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Un Triduo Pasquale ricco: una fotocronaca e i testi di introduzioni e preghiere

Il triduo Pasquale è una unica celebrazione che inizia il Giovedì Santo con la Memoria della Cena del Signore che termina nel silenzio senza benedizione finale perché continua il Venerdì Santo con l'Azione Liturgica della Croce, che è la memoria della Passione di nostro Signore Gesù Cristo. Tutto termina con la Grande Veglia Pasquale nella notte che celebra la Risurrezione.

In questi giorni la nostra preghiera è stata ricca e le celebrazioni, nella semplice linearità, hanno offerto momenti di gioia e di festa. 


Giovedì Santo 

Questa celebrazione ha visto la Lavanda dei piedi ai ragazzi che quest'anno riceveranno la Prima Comunione e ad alcuno loro catechisti mentre, accanto a loro, alcuni preparavano della pasta di pane che poi è stata donata dai ragazzi a chi volevano.






La nostra preghiera è stata questa:


Come scrive papa Francesco nell’Enciclica Desiderio desideravi “A quella Cena nessuno si è guadagnato un posto, tutti sono stati invitati, attratti dal desiderio ardente che Gesù ha di mangiare quella Pasqua con loro”.

Per tutte le persone che si sentono emarginate, escluse, per diversi motivi dalla società, perché possano trovare persone che sappiano ascoltare e condividere quel pane spezzato,

            Preghiamo.

 

Dio oggi si è chinato ai piedi dell’uomo. Gesù ci insegna che non servono grandi parole, lunghi discorsi, basta un asciugamano attorno alla vita, un semplice gesto per capire e far conoscere il grande comandamento dell’amore…del servire. 

Oh Signore, perché, nell’istituzione del ministero sacerdotale che oggi si rinnova, ogni sacerdote, e la Chiesa tutta riscopra lo spirito del servizio e della bellezza di mettersi a fianco di ogni fratello bisognoso.

            Preghiamo.

 

Non siamo venuti qui per far memoria dell’ultima Cena, intesa come ultima in questo mondo di Gesù prima della sua dipartita, ma siamo qui a vivere quella cena come unica e per questo ultima, irripetibile: Gesù è la Pasqua, questa è l’assoluta novità di quella Cena. Gesù li amo fino alla fine.

Per la nostra comunità, che si appresta a vivere il triduo pasquale, perché sull’esempio di Cristo servitore sappia cingersi i fianchi per vivere nello spirito della condivisione, accoglienza e servizio,

            Preghiamo.


Venerdì Santo

Proseguono in questo giorno le celebrazioni del Triduo Pasquale iniziate ieri sera.

Attraverso la liturgia della Parola e la preghiera universale, siamo stati radunati sul Calvario per commemorare la Passione e la Morte redentrice di Gesù. Nell’intensità dell’adorazione della Croce, abbiamo rivissuto il cammino dell’Agnello innocente immolato per la nostra salvezza. Abbiamo potuto portare nella mente e nel cuore le sofferenze dei malati, dei poveri, degli scartati di questo mondo, degli “agnelli immolati” vittime innocenti delle guerre, delle dittature, delle violenze quotidiane. La comunione eucaristica al pane consacrato il Giovedì Santo durante la memoria della Cena del Signore, ha chiuso questa celebrazione austera, ma che al tempo stesso ha racchiuso una promessa di speranza. Sì perché nella speranza dell’abbraccio liberatorio e universale di Cristo sulla croce ognuno si è poi ritirato in silenzio, per prepararsi nel raccoglimento del Sabato Santo alla gioia dell’alleluia della Veglia Pasquale. 

 




Sabato Santo

 

È giunto al termine il cammino della nostra Quaresima che ci ha chiamato a “sperare al di là di ogni speranza umana” (Rm 4,18) invitandoci a resistere alle seduzioni del potere, ad accogliere l’invito ad ascoltare il Signore che ci svela quale è la nostra “sete”, ci apre gli occhi per poter leggere la realtà con i suoi, inserendoci nella sua sequela di “inviato”, ad operare come lui ha operato ed avere così la nostra vita resa degna di essere vissuta in eterno, risorta già oggi nel nostro quotidiano.


Sabato Santo sera ci siamo trovati a concludere la nostra celebrazione del Triduo Pasquale con la Veglia di tutte le Veglie. Dopo l'accensione del cero Pasquale al fuoco nuovo benedetto e la processione nella notte nella quale per tre volte è risuonato l'annuncio: "La luce di Cristo!", il canto del Preconio Pasquale ha annunciato la Risurrezione.






Liturgia della Parola

(Introduzione)


In questi giorni anche i nostri fratelli gemelli ebrei stanno celebrando la Pasqua (questa è la loro quarta notte) e, nella loro liturgia ripetono “Oggi noi con i nostri padri siamo stati liberati dall’Egitto

 

Anche noi, nel Preconio appena cantato è stato ripetuto 7 volte: “Questa è la notte …”

 

Perché la Storia della Salvezza della quale abbiamo fatto memoria, si svolge al presente, non al passato. Il fare “memoria” non è un semplice “ricordare” degli eventi del passato, ma è un essere resi presenti a quegli eventi unici.

 

Quattro delle sette letture di questa notte ci portano a rivivere 4 notti:

-       La creazione

-       Il legare di Isacco

-       L’esodo

-       La venuta del Messia (Ezechiele, la settima lettura)


Anche Israele nella sua celebrazione Pasquale fa memoria di queste identiche 4 notti. Le prime tre sono al presente indicativo (“Oggi...”), la quarta al futuro (per sedici volte il verbo sarà al futuro). Anche noi con loro siamo in attesa del Messia, del suo ritorno.


Dopo il Canto solenne del Gloria al suono della campane, e l'omelia, sono stati conferiti a Susanna i Sacramenti dell'Iniziazione Cristiana (Battesimo, Confermazione ed Eucaristia)










Teresa, la madrina di Susanna ha poi proposto l'Assemblea di pregare così:


“O notte beata!”. Signore, noi tutti Ti ringraziamo con questo inno di lode per la Pasqua di Resurrezione che stiamo celebrando.

Grazie, Signore, per il dono della “Nuova Vita” di Gesù Risorto che è Sorgente di Luce e di Grazia per tutti i Sacramenti; in particolare per i Sacramenti dell’iniziazione cristiana che Susanna sta ricevendo in questa celebrazione e per il Battesimo che domani riceverà il piccolo Leonardo.

Signore, fa’ che la forza vitale del Tuo Spirito accompagni Susanna a proseguire e ad approfondire il suo cammino di fede in modo che possa conoscerTi sempre più e meglio nell’ascolto della Tua Parola e nella gioia interiore del sentirTi presente nella sua vita.

Fa’ o Signore che, grazie al suo esempio, anche noi riscopriamo il dono dei sacramenti ricevuti a nostro tempo ed aiutaci a manifestarli concretamente nelle nostre relazioni di vita familiare e sociale facendo un uso sensibile e delicato delle parole, curando la gentilezza dei gesti ed impegnandoci nella gioia della condivisione fraterna.

            Preghiamo

 

Un umile stella alpina realizzata dalle abili mani di un laboratorio artigianale. Un gentile pensiero portatomi da Susanna in uno dei nostri frequenti incontri un piccolo fiore che si accontenta di sbocciare fra le ruvide pieghe della roccia ma che in compenso da lassù può contemplare le infinite distese del cielo.

Signore insegnaci a rivolgere più spesso il nostro sguardo verso il cielo a coglierne la bellezza nella luce del giorno e nella magica visione delle notti stellate. E fa’ che il suo senso di Infinito ci parli di Te che, fin dai giorni della Creazione, ci avevi già tutti presenti e che già da allora pianificavi i modi e i tempi con cui renderci Tuoi Figli amati e benedetti da tuo Cuore di Padre.

            Preghiamo

 

Una immagine di Maria inviatami da Susanna per farmene conoscere la storia. Una Statua della Madonna che la tragedia del Vajont aveva travolto trascinandola per un centinaio di chilometri e che la pietà di un pescatore aveva riportato in salvo a Longarone a bordo della sua piccola barca. Ed è proprio là situata su quella piccola imbarcazione divenuta ora il Suo Altre, che Susanna ha potuto vederla da vicino con tanta commozione.

Fa’, o Signore, che la devozione a Maria che ha guidato la mano e il cuore di quel pescatore continui ad essere custodita nel tempo come sorgente di benedizione ed esempio di vita buona nella nostra vita personale e nella storia delle nostre comunità.

            Preghiamo

 

“Anch’io ho bisogno che Gesù mi accarezzi e si avvicini a me; e per questo vado a trovarLo negli abbandonati, nei soli, nei dimenticati”.

Sono parole pronunciate da Papa Francesco che, in uno dei suoi frequenti accorati appelli, ci ricordano le tristi conseguenze dei tanti problemi causati dall’indifferenza del nostro individualismo.

Fa’ o Signore che le “commosse e commoventi invocazioni” del Santo Padre raggiungano il cuore di tutti e che tutti, in forza delle responsabilità del proprio ruolo, trovino il modo di esaudire l’infinito, profondo e implorante desiderio di Giustizia e di Pace che, pur nelle diversità dei luoghi e delle culture, attraversa tutta la terra. Una Pace e una Giustizia che con la pazienza del dialogo e la lealtà della collaborazione, possano accogliere tutti in un “Respiro Universale” dove a tutti sia finalmente data l’opportunità di conoscere la “tanto sognata Terra Promessa” di una vita buona, serena e dignitosa.

            Preghiamo


In queste preghiere Teresa ha richiamato una stella alpina e una barca, ecco le loro immagini:





Al termine dell'Eucaristia, il momento delle firme prima di un momento di festa






Domenica di Pasqua

 

Introduzione

 

Xristos anesti ek nekron, thanato thanaton patisas, ke tis en tis mnimasin zoin xarisamenos


cioè:


Cristo è risorto dai morti calpestando la morte con la morte e ai dormienti nei sepolcri ha donato la vita

Questo tropario (canto) ortodosso risuona ripetuto in un crescendo di tono all’infinito nelle Chiese d’Oriente a raccontare la sorpresa e la gioia di un evento mai udito prima. Facciamo che cadenzi le nostre giornate non solo in questi giorni di lieti

 

 

Intenzioni penitenziali

 

Signore, ci hai chiesto di annunciarti e darti testimonianza; a volte invece noi ci richiudiamo in noi stessi e non facciamo attenzione ai fratelli in difficoltà: 

            Kyrie Eleison

 

Cristo, ci chiedi di non pensare solo ai nostri interessi, ma di alzare lo sguardo assumendo il tuo: 

            Christe Eleison

 

Signore, anche se vediamo spesso non riusciamo a credere e a comprendere le Scritture: 

            Kyrie Eleison

 

 

Preghiere dei fedeli

 

È Pasqua, la Pasqua del Signore e, in questo giorno santo, di fronte al Signore Risorto ci ricordiamo di chi muore nelle tante guerre disseminate sulla terra, delle troppe croci senza nome di chi affoga o muore fuggendo dalla terra dove è nato, di chi è solo, abbandonato, senza lavoro, casa, speranza. Signore aiutaci a non dimenticarci di loro e di sostenerli: 

            Ti preghiamo

 

Le due donne chiamate dal Risorto gli hanno abbracciato i piedi che sono il simbolo del suo passaggio tra di noi, della richiesta di seguirne l’esempio Ci ricordiamo allora dei costruttori di pace, di chi fabbrica passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, dei volontari nelle mense, nei dormitori, di tutti coloro che si chinano perché l’altro, abbracciandogli il collo, possa rialzarsi. Signore aiutaci a sostenerli e ad imitarli nel loro impegno: 

            Ti preghiamo

 

Questa notte nella grande Veglia Pasquale per 7 volte è stato proclamato “O notte beata!”. Signore, noi tutti Ti ringraziamo con questo inno di lode per la Pasqua di Resurrezione che stiamo celebrando.

Grazie, Signore, per il dono della “Nuova Vita” di Gesù Risorto che Susanna ha accolto questa notte ricevendo i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana e per il Battesimo che oggi ha ricevuto il piccolo Leonardo.

Signore, fa’ che la forza del Tuo Spirito li accompagni con le loro famiglie, a proseguire e ad approfondire il loro cammino di fede in modo che possano conoscerti sempre più e meglio nell’ascolto della Tua Parola.

            Ti preghiamo

 

Fa’ o Signore che, grazie all’occasione che ci hanno dato Susanna e Leonardo, anche noi riscopriamo il dono dei sacramenti ricevuti a nostro tempo ed aiutaci a manifestarli concretamente nelle nostre relazioni di vita familiare e sociale facendo annunciandoti e testimoniandoti nella gioia anche attraverso la condivisione fraterna.

            Ti preghiamo

 

Signore, aiuta la tua Chiesa ad essere sempre più Comunità viva e reale nel comune servizio reciproco e al mondo; sostieni tutti coloro che hai chiamato a dei ministeri dai servizi più umili di cura, ai catechisti, diaconi, presbiteri, sposi e famiglie

            Ti preghiamo

 

Anche questa Eucaristia nella Domenica di Pasqua, ha visto il battesimo di un bambino indiano di Bengalore: Leonardo


La sua famiglia ha desiderato proporre all'Assemblea il Canto all'Evangelo:



Il Battesimo di Leonardo:




Dopo l'Eucaristia, la famiglia ha inviato tutti ad un momento di festa con cibi tradizionali del loro paese








Mt 28,1-10 - Pasqua

I piedi, gli abbracciarono i piedi. I piedi? perchè i piedi?

 


È sorprendente, dopo due giorni di sbigottimento nei quali il silenzio è stato l’unico protagonista, accadono cose impensabili.

I sigilli con il simbolo di Cesare, l’imperatore, posti su quella tomba vengono infranti. Qualcuno o qualcosa sfida il potere romano, quello dei dominatori, degli oppressori che volevano mantenere lo status quo e, questa volta, non è una azione degli zeloti. Accade qualcosa di simile a quanto avvenuto qualche secolo prima in un’altra notte, quella nella quale gli ebrei uscirono dall’Egitto anzi, furono cacciati via dopo che qualcosa o qualcuno aveva ucciso tutti i primogeniti di quella terra. Sono eventi che segnano indelebilmente la storia nei quali la mano di Dio si fa presente per donare e ridonare vita vincendo ciò che l’opprime e tenta di soffocarla irrimediabilmente. È qualcosa che Lui non può sopportare, che non può accadere, essere definitivo perché ci ha donato la sua stessa vita che è eterna ed è in noi.

Anche questa volta allora Dio interviene ed è un Angelo il cui “aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come la neve” (è la medesima descrizione di Gesù nella sua Trasfigurazione …), che lo annuncia: la folgore è un attributo divino ed è il massimo della luce della potenza, il colore bianco indica la pienezza della luce che rischiara il buio della notte e del sepolcro.

Le guardie – poste a garanzia dell’inviolabilità dei sigilli - furono scosse e rimasero come morte” ma l’Angelo non le degna di uno sguardo e si rivolge direttamente alle donne: “Non abbiate paura voi … presto, andate a dire ai suoi discepoli …” e quelle “in fretta … corsero”. C’è una “urgenza”, non si può rimanere imbambolati; d’altra parte se non lo faranno loro “lo grideranno le pietre” (Lc 189,40). Bisogna agire subito ed andare ad annunciare ciò che è accaduto a quelli che qualche istante più tardi Gesù chiamerà “i miei fratelli”, quelli che lo avevano tradito, rinnegato e, ancora peggio, abbandonato. La lettera agli Ebrei (2,11) afferma: “non si vergogna di chiamarci fratelli perché ci ama così come siamo”. È un chiaro invito guardarci dentro e vedere quante volte facciamo nostri questi atteggiamenti verso “i nostri fratelli” in tutte le situazioni nelle quali ci troviamo a vivere o “i nostri fratelli” si trovano a vivere fino a giungere alle migrazioni, alle guerre senza dimenticare i diseredati, gli scarti della società che sono tra di noi. 

Presto” è un invito a non perdere tempo e a farsi vicino a loro, a queste situazioni per dare vita in situazioni di difficoltà, di buio totale come quello dentro una tomba che chiede di avere i sigilli rotti.

Vi precede in Galilea” cioè in quella terra nella quale giudei e gentili vivevano assieme. È l’immagine della realtà nella quale siamo chiamati a vivere dove i credenti sono mescolati con chi non crede e forse nemmeno cerca. Non ci è chiesto di continuare a rimanere chiusi nel Cenacolo, nel rimanere tra di noi, tra mura confortevoli, in un fortino di certezze inviolabili, ma di uscire fuori e vivere tra tutti perché come ha detto un grande uomo di fede, non tutto ciò che accade è voluto da Dio, ma certamente in tutto quello che accade c’è qualcosa che conduce a lui (Bonhoffer). È questo che siamo invitati a cercare, a valorizzare, a far crescere senza averne paura. È questo il continuo invito di papa Francesco con la sua “Chiesa in uscita”.

 

Quella notte in Egitto, avute le indicazioni da Mosè su quanto stava per accadere (quella volta l’angelo fu Mosè) “il popolo si inginocchiò e si prostrò“ (Es 12,27b). Anche la mattina della Risurrezione, le donne hanno visto “Gesù venire loro incontro” annunciando lo Shalom, la presenza di Dio con loro “ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono”.

È sempre Dio che si fa incontro all’uomo per primo, che lo cerca (come con la pecora persa o smarrita), che lo attende (come fece con la Samaritana), ma c’è anche la disponibilità dell’uomo a vedere questo suo movimento verso di noi e a fare un passo in avanti ed essere disponibili all’ascolto di quanto desidera dirci. 

Questo accadde anche agli ebrei, fecero come aveva loro indicato attraverso Mosè e, una volta giunti ai piedi del Sinài, dissero: “Faremo quanto il Signore ci dirà”, premettendo il fare all’ascoltare per dare tutta la loro disponibilità. Anche qui ci sono i due momenti: Dio che si avvicina e l’uomo che fa un passo in avanti per dire che è pronto ad accoglierlo: il Signore non fa mai nulla senza la volontà dell’uomo, tanto meno contro.

È questo che fanno le donne avvicinandosi a Lui e, che stano, non gli si gettano al collo, ma “gli abbracciarono i piedi

I piedi, sono il simbolo del cammino che lui ha percorso, come le mani di ciò che lui ha fatto. Bisogna ricordarsi che, quando Gesù ha chiamato i discepoli, gli ha detto venite dietro a me (Mt 4,18), seguite i miei passi, imparate a fare quello che io faccio: donare vita.

È per questo che nel mondo ortodosso, a chi si riconosce autorevolezza (non autorità) spirituale, agli starez, agli abati, non si bacia come da noi l’anello simbolo di potere, ma ci si inchina fino a toccargli i piedi con la mano…

Allora l’augurio è di essere capaci di fare anche noi questo “passaggio”, questo “salto” di qualità potremmo dire, tra l’essere ripiegati su di noi stessi e il donare vita essendo portatori di Shalom. È e sia questa la Pasqua.

(BiGio)

Il Foglietto "La Resurrezione" Pasqua 0223

 


Il Risorto abita la notte insieme a noi

La Veglia pasquale è la celebrazione più ricca di riti e simboli, la più intensa di segni e di gesti la più coinvolgente, colpisce per la profondità del suo messaggio: è l’essenza del cristianesimo e il cuore dell’Evangelo. 

Nel cuore della notte il buio, con lo spaesamento e lo smarrimento che esso crea, è il primo elemento di questa celebrazione che, senza bisogno di parole, diventa da sé sola il simbolo della condizione nella quale giunge l’annuncio della vittoria di Cristo sulle tenebre della morte. La tenebra non solo ci avvolge, quella tenebra ci abita anzi, è quanto eravamo prima che il Risorto ci facesse partecipare alla sua luce: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” (Ef 5,8).

La notte non è solo quella parte del giorno compresa tra il tramonto e l’alba, è molto più di una realtà astronomica. Nel pensiero umano la notte è la metafora dello stato di chi vive nell’oscurità, nell’ignoranza, nell’errore, nella decadenza, nella barbarie. È oscuramento della coscienza e della conoscenza nella notte dell’ignoto, del nulla, dell’oblio. La Veglia di Pasqua fa suoi integralmente questi significati della notte, che del resto attraversano anche la Bibbia da un capo all’altro. Da metafora la liturgia fa della notte un simbolo, cioè una realtà che esprime e al tempo stesso comunica il mistero pasquale.

O notte beata”, è il grande canto che risuona all’inizio della Veglia pasquale. Da sempre i cristiani celebrano la Pasqua nella notte, perché Cristo è risorto da morte non al tramonto di “quel giorno solenne di sabato” (Gv 19,31), non all’aurora del primo giorno della settimana e neppure nell’ora meridiana quando la luce è al suo apice. È invece nella notte che si è alzato dal buio della tomba. È nella notte che la vita ha trionfato sulla morte come luce che sconfigge le tenebre, come bagliore che illumina l’oscurità. Il Risorto non sopprime la notte ma fa di essa il tempo e l’ora in cui la sua vita risorge e in essa ogni vita può tornare a vivere.

La Pasqua non toglie nessuna delle notti che l’umanità nei suoi millenni di storia ha attraversato e neppure le notti che ogni essere umano può conoscere. La notte della guerra: quanto il buio acceca le menti dei governanti e “la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli” (Is 60,2). La notte della violenza insensata e del male gratuito, dell’ingiustizia orribile, del dolore innocente e della sofferenza che toglie il respiro, dei migranti respinti, dei soli, degli abbandonati nella loro povertà, qualsiasi questa sia.

La notte dell’amore tradito, la notte dell’abbandono e della solitudine. La notte della depressione e della disperazione, quell’oscurità che ben conosce chi non ha più nulla e nessuno in cui sperare, offuscamento dello spirito che molte volte conduce alla notte più buia di chi si toglie la vita. Ma soprattutto la notte della morte che rimane, anche dopo l’alba di Pasqua, la radicale ingiustizia, l’estremo non senso della vita.

Si celebra la risurrezione di Cristo nel cuore della notte perché il Cristo risorto non l’ha eliminata e tantomeno ce l’ha risparmiata. Il Risorto abita la notte insieme a noi, la condivide con noi, avendo lui stesso conosciuto le tenebre più oscure del tradimento dell’amico, dell’abbandono dei discepoli e del silenzio del Padre: “Elì, Elì, lemà sabactàni … Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Questa grande notte ci accumuna, ci fa fratelli e sorelle, contemporanei degli uomini e delle donne di ogni tempo e di ogni luogo.

O notte beata”, ripete più volte nell’Exultet, il canto del messaggero che annuncia la vittoria pasquale. 

Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele dalla schiavitù d’Egitto.

Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco …Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo …Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro …

Notte beata”, “notte veramente gloriosa”, “notte di grazia”: l’Exultet la si rivolge direttamente con un “tu”, come a una persona anch’essa presente in quel luogo e in quel momento. “O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagl’inferi”. Nessuno ha visto Cristo risorgere e per questo il testo si guarda bene dal dire che la notte lo ha visto, ma afferma che quella notte è la sola ad averne conosciuto il momento. 

La notte di Pasqua è attraversata dalla polarità tenebra e luce, metafora della polarità umana di morte e vita. Opposti radicali che la liturgia pasquale non cerca in alcun modo di negare o di smussare, ma che mantiene tra loro in costante tensione, attraverso veri e propri ossimori com’è il cantare la notte luminosa.

La notte è fonte di luce ed è esperienza di un buio illuminato, la morte è vinta dal Risorto ma noi continuiamo a morire credendo nella vita più forte della morte. 

Se è vero, come canta il tropario pasquale ortodosso, che Gesù “con la morte calpesta la morte”, è altrettanto vero che è stata tutta la sua vita e non solo il suo modo di vivere ad aver sconfitto la morte. Da come ha vissuto la sua vita mortale Gesù ha aperto all’umanità la via ad una morte vitale.

(rielaborazione da un testo di Goffredo Boselli)

Che cosa è avvenuto? ...

... Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. 


Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà. 

Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta. Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio. Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli». 


Da una antica “Omelia sul Sabato Santo” (PG 43,439.451.462-463) che si prega oggi nell'Ufficio delle Letture della Liturgia delle Ore

Lo sconforto, il silenzio, la ricerca e l'esplosione della gioia: il percorso dell'amore

Lungo la Settimana Santa e in particolare il Venerdì Santo la Liturgia tradizionalmente propone brani dalle Lamentazioni di Geremia che riflette sulla desolazione nella quale è caduta la sua realtà:

Osserva, Signore, e considera
come sono disprezzata!
Voi tutti che passate per la via,
considerate e osservate
se c'è un dolore simile al mio dolore,
al dolore che ora mi tormenta,
e con cui il Signore mi ha afflitta
nel giorno della sua ira ardente.
Dall'alto egli ha scagliato un fuoco,
nelle mie ossa lo ha fatto penetrare.
Ha teso una rete ai miei piedi,
mi ha fatto tornare indietro.
Mi ha reso desolata,
affranta da languore per sempre.

(…)

Ascoltate, vi prego, popoli tutti,
e osservate il mio dolore!
Le mie vergini e i miei giovani
sono andati in schiavitù.
Ho chiamato i miei amanti,
ma mi hanno tradita;
i miei sacerdoti e i miei anziani
sono spirati in città,
mentre cercavano cibo
per sostenersi in vita.

(…)

Le donne divorano i loro frutti,
i bimbi che si portano in braccio!
Sono trucidati nel santuario del Signore
sacerdoti e profeti!
Giacciono a terra per le strade
ragazzi e anziani;
le mie vergini e i miei giovani
sono caduti di spada.

(…)

Mi ha saziato con erbe amare,
mi ha dissetato con assenzio.
Ha spezzato i miei denti con la ghiaia,
mi ha steso nella polvere.
Sono rimasto lontano dalla pace,
ho dimenticato il benessere.
E dico: «È scomparsa la mia gloria,
la speranza che mi veniva dal Signore».
Il ricordo della mia miseria e del mio vagare
è come assenzio e veleno.

 

Prima di esplodere, esattamente al centro del libro, verso una speranza che è certezza: Il Signore non può smentire sé stesso, la sua bontà:

 

Le grazie del Signore non sono finite,
non sono esaurite le sue misericordie.
Si rinnovano ogni mattina,
grande è la sua fedeltà.
«Mia parte è il Signore - io esclamo -,
per questo in lui spero».
Buono è il Signore con chi spera in lui,
con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio
la salvezza del Signore.

 

Attendere nel silenzio ed è quello che accade il Sabato Santo nel quale si è invitati invece a pregare l’intero Cantico dei Cantici 

Lungo la notte, ho cercato l'amore dell’anima mia;
l'ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi alzerò e farò il giro della città 

per le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. 

Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:
«Avete visto l'amore dell'anima mia?».

Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate l'amato mio
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d'amore!


Fino a quando:

 


Una voce! L'amato mio! Eccolo, viene
saltando per i monti, balzando per le colline. 

L'amato mio somiglia a una gazzella o ad un cerbiatto. 

Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia dalle inferriate. 

Ora l'amato mio prende a dirmi: «Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto! Perché, ecco, l'inverno è passato, 

è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato 

e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. 

Il fico sta maturando i primi frutti
e le viti in fiore spandono profumo. Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto! 

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore.






(BiGio)

Le parole di Gesù sulla croce nei sinottici

In quello spazio elevato tra la terra e il cielo che è la croce, sono sette le parole pronunciate da Gesù. Fr. Matteo di Bose propone la lettura e la meditazione delle quattro trasmesseci dai vangeli sinottici. Le accogliamo come le parole-testamento del Signore. Poche parole, tanto più dense perché si stagliano su un orizzonte di grande silenzio: il silenzio di Gesù nelle sue ultime ore di vita.

Se è vero che, come dice Paolo, tutto il vangelo è l’annuncio della “parola della croce” (1Cor 1,18) che è Gesù Cristo, e dunque per comprenderne la profondità è necessario abbracciare, meditare e vivere tutto il vangelo cioè tutta la vita di Gesù, la fede cristiana ha riconosciuto in alcune parole di Gesù la porta di accesso privilegiata per accedere a quel mysterium crucis: queste sono le cosiddette “sette ultime parole di Gesù dalla croce”, le parole pronunciate da Gesù prima di morire sulla croce. Parola della croce, parole dalla croce: le parole pronunciate della Parola, del Verbo appeso al legno della croce sono l’eloquenza massima del pensiero, della logica paradossale di Dio simbolizzata dalla croce. Le parole dalla croce, cioè le parole di Gesù, il Crocifisso, fanno l’esegesi, in un certo senso, spiegano il significato e la ragione profonda della croce. Non a caso le ultime “parole” di Gesù sulla croce sono sette: il numero sette nella Bibbia è la cifra della pienezza e della totalità.

Il testo della meditazione a questo link:

https://docs.google.com/document/d/16_ewRnjfo26dYtwDHHiGo8xsPYap3a-n/edit?usp=share_link&ouid=114460325361678368396&rtpof=true&sd=true


O popolo mio ... (Mi 6,1-4.6-8)

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Oggi è il giorno della immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale. Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell'adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo.

L'inno "Popolo mio che male ti ho fatto", previsto nell'Azione liturgica della Croce del Venerdì Santo,
rielabora il testo del profeta Michea 6,1-4.6-8


O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Io per te ho flagellato l'Egitto e tutti i suoi figli primogeniti; tu invece mi hai consegnato perchè fossi io flagellato.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Io ti ho guidato fuori dall'Egitto vincendo per te il faraone; tu invece mi hai abbandonato nelle mani dei miei aguzzini.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Io ho aperto davanti a te il Mar Rosso perchè tu passassi a piedi asciutti; tu invece con la tua lancia mi hai aperto e squarciato il costato.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Io ti ho fatto strada con la nube per condurti fuori dal deserto; tu invece mi hai trascinato al pretorio di Ponzio Pilato.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Ti ho nutrito con la manna del deserto per saziare tutta la tua fame; invece tu mi hai saziato di schiaffi,di flagelli e di insulti.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Dalla rupe per te ho fatto scaturire l'acqua per la tua sete; tu invece mi hai dissetato solo con fiele ed aceto.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Quarant'anni ti ho guidato nel deserto per introdurrti in un paese fecondo; invece tu mi hai condotto sulla via, sulla via della croce.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Io per te ho colpito i re e li ho messi in tuo potere ; invece tu con la canna hai colpito il mio capo.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Ti ho posto in mano uno scettro regale per regnare su tutti i popoli; tu invece sul mio capo hai posto una corona di spine.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!

Ti ho rivestito con un manto di giustizia ti ho esaltato con granda potenza; tu invece mi hai coperto di disprezzo appendendomi alla croce.

O popolo mio, che male ti ho fatto? Che dolore ti ho dato? Rispondimi!



(Immagini di quadri di Belkis Ayon)

La via crucis dell’ateo

Una preghiera gridata con strazio, la struggente verità redentrice di Cristo sulla croce.

Contempliamo  un’icona “laica”, quella della “Crocifissione” di Renato Guttuso, che venne dipinta  tra il 1940-1941, nel pieno del Secondo Conflitto Mondiale. Egli stesso, ateo convinto e fervido comunista, affermava  su quello che è considerato il suo capolavoro artistico: “Questo è tempo di guerra e di massacri: gas, forche, decapitazioni. Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati, ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee”.

E proprio da quest’ottica universale sul dolore del mondo, di chi si considerava lontano da ogni devozione religiosa, deriva ogni scelta iconografica e stilistica: la scelta di ritrarre i corpi nudi (come quello della Maddalena avvinta alla croce) proprio per rendere la scena perenne e non storicamente collocata con fogge di vestiari specifiche, la strana collocazione a cannocchiale delle croci che si guardano tra loro e non sono schierate l’una accanto all’altra, la natura morta in primo piano con segni di universale tortura, la disperazione delle donne senza espressioni del volto frontali, due cavalli simboli di bene e male (chiaro richiamo al “Guernica” di Picasso che era stato dipinto solo dieci anni prima), i pugni chiusi dei crocifissi che resistono allo strazio del male e, infine, un Cristo senza volto coperto dalla croce di spalle del ladrone che non si pentirà, che ha carni rosse come un diavolo. Una scena drammatica ed espressiva con colori sia vivaci che pastello a campire figure spigolose e a volte dai contorni troppo netti.
Ora questa immagine oggi, a quasi ottant’anni di distanza, ci appare straordinariamente espressiva, quasi una preghiera gridata con strazio, dopo aver subito tanta cattiva fama da parte dei contemporanei per la sua apparente blasfemia,  per la presenza di nudo e quasi di irriverenza nuova. Diviene invece, forse, ai nostri occhi colmi dello strazio a cui assistiamo ogni giorno attorno a  noi, uno dei modi più veri di rappresentare la struggente verità redentrice dell’offerta d’amore di Cristo sulla croce.
Quel Cristo che qui è privato ormai anche di uno sguardo allo spettatore, come in Isaia 53,3:

Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.”

Guttuso la ricopre quella faccia e lo ritrae proprio così, probabilmente senza piena consapevolezza di ritrarre il Redentore del mondo, eppure dandone un’autentica immagine di uomo che solo può conoscere il patire di ogni uomo di ogni tempo e di ogni luogo, ieri, oggi e domani.

Ti preghiamo, Signore,
per il grido di ogni uomo che non sa gridare,
per il pianto di chi non sa più piangere,
per il nome che non può o non vuole essere pronunciato
per chi si crede ateo, ma Ti conosce tanto.
 Ti preghiamo per chi Ti sta cercando e non lo sa,
per chi Ti attende senza darti un nome, ma Tu lo stai chiamando.
Per chi soffre , ma non sa di stare ai piedi della Tua croce.
… Perché per tutti Tu sei
Pienezza di ogni amore.

(Chiara Gatti)

Diritti umani: Amnesty, “ipocrisia degli Stati, doppi standard, repressione delle proteste. Il sistema internazionale è allo sbando”

È stato reso noto in tutto il mondo il Rapporto 2022-2023 di Amnesty international, che offre in 575 pagine una panoramica globale, Paese per Paese, della situazione dei diritti umani nel mondo: in 87 Stati (56%) ci sono state proteste di massa per l'aumento dei prezzi e i tagli alla spesa pubblica. In 80 Paesi su 156, il 54%, c'è stato un uso illegale della forza nei confronti dei manifestanti pacifici e in almeno 94 Stati (60%) maltrattamenti in molti casi equivalenti a torture. In 29 Stati sono state emesse nuove norme per limitare le proteste, che si aggiungono ai 67 Paesi del 2021. Sono stati arrestati manifestanti in almeno 79 Stati (51%), ci sono state uccisioni illegali in almeno 33 Stati (21%) e usate armi legali durante le proteste in almeno 35 Stati (22%).  Pari preoccupazione c'è per l'uso di armi meno letali in 67 Stati (43%).


“L’ipocrisia degli Stati occidentali”, i “doppi standard” nelle risposte ai conflitti e alle crisi umanitarie, all’accoglienza dei profughi e alle violazioni dei diritti umani hanno rilevato un sistema internazionale “inadeguato a gestire le crisi globali”, alimentando impunità e instabilità. In più sta aumentando nel mondo la repressione delle proteste pacifiche: in 87 Stati (56%) ci sono state proteste di massa per l’aumento dei prezzi e i tagli alla spesa pubblica. In 80 Paesi su 156, il 54%, c’è stato un uso illegale della forza nei confronti dei manifestanti pacifici e in almeno 94 Stati (60%) maltrattamenti in molti casi equivalenti a torture. In 29 Stati sono state emesse nuove norme per limitare le proteste. In Italia il 2022 è stato l’anno delle “occasioni perse” che hanno impedito di avanzare nel rispetto dei diritti umani. E’ quanto emerge dal  “Rapporto 2022-2023. La situazione dei diritti umani nel mondo”, presentato ieri a Roma e diffuso oggi in tutto il mondo da Amnesty international (Infinito Edizioni). Guerra, protesta e patriarcato sono le tre parole chiave che riassumono, in sintesi, i temi centrali che hanno caratterizzato lo scorso anno.

La sintesi a cura di Patrizia Caiffa continua a questo link:



Immagini che narrano da sole ...

... e che mi hanno molto colpito quando le ho incrociate in tempi diversi, in luoghi ed occasioni diverse:

un quarto di Picasso


un murales a Danisinni, un quartiere di Palermo


ma che mi hanno subito portato a far memoria del Giovedì Santo



 "Tutto è pronto, ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, venite e mangiate voi tutti…"


 

Questo ci sarebbe bastato

“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi” e, giunta l’ora, “Si mise a tavola con i dodici”. Mangiare assieme dice la bellezza dello stare insieme, ma che svela anche la nostra umanità.



Nell’ultima cena di Gesù, nato a Betlemme che significa “Casa del pane” e deposto in una mangiatoia, questi due aspetti sono emersi con chiarezza. Aveva già dato il pane alle folle in Galilea, ma in quella cena ha dato il suo corpo come pane, cioè tutto quello che ancora poteva donare e continuerà a chiamare “amici” e “fratelli” anche chi lo consegnerà alle autorità religiose, anche chi lo rinnegherà, anche tutti coloro che lo abbandoneranno al suo destino.

Quella fu una cena con molti elementi simili a quelli che la scorsa notte tra il 5 e il 6 aprile i nostri fratelli gemelli ebrei hanno ripetuto nel fare “memoria” della loro uscita dall’Egitto. Non un semplice “ricordare”, ma all’unisono affermano che “oggi con i nostri padri siamo usciti dall’Egitto” allo stesso modo nel quale noi, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, ci troviamo seduti attorno a quella tavola che ci rende da amici a fratelli fino a diventare, partecipando all’unico pane, l’unico corpo di Cristo inviati ad agire come lui ha agito, ad essere segno efficace della sua presenza nel creato intero. E la Didachè sottolinea che, il pane segno di unità è quello spezzato, non quello integro: per condividere lo stesso pane occorre spezzarlo, qui si trova il simbolo pieno del Signore morto e risorto.

L’Haggadah, la cena pasquale ebraica, ha molti elementi in comune con l’Eucaristia e non potrebbe essere diversamente perché la nostra deriva direttamente da quella. È un peccato che non si conosca e, forse, non si voglia conoscere la ricchezza di simboli e gesti comuni alle due liturgie.

La tradizione ebraica fa cantare nella notte di Pasqua una preghiera intensa nella sua semplicità che si intitola “Dayenu Adonai”. Nel ritmo dato dal ripetuto ritornello che sostiene il crescendo della memoria delle opere di Dio, aiuta a meditare il fatto che i doni ricevuti sono molto maggiori delle attese e degli stessi nostri bisogni. Avremmo potuto credere in Dio ed essere felici con molto meno di quanto abbiamo da lui ricevuto fino a donarci suo Figlio per la nostra salvezza.

È per questo che non può velare di tristezza il nostro sguardo su quanto sta accadendo a Gerusalemme, la violenza portata fin dentro i luoghi di preghiera, non importa se giustamente o a torto, ma accade mentre le tre religioni dell’Unico stanno celebrando contemporaneamente quelle feste che sono centrali nella loro fede e che dovrebbero essere portatrici di pace.

(BiGio)


Dajenu (= Questo ci sarebbe bastato)

Di quanti benefici noi siamo debitori al Signore!

Se ci avesse fatti uscire dall'Egitto
e non avesse fatto giustizia di loro,
questo ci sarebbe bastato.

Se avesse fatto giustizia di loro
e non dei loro dèi,
questo ci sarebbe bastato.

Se avesse fatto giustizia dei loro dèi
e non avesse ucciso i loro primogeniti,
questo ci sarebbe bastato.

Se avesse ucciso i loro primogeniti
e non ci avesse dato le loro ricchezze,
questo ci sarebbe bastato.

Se ci avesse dato le loro ricchezze
e non avesse diviso il mare per noi,
questo ci sarebbe bastato.

Se avesse diviso il mare per noi
e non ci avesse fatto passare in mezzo ad esso
all'asciutto,
questo ci sarebbe bastato.

Se ci avesse fatto passare in mezzo ad esso
all'asciutto,
e non vi avesse fatto affogare i nostri persecutori,
questo ci sarebbe bastato.

Se vi avesse fatto affogare i nostri persecutori
e non avesse provveduto alle nostre necessità
nel deserto per 40 anni,
questo ci sarebbe bastato.

Se avesse provveduto alle nostre necessità
nel deserto per 40 anni
e non ci avesse dato da mangiare la manna,
questo ci sarebbe bastato.

Se ci avesse dato da mangiare la manna
e non ci avesse dato il sabato,
questo ci sarebbe bastato.

Se ci avesse dato il sabato
e non ci avesse condotto al monte Sinai,
questo ci sarebbe bastato.

Se ci avesse condotto al monte Sinai
e non ci avesse dato la Legge,
questo ci sarebbe bastato.

Se ci avesse dato la Legge
e non ci avesse fatto entrare in terra di Israele,
questo ci sarebbe bastato.

Se ci avesse fatto entrare in terra di Israele
e non avesse costruito per noi il Tempio,
questo ci sarebbe bastato.

(alcune Comunità cristiane implementano questo canto con le opere della vita di Gesù fino alla sua morte e risurrezione)