ecumenisti avevano pensato l’unità anche come contributo a un mondo più pacifico: «Chiese sorelle, popoli fratelli» — diceva il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Athenagoras. Il quale prospettava: «Al centro dell’umanità in via di riunificazione deve trovarsi la Chiesa indivisa». Così non è stato con la globalizzazione.

Tuttavia non si tratta solo di unità incompiuta. Nella frammentazione del XXI secolo, pure le Chiese sono toccate da processi divisivi. Al concilio panortodosso di Creta del 2016, c’erano 10 Chiese ortodosse su 14 (non la grande Chiesa russa). Lo si preparava da più di mezzo secolo: un progetto di Athenagoras, tenacemente perseguito dall’attuale patriarca Bartolomeo. Del resto, dopo la fine del comunismo, le Chiese ortodosse hanno fatto riemergere l’identificazione con la nazione (eccetto Costantinopoli). Il seguito della crisi di Creta è stato il riconoscimento da parte di Costantinopoli dell’indipendenza della Chiesa ortodossa d’Ucraina. Qui l’ortodossia è spaccata tra autocefali e fedeli di Mosca (cui il governo applica misure restrittive). Il patriarcato di Mosca, con Kyrill, ha sposato le ragioni della guerra russa, perdendo influenza su una terra decisiva per le sue radici e il suo futuro. 

Le Chiese si dividono. Dal 2023, le Chiese anglicane d’Africa, tra cui quella nigeriana che rivendica un terzo degli anglicani praticanti al mondo, hanno rifiutato la decisione della Chiesa d’Inghilterra di benedire le coppie gay e hanno formato la Global South Fellowship of Anglican Churches. Uno scisma nell’anglicanesimo. Invece, per la galassia neoprotestante ed evangelicale (ben più di mezzo miliardo di fedeli), la divisione è naturale nella dinamica di un mercato della fede, in movimento e competitivo. Tale mondo, in rapida espansione, sembra la forma di cristianesimo «favorito» dalla globalizzazione. Anche il cattolicesimo registra forti polarizzazioni, come si è visto dal rifiuto dei vescovi cattolici africani di fronte alla decisione romana di benedire coppie non regolari. Nella Chiesa americana c’è un irrigidimento anche alla base, mentre i vescovi eleggono una presidenza non vicina a Francesco (che invece nomina cardinali statunitensi a lui prossimi). La visita pasquale a Roma del vicepresidente americano, JD Vance, un reborn cattolico conservatore (come non pochi della sua area), rappresenta un confronto interessante tra un cattolicesimo pensato su posizioni trumpiane, lontano dall’universalismo conciliare e di Francesco. Il terreno comune si riduce. L’unità è una sfida anche per i cattolici, che pur contano sul papato, istituzioni e tradizione. 

C’è una vasta pubblicistica sull’irrilevanza del cristianesimo, prevedendo un destino negativo in Occidente e non solo. Eppure impressiona come i cristiani siano, in Asia, Africa e America Latina, bersaglio di terrorismo, criminalità, etnicismo, perché considerati controcorrente e pacificatori. Solo la scorsa domenica delle Palme, in Nigeria, nello Stato del Plateau, i jihadisti hanno massacrato 51 cristiani, tra cui alcuni bambini, «colpevoli» di essere andati in chiesa. Francesco ricorderà questi martiri (degli ultimi venticinque anni) con una celebrazione a San Paolo a Roma il 9 maggio. Giovanni Paolo II, guardando ai caduti per la fede, cattolici, ortodossi, anglicani, protestanti, affermava: «Noi siamo uniti sullo sfondo dei martiri». Forse il discorso sull’unità dei cristiani dovrebbe ripartire da qui, sfidando cristallizzazioni storico-teologiche, che non reggono, e realizzando un processo controcorrente in un mondo diviso. I martiri sono un punto di partenza per riconsiderare anche il vero rilievo dei cristiani nel mondo. È il grande tema «pasquale»: dare la vita per gli altri che genera vita.

(Andrea Riccardi)

Sabato Santo – Riposa nella speranza

Nella Tradizione (con la "T" maiuscola) nel giorno del grande silenzio, il Sabato Santo, la Chiesa prega il "Cantico dei Cantici" che esprime una realtà che si estende nel tempo, con un versetto particolarmente significativo: "Il mio diletto è per me e io per lui"

 

(Icono di sr. Rafaella di Bose)

Il Sabato Santo è il giorno del grande silenzio; è come un giorno che sorge senza luce, poiché su di esso si distendono, ancora, come una fitta coltre, le tenebre del Venerdì Santo. Qualcosa di enorme e tremendo è accaduto: la morte violenta del Giusto. Sbigottita, la terra tace.

Ai concitati avvenimenti del Venerdì fa seguito una profonda quiete. Infatti, nella giornata di ieri, fino verso il tramonto, si udiva ancora la sua voce, il suo lamento, la sua preghiera. Oggi egli tace; tacciono anche le grida dei crocifissori e della folla. Con lui che giace nel sepolcro sembra che tutto sia piombato nel silenzio e nel buio. È però un silenzio di sospensione; è un’oscurità di attesa vigilante. 

Il senso di vuoto che si prova entrando il Sabato Santo nelle chiese spoglie e mute fa sperimentare l’assenza del Signore e muove alla ricerca di lui, come la sposa del Cantico dei Cantici. Scopre così che egli le è indispensabile; impara, nella privazione, ad apprezzarne e a desiderarne la presenza; sente crescere in sé l’amore per lui che – comincia ad intuirlo – l’ha amata di un amore più forte della morte.

È così che la Chiesa tutta intera si raccoglie oggi presso il sepolcro dello Sposo per ascoltarne il silenzio, come prima ne aveva accolto i gemiti e le ultime parole, e per attendere con speranza il suo risveglio, anzi, per sollecitarlo con gli insistenti richiami della preghiera meditando sul Cantico dei Cantici in questo giorno di silenzio e di attesa tra la morte e la risurrezione di Gesù, la sua lettura assume un significato speciale

È un poema d'amore che esprime un desiderio profondo e intenso tra due interpreti, tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la Chiesa. 

Il Cantico racconta l'attesa e la speranza di una rinascita, di un nuovo inizio. La sua poesia di amore e desiderio si collega simbolicamente alla passione di Cristo, che soffre e muore, ma con la promessa di una futura risurrezione e di una vittoria sulla morte. La lettura di questo Cantico in questa giornata aiuta a meditare sul mistero dell'amore di Dio che si manifesta nella sofferenza e sulla speranza di una vita nuova che nasce dalla morte.

Richiama la promessa di un amore che supera ogni ostacolo, che si manifesta nella passione e nel sacrificio, elementi fondanti il racconto pasquale. È un modo per prepararsi alla gioia della Risurrezione, ricordando che dalla sofferenza può nascere la vita e la speranza:

 

"Il mio amato parla e mi dice: Alzati, amica mia, bella mia, e vieni!
Poiché ecco, è passato l’inverno, sono finiti i temporali,
si sono mostrati i fiori sulla terra, il tempo di cantare è arrivato,
e la voce della tortora si ode nei nostri monti.
Il frutto sulla terra si mostra, il tempo di cantare è arrivato, e la voce della tortora si ode nei nostri monti.
Alzati, amica mia, bella mia, e vieni!
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nel riparo delle fenditure della rupe,
mostra la tua faccia e fa’ sentire la tua voce, perché la tua voce è dolce e la tua faccia è bella
."

 

Questi versetti (2,10-18) sottolineano un momento di attesa, proprio come è il Sabato Santo, durante il quale si è chiamati a riflettere sul silenzio e sulla speranza di una futura risurrezione. La natura che si risveglia, i fiori che sbocciano e il canto degli uccelli sono simboli di rinascita e di vita nuova che arriverà.

Questo invito a "alzarsi" e "venire" rappresenta l'invito alla fede e alla speranza, che si rinnovano nel cuore durante questa giornata di attesa. È un richiamo a non perdere la fiducia, perché la primavera e la vita nuova stanno per arrivare, proprio come la Risurrezione di Gesù.

 

Nel Cantico, la simbologia "sponsale" viene assunta per esprimere in modo figurato il valore e la preziosità della "Nuova Alleanza", dove l'Amore dello Sposo (il Padre) non viene mai meno, ed è questo “Amore eterno" che caratterizza la comunione e la reciproca "appartenenza" di Dio con il Suo popolo, di Cristo con la Chiesa. 

Il Cantico esprime questa realtà che si estende nel tempo, con un versetto particolarmente significativo: "Il mio diletto è per me e io per lui" (2,16).

Una storia d 'Amore che è segno di un'altra storia analoga, ma più grande, è la chiave di lettura del Cantico dei Cantici nel quale il Padre non viene per giudicare, ma per stabilire una "unione definitiva" con l’intera umanità. Il Signore, è Colui che non si ferma a considerare il peccato come una colpa, ma piuttosto come un pungente tormento d' Amore che ha un passato, che oggi si sta compiendo e che sarà per sempre, in eterno. In questo senso è anche una "profezia". 

Il Cantico dei Cantici termina con un "silenzio" misterioso che non è però "mutismo", ma il mezzo più efficace per trasmettere ciò che umanamente non è possibile comunicare. 


****************


Secondo un commento ebraico, il cantico dei Cantici è l’ultimo di nove canti, il decimo verrà cantato in futuro: 

1.     Il primo canto fu quello di Adamo, che pronunciò in onore del Sabato, quando fu perdonato dalla colpa. (vedi Salmo 92 "E' bello dar lode al Signore"). 

2.     Il secondo canto lo intonarono Mosè e i figli di Israele quando il Signore dell'universo divise per loro le acque del Mar Rosso. (cf Esodo 15,1). 

3.     Il terzo canto, lo intonarono i figli d'Israele nel momento in cui fu concesso loro un pozzo d'acqua nel deserto. (cf. Numeri 21, 16,17). 

4.     Il quarto canto è quello pronunciato da Mosè, quando giunse per lui I’ ora di distaccarsi dal mondo: "Ascoltate o cieli, io voglio parlare, oda la terra le, parole della mia bocca. . ." (Deuteronomio 32,1). 

5.     Il quinto fu pronunciato da Giosuè quando combatté a Gabaon: “Giosuè disse al Signore, sotto gli occhi di Israele: Sole, fermati in Gabaon e tu luna sulla valle di Aialon" (Giosuè 10,12). 

6.     Il sesto canto fu pronunciato dai Giudici Barak e Debora; vedi il "canto di vittoria" del cap. 15 del libro dei Giudici. 

7.     Il settimo fu pronunciato da Anna, quando il Signore gli fece grazia di poter concepire un figlio, che chiamò: Samuele. Allora Anna pregò: “II mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’ innalza, grazie al mio Dio" (1 2,1). 

8.     L’ottavo canto fu pronunciato da Davide, quando ringraziò Dio per tutte le meraviglie che operò nei suoi confronti. (vedi 2 Samuele 22,1 e ss.). 

9.     II nono canto è appunto il "Cantico dei Cantici", pronunciato da Salomone, re di Israele, davanti al Signore dell’universo. È un canto che per la sua singolare dignità e soavità, viene chiamato: "Il Cantico dei Cantici". 

10.  Il decimo, sarà quello che i redenti pronunceranno quando saranno liberati dall'esilio, in attesa dei tempi della "restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio per bocca dei Suoi Santi profeti di un tempo" (Atti 3,20—21). 

Massimo Cacciari: «Pensare alla morte ogni giorno è l’unico modo di vivere. Per me vorrei un rito zoroastriano, con il corpo offerto alle aquile»

Il filosofo: «La fine dell’esistenza è un passaggio. Morire è un verbo non un fatto. L’individuo contemporaneo è invece impegnato solo a sopravviversi, è attaccato all’apparenza fisica. Immaginare di durare eternamente è insensato»

Un tempo, per età e per virtù, si sarebbe potuto definire Massimo Cacciari un «grande vecchio». Ma l’unico filosofo italiano che sia noto anche a chi non ha mai letto un libro deve essere così «grande» da non apparirmi affatto «vecchio». Lucido. Amaro. Polemico. In gran forma, oltre la soglia degli ottanta. E disposto a parlare di morte, argomento che ha molto frequentato e studiato.
Cerco dunque da lei subito conforto contro la tesi di Epicuro, che personalmente non condivido affatto anche perché toglierebbe ogni senso a questa serie di interviste, secondo cui «la morte non esiste, perché quando c’è lei non ci siamo noi, e viceversa».
«Epicuro pensa alla morte come a un istante inafferrabile. Ma questa è appunto la morte, non il morire. Un fatto, non un processo e un divenire. In realtà ...