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Xi prepara la festa, ma come sono andati questi dieci anni di Via della Seta?

Un decennio fa il leader cinese Xi lanciava la sua iniziativa-faro che oggi sembra aver perso smalto. Inoltre, presto potrebbe dover fare a meno dell’Italia, primo e unico Paese del G7 ad avervi aderito con il governo Conte. Per il futuro, occhio alla parte “green”

Dieci anni fa, nel corso di una visita in Kazakistan, il leader cinese Xi Jinping lanciava la sua iniziativa-faro: l’infrastruttura geopolitica denominata “Belt and Road Initiative”. “Promuovere l’amicizia tra le persone e creare un futuro migliore” era il titolo del suo discorso tenuto alla Nazarbayev University di Astana. Cinque anni e mezzo più tardi l’Italia sarebbe diventata il primo e unico Paese del G7 ad aderire al progetto per collegare la Cina al Medio Oriente e all’Europa.

Oggi l’iniziativa, in Italia più nota come Via della Seta, compie dieci anni. Il governo Meloni sembra deciso a non rinnovare il memorandum d’intesa siglato dal governo Conte I. Anche alla luce della ricorrenza e della rilevanza dell’Italia, l’uscita sta avvenendo in modo silenzioso. Nella recente missione in Cina di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano, entrambe le parti hanno voluto evidenziare che il partenariato strategico che unisce i due Paesi dal 2004 è più forte del memorandum.

Ma a che punto è la Via della Seta? Jacob Mardell, esperto di Cina già al centro studi tedesco Merics e oggi coordinatore editoriale di n-ost, ha analizzato la situazione in cinque punti.

L'analisi di Gabriele Carrer e Emanuele Rossi continua a questo link:

https://formiche.net/2023/09/dieci-anni-via-della-seta-mardell/



In Israele parlare di apartheid non è più un tabù

Fino a poco tempo fa chiunque usasse la parola apartheid per descrivere la situazione nei Territori palestinesi rischiava di essere accusato di antisemitismo. Ma il 6 settembre l’accusa è stata lanciata addirittura da un ex capo del Mossad, i servizi segreti israeliani, che si è unito a una corta lista di personalità dello stato ebraico che hanno deciso di compiere questo passo cruciale.

In Israele il tabù dell’apartheid sta progressivamente svanendo anche a causa degli eccessi dell’estrema destra, che oggi è parte integrante della coalizione al potere. È il riflesso della battaglia politica tra due Israele che appaiono divisi su tutto. La situazione nei Territori palestinesi è rimasta a lungo lontana dal centro dei dibattiti, ma ora le cose sono cambiate. 

Tamir Pardo, capo del Mossad tra il 2011 e il 2016, ha dichiarato che il trattamento riservato ai palestinesiè paragonabile all’apartheid, il sistema basato su un razzismo istituzionalizzato che ha governato il Sudafrica fino al 1994. “Un territorio in cui due popoli sono sottoposti a due sistemi giuridici separati è in uno stato di apartheid”, ha sentenziato Pardo. 


L'articolo di  e France Inter continua a questo link:



Domenica XXIII PA - Mt 18,15-20

Va’ e ammoniscilo”.  Attenzione però perché si è propensi a concentrarsi sul secondo verbo (ammoniscilo) mentre l’attenzione va posta sul primo che è un imperativo e letteralmente significa “andare sotto”, cioè mettersi al suo servizio.

 


La Liturgia in queste domeniche ci ha accompagnato nel cammino fatto dai discepoli nel percorso di comprensione di chi fosse Gesù fra alterne vicende, alternando intuizioni ad altri dove sopravveniva il pensiero legato alle diverse attese messianiche presenti nelle spiritualità e teologie dell’epoca.

Tipico il confronto con elementi di durezza tra Pietro e Gesù di domenica scorsa dove il primo, in modo riservato, ha cercato di convincere il secondo che la prospettiva annunciata della sua passione-morte-risurrezione era opera del divisore. Gesù aveva risposto rigettando su di Pietro l’essere un satana, un oppositore alla sua missione e invitandolo a seguirlo non a cercare di insegnarli cosa fare secondo le logiche del mondo. Poi ripeteva ai discepoli le sue scelte di vita invitandoli a scegliere se continua a mettere al centro i loro progetti o il bisogno degli altri, mettendo in conto che questo avrebbe potuto metterli in difficoltà e farli soffrire; questo significa il “seguirlo”. 

 

Oggi la Liturgia ci conduce a riflettere sul fatto che le relazioni stanno alla base della realtà umana e, queste, portano a confronti che a volte conducono a discussioni, contrasti, incomprensioni. Capita ovviamente e ne abbiamo tutti esperienza anche all’interno delle Comunità cristiane. A volte si  può giungere a constatare che qualcuno sta facendo scelte che possono portare lontano da quella sequela nella quale si desidera vivere. Si può essere in buona fede ma, deviando, può capitare di trovarsi su sentieri che conducono lontano dalla volontà del Signore. Siamo tutti coscienti che l’albero buono si vede dai frutti che porterà (Mt 7,15-20) e che non si ha alcuna certezza immediata su dove porteranno le scelte fatte. Per questo, per aiutare nel discernimento, nelle Comunità ci sono tre livelli: quello personale, quello comunitario e quello di chi preside; tutti e tre sottostanno alla fedeltà all’Evangelo ma, a volte, nemmeno questo non basta a compiere le scelte corrette o a correggere quelle sbagliate; allora che cosa fare? come comportarsi?

Gesù essendo pienamente uomo parla il nostro linguaggio ma non si perde in lunghi discorsi di fronte a possibilità di screzi, difficoltà relazionali, individuazioni di percorsi non consoni di qualcuno e invita ad un atteggiamento: “Va’ e ammoniscilo”.  Attenzione però perché si è propensi a concentrarsi sul secondo verbo (ammoniscilo) mentre l’attenzione va posta sul primo che è un imperativo e letteralmente significa “andare sotto”, cioè mettersi al suo servizio. Quindi non con il cipiglio del maestro che dall’alto indica la strada corretta, ma di chi con dolcezza suggerisce di farne un tratto assieme e convincere, cioè “vincere assieme”. Quello che deve guidare è il desiderio di aiutare l’altro, non di schiacciarlo e condannarlo (a volte a priori). È questo l’”ammonimento” evangelico come S. Paolo scrive (2Tim 3,16), la Parola va proposta per convincere non per imporre qualcosa. 

Anche quando è l’altro a commettere una colpa contro di te, devi essere tu ad andare verso di lui, a fare il primo passo come Dio l’ha fatto e continua a farlo nei tuoi confronti venendoti a cercare quando sei smarrito.

Questo movimento dell'amore Gesù lo ha già ricordato in un altro grande discorso quello della montagna: «Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va' prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5, 23s.). Se non si vive la comunione con colui che in ogni caso rimane tuo fratello, come si può pensare che la si sta vivendo con Dio?

A volte può non essere sufficiente il rapporto personale ed allora vengono suggeriti altri due passaggi, andare con le medesime intenzioni ed attenzioni con altri amici comuni e poi far prendere la parola anche alla Comunità. Se ogni tentativo fallisce? In ogni caso qualcosa di positivo c’è: il tuo cammino fatto prima da solo, poi con alcuni ed infine con la Comunità. Nei confronti di colui che non ravvede la propria posizione non rimane altro che un atteggiamento forte, dirompente schioccante: fargli capire che in questo modo si pone fuori della comunione. Questo non significa interrompere ogni rapporto, non significa che questa persona a causa del dissidio vada esclusa dall’amore della comunità e neanche dall’amore di colui che è stato eventualmente offeso, ma significa che questo amore sarà senso unico come quello verso i nemici. Quindi non significa escludere questa persona dall’amore ma di amarlo in perdita, a senso unico.

La “scomunica” deve mirare in ogni caso al ravvedimento, a reintegrare, non all’esclusione permanente. Infatti cosa faceva Gesù coi pubblicani e i peccatori? Erano quelli di cui lui si prendeva più cura, perché erano i più bisognosi del suo amore e del suo affetto stando loro vicino.

 

Una promessa e una raccomandazione chiudono il brano evangelico di oggi.

La promessa è “ciò che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo, ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in cielo” Abbiamo già sentita rivolta Pietro e adesso è estesa a tutta la comunità. Legare e sciogliere significa saper discernere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è vita e ciò che è morte.

Poi viene la raccomandazione: ”Se due di voi, uniranno la loro voce sulla terra, per chiedere qualunque cosa, sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli, infatti, dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Due o tre è il minimo per fare una comunità. 

Ci sono due le forme di preghiera, quella personale e quella comunitaria, hanno funzioni diverse ed è necessario non fare della preghiera comunitaria una preghiera personale o pensare sia sufficiente la prima…

(BiGio)

Tutto si gioca nelle relazioni con l'altro

La correzione è offerta di un aiuto, va compiuta con l’intenzione di “guadagnare” il fratello, di poter gioire ancora con lui della sua vita, della sua presenza, del suo star bene. L’importante è la relazione con il fratello, l’importante è la comunione con lui, l’importante è che ancora egli viva, e stia bene, e che abbia anche un’altra possibilità per fare spazio alla conversione.

La radicalità del messaggio e dell’annuncio di Gesù si gioca nella relazione, al punto da ritenere come un “guadagno” per sé il fatto che il fratello abbia accolto una correzione che gli abbiamo fatto. Correzione, dunque, secondo l’evangelo non è quella volta a rimarcare gli eventuali errori o mancanze dell’altro, con un atteggiamento come di accusa, ma è quella che, vedendo che il fratello si sta incamminando verso precipizi, su vie che a lui, anzitutto, fanno male, cerca di avvisarlo del cammino mortifero che ha intrapreso, perché possa tornare sui suoi passi, correggere la rotta e incontrare così non la disgrazia, la rovina, e forse la morte, ma la vita, e la vita in abbondanza (cf. Gv 10,10). Passi sbagliati, sentieri ciechi, vie di morte.

E la correzione non è neanche il richiamo a un’osservanza di una legge, ma è offerta di un aiuto, di un suggerimento che intende distogliere da sentieri rovinosi, offerta di appoggio a una libertà talvolta prigioniera o comunque vacillante. E il fratello può farsi compagno di cammino che aiuta, anche se forse la correzione sul momento può essere per chi la riceve non fonte di gioia, ma di tristezza, ma che, se accolta, porta frutti di vita piena (cf. Eb 12,11).

Con questo spirito va compiuta per l’evangelo la correzione: con l’intenzione di “guadagnare” il fratello, di poter gioire ancora con lui della sua vita, della sua presenza, del suo star bene, di poter godere ancora di questo che è un vero e proprio guadagno e tesoro, che vale più di tutto il resto.

È in questa logica, allora, che si situano anche le parole seguenti che concernono il perdono illimitato (“fino a settanta volte sette”). Se il fratello, la sua persona, la sua vita è per me un guadagno, un tesoro che vale più di tutto, allora anche l’eventuale male che da lui può essermi venuto passa come in secondo piano: l’importante è la relazione con il fratello, l’importante è la comunione con lui, l’importante è che ancora egli viva, e stia bene, e che abbia anche un’altra possibilità per fare spazio alla conversione.

Certo, forse a noi sembra di non essere capaci di tale liberante amore, amore liberante per chi lo offre e per chi lo riceve, ma il testo evangelico ci apre ancora una via: “Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere…”. L’accordo nella preghiera, il pregare insieme e il chiedere insieme, il farsi insieme espressione rivolta a Dio di un grido del cuore, là dove i cuori nel nome del Signore si possono unire.

Se tale preghiera non è falsa, se non è ipocrita, se non è copertura menzognera di sentimenti ostili (cf. Sal 55,22), tale preghiera purifica il cuore del credente e lo rende capace di ricevere in sé quell’amore che viene da Dio e che è stato “effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).

Questa la radicalità che è resa possibile, mediante la grazia, se accolta, ad ogni cristiano, questa la novità dell’evangelo, questo l’amore che va al di là anche dei legami di sangue (cf. Mt 10,37), di patria, o di altro genere (cf. Gal 3,28; Col 3,11). Questa la santità a cui a ogni battezzato è donato di partecipare (cf. Mt 5,43-48). Tutto il resto ruota intorno a questo (cf. Mt 7,12).

(sr Cecilia di Bose)

Haiti, la discesa agli inferi

Gli Stati Uniti invitano i cittadini americani a lasciare il paese, preda di bande armate che terrorizzano la popolazione civile.


L’ambasciata degli Stati Uniti ad Haiti ha invitato tutti i cittadini americanipresenti nel Paese a lasciarlo “il prima possibile”, a causa della crescente insicurezza nell’isola. Un ulteriore campanello d’allarme dopo la decisione, il mese scorso, di evacuare il personale governativo non essenziale e le famiglie dei diplomatici presenti nella capitale Port-au-Prince. Nel contempo però, le autorità americane continuano i rimpatri di migranti haitiani illegali nella piccola nazione caraibica alle prese con un’escalation di violenze. Finora sono circa 200mila le persone sfollate a causa degli scontri tra bande armate che di fatto tengono in assedio la popolazione civile. Una situazione che si trascina dall’omicidio del presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021 per mano di mercenari colombiani, ma che affonda le sue radici in tempi più antichi. Per cercare di porre un freno all’instabilità, Washington ha proposto l’invio di una forza multinazionale a guida keniota. Le associazioni per i diritti umani però chiedono ...

Il reportage continua a questo link:

 

Arabia Saudita e migranti: accuse di massacri e, nelle fosse comuni, almeno 750 persone

Un rapporto di HRW accusa le guardie di frontiera saudite di sparare su migranti etiopi disarmati alla frontiera con lo Yemen.


Tra le montagne del remoto confine con lo Yemen, lontano da occhi indiscreti e nella totale impunità, le guardie di frontiera dell’Arabia Saudita avrebbero ucciso centinaia di migranti. Una campagna sistematica e ricorrente che potrebbe costituire un crimine contro l’umanità. A denunciarlo è un rapporto dell’organizzazione Human Rights Watch contenente le testimonianze di decine di migranti che hanno affermato di essere stati attaccati mentre cercavano di entrare in Arabia Saudita dallo Yemen. Usando le immagini satellitari, le testimonianze e l’esame delle ferite dei sopravvissuti, HRW ha individuato diverse fosse comuni e ricostruito le tappe di un massacro perpetrato nell’ultimo anno e mezzo ai danni di persone la cui unica colpa è quella aver cercato di raggiungere la ricca monarchia del Golfo. A giugno, il Missing Migrant Projectdell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) aveva pubblicato la propria stima delle vittime: il rapporto sosteneva che almeno 795 persone, “ritenute per lo più etiopi”, erano morte lungo il confine yemenita nel governatorato di Sa’dah.

Il report continua a questo link:



"L'Italia smetta di vendere armi all'Arabia è complice del massacro dei migranti"

Un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) accusa le guardie di frontiera saudite di aver ucciso centinaia di migranti al confine con lo Yemen. Solo tre mesi fa, il governo italiano ha revocato il divieto di vendita di «materiali di armamento» all'Arabia Saudita perché - come si legge nel comunicato del Consiglio dei Ministri- si, registra «un'attenuazione significativa del rischio di uso improprio di bombe e missili, in particolare contro gli obiettivi civili».


L'intervista a Nadia Hardman, a cura di Giovanna Loccatelli a questo link:





 

Vescovi ucraini dal papa, capirsi tra propagande, imperi e bombe

Le incomprensioni sorte tra Ucraina e Vaticano dall’inizio della guerra, hanno spiegato i vescovi, vengono utilizzate dalla propaganda russa per giustificare e sostenere l’ideologia assassina del “mondo russo”, quindi “i fedeli della nostra Chiesa sono sensibili ad ogni parola di Sua Santità come voce universale di verità e di giustizia”. 

La riflessione di Riccardo Cristiano sull’udienza privata di papa Francesco ai vescovi del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc)

“Un colloquio franco e sincero”. Sono queste le parole prescelte dall’arcivescovo maggiore di Kyiv, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, per presentare, a caldo, il colloquio appena conclusosi tra lui, gli altri vescovi del sinodo della Chiesa greco-cattolica di Ucraina e papa Francesco.

Tutti sanno che il termine “franco” in diplomazia indica un colloquio non facile, e quindi quel “sincero” ammorbidisce il giudizio complesso, indicando la possibilità di una vicendevole comprensione. Ma che non sarebbe stato un incontro facile era annunciato dalle dichiarazioni con cui lo stesso Scevchuk aveva commentato quanto detto dal papa prima di partire per la Mongolia ai giovani russi, quando gli aveva raccomandato di ricordarsi di essere gli eredi della cultura della Grande Madre Russia, citando anche Pietro il grande e Caterina II.

L'analisi di Riccardo Cristiano continua a questo link:

https://formiche.net/2023/09/vescovi-ucraina-papa-vaticano/



La sinodalità e il futuro del diritto canonico

Nella Chiesa sinodale, dove va e come si costituisce il diritto canonico? È una domanda non di poco conto, se si pensa che l’attività normativa recente della Chiesa è andata avanti spesso con motu propri o rescritti del Papa, ma senza quella base normativa progettuale che potrebbe rendere tutto più solido. C’è, insomma, bisogno di diritto canonico. Ma anche il diritto canonico ha bisogno di rinnovarsi, di guardare oltre, di comprendersi in maniera differente.

Di questi temi si era parlato a Torino, in un convegno che aveva come titolo proprio “La Sinodalità nella vita normativa della Chiesa”, e che si era tenuto dal 3 al 5 ottobre 2022. Ora, gli interventi di quella conferenza sono raccolti in un libro con lo stesso titolo (Mucchi Editore) che, oltre a raccogliere pregevoli contributi, ha anche una terza parte di notevole interesse. Da tempo, infatti, presso l’Università di Bologna si è costituito un gruppo di ricerca internazionale per una proposta di legge sulla sede impedita e la sede vacante del Papa. Riforma necessaria, se si pensa che oggi un Papa può rimanere vivo anche in condizioni sanitarie di totale incapacità, rendendo così difficile a un certo punto lo stabilire la fine del pontificato senza una legislazione certa.

Ebbene, la parte finale di questo volume presenta una serie di proposte, che mettono in luce problematiche di vario genere, e che riguardano anche il modo in cui il Papa rinunciatario si deve chiamare 

L'intera presentazione a cura di Andrea Gargliarducci continua a questo link:

 

Il grande rotolo di Isaia in mostra nel 2025 dopo mezzo secolo!

Dopo oltre 50 anni, nel 2025, il «Grande Rotolo di Isaia» tornerà a essere esposto. Il Museo di Israele ha comunicato nelle scorse ore di aver scelto quale direttore scientifico per la mostra il prof. Marcello Fidanzio, direttore presso la Facoltà di Teologia di Lugano (FTL) dell’Istituto di Cultura e Archeologia delle terre Bibliche e membro del Centro di Judaica GMFF, che ci spiega l’importanza del reperto e dell’iniziativa.


Il Grande Rotolo di Isaia è un manoscritto su pergamena lungo 7, 34 metri, davvero ben conservato, che contiene l’intero libro biblico ed è stato scritto nel II secolo a.C. È considerato il più importante dei Rotoli del Mar Morto e patrimonio mondiale. Nel museo di Israele si trova il «Tempio del Libro», uno spazio espositivo creato appositamente per i Rotoli e collocato simbolicamente di fronte al Parlamento, che si trova dall’altro lato della strada. Nel progetto originario il Rotolo di Isaia era esposto al cuore del Tempio, inaugurato nel 1965. Tuttavia dopo tre anni doveva essere evidente che in quella collocazione le pelli di cui il Grande Rotolo è composto iniziavano ad avere problemi di conservazione e il rotolo è stato deposto in una camera blindata che offriva le condizioni migliori. Da allora i visitatori possono ammirarne solo tre colonne, cambiate ogni tre mesi. Per il resto devono accontentarsi di una replica. In occasione dei 60 anni dall’aperturadelmuseod’Israeleein seguito a una ricerca realizzata in collaborazione con la Facoltà di Teologia di Lugano, nel 2025 il rotolo sarà esposto a Gerusalemme. Si tratta di un evento molto raro, la prima volta dopo il 1968 in cui poterlo ammirare nella sua totalità. La mostra durerà pochi mesi e poi il rotolo tornerà nel caveau, probabilmente fino a quando potranno vederlo i nostri nipoti ....

L'intervista a Marcello Fidanzio curata da Laura Quadri continua a questo link:





Il provvedimento sull'Opus Dei: centralismo vaticano o lotta al clericalismo?

Calato nella rovente pausa estiva, il provvedimento pontificio relativo all'Opus Dei non ha ricevuto dai media l'attenzione che merita, sia in relazione alla storia del movimento, sia nel contesto dell’attuale pontificato


Con la lettera apostolica in forma di Motu proprio Ad charisma tuendum resa nota lo scorso 8 agosto, papa Francesco, in attuazione della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19 marzo 2022, ha modificato i canoni 295-296 del Codice di diritto canonico relativi alle prelature personali. Siccome l’unica con questa configurazione era la Prelatura personale denominata Santa Croce e Opus Dei, su questa è calato il provvedimento.

Nonostante il generale disinteresse per il provvedimento di papa Francesco, non sono mancate, da parte degli ambienti cattolici più ostili all’attuale pontificato, allusioni a una presunta ricaduta nel centralismo vaticano, innervato di autoritarismo. E neppure chi ha rispolverato il rapporto concorrenziale e il tradizionale cattivo sangue storicamente intercorso tra i gesuiti e l’Opus Dei, entrambi di origine spagnola, entrambi dediti alla formazione delle future élite pubbliche. Nessuna delle due spiegazioni convince. Meno ci si allontana dal vero quanto più si resta attaccati ad alcuni dati di fatto: la riforma della Curia romana in corso, l’anomala configurazione giuridica dell’Opus Dei e la stravagante autonomia di cui ha goduto. Volendo, invece, andare più a fondo e scorgere nel provvedimento il riverbero della linea caratterizzante l’attuale pontificato, è del tutto pertinente il riferimento all’allarme in più occasioni lanciato da papa Francesco contro i rischi del clericalismo, ...



Il mio Israele riscopre la vulnerabilità

Una delle caratteristiche del popolo di Israele fin dai suoi inizi è stata la propensione allo slancio. Già il primo comando divino ad Abramo: «Vattene dal tuo paese» racchiude l’idea di rinnovamento, di pulsione, di imprenditorialità, di invenzione, di creatività. Lo Stato di Israele ha conosciuto periodi difficili e rischiosi per la sua sopravvivenza ma lo spirito che lo ha quasi sempre pervaso era quello di un paese dinamico, pieno di vita, che irradiava originalità. 

Un Paese imprevedibile che avrebbe potuto raggiungere nuovi traguardi in ogni campo. Poi è arrivato il tentativo di cambiamento di regime dell’attuale governo e Israele ha cominciato a perdere il movimento libero e armonioso tipico di un corpo sano. Ciò che era naturale, fluido e ovvio alla maggior parte dei suoi cittadini (l’identificazione con lo Stato e, pur fra costanti critiche, un senso di appartenenza quasi famigliare a esso) ora vacilla ed è avvolto da timori e incertezze.
In verità questo processo di destabilizzazione è iniziato prima del colpo di mano dell’esecutivo di Netanyahu, ma è stato comunque proprio questo a farlo deflagrare con tanta virulenza e a cambiare completamente la realtà.
In Israele è in atto un processo di sovvertimento, di sgretolamento del patto sociale e di indebolimento dell’esercito e dell’economia. E non solo il suo slancio si è fermato, ma si assiste a un arretramento verso principi reazionari di discriminazione e di razzismo, verso l’esclusione delle donne, della comunità LGBT e degli arabi. Verso l’ignoranza e la rozzezza, che assurgono al rango di valori.

L'intero intervento di David Grossman a questo link:


Àgnes Heller e la difficile riscoperta del “Gesù ebreo”

Torna in libreria in libreria il saggio dove la studiosa di domanda perché l’ebraicità del Nazareno sia stata eclissata tanto tra i cristiani quanto tra gli israeliti. Una questione che tocca l'antisemitismo.


La poesia, l’arte, la scienza, la letteratura sarebbero infinitamente più povere senza il contributo essenziale del mondo ebraico. Àgnes Heller (1929-2019) è una intellettuale che resta inaccessibile senza prendere molto sul serio la sua cultura ebraica e quindi la Bibbia. Filosofa ungherese, è tra le pensatrici più significative della seconda metà del XX secolo. Sopravvissuta ad Auschwitz, ha lavorato a una rifondazione etica del pensiero moderno, prima alla scuola di Gyorgy Lukács a Budapest e poi esule nel mondo – alla Statale di Milano ha tenuto il 24 ottobre del 2018 una delle sue ultime lectio magistralis. Espulsa dall’università nel 1959 fu osteggiata dal regime comunista ungherese che mal tollerava la sua lettura libera e non ideologica del marxismo del quale pure rivalutò alcune istanze umanistiche ed etiche (a partire dalla radice ebraica di Marx), che le costò un lungo esilio, prima in Australia e poi negli Usa, dal 1977 al 1989. Criticò ogni forma di totalitarismo, incluso il regime di Orban con il quale è stata molto severa fino al termine della sua vita ...

La presentazione del saggio di Luigino Bruni continua a questo link:





Domenica XXII PA - Mt 16,21-27

Pietro, con un gesto di confidenza, prende in disparte il Maestro e lo “rimprovera”, nel testo greco è usato il termine che Gesù adopera per scacciare i demoni minacciandoli, non semplicemente rimproverandoli. In pratica Pietro pensa che Gesù sia vittima di un demone ...


La sapienza della Liturgia oggi ci fa continuare a proclamare l’Evangelo dal punto dove lo avevamo lasciato la scorsa settimana. Siamo a Cesarea di Filippo, la capitale della zona nord di Israele in terra pagana, qui Gesù aveva cercato di capire come, le persone prima e i discepoli poi, avessero compreso chi lui fosse dal suo modo di vivere, rapportarsi e comportarsi. Lo ha fatto in quei luoghi forse anche perché il potere espresso nella sua reggia dal re, poteva essere in controluce una cartina di tornasole per la sua autorevolezza che nulla concedeva alle comuni istanze e desideri di ogni persona.

Simone figlio di Giona aveva riportato cosa i discepoli pensassero di lui: “Il Cristo, il Figlio del Dio vivente” cioè il Messia e Gesù aveva sottolineato come questa non venisse dalla sua intelligenza, da sue intuizioni personali o ci fosse arrivato attraverso ragionamenti, ma dalla rivelazione che il Padre gli aveva fatto. Grazie a questo, gli aveva dato il compito di essere il primo mattone (“tu sei Pietro”) della sua nascente comunità la cui roccia a fondamento rimane il Padre (la Scrittura su questo è inflessibile).

Ma quale Messia? In Israele allora erano almeno 4 se non 5 i diversi tipi di Messia che erano attesi e che facevano riferimento alle diverse correnti spirituali e teologiche che al tempo si confrontavano esprimendo una grande ricchezza.

Ecco perché subito dopo Gesù sente l’esigenza di chiarire la propria identità, perché non vuole che lo si segua per ragioni sbagliate, non vuole alimentare false attese ed allora spiega quello che sarebbe accaduto “doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scrivi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. 

Che il Messia dovesse prima o poi andare a Gerusalemme era scontato, ma veniva inteso per prendere il potere e instaurare l’annunciato Regno di Dio. Quanto aveva detto Gesù proseguendo la sua spiegazione, decisamente contrastava con questa attesa e Pietro si fa carico di esprimerlo.

Gesù parla di sofferenza per il confronto duro con le istituzioni del tempo. Un assaggio di questo era già avvenuto nel corso di alcune dispute quando erano stati raggiunti, inviati da Gerusalemme, da gruppi di farisei e maestri della Legge per cercare di capire chi fosse Gesù e il perché di certi suoi comportamenti dissonanti dai dettami della Legge (Mt 15,1-2.10.14).

Il confronto si farà sempre più serrato con coloro che vigilavano sul rispetto della tradizione (gli Anziani), con chi officiava nel tempio ed erano i custodi della religione (i Sacerdoti), con chi erano diventati gli interpreti delle Scritture di Mosè (gli Scribi). Categorie che, trascurando il messaggio dei Profeti, trasmettevano una immagine di un Dio legislatore, giudice severo; una religione fondata su principi “mercantili” (se sei buono … se sei cattivo …); una mentalità che valutava le persone in base a quello che possedevano perché questo significava che era state colmate di beni dal Signore.

Gesù sa che non avrà vita semplice con loro e che la reazione molto probabilmente avrebbe portato alla sua eliminazione, ma confida nel Padre certo che non lo abbandonerà alla morte. Lo annunciava sia Osea (6,1-6) sia il salmo 15: “subito dopo” sarebbe stato riscattato (“il terzo giorno” significa questo; non è una predizione cronologica).

Pietro, con un gesto di confidenza, prende in disparte il Maestro e lo “rimprovera”, nel testo greco è usato il termine che Gesù adopera per scacciare i demoni minacciandoli, non semplicemente rimproverandoli. In pratica Pietro pensa che Gesù sia vittima di un demone che lo sta indirizzando su di un crinale diverso da quello annunciato per il Messia per esempio dal Salmo 72 che lo descrive come un vincitore che dominerà da mare a mare, tutti si inchineranno davanti a lui e le nazioni gli porteranno i loro tributi. Altro che venire ucciso!

Gesù si gira verso tutti i discepoli che lo seguivano e lo rimette in riga affermando che non è lui che ha idee suggerite da un demone, ma è Pietro che è un “satan”, un avversario, uno che si sta opponendo al suo cammino nonostante abbia assistito alla Trasfigurazione e abbia sentito l’invito del Padre ad ascoltarlo e seguirlo. È un rimprovero che potremmo sentire diretto anche a noi. In fin dei conti Pietro non è il più bravo di tutti, un super discepolo, è uno come noi, uno di noi continuamente titubanti, incerti, incapaci di fidarci ed affidarci fino in fondo (sono le onde e i venti che ci scuotono e che scuotono le nostre Comunità). Ci riesce molto bene il cercare di far prevalere le apparentemente più rassicuranti logiche di questo mondo alle esigenze della sequela continuando a fare quello che Gesù ha fatto, separando così la nostra strada dalla sua, cercando di fargli dire quello che vogliamo noi da lui. Ma la Scrittura ci dice che il Signore sceglie sempre gli ultimi, non i più forti: il Magnificat lo afferma chiaro e forte. Sono gli ultimi che Lui prende per mano, li rafforza mettendo il suo cuore a fianco del loro per fare cose grandi.

 

Segue di nuovo una pacata spiegazione che assume la forma di una proposta alla quale i discepoli, noi, possiamo liberamente accettare o rifiutare. Sono tre inviti che descrivono la scelta di vita fatta da Gesù. Il primo è l’invito a smettere di mettere sé stesso al centro del mondo (“rinnega te stesso”), ma di farsi carico del bisogno dell’altro; questo potrà portarti a fare fatica, ad essere ostacolato (“prendi la tua croce”): devi metterlo in conto come ho fatto io; “segui” il mio esempio, fa che questo sia la tua road-map, la tua bussola quotidiana e, per seguirla, è necessario tu ti confronti quotidianamente con la mia Parola e l’intera Scrittura nella quale trovi la volontà del Padre da far propria e da interpretare. 

In tutto questo non c’è nulla di doloristico che ci porti ad essere dei volontari della sofferenza come spesso questo Evangelo è stato erroneamente interpretato rovesciandone le intenzioni.

 

Importante poi è comprendere bene la conclusione di Gesù che dice: “Il Figlio dell’Uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni”. Normalmente questo viene insinuato che Il Figlio dell’Uomo giudicherà con il bilancino quanto ciascun uomo ha fatto dando la giusta retribuzione ricadendo in quel modo di interpretare l’agire di Dio interpretato dagli Anziani, dai Sacerdoti e dagli Scribi. Questo non può essere il sentire di Gesù infatti le “azioni” secondo le quali giudicherà, sono le sue azioni, il suo modo di essere il tramite della misericordia del Padre che non vuole perdere nessuno.

 

(BiGio)

Non bisogna illudersi di trovare sempre le strade aperte

Ciascuno ha la “sua” croce significa non sottrarsi alle proprie responsabilità umane e cristiane, a costo di subire incomprensione, oltraggi, ingiustizia o violenza, in tutte quelle circostanze in cui sottrarsi ad esse magari vorrebbe dire esercitarle sugli altri. 

Delle parole che Gesù rivolge ai discepoli, subito dopo che Pietro gli ha manifestato la sua opposizione scandalizzata all’annuncio della sua passione e risurrezione (“Dio non voglia, Signore, questo non ti avverrà mai”), vorrei qui sottolineare un’unica espressione: “Prendere la propria croce” (v. 24). 

È un’espressione assai nota, e come sempre potremmo essere tentati di pensare di saper già cosa significa. Si tratta di intenderla con cautela, perché su di essa si sono fondati tanti eccessi, dall’antichità fino a tempi recenti. Non deve essere intesa come un’espressione di autolesionismo o di rassegnazione, come se il dolore e la sofferenza fossero cose da ricercare per sé stesse. La croce non è neppure qualunque cosa, e neppure ogni tipo di sofferenza, come troppo facilmente siamo portati a pensare e a dire. 

Evidentemente in quest’espressione evangelica c’è innanzitutto un riferimento alla croce come patibolo su cui Gesù stesso ha subito la morte infamante. Questo deve restare l’orizzonte fondamentale. Metterla davanti agli occhi del discepolo come prospettiva è un modo per dire che “il discepolo non è da più del suo maestro” (Mt 10,24). Fondamentalmente per il discepolo “prendere la croce” significa esser disposto a seguire il maestro dovunque vada (cf. Ap 14,4), partecipando alla sua vita, operando le sue scelte, e condividendo il suo destino: fino in fondo. Costi quel che costi.

Il cristiano, in quanto ha fatto propria la vita di Gesù, il Giusto, e il suo stile di amore radicale, ovvero lo stile di chi è disposto a lasciarsi crocifiggere più che crocifiggere, è chiamato a sopportare le conseguenze inevitabili delle sue opzioni fondamentali. Se è vero che c’è una necessitas crucis per Gesù (“il Figlio dell’uomo dovrà patire…”, dice più volte Gesù), questo vale anche per il discepolo, perché chi vive il vangelo, se lo vive veramente, non potrà non incontrare opposizione. 

L’opposizione (la croce) presto o tardi arriverà, perché la verità del vangelo in qualche modo la “suscita” e la esige inevitabilmente. Il vangelo, anche se è fondamentalmente fatto per l’uomo (ma per l’uomo quale Dio lo ha pensato!), non troverà mai un plauso trionfale in questo mondo, inutile illudersi, neppure nella chiesa. Anche la chiesa finché è in questo mondo è sempre corpus permixtum, come amavano dire i Padri, comunità in cui il grano è sempre frammisto alla zizzania e i santi si mescolano ai peccatori. Non bisogna farsi illusioni che in questo mondo il vangelo trovi sempre le strade aperte e le persone pronte ad accogliere chi lo vive e lo porta! “Guai a voi quanto tutti diranno bene di voi…” (cf. Lc 6,26). 

In questo senso, dunque, non è questione per i discepoli di Gesù o per i credenti di “inventarsi” una croce. Si tratta piuttosto di “prendere”, quindi di accogliere e di accettare, quella che ci è assegnata dalle circostanze. In questo senso ciascuno ha la “sua” croce. Per ciascuno questo significa non sottrarsi alle proprie responsabilità umane e cristiane, a costo di subire incomprensione, oltraggi, ingiustizia o violenza, in tutte quelle circostanze in cui sottrarsi ad esse magari vorrebbe dire esercitarle sugli altri. 

Come Gesù – non dimentichiamolo – non ha ricercato la croce per sé stessa, anzi fino all’ultimo ha chiesto al Padre che “il calice passasse lontano da lui” (cf. Mt 26,42), eppure l’ha accettato in obbedienza, quando ha compreso che rifiutarlo avrebbe significato rinnegare tutto ciò in cui aveva creduto, tutto ciò che aveva predicato e tutto ciò che egli stesso era, così è chiamato a fare il discepolo. Né più né meno. 

(un fr di Bose)

Xi e il papa in Mongolia. Cortesie sì, ma non solo…

Il rapporto tra Chiesa cattolica e Cina non è né tutto positivo né tutto negativo. La cultura del partito in Cina fa del suo segretario qualcosa di molto simile all’imperatore dei tempi passati, che si faceva chiamare “figlio del cielo”. In buona parte è ancora così e la novità dell’accordo provvisorio tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese ha proprio in questo il suo enorme valore: portare a una distinzione tra buon patriota e fedele di una comunità religiosa. 

Non avere relazioni diplomatiche non vuol dire essere maleducati. Forse c’è anche questo alla base della scelta di papa Francesco di inviare un telegramma al presidente cinese Xi, quando il suo volo è entrato nello spazio aereo cinese, gentilmente concesso dal governo di Pechino. Andò così, come è indispensabile ricordare, già in occasione del suo viaggio a Seul, quando per giungervi il volo papale fu autorizzato a entrare nello spazio aereo cinese. Ed è andata così questa notte, quando il papa ha potuto raggiungere Ulaan Bataar evitando il non sicuro spazio aereo russo sorvolando la Cina per oltre un’ora. È un fatto certamente importante, ma rinnovato e non soltanto per buona educazione, certamente, ma anche. Francesco ha sempre dimostrato attenzione nei confronti di Pechino. Attenzione e interesse, avendo definito quella cinese una grande cultura millenaria, quale indubbiamente è.

Pechino ha subito risposto con cortesia ...

L'analisi di Riccardo Cristiano continua a questo link:

https://formiche.net/2023/09/papa-chiesa-cina-xi-viaggio-mongolia/




Cosa pensano gli italiani di immigrazione e lavoro.

 Il tema immigrazione, sovrastato prima dal Covid e dalla guerra in Ucraina, oggi dal caro-vita e dal caro-mutui, è lentamente scivolato in un secondo livello di stato di tensione. I dati mostrano che la dimensione acuta di avversità è diminuita e la contrapposizione polarizzante si è ridotta. Tutto questo, però, non cambia l’orientamento generalizzato. Il tema è andato solo sotto la cenere, ma resta sempre acceso e pronto a riesplodere. 

Nel corso degli ultimi anni i sentimenti verso l’immigrazione sono cambiati. Gli aspetti maggiormente respingenti hanno avuto un progressivo rallentamento, così come le sensazioni più retrive e negative hanno avuto un raffreddamento. Nonostante questo, il Paese sul tema appare spaccato in due con il 41% degli italiani schierati su sentimenti primatisti e orientati a ritenere che gli immigrati sottraggano servizi sociali e risorse importanti agli italiani; il 51%, invece, ritiene gli immigrati una risorsa per il Paese. Il quadro evolutivo emerge se confrontiamo i dati dell’ottobre 2020, ancora in pieno periodo pandemico, con quelli di oggi. Le persone che, tre anni fa, auspicavano uno stop agli arrivi di migranti nel nostro Paese erano il 60% della popolazione maggiorenne.

Gli aperturisti accoglienti erano, invece, una sparuta minoranza (19%). La restante quota del 21% era incerta e ondivaga sul da farsi. A fine maggio 2023, quasi tre anni dopo, il numero delle persone favorevoli alla chiusura totale sono scese al 41%. Un calo secco di 19 punti percentuali, anche se restano sempre la maggioranza relativa dell’opinione pubblica. Gli aperturisti, quanti pensano che si debba consentire l’arrivo di migranti e la possibilità di accoglierne almeno una parte, sono aumentati di 14 punti, passando al 33%.


L'articolo di Enzo Risso (professore di Audience studies alla Sapienza e direttore scientifico di Ipsos) continua a questo link:


Anche per l'Osservatorio Nord-Est: un giovane su due vede il suo futuro lontano dall'Italia:


Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato 2023

La Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato ricorre il 1 settembre e segna l’inizio del Tempo del Creato, che si conclude il 4 ottobre, festa liturgica di San Francesco d’Assisi.

Nel suo Messaggio Papa Francesco invita ad ascoltare “l’appello a stare a fianco delle vittime dell’ingiustizia ambientale e climatica, e a porre fine a questa insensata guerra al creato”.

In questo senso propone di "trasformare i nostri cuori, i nostri stili di vita e le politiche pubbliche che governano le nostre società". A tal fine, ricorda che San Giovanni Paolo II ci ha esortato a vivere la "conversione ecologica", che consiste nel rinnovare "il nostro rapporto con il creato, affinché non lo consideriamo più come oggetto da sfruttare, ma al contrario lo custodiamo come dono sacro del Creatore".

"Dobbiamo trasformare le politiche pubbliche che governano le nostre società e modellano la vita dei giovani di oggi e di domani", incoraggia Papa Francesco.

Infine, sottolinea l'importanza della sinodalità e auspica "che in questo Tempo del Creato, come seguaci di Cristo nel nostro comune cammino sinodale, viviamo, lavoriamo e preghiamo perché la nostra casa comune abbondi nuovamente di vita".

Il testo del Messaggio del Papa a questo link:

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/05/25/0391/00869.html#MESSAG

La guerra di Ortega contro la Chiesa (e perché c’entra la Cina)


Terroristi ed evasori finanziari. Il Nicaragua attacca ancora la Chiesa cattolica confiscando i beni dei gesuiti, aiutando e favorendo invece il governo di Pechino. Cosa c’è dietro questa nuova – e sempre più forte – amicizia…

Il regime di Daniel Ortega in Nicaragua ha cancellato giuridicamente la Compagnia di Gesù, l’ordine dei gesuiti, con l’obiettivo di confiscare tutti i loro beni. L’accusa è di avere violato degli obblighi finanziari tra il 2020 e il 2022 e di avere mancato la comunicazione delle entrate e le uscite dei loro bilanci.

Anche l’Università Centroamericana di Nicaragua è stata sequestrata da parte dello Stato del Nicaragua perché accusata di essere un “centro di terrorismo”. Per il regime di Ortega, i gesuiti non promuovono “politiche di trasparenza nel controllo e gestione dell’associazione”.

Questa è considerata l’ennesima azione del governo nicaraguense contro la Chiesa cattolica. A marzo, Papa Francesco ha detto di essere “preoccupato e triste” per la situazione del Nicaragua, specialmente per il vescovo Rolando Álvarez, attualmente arrestato, e la deportazione di circa 222 oppositori negli Stati Uniti. Per il Pontefice, il Nicaragua vive in questo momento una grottesca dittatura. Ma per Ortega la Chiesa cattolica non è altro che una “mafia” incaricata di nominare i gerarchi, tra cui il Papa, per cui ha proposto che queste figure siano elette attraverso il voto popolare.

In questa guerra del regime di Ortega contro i cattolici sembra esserci lo zampino della Cina. ...

L'intera analisi di Rossana Miranda continua a questo link: 

https://formiche.net/2023/08/ortega-chiesa-cina/