La correzione è offerta di un aiuto, va compiuta con l’intenzione di “guadagnare” il fratello, di poter gioire ancora con lui della sua vita, della sua presenza, del suo star bene. L’importante è la relazione con il fratello, l’importante è la comunione con lui, l’importante è che ancora egli viva, e stia bene, e che abbia anche un’altra possibilità per fare spazio alla conversione.
La radicalità del messaggio e dell’annuncio di Gesù si gioca nella relazione, al punto da ritenere come un “guadagno” per sé il fatto che il fratello abbia accolto una correzione che gli abbiamo fatto. Correzione, dunque, secondo l’evangelo non è quella volta a rimarcare gli eventuali errori o mancanze dell’altro, con un atteggiamento come di accusa, ma è quella che, vedendo che il fratello si sta incamminando verso precipizi, su vie che a lui, anzitutto, fanno male, cerca di avvisarlo del cammino mortifero che ha intrapreso, perché possa tornare sui suoi passi, correggere la rotta e incontrare così non la disgrazia, la rovina, e forse la morte, ma la vita, e la vita in abbondanza (cf. Gv 10,10). Passi sbagliati, sentieri ciechi, vie di morte.
E la correzione non è neanche il richiamo a un’osservanza di una legge, ma è offerta di un aiuto, di un suggerimento che intende distogliere da sentieri rovinosi, offerta di appoggio a una libertà talvolta prigioniera o comunque vacillante. E il fratello può farsi compagno di cammino che aiuta, anche se forse la correzione sul momento può essere per chi la riceve non fonte di gioia, ma di tristezza, ma che, se accolta, porta frutti di vita piena (cf. Eb 12,11).
Con questo spirito va compiuta per l’evangelo la correzione: con l’intenzione di “guadagnare” il fratello, di poter gioire ancora con lui della sua vita, della sua presenza, del suo star bene, di poter godere ancora di questo che è un vero e proprio guadagno e tesoro, che vale più di tutto il resto.
È in questa logica, allora, che si situano anche le parole seguenti che concernono il perdono illimitato (“fino a settanta volte sette”). Se il fratello, la sua persona, la sua vita è per me un guadagno, un tesoro che vale più di tutto, allora anche l’eventuale male che da lui può essermi venuto passa come in secondo piano: l’importante è la relazione con il fratello, l’importante è la comunione con lui, l’importante è che ancora egli viva, e stia bene, e che abbia anche un’altra possibilità per fare spazio alla conversione.
Certo, forse a noi sembra di non essere capaci di tale liberante amore, amore liberante per chi lo offre e per chi lo riceve, ma il testo evangelico ci apre ancora una via: “Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere…”. L’accordo nella preghiera, il pregare insieme e il chiedere insieme, il farsi insieme espressione rivolta a Dio di un grido del cuore, là dove i cuori nel nome del Signore si possono unire.
Se tale preghiera non è falsa, se non è ipocrita, se non è copertura menzognera di sentimenti ostili (cf. Sal 55,22), tale preghiera purifica il cuore del credente e lo rende capace di ricevere in sé quell’amore che viene da Dio e che è stato “effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).
Questa la radicalità che è resa possibile, mediante la grazia, se accolta, ad ogni cristiano, questa la novità dell’evangelo, questo l’amore che va al di là anche dei legami di sangue (cf. Mt 10,37), di patria, o di altro genere (cf. Gal 3,28; Col 3,11). Questa la santità a cui a ogni battezzato è donato di partecipare (cf. Mt 5,43-48). Tutto il resto ruota intorno a questo (cf. Mt 7,12).
(sr Cecilia di Bose)
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