e-mail della Parrocchia: ss.risurrezione@patriarcatovenezia.it - Telefono e Fax: 041-929216 - ........................................................................... e-mail del Blog: parrocchiarisurrezionemarghera@gmail.com

Mt 28,1-10 - Pasqua

I piedi, gli abbracciarono i piedi. I piedi? perchè i piedi?

 


È sorprendente, dopo due giorni di sbigottimento nei quali il silenzio è stato l’unico protagonista, accadono cose impensabili.

I sigilli con il simbolo di Cesare, l’imperatore, posti su quella tomba vengono infranti. Qualcuno o qualcosa sfida il potere romano, quello dei dominatori, degli oppressori che volevano mantenere lo status quo e, questa volta, non è una azione degli zeloti. Accade qualcosa di simile a quanto avvenuto qualche secolo prima in un’altra notte, quella nella quale gli ebrei uscirono dall’Egitto anzi, furono cacciati via dopo che qualcosa o qualcuno aveva ucciso tutti i primogeniti di quella terra. Sono eventi che segnano indelebilmente la storia nei quali la mano di Dio si fa presente per donare e ridonare vita vincendo ciò che l’opprime e tenta di soffocarla irrimediabilmente. È qualcosa che Lui non può sopportare, che non può accadere, essere definitivo perché ci ha donato la sua stessa vita che è eterna ed è in noi.

Anche questa volta allora Dio interviene ed è un Angelo il cui “aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come la neve” (è la medesima descrizione di Gesù nella sua Trasfigurazione …), che lo annuncia: la folgore è un attributo divino ed è il massimo della luce della potenza, il colore bianco indica la pienezza della luce che rischiara il buio della notte e del sepolcro.

Le guardie – poste a garanzia dell’inviolabilità dei sigilli - furono scosse e rimasero come morte” ma l’Angelo non le degna di uno sguardo e si rivolge direttamente alle donne: “Non abbiate paura voi … presto, andate a dire ai suoi discepoli …” e quelle “in fretta … corsero”. C’è una “urgenza”, non si può rimanere imbambolati; d’altra parte se non lo faranno loro “lo grideranno le pietre” (Lc 189,40). Bisogna agire subito ed andare ad annunciare ciò che è accaduto a quelli che qualche istante più tardi Gesù chiamerà “i miei fratelli”, quelli che lo avevano tradito, rinnegato e, ancora peggio, abbandonato. La lettera agli Ebrei (2,11) afferma: “non si vergogna di chiamarci fratelli perché ci ama così come siamo”. È un chiaro invito guardarci dentro e vedere quante volte facciamo nostri questi atteggiamenti verso “i nostri fratelli” in tutte le situazioni nelle quali ci troviamo a vivere o “i nostri fratelli” si trovano a vivere fino a giungere alle migrazioni, alle guerre senza dimenticare i diseredati, gli scarti della società che sono tra di noi. 

Presto” è un invito a non perdere tempo e a farsi vicino a loro, a queste situazioni per dare vita in situazioni di difficoltà, di buio totale come quello dentro una tomba che chiede di avere i sigilli rotti.

Vi precede in Galilea” cioè in quella terra nella quale giudei e gentili vivevano assieme. È l’immagine della realtà nella quale siamo chiamati a vivere dove i credenti sono mescolati con chi non crede e forse nemmeno cerca. Non ci è chiesto di continuare a rimanere chiusi nel Cenacolo, nel rimanere tra di noi, tra mura confortevoli, in un fortino di certezze inviolabili, ma di uscire fuori e vivere tra tutti perché come ha detto un grande uomo di fede, non tutto ciò che accade è voluto da Dio, ma certamente in tutto quello che accade c’è qualcosa che conduce a lui (Bonhoffer). È questo che siamo invitati a cercare, a valorizzare, a far crescere senza averne paura. È questo il continuo invito di papa Francesco con la sua “Chiesa in uscita”.

 

Quella notte in Egitto, avute le indicazioni da Mosè su quanto stava per accadere (quella volta l’angelo fu Mosè) “il popolo si inginocchiò e si prostrò“ (Es 12,27b). Anche la mattina della Risurrezione, le donne hanno visto “Gesù venire loro incontro” annunciando lo Shalom, la presenza di Dio con loro “ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono”.

È sempre Dio che si fa incontro all’uomo per primo, che lo cerca (come con la pecora persa o smarrita), che lo attende (come fece con la Samaritana), ma c’è anche la disponibilità dell’uomo a vedere questo suo movimento verso di noi e a fare un passo in avanti ed essere disponibili all’ascolto di quanto desidera dirci. 

Questo accadde anche agli ebrei, fecero come aveva loro indicato attraverso Mosè e, una volta giunti ai piedi del Sinài, dissero: “Faremo quanto il Signore ci dirà”, premettendo il fare all’ascoltare per dare tutta la loro disponibilità. Anche qui ci sono i due momenti: Dio che si avvicina e l’uomo che fa un passo in avanti per dire che è pronto ad accoglierlo: il Signore non fa mai nulla senza la volontà dell’uomo, tanto meno contro.

È questo che fanno le donne avvicinandosi a Lui e, che stano, non gli si gettano al collo, ma “gli abbracciarono i piedi

I piedi, sono il simbolo del cammino che lui ha percorso, come le mani di ciò che lui ha fatto. Bisogna ricordarsi che, quando Gesù ha chiamato i discepoli, gli ha detto venite dietro a me (Mt 4,18), seguite i miei passi, imparate a fare quello che io faccio: donare vita.

È per questo che nel mondo ortodosso, a chi si riconosce autorevolezza (non autorità) spirituale, agli starez, agli abati, non si bacia come da noi l’anello simbolo di potere, ma ci si inchina fino a toccargli i piedi con la mano…

Allora l’augurio è di essere capaci di fare anche noi questo “passaggio”, questo “salto” di qualità potremmo dire, tra l’essere ripiegati su di noi stessi e il donare vita essendo portatori di Shalom. È e sia questa la Pasqua.

(BiGio)

Nessun commento:

Posta un commento