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Domenica XXII PA - Mt 16,21-27

Pietro, con un gesto di confidenza, prende in disparte il Maestro e lo “rimprovera”, nel testo greco è usato il termine che Gesù adopera per scacciare i demoni minacciandoli, non semplicemente rimproverandoli. In pratica Pietro pensa che Gesù sia vittima di un demone ...


La sapienza della Liturgia oggi ci fa continuare a proclamare l’Evangelo dal punto dove lo avevamo lasciato la scorsa settimana. Siamo a Cesarea di Filippo, la capitale della zona nord di Israele in terra pagana, qui Gesù aveva cercato di capire come, le persone prima e i discepoli poi, avessero compreso chi lui fosse dal suo modo di vivere, rapportarsi e comportarsi. Lo ha fatto in quei luoghi forse anche perché il potere espresso nella sua reggia dal re, poteva essere in controluce una cartina di tornasole per la sua autorevolezza che nulla concedeva alle comuni istanze e desideri di ogni persona.

Simone figlio di Giona aveva riportato cosa i discepoli pensassero di lui: “Il Cristo, il Figlio del Dio vivente” cioè il Messia e Gesù aveva sottolineato come questa non venisse dalla sua intelligenza, da sue intuizioni personali o ci fosse arrivato attraverso ragionamenti, ma dalla rivelazione che il Padre gli aveva fatto. Grazie a questo, gli aveva dato il compito di essere il primo mattone (“tu sei Pietro”) della sua nascente comunità la cui roccia a fondamento rimane il Padre (la Scrittura su questo è inflessibile).

Ma quale Messia? In Israele allora erano almeno 4 se non 5 i diversi tipi di Messia che erano attesi e che facevano riferimento alle diverse correnti spirituali e teologiche che al tempo si confrontavano esprimendo una grande ricchezza.

Ecco perché subito dopo Gesù sente l’esigenza di chiarire la propria identità, perché non vuole che lo si segua per ragioni sbagliate, non vuole alimentare false attese ed allora spiega quello che sarebbe accaduto “doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scrivi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. 

Che il Messia dovesse prima o poi andare a Gerusalemme era scontato, ma veniva inteso per prendere il potere e instaurare l’annunciato Regno di Dio. Quanto aveva detto Gesù proseguendo la sua spiegazione, decisamente contrastava con questa attesa e Pietro si fa carico di esprimerlo.

Gesù parla di sofferenza per il confronto duro con le istituzioni del tempo. Un assaggio di questo era già avvenuto nel corso di alcune dispute quando erano stati raggiunti, inviati da Gerusalemme, da gruppi di farisei e maestri della Legge per cercare di capire chi fosse Gesù e il perché di certi suoi comportamenti dissonanti dai dettami della Legge (Mt 15,1-2.10.14).

Il confronto si farà sempre più serrato con coloro che vigilavano sul rispetto della tradizione (gli Anziani), con chi officiava nel tempio ed erano i custodi della religione (i Sacerdoti), con chi erano diventati gli interpreti delle Scritture di Mosè (gli Scribi). Categorie che, trascurando il messaggio dei Profeti, trasmettevano una immagine di un Dio legislatore, giudice severo; una religione fondata su principi “mercantili” (se sei buono … se sei cattivo …); una mentalità che valutava le persone in base a quello che possedevano perché questo significava che era state colmate di beni dal Signore.

Gesù sa che non avrà vita semplice con loro e che la reazione molto probabilmente avrebbe portato alla sua eliminazione, ma confida nel Padre certo che non lo abbandonerà alla morte. Lo annunciava sia Osea (6,1-6) sia il salmo 15: “subito dopo” sarebbe stato riscattato (“il terzo giorno” significa questo; non è una predizione cronologica).

Pietro, con un gesto di confidenza, prende in disparte il Maestro e lo “rimprovera”, nel testo greco è usato il termine che Gesù adopera per scacciare i demoni minacciandoli, non semplicemente rimproverandoli. In pratica Pietro pensa che Gesù sia vittima di un demone che lo sta indirizzando su di un crinale diverso da quello annunciato per il Messia per esempio dal Salmo 72 che lo descrive come un vincitore che dominerà da mare a mare, tutti si inchineranno davanti a lui e le nazioni gli porteranno i loro tributi. Altro che venire ucciso!

Gesù si gira verso tutti i discepoli che lo seguivano e lo rimette in riga affermando che non è lui che ha idee suggerite da un demone, ma è Pietro che è un “satan”, un avversario, uno che si sta opponendo al suo cammino nonostante abbia assistito alla Trasfigurazione e abbia sentito l’invito del Padre ad ascoltarlo e seguirlo. È un rimprovero che potremmo sentire diretto anche a noi. In fin dei conti Pietro non è il più bravo di tutti, un super discepolo, è uno come noi, uno di noi continuamente titubanti, incerti, incapaci di fidarci ed affidarci fino in fondo (sono le onde e i venti che ci scuotono e che scuotono le nostre Comunità). Ci riesce molto bene il cercare di far prevalere le apparentemente più rassicuranti logiche di questo mondo alle esigenze della sequela continuando a fare quello che Gesù ha fatto, separando così la nostra strada dalla sua, cercando di fargli dire quello che vogliamo noi da lui. Ma la Scrittura ci dice che il Signore sceglie sempre gli ultimi, non i più forti: il Magnificat lo afferma chiaro e forte. Sono gli ultimi che Lui prende per mano, li rafforza mettendo il suo cuore a fianco del loro per fare cose grandi.

 

Segue di nuovo una pacata spiegazione che assume la forma di una proposta alla quale i discepoli, noi, possiamo liberamente accettare o rifiutare. Sono tre inviti che descrivono la scelta di vita fatta da Gesù. Il primo è l’invito a smettere di mettere sé stesso al centro del mondo (“rinnega te stesso”), ma di farsi carico del bisogno dell’altro; questo potrà portarti a fare fatica, ad essere ostacolato (“prendi la tua croce”): devi metterlo in conto come ho fatto io; “segui” il mio esempio, fa che questo sia la tua road-map, la tua bussola quotidiana e, per seguirla, è necessario tu ti confronti quotidianamente con la mia Parola e l’intera Scrittura nella quale trovi la volontà del Padre da far propria e da interpretare. 

In tutto questo non c’è nulla di doloristico che ci porti ad essere dei volontari della sofferenza come spesso questo Evangelo è stato erroneamente interpretato rovesciandone le intenzioni.

 

Importante poi è comprendere bene la conclusione di Gesù che dice: “Il Figlio dell’Uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni”. Normalmente questo viene insinuato che Il Figlio dell’Uomo giudicherà con il bilancino quanto ciascun uomo ha fatto dando la giusta retribuzione ricadendo in quel modo di interpretare l’agire di Dio interpretato dagli Anziani, dai Sacerdoti e dagli Scribi. Questo non può essere il sentire di Gesù infatti le “azioni” secondo le quali giudicherà, sono le sue azioni, il suo modo di essere il tramite della misericordia del Padre che non vuole perdere nessuno.

 

(BiGio)

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