La Veglia pasquale è la celebrazione più ricca di riti e simboli, la più intensa di segni e di gesti la più coinvolgente, colpisce per la profondità del suo messaggio: è l’essenza del cristianesimo e il cuore dell’Evangelo.
Nel cuore della notte il buio, con lo spaesamento e lo smarrimento che esso crea, è il primo elemento di questa celebrazione che, senza bisogno di parole, diventa da sé sola il simbolo della condizione nella quale giunge l’annuncio della vittoria di Cristo sulle tenebre della morte. La tenebra non solo ci avvolge, quella tenebra ci abita anzi, è quanto eravamo prima che il Risorto ci facesse partecipare alla sua luce: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” (Ef 5,8).
La notte non è solo quella parte del giorno compresa tra il tramonto e l’alba, è molto più di una realtà astronomica. Nel pensiero umano la notte è la metafora dello stato di chi vive nell’oscurità, nell’ignoranza, nell’errore, nella decadenza, nella barbarie. È oscuramento della coscienza e della conoscenza nella notte dell’ignoto, del nulla, dell’oblio. La Veglia di Pasqua fa suoi integralmente questi significati della notte, che del resto attraversano anche la Bibbia da un capo all’altro. Da metafora la liturgia fa della notte un simbolo, cioè una realtà che esprime e al tempo stesso comunica il mistero pasquale.
“O notte beata”, è il grande canto che risuona all’inizio della Veglia pasquale. Da sempre i cristiani celebrano la Pasqua nella notte, perché Cristo è risorto da morte non al tramonto di “quel giorno solenne di sabato” (Gv 19,31), non all’aurora del primo giorno della settimana e neppure nell’ora meridiana quando la luce è al suo apice. È invece nella notte che si è alzato dal buio della tomba. È nella notte che la vita ha trionfato sulla morte come luce che sconfigge le tenebre, come bagliore che illumina l’oscurità. Il Risorto non sopprime la notte ma fa di essa il tempo e l’ora in cui la sua vita risorge e in essa ogni vita può tornare a vivere.
La Pasqua non toglie nessuna delle notti che l’umanità nei suoi millenni di storia ha attraversato e neppure le notti che ogni essere umano può conoscere. La notte della guerra: quanto il buio acceca le menti dei governanti e “la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli” (Is 60,2). La notte della violenza insensata e del male gratuito, dell’ingiustizia orribile, del dolore innocente e della sofferenza che toglie il respiro, dei migranti respinti, dei soli, degli abbandonati nella loro povertà, qualsiasi questa sia.
La notte dell’amore tradito, la notte dell’abbandono e della solitudine. La notte della depressione e della disperazione, quell’oscurità che ben conosce chi non ha più nulla e nessuno in cui sperare, offuscamento dello spirito che molte volte conduce alla notte più buia di chi si toglie la vita. Ma soprattutto la notte della morte che rimane, anche dopo l’alba di Pasqua, la radicale ingiustizia, l’estremo non senso della vita.
Si celebra la risurrezione di Cristo nel cuore della notte perché il Cristo risorto non l’ha eliminata e tantomeno ce l’ha risparmiata. Il Risorto abita la notte insieme a noi, la condivide con noi, avendo lui stesso conosciuto le tenebre più oscure del tradimento dell’amico, dell’abbandono dei discepoli e del silenzio del Padre: “Elì, Elì, lemà sabactàni … Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Questa grande notte ci accumuna, ci fa fratelli e sorelle, contemporanei degli uomini e delle donne di ogni tempo e di ogni luogo.
“O notte beata”, ripete più volte nell’Exultet, il canto del messaggero che annuncia la vittoria pasquale.
Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele dalla schiavitù d’Egitto.
Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco …Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo …Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro …
“Notte beata”, “notte veramente gloriosa”, “notte di grazia”: l’Exultet la si rivolge direttamente con un “tu”, come a una persona anch’essa presente in quel luogo e in quel momento. “O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagl’inferi”. Nessuno ha visto Cristo risorgere e per questo il testo si guarda bene dal dire che la notte lo ha visto, ma afferma che quella notte è la sola ad averne conosciuto il momento.
La notte di Pasqua è attraversata dalla polarità tenebra e luce, metafora della polarità umana di morte e vita. Opposti radicali che la liturgia pasquale non cerca in alcun modo di negare o di smussare, ma che mantiene tra loro in costante tensione, attraverso veri e propri ossimori com’è il cantare la notte luminosa.
La notte è fonte di luce ed è esperienza di un buio illuminato, la morte è vinta dal Risorto ma noi continuiamo a morire credendo nella vita più forte della morte.
Se è vero, come canta il tropario pasquale ortodosso, che Gesù “con la morte calpesta la morte”, è altrettanto vero che è stata tutta la sua vita e non solo il suo modo di vivere ad aver sconfitto la morte. Da come ha vissuto la sua vita mortale Gesù ha aperto all’umanità la via ad una morte vitale.
(rielaborazione da un testo di Goffredo Boselli)
Nessun commento:
Posta un commento