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Per il momento da Venerdì 30 maggio 2025 questo Blog sarà implementato solo con notizie ecclesiali della Parrocchia.  I Post con la proposta...

Non solo Italia. Cosa stanno facendo gli altri Stati europei sugli extraprofitti e cosa potrebbe decidere l’Europa

“Le società energetiche stanno facendo grandissimi guadagni non previsti che sono completamente slegati dai loro costi o dai loro investimenti, mentre i clienti devono pagare bollette astronomiche”. Qualche mese fa sarebbe stato difficile immaginare che a pronunciare tali parole potesse essere la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. 


Invece in una intervista rilasciata il 7 settembre a La Stampa (e ad altri giornali europei), anticipando i temi che saranno discussi nell’atteso Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia che si terrà il 9 settembre a Bruxelles, Von Der Leyen si è spinta a definire la tassazione degli extraprofitti delle società energetiche come una necessità per “riportare un equilibrio sociale”. Poco lontana, insomma, da chi lo scorso aprile parlava di un provvedimento da perseguire per ottenere giustizia sociale. Insieme a ciò si prevede pure una sorta di contributo di solidarietà per le aziende fossili. "Ci aspettiamo - ha aggiunto Von Der Leyen - che il settore energetico acceleri la sua transizione verde, investendo nelle rinnovabili e contribuendo al risparmio d'energia".

Già a marzo, in realtà, la Commissione aveva inoltrato una "comunicazione” alle altre istituzioni europee in merito al RePowerEu, il piano con cui l’Europa mira a superare la dipendenza dai combustibili fossili provenienti dalla Russia. Qui ci interessa soprattutto un passaggio:

Gli Stati membri possono prendere in considerazione misure temporanee di carattere fiscale sui proventi straordinari. Secondo l'Agenzia internazionale per l'energia tali misure fiscali sui profitti elevati potrebbero rendere disponibili fino a 200 miliardi di euro nel 2022 per compensare parzialmente l'aumento delle bollette energetiche

Come si può notare, le formule erano abbastanza vaghe, proprio per lasciare un ampio margine di manovra ai singoli Stati membri. Che, infatti, si sono mossi in ordine sparso. Ora però l’UE sembra aver compreso che anche in questo caso è necessario uno sforzo comune. Questo perché, per farla breve, si sono avverati i timori più nefasti: la speculazione finanziaria in atto al mercato TTF di Amsterdam, dal quale poi si decidono i prezzi sui consumi finale del gas (e, nel caso italiano, dell’energia elettrica), non è soltanto una bolla - scoppiata l’anno scorso e acuita dalla guerra russa in Ucraina - ma è qualcosa di sistemico che andrà quantomeno ripensato. Ci sarà tempo per analizzare ciò che stabilirà l’Unione europea, dato che l’incontro di venerdì tra i 27 Stati membri si preannuncia difficile. D’altra parte, molto probabilmente, i dettagli verranno ufficializzati la prossima settimana. E, soprattutto, servirà altro tempo per capire l’entità e l’efficacia di una serie di provvedimenti molto complessi, dal price cap (il tetto al prezzo del gas, forse  da attuare solo a quello russo) al sistema ETS (il sistema delle quote di emissione).

L'intero articolo di Andrea Turco a questo link:

https://www.valigiablu.it/extraprofitti-energia-europa/


L’inedita situazione del Papa in Kazakistan e il suo messaggio “laico”

Come quasi sempre succede, che io sappia nessuno ha ancora messo in evidenza un fatto inedito, una novità assoluta negli interventi di Papa Francesco nel corso del viaggio in Kazakistan, intrapreso per partecipare al “Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali”. Per la prima volta il papa di Roma ha partecipato a un’iniziativa non indetta da lui o dalla chiesa cattolica, ma ha risposto insieme a tanti altri leader delle religioni alla convocazione voluta da un’autorità politica non cristiana, il presidente musulmano del Kazakistan. Già questo fatto aveva destato perplessità e contestazioni, ma Francesco ha vissuto questo congresso in un modo che deve veramente interrogare soprattutto i cattolici.


Ciò che colpisce e si evidenzia come un’audacia nell’atteggiamento di Francesco è la sua capacità di rivolgersi agli altri partecipanti non cattolici, che professano diverse religioni e spiritualità, in modo totalmente nuovo – modo che scandalizza quei cattolici che lo giudicano non evangelizzatore, quasi una negazione dell’identità cattolica –, con un linguaggio adattato a un’assemblea di uditori provenienti da tutto il mondo.

 

Lo stesso vescovo ausiliare di Astana, monsignor Schneider, noto per il suo pellegrinare in occidente a predicare il verbo tradizionalista, ha manifestato il proprio dissenso riproponendo l’antica posizione militante di chi deve dire subito che la propria identità è portatrice dell’unica verità. Perché invece il Papa in tre discorsi non ha mai fatto cenno a Gesù Cristo il Signore, e rivolto agli ascoltatori non cristiani, ma comunque capaci di affermare la presenza di Dio, si è limitato a evocare Dio, il Creatore, la Trascendenza…

 

Soprattutto nel discorso che seguiva una preghiera silenziosa, fatta gli uni accanto agli altri, una preghiera non fatta insieme ma simultanea il Papa, che ci lascia un memorabile magistero sul rapporto che deve instaurarsi tra religioni e pace, ha citato sovente Abai, il padre e poeta della letteratura kazana, mentre non ha mai citato né Gesù Cristo né il Vangelo! Ha citato anche Seneca, e sempre per affermare come l’essere umano sia una creatura sacra che impone il rigetto della violenza, dell’ostilità, della guerra.

 

E nel profetico discorso finale Papa Francesco ha ribadito ancora una volta la condanna della violenza e della follia della guerra, senza “se” e senza “ma”, affermando che è questo il primo compito delle religioni, che di conseguenza devono assumere una distinzione netta dall’autorità statale, distinguendo sempre la politica dalla religione. Il sacro non va mai strumentalizzato, il sacro non deve essere un puntello per il potere politico e il potere politico non può mai definirsi sacro o pretendere di avere una qualità religiosa. Questa è la miscela di religione e politica di cui si nutre la guerra tra Russia e Ucraina oggi, non dimentichiamolo!

 

Questa la novità: discorsi senza l’esaltazione della verità presente nella propria confessione, un papa che non sta al centro ma in mezzo agli altri, per parlare e ascoltare come gli altri, un papa che richiama con autorevolezza tutte le religioni al dialogo, alla concordia, alla pace. È stata un’occasione di sentita commozione: il successore di Pietro, vecchio, in carrozzina, ma ancora munito di vigore, che sta umilmente tra gli altri senza intenzioni di proselitismo, solo a servizio dell’umanità, perché convinto che “l’essere umano è la via della chiesa”.


(Enzo Bianchi)

Non possiamo tacere: no all'accidia politica.

Sintesi di un documento appena presentato a Catania, scritto da un gruppo di laici coordinati dall’Ufficio di Pastorale sociale e del lavoro in vista delle elezioni.

Come cristiani non abbandoniamo “il posto” che Dio ci ha assegnato nella città (cfr. Lettera a Diogneto) perciò: no all'accidia politica!


Molte donne e molti uomini soffrono oggi di fronte agli scenari inquietanti delle nostre città, sia a livello nazionale sia regionale. I molteplici mali, che si sono radicati negli anni, e che si sono acuiti con la pandemia e con la guerra scatenata in Ucraina, rendono difficile la vita del nostro Paese e hanno indotto tanti cittadini a un pessimismo così forte tanto indurli a pensare di disertare la chiamata alle urne per le elezioni politiche (…).

Come cristiani non abbandoniamo “il posto” che Dio ci ha assegnato nella città (cfr. Lettera a Diogneto) e non ci lasciamo bloccare dalla gravità dei suoi mali, ma insieme a tutte le persone di buona volontà, ci coinvolgiamo nelle sue vicende per dire una parola di speranza e dare concretamente il nostro contributo per risolvere le numerose e gravi emergenze, in vista del bene comune. Ci guidano le parole profetiche: “Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia […]” (Isaia 62,1). Per Papa Francesco l’impegno nella polis fa parte della vocazione cristiana: “Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo” (Evangelii Gaudium, n. 183).

La partecipazione o meno alla vita sociale e politica implica una precisa responsabilità morale, come sottolineava don Sturzo: «Se i cristiani, invece di cooperare, si tengono in disparte per paura della politica allora partecipano direttamente o indirettamente alla corruzione della vita pubblica, mancano negativamente o positivamente al loro dovere di carità, e in certi casi di giustizia».

In altre parole, nessuno può restare alla finestra a guardare, preda della sindrome dello spettatore. Pertanto, la vecchia affermazione che la politica è una “cosa sporca” è un alibi per giustificare il disimpegno per la cosa pubblica. Papa Francesco osserva: “La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune (E. G., n. 205). La Dottrina sociale della Chiesa afferma che la partecipazione alla vita politica è «uno dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici», e pertanto una democrazia autentica «deve essere partecipativa» (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 190).

Nessuna delega in bianco. La complessità e la delicatezza dell’attuale quadro politico ci inducono a dire che non c’è spazio per “l’accidia politica” e che ora più che mai. «l’assenteismo, la delega in bianco, il rifugio nel privato, non sono leciti a nessuno» (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, n.33).


L'intera riflessione a questo link:

https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/non-possiamo-tacere/


La politica non è ancora all’altezza delle sfide poste dalla crisi climatica. Un’analisi dei programmi dei partiti

Le temperature estreme di questa estate, la siccità, gli incendi, le frane e le grandi piogge, e l’impennata del prezzo del gas e dell’elettricità, hanno posto al centro della discussione pubblica le questioni energetiche e climatiche. Ma se la crisi energetica ha catalizzato l'attenzione della politica, il clima resta un tema che fatica a essere protagonista in questa "campagna elettorale estiva".


Eppure, sottolineavano gli attivisti di Fridays for Future a fine luglio, "queste sono le prime elezioni climatiche del nostro paese". Ai primi di agosto la Società Italiana per le Scienze del Clima ha pubblicato una lettera aperta (arrivata a quasi 220mila sottoscrizioni) in cui ha chiesto ai partiti politici italiani azioni forti di adattamento e mitigazione per combattere la crisi climatica.

Il think tank ECCO ha analizzato le proposte di “politica del clima” delle principali coalizioni, prendendo in esame i programmi depositati dai partiti e, dove non disponibili, quelli presentati dalle coalizioni. Riportiamo qui di seguito la loro analisi.

Emissioni, leggi e partecipazione

Quasi nessun partito prevede un obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni al 2030, come invece presente nella maggior parte dei paesi europei, ad eccezione di Verdi-SI, che propongono un obiettivo nazionale di riduzione del 70% rispetto al 1990, e Azione-Italia Viva, che propone una riduzione del 41% rispetto al 2018. La maggior parte degli altri partiti tende a confermare l’obiettivo comunitario di riduzione del 55% al 2030 anche se il programma di coalizione di centro destra mette in discussione gli obiettivi europei, senza specificare quali e come.

Analizzando provvedimenti più specifici, l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (fermo al 2019), strumento importante della politica climatica poiché individua alcuni strumenti e obiettivi settoriali di riduzione delle emissioni, viene menzionato solamente da Verdi-SI, Lega e +Europa.

La Strategia di lungo periodo al 2050 ferma alla versione presentata a inizio 2021 e non ancora inviata al Segretariato ONU come previsto dall’Accordo di Parigi nonostante la scadenza fosse il 2020, viene ignorata da tutti i partiti. Solo Verdi-SI propongono di anticipare l’obiettivo di neutralità climatica dal 2050 al 2045, in linea con quanto fatto in Germania.

L'intera anali a questo link:

https://www.valigiablu.it/crisi-climatica-programmi-partiti/


Una sfida lanciata

Don Fabio Longoni sul foglio settimanale della Parrocchia della Ss. Trinità scrive:

“Questo Foglio parrocchiale non prende parte alla campagna elettorale non è il suo scopo. Lo scopo è, semmai, di far pensare da cristiani sui grandi temi. Questo Foglio non si schiera ma, nel suo piccolo, lancia una sfida.



Sfido chiunque vincerà a proporre dopo le Elezioni al Presidente della Repubblica una persona che sappia assumere la stessa credibilità, la stessa serietà e la capacità di visione che l’Europa ha riconosciuto al precedente Presidente del Consiglio e, grazie a lui, al nostro Paese gravato da un debito enorme..

Sfido i vincitori delle Elezioni a garantire una legislatura nella quale i governi non si alternino a ogni soffio di vento, ma, fedeli al proprio programma, siano responsabili dell’immagine che l’Italia ha in Europa e nel mondo..

Sfido a non giocare a chi promette denaro a pioggia, aumentando così il debito esorbitante che pesa come un macigno sulle giovani generazioni e compromette il futuro..

Sfido ad affrontare i problemi di questo Paese, in primis il declino demografico

e la crisi ecologica, la mancanza di sostegno alla ricerca scientifica, culturale, formativa..

Sfido a operare sulla crisi energetica incentivando la sostenibilità nell’uso delle risorse, abbattendo drasticamente gli sprechi e riconoscendo, semmai, agevolazioni a chi risparmia sia aziende che privati..

Sfido me stesso come cittadino a essere coerente facendo proposte e non lamentazioni sterili, spero che altri cittadini mi seguano con questo stile anche nelle sfide che di seguito propongo..

Sfido me stesso a pagare le tasse e semmai a contestare una amministrazione allegra che spreca il denaro publico per ottenere consenso.

Sfido me stesso a non lasciare soli i politici nelle decisioni, anche difficili, ma a criticarli o applaudirli quando faranno

scelte coerenti anche se impopolari. Sfido me stesso ad essere partecipe della vita della città e della nazione informandomi, non semplicemente parteggiando ideologicamente mettendo Like umorali sui social, bensì aiutando il confronto, il dialogo propositivo, la proposta che rende responsabili i cittadini e non li tratta da imbecilli.

Sfido i cittadini e i politici ad essere moderati nei toni del dibattito pubblico, a non mentire spudoratamente sui social o nei media, a non attaccare nessuno sul piano personale, ma semmai a proporre civilmente opzioni diverse..

Sfido chiunque salirà al potere ad essere veritiero non limitandosi soltanto a parlare di Bene comune, ma tentando con tutto se stesso e con la propria competenza di perseguirlo.

Buone elezioni a tutti.”


Svezia: svolta a destra

 I risultati confermano le previsioni e l’exploit dell’ultradestra, frutto di un’accorta operazione di immagine e politiche fallimentari.


Dopo giorni di attesa i risultati delle elezioni svedesi confermano le previsioni: la coalizione di destra ha raccolto la maggior parte dei voti e con ogni probabilità formerà il nuovo esecutivo. Un terremoto politico che promette di avere conseguenze profonde sul paese. 

Il blocco ha ottenuto il 49% dei voti, e in parlamento avrà 176 seggi, tre in più del centrosinistra che ha raccolto il 48% dei consensi. Anche se con circa il 30% delle preferenze i più votati rimangono i socialdemocratici, oggi la premier uscente Magdalena Andersson si è dimessa. “So che molti svedesi sono preoccupati. Capisco la vostra preoccupazione e la condivido”, ha detto la prima ministra. Il paese ora si trova ad affrontare una svolta politica senza precedenti: a portare alla vittoria la coalizione sono stati i Democratici svedesi (DS) di Jimmie Akesson, un partito di estrema destra che in questi anni ha avviato una progressiva opera di ‘normalizzazione’.

Per i conservatori l’apertura all’estrema destra era diventata l'unica strada per il potere, ma sebbene il cordone di protezione sia saltato, è assai improbabile che la formazione di Jimme Åkesson entri nel governo.  Non conviene al probabile prossimo premier Ulf Kristersson (Moderati) che innanzitutto ha bisogno che gli altri partiti della coalizione - che mal tollerano le idee dei Democratici svedesi - lo sostengano come primo ministro, e che sa benissimo che assumere la presidenza della Ue con ministri espressi dall’ultradestra anti-migranti e contraria ai meccanismi di solidarietà europei non è una buona idea. Non conviene neanche a Jimme Åkesson, che se entrasse nel governo avrebbe la responsabilità di realizzare tutte le promesse degli ultimi 15 anni. Lo scenario più probabile è un governo formato da Moderati e Cristianodemocratici, con un sostegno esterno dei Ds su molte questioni specifiche. Una cosa è certa: il prezzo più alto del supporto di Jimme Åkesson al nuovo governo svedese lo pagheranno i migranti.


L’intera analisi a questo link:

https://ispo-zcmp.campaign-view.eu/ua/viewinbrowser?od=3zfa5fd7b18d05b90a8ca9d41981ba8bf3&rd=166050cd27448c1&sd=166050cd2732a8b&n=11699e4c1e3fa5e&mrd=166050cd2732a73&m=1

Declino della civiltà occidentale e crisi italiana. La necessità di una Nuova Camaldoli

Tra i principi ispiratori del Codice di Camaldoli vi era l’idea di uno Stato inteso come garante e promotore del bene comune. Oggi ci siamo dimenticati dì questa finalità e ci sfugge lo Stato, che i liberali della second’ora vorrebbero ridotto a mero fascio di residuali funzioni fiscali e amministrative


Il problema della traiettoria disastrosa dello sviluppo della civiltà occidentale dell’era postmoderna – che costruisce presente e futuro sul totale nichilismo in relazione alle grandi conquiste delle precedenti epoche culturali – sta scivolando irresistibilmente dal pieno al vuoto. Esso è diventato il leitmotiv delle discussioni filosofiche, culturali e politiche degli ultimi tempi.

La natura distruttiva del sistema che si basa su capitale e banche è stata ripetutamente notata, puntualizzando sì che l’Occidente sa galvanizzare e dividere, ma non gli è dato di stabilizzare e unire. L’umanità non può raggiungere l’unità politica e spirituale seguendo questa via che l’emisfero ovest sta percorrendo.La crisi attuale non è delle singole società, ma ognuna di esse ha caratteristiche differenti. In Italia quella che stiamo attraversando non è più solo una crisi economica o finanziaria, ma di prospettiva. Serve una nuova Camaldoli per rilanciare l’idea di bene comune e uscire da questa situazione, in cui dopo la parentesi costruttiva del grande ceto politico 1944-1991, si sono succeduti personaggi posti fra lo scendere in campo calcistico, e l’asservimento total-colonizzante privo di una seppur minima politica estera.

Camaldoli significò attivare una prospettiva, una visione alta ma al tempo stesso operativa in un momento non meno critico dell’attuale per il nostro Paese. Tra i principi ispiratori del Codice di Camaldoli vi era l’idea di uno Stato inteso come garante e promotore del bene comune. Oggi ci siamo dimenticati dì questa finalità e ci sfugge lo Stato, che i liberali della second’ora vorrebbero ridotto a mero fascio di residuali funzioni fiscali e amministrative. Ci siamo dimenticati, soprattutto, del bene comune. Su questo basterebbe intenderci sul significato di politica che ci dovrebbe legare non al liberalismo della Scuola di Chicago – padre del colpo di Stato cileno del 1973 – ma a un progetto completo di riforma dello Stato e dell’economia italiane. Oltre all’accettazione dei diritti dell’uomo in funzione di una teologia politica che riconosca la centralità della persona, l’accettazione della legge dello Stato se coincide con il retto sentire e la libertà di tutti gli uomini. Il bene comune – come ci detta il codice di Camaldoli del 1943 – è il fine dello Stato, che non può sostituirsi ai singoli, al mito del Leviatano di Hobbes, ma che riguarda le condizioni esterne necessarie a tutti i cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e del loro benessere.

Oggi c’è davvero bisogno di questa filosofia nel dibattito politico e culturale italiano e europeo, solo che mancano gli uomini all’altezza di farlo. 


L'intera riflessione di Giancarlo Elia Valori a questo link:

https://formiche.net/2022/09/crisi-italia-camaldoli/



Domenica XXV PA - Lc 16,1-13

Uno solo è il modo giusto per “gestire” la misericordia di Dio: la si deve “saccheggiare”, distribuendola largamente, quasi “dilapidandola”.


 

Luca continua a presentarci l’insegnamento di Gesù in parabole il cui scopo, più e prima di darci indicazioni su come dovremmo comportarci, ci rivelano ciò che Dio compie attraverso Gesù che in questa sezione dell’Evangelo sviluppa la complessa articolazione tra giustizia e misericordia. Quest’ultima è stata al centro delle due parabole di domenica scorsa: la pecora e la dramma perse; il padre e i due figli, mentre oggi e domenica prossima la Liturgia ci propone un’altra coppia di parabole sul tema della giustizia: l’amministratore che sperperava; l’uomo ricco e Lazzaro. Luca utilizza quasi sempre questo schema di due parabole affiancate che sottolineano aspetti diversi del medesimo tema.

 

Come le scorse domeniche, Gesù continua a rivolgersi a “tutti”: i discepoli con i pubblicani, i peccatori i farisei e gli scribi”. È importante quel “tutti” che sottolinea come nessuno manca e che, quello che dice, è per tutti; anche per ciascuno di noi.

Il racconto oggi è quello dell’amministratore che, dopo aver dilapidato i beni del suo padrone, capisce che, scoperto, sarà licenziato. Approfitta allora del breve tempo che gli rimane riducendo drasticamente quanto i debitori dovevano al suo padrone, attirandosi le loro simpatie e così garantendosi una sopravvivenza quando rimarrà senza lavoro. Per questo suo agire viene lodato. Ancora una volta Gesù rompe gli schemi e sorprende lasciando perplessi.

Se, però consideriamo che questa parabola e immediatamente successiva a quella del padre e dei due figli, che il contesto e l’uditorio è il medesimo, è possibile intendere la volontà di una continuità nel messaggio sulla misericordia di Dio, in un modo ugualmente paradossale anche se contrapposto, come due facce della medesima realtà.

Questa parabola non vuole certo proporci di imitare l’amministratore disonesto fino in fondo nella gestione dei beni a lui affidati. Per capirlo bisogna partire interrogandoci su cosa sia quello che gli è stato affidato da gestire. Se il padrone è il Padre e l’amministratore è Gesù, che cosa il primo ha affidato al secondo da amministrare? Ce lo hanno detto le parabole di domenica scorsa: la misericordia che attende non passivamente il ritorno del figlio, che va a cercare la pecora persa, che mette sottosopra la casa fintantoché non riesce a ritrovare quel niente che sono due centesimi, perché tutto ha un grande valore per lui, anche quel niente che è ciascuno di noi. Non per nulla tutto finisce in una grande festa alla quale sono invitati tutti.

Allora la parabola di oggi desidera dirci che uno solo è il modo giusto per “gestire” la misericordia di Dio: la si deve “saccheggiare”, distribuendola largamente, quasi “dilapidandola”. È quello che fa Gesù proprio perché così deve essere “amministrata”, anche se agli occhi del mondo è una truffa; infatti è proprio di questo che Gesù viene accusato dai Farisei e dagli Scribi, dai benpensanti di oggi.

Il Figlio, come amministratore benevolmente “disonesto”, abbassa radicalmente i “debiti” che abbiamo nei confronti del Padre, non li annulla totalmente; manca qualcosa: come colmarlo?

Ce lo dice quel “tutti”, non mancava nessuno attorno a Gesù e tutti sono stati accolti, anche pubblicani e peccatori; pure con loro Gesù si siede a tavola, il segno massimo dell’accoglienza e della condivisione

Ritorna allora l’invito alla disponibilità al lasciarsi cercare e di essere accolti, che stava al centro dell’Evangelo della scorsa domenica come un invito costante e pressante. È questo quello che serve per completare la “riduzione” del nostro debito fino al suo totale annullamento.

 

Un’ultima sottolineatura sulla “furbizia” dell’economo al di là del fatto che questa è motivata dal suo essere disperato per il licenziamento, non ancora avvenuto ma “in corso”. È un essere scaltri o “avveduti” (come dice più precisamente il termine greco), che va imitato nei confronti delle forze del male, nei confronti delle ricchezze frutto di ingiustizia. Va fatto con l’intelligenza e la tempestività che gli imbroglioni mettono nelle loro imprese truffaldine. È un invito pressante ad agire sempre risolutamente facendo le cose giuste al momento giusto, senza rimandare sempre al domani: “fate quello che va fatto mentre si è ancora in tempo, prima che sia troppo tardi”.

 

***

Quello che fa l’amministratore è un atto disperato e il biblista E. Reinmuth si chiede se questo non potrebbe essere stato l’atto di Dio nel mandare suo Figlio in terra. In fin dei conti, nell’incipit della lettera a gli Ebrei, S. Paolo afferma che Dio, dopo aver parlato “molte volte e in diversi modi”, alla fine, per farci capire ha inviato suo Figlio.

Non potrebbe questa essere stata l’ultima carta disperata giocata da Dio per salvare il creato che gli uomini deturpano saccheggiandolo, o ci vivono subendolo passivamente? 

In fin dei conti questi due atteggiamenti non sono quelli dei due figli del padre della seconda parabola di domenica scorsa? 

Il ruolo della misericordia del Padre che fa di tutto, prima nell’atteggiamento di attesa del figlio minore, poi per convincere a partecipare alla gioia il maggiore, non è il centro focale?

Davvero allora questa potrebbe essere stata l’ultima carta che Dio ha “giocato” nella sua misericordia senza limite. È stata certamente quella vincitrice, ma a caro prezzo.

 

(BiGio)

 

 



Una lode pubblica invece che di una punizione ancora più severa: dabbenaggine del padrone?


Leggere questa parabola staccata dai brani successivi che più si concentrano sulla ricchezza e sull’uso dei beni da parte del cristiano ci aiuta a non perderne la forte valenza escatologica, l’urgenza di conformare il nostro comportamento alle esigenze del Regno che viene in un tempo che si è fatto breve con la venuta del Signore nella carne. Del resto, per Luca la problematica ricchezza-povertà che attraversa tutto il suo vangelo ha una portata rivelativa prima e più ancora che etico-morale: ci sarebbe infatti poco di etico nel comportamento dell’amministratore infedele.

Infatti, come già nella parabola del “figliol prodigo”, il climax, il punto culminante e illuminante dell’intera vicenda giunge soltanto alla conclusione. Qui come là ci sono degli antefatti che non lasciano intravvedere nulla di positivo per il “peccatore” che ci rappresenta tutti: anzi, ci sono prospettive di vicolo cieco sia per il figlio minore uscito di casa che per l’amministratore di iniquità. Qui come là c’è una rapida, astuta, “prudente” (cioè accorta, scaltra) pausa di riflessione: “Mi alzerò, andrò da mio padre” (Lc 15,18); “So io che cosa farò” (v. 4). Un abile calcolo alla ricerca del male minore, di una soluzione di sopravvivenza minimale una volta percepita la perdita della vita piena. Il figlio “ritornò in sé” (Lc 15,17), l’amministratore “disse tra sé” (v. 3). Accortezza della disperazione, scaltrezza da cielo chiuso… 

Ma la conclusione, di cui il protagonista è il padre, il signore-padrone, è sconvolgente: un abbraccio e una festa, una lode pubblica anziché una punizione ancor più severa. Eccessiva bontà di un padre, ingiusto verso il figlio maggiore? Dabbenaggine di un padrone due volte defraudato da un amministratore che allo sperpero aggiunge la truffa, con la complicità interessata di debitori a loro volta disonesti? O non piuttosto follia dell’amore di Dio, scandalo di una croce vissuta in riscatto di peccatori iniqui e non di persone dabbene?

È di Dio che ci parlano queste parabole, è del nostro rapporto con lui, di un rapporto nel presente e nel futuro o, meglio, del rapporto futuro che irrompe nel presente. E in questo tempo che si è fatto breve ci sono dei beni, poca cosa rispetto al molto che ci attende, ma sufficienti per determinare la qualità di ciò che ci attende. La ricchezza, come diranno i versetti immediatamente successivi al nostro brano, è di per sé di iniquità perché, letteralmente, non è equa, non è condivisa, non è patrimonio comune. E quanto ci viene affidato è sempre altrui, non è nostro, non possiamo diventarne i padroni, i signori. Per quanto scaltri, iniqui, accorti possiamo essere, non possiamo mai far sì che la ricchezza sia nostra per sempre: il ricco colto dalla morte mentre sogna nuovi granai ce lo ricorda. Però possiamo determinare o, meglio, svelare di chi è la vera ricchezza, possiamo dare un volto al vero padrone delle nostre vite. La nostra condotta quotidiana dichiara chi è il Signore dei nostri beni più cari: Mammona-Denaro oppure il Dio misericordioso?

Abbiamo tra le mani dei doni che non ci appartengono e che sono figura efficace della ricchezza vera che ci attende. Se pretendiamo di disporne come nostra proprietà privata assoluta, ci sentiremo dire dal Signore: “Amico, io non ti faccio torto … Prendi il tuo e vattene” (cf. Mt 20,13.14). Se invece ne avremo disposto nella condivisione e nella solidarietà, come proprietà altrui, l’altro, Dio stesso ci dirà: “Figlio, tutto ciò che è mio, è tuo! Entra anche tu nella gioia del tuo Signore!” (cf. Lc 15,31).

(fr Guido di Bose)

Il tutto passa attraverso ciò che è di poco conto e parziale

Nei versetti del vangelo di oggi troviamo raggruppati detti vari di Gesù che nel Vangelo secondo Matteo si trovano in contesti molto differenti e che Luca invece ha preferito accostare gli uni agli altri, circondandoli da due parabole più ampie, quella dell’amministratore privato del suo incarico perché accusato di sperperare i beni del suo padrone, e quella del ricco che banchetta lautamente senza accorgersi del povero che siede affamato alla porta di casa sua, quindi due parabole che riguardano il rapporto con il denaro, il quale poi condiziona il nostro rapporto con gli altri.

Nei primi versetti del vangelo di oggi Gesù resta su questo tema ricordando ai suoi discepoli, e a noi con loro, che occorre scegliere tra Dio e la ricchezza, o meglio, occorre fare di Dio la nostra ricchezza piuttosto che della ricchezza il nostro dio, perché solo il Signore è il nostro unico bene, colui che può fare della nostra vita un capolavoro anche se povera di mezzi materiali, perché lui solo può dare senso e pienezza ai nostri giorni e ai nostri anni, plasmando in noi una sempre più grande capacità di amore e comunione.

Lo sappiamo bene: si possono possedere molte cose, avere molte ricchezze, ma se poi la nostra vita manca di senso, di gioia profonda, di relazioni che restano nel tempo, a cosa ci servono tutti quei beni o soldi che teniamo tanto stretti o che sperperiamo causando scandalo e ingiustizia verso i più poveri e bisognosi?


Il salmista lo esprime bene quando dice: “Non temere se l’uomo si arricchisce, se accresce il lusso nella sua casa, quando muore non porta nulla con sé, il suo lusso non scende con lui” e poco più avanti: “L’uomo nel benessere non comprende” (Sal 49,17-18.21).

La logica del Regno è una logica in cui il tutto passa attraverso ciò che è di poco conto e parziale, dove nulla va perduto se vissuto con fedeltà e rettitudine, nella fatica di uno sforzo quotidiano di condivisione e gioia, compiuto non per essere ammirati dagli altri ma per cercare di entrare nel regno di Dio, di accrescere la nostra comunione con il Signore tenendo salda e perseverante, nonostante le difficoltà, la nostra comunione con gli altri.

Alla fine forse risulteremo perdenti, spogliati di tutto (anche della nostra presunta e apparente giustizia), ma forse proprio allora saremo resi capaci di vedere e accogliere la nostra vera ricchezza: l’amore del Signore che fa nuove tutte le cose.

Un amore che ci custodisce e ci guida anche attraverso delle norme, delle leggi, che non sono date per umiliarci o ridurre la nostra libertà, ma piuttosto per educarla, per farla crescere alla statura di Cristo che fu uomo pienamente libero perché totalmente obbediente al Padre, totalmente votato a compiere la volontà di colui che l’ha mandato.

Anche a noi siano date la forza e la gioia di cercare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, nelle piccole e grandi scelte di tutti i giorni, percorrendo la via dell’obbedienza e della fedeltà, quella via che Gesù stesso ha percorso, passo dopo passo, fino a offrire sé stesso per tutti noi.

(sr Ilaria di Bose)

Phisikk du role – Il piccolo popolo è deragliato

Invece che TikTok con qualche faccia carina e la battuta ganza (che oltretutto non se la fila nessuno), si pensi a questo pezzo d’Italia, gli adolescenti, come alla risorsa da cogliere. Prima che appassisca del tutto e che il rapper Rancore ci faccia l’inno nazionale


Precipita nell’abisso di una maladolescenza un po’ già deragliata, un po’ ancora,forse, riparabile, l’età del delinquere. E non intendo i piccoli guappi della camorra che, a riguardarsi nelle serie televisive sottotitolate in italiano, si gonfiano il petto invece di vergognarsi (ci ha pensato qualche volta Saviano all’effetto “fashion” che fanno al “piccolo popolo” le sue sceneggiature, dove gli eroi sono assassini ma anche ragazzi brutti, ignoranti, vestiti come rapper nuovaiorchesi degli anni settanta e coi capelli tagliati da un parrucchiere fatto di peyote messicana e vengono presi a modello? Se non per l’etica almeno per l’estetica…).

Nossignore: parliamo dei ragazzini (talvolta anche ragazzine) che in branco storpiano coetanei nei treni, stuprano coetanee negli angoli bui, picchiano attempati controllori e poliziotti purché isolati, inducono al suicidio bambini o poco più strapazzandoli sul web, gettano dai balconi compagni di gioco, così, per vedere l’effetto che fa. Il furto dello smartphone e di qualche euro è solo un pretesto: la vera ebbrezza è l’in sé della violenza, un rito deficiente e perverso come la paura del buio da bambino, che serve di passaggio dall’adolescenza a non si sa dove o cosa. Io non so quanta consapevolezza può esserci in minorenni sostanzialmente affidati all’autodidattica valorale di internet e del branco. L’educazione sessuale? Non è la mamma o la scuola a fare pedagogia, ma youporn e roba così: se, dunque, il modello è quello della celebrazione di un maschilismo muscolare e stupratore, come fa la “creatura” a capire che non è con la forza che andrebbe fatto (magari tra qualche anno..), ma avendo acquisito preventivamente il consenso della pulzella con cui si intende concupire. Giusto perché si tratta di rapporti tra persone e non di congiungimenti tra bestie da monta e da riproduzione…

Chi glielo dice al pupo, che vive nel “Metaverso” di una irrealtà descritta dal suo cosmo che ormai ha rotto tutti i collegamenti col nostro?


L'intero articolo di Pino Pisicchio a questo link:

https://formiche.net/2022/09/adolescenti-voto-piccolo-popolo/


Ipotesi sulla messa (2)

Un secondo articolo sulle ipotesi affinché le nostre liturgie siano più vivibili



Omelia. Il caso di don Marco Pozza è assai conosciuto. Ma in molte chiese ormai comincia ad essere utilizzata non solo la parola, ma anche l’immagine e il video, riconoscendo che se l’omelia deve risvegliare la fede dei partecipanti, una delle forme migliori per farlo è la presentazione di testimonianze concrete (brevi) che incarnano la Parola di quella liturgia. L’omelia deve rispondere ad alcune parole chiave: brevità, chiarezza concettuale, essenzialità delle idee, ma soprattutto calore emotivo e concretezza! Può un prete da solo essere capace di tutto questo?

Don Bosco faceva leggere le sue omelie a sua madre, prima di pronunciarle… Un giovane prete siciliano sta sperimentando una cosa interessante. Attraverso un social, nella settimana precedente la domenica, si fa arrivare brevi messaggi (max. 150 caratteri) dai parrocchiani che hanno aderito all’idea, di commento alla Parola della domenica successiva, che poi lui utilizza per “costruire” la sua omelia. Per ora una ventina di parrocchiani sono abbastanza fedeli, ma soprattutto danno a lui chiavi di lettura che arricchiscono molto il commento alla Parola. Forse che i fedeli non possono avere possibilità di aiutare il sacerdote nella costruzione dell’omelia? E quando i preti saranno solo di passaggio per celebrare e a fungere da riferimento per la vita della comunità dovrà essere un laico? Potrebbe fare lui l’omelia?

Preghiera dei fedeli. C’è stato un furto, di cui non abbiamo preso consapevolezza: le preghiere sono dei fedeli!!! Non di coloro che redigono e stampano per tutta Italia il foglietto “La domenica”. Questi hanno rubato alle parrocchie lo spazio affinché i fedeli davvero possano esprimere le loro intenzioni e unirle a quelle della Chiesa. Dobbiamo riconsegnare ai fedeli il modo di esprimere le proprie preghiere.


L'intero secondo contributo di Gilberto Borghi a questo link: https://www.vinonuovo.it/comunita/bibbia-e-liturgia/ipotesi-sulla-messa-2/

"Hospedalito". Il suo contributo al cammino sinodale

Questo contributo sinodale è elaborato da chi partecipa ad una Eucarestia che mensilmente il locale gruppo di Pax Christi propone da una decina d’anni nella chiesa della Resurrezione. Il taglio del contributo si ispira al tema del Vademecum sinodale “compagni di strada” e alla spiritualità della pace tipica del Movimento internazionale Pax Christi. In tutto il mondo Pax Christi ha maturato lo stile del celebrare nato dai gruppi dell’America Latina e in particolare Pax Christi Salvador, ispirati all’hospitalito, la cappellina dove il Vescovo San Arnulfo Romero è stato ucciso durante la Messa.

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Vogliamo vivere un'Eucarestia CHE CELEBRA la VITA, in cui il mondo si fa casa comune e in cui ci si nutre di ciò che si sta vivendo insieme. Vogliamo celebrare un’Eucarestia in cui le testimonianze di vita e di fede siano un dono prezioso e in cui si possa sperimentare una comunione fraterna, ad immagine e somiglianza di una comunione più grande con Dio.

Partecipo da anni e non manco mai perché, oltre a trovare una comunione fraterna con gli amici, sperimento una comunione più grande, universale, che mi dà occhi diversi per guardare la storia”

Vogliamo vivere un’Eucarestia ACCOGLIENTE, in cui ci si prenda cura gli uni degli altri e che dia voce, volto e dignità a chi sta ai margini e ai confini dell'umanità; una realtà che tenta di andare oltre il pregiudizio guardando l'umanità anche quando è scomoda.

“Partecipo all’Hospitalito perché si impara a prendersi cura gli uni degli altri, vicini e lontani”

Vogliamo vivere un’Eucarestia PERTECIPANTE, in cui si va oltre ai ruoli che ci tengono isolati. Un’Eucarestia aperta a chi vi partecipa, con un reale confronto che nasce dall’ascolto, per vivere una comunione vera tra le persone e con il Signore.

L'Hospitalito è un dono in cui inoltre possiamo aprire il cuore agli altri, abbattendo distanze e ruoli a cui eravamo abituati nelle Messe. Vi partecipo perché c'è spazio per la preghiera spontanea e la celebrazione non è ingessata nel rito ma aperta a chi vi partecipa.”

Vogliamo vivere un’eucarestia RIGENERANTE, che ci aiuti a ricaricare la nostra fede e rinfrancare il nostro spirito per affrontare il mondo secondo il Vangelo, che ci doni la speranza di una promessa di vita nuova per tutti.

“Partecipo all’Hospitalito per affrontare con più consapevolezza le sfide della vita. E’ ossigeno per la mia mente e ogni volta respiro speranza.”

Vogliamo vivere un’Eucarestia CHE SPINGA ALL’AZIONE, guardando alla concretezza del Vangelo per vivere la dimensione cristiana della nostra quotidianità. Vogliamo un’Eucarestia in cui spezzare la Parola spinga a vincere l’indifferenza rispetto alle povertà e ingiustizie del nostro tempo.

All'Hospitalito trovo un momento di partecipazione e consapevolezza che mi permette di riflettere su temi di attualità a partire dal vangelo in vista di un’azione di cambiamento in città e nel mondo. La testimonianza di chi vive la fede in tanti ambiti del mondo (povertà, immigrazione, emarginazione e discriminazione), è parresia di denuncia e sostegno a progetti concreti necessari per cominciare a fare la mia parte.”

Sogno una Chiesa sempre in cammino
Sogno una Chiesa al passo del più lento
Sogno una Chiesa che non si creda assolta ma coinvolta Sogno una Chiesa donna
Sogno una Chiesa che parli al cuore dei giovani
Sogno una chiesa che incarni con verità
Sogno una Chiesa che celebri con gioia
Sogno una Chiesa che si interroghi sempre
Sogno una Chiesa da poter chiamare casa

Non solo gas, sul Mediterraneo c’è la questione sicurezza

Non ci sono solo gli accordi commerciali: il tema energetico europeo, che inevitabilmente dovrà passare dalle potenzialità del Mediterraneo, deve fare i conti con le questioni di sicurezza, legate ad attori statuali, minacce irregolari e ibride


Settembre potrebbe essere il mese decisivo per la risoluzione della disputa marittima tra Israele e Libano. Il rappresentante speciale degli Stati Uniti per le Risorse energetiche, Amos Hochstein, sarà nei prossimi giorni di nuovo nei due da Paesi per cercare di mediare un accordo. In ballo ci sono diversi miliardi di dollari legati alle potenzialità di parte dei fondali contesi, che custodiscono reservoir gasiferi. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha definito una linea rossa l’inizio della produzione dell’impianto di Karish, un importante progetto israeliano per la produzione di gas che, secondo Israele, si trova nella fascia meridionale dell’area contesa.

Quando accade tra Libano e Israele racconta di come l’approvvigionamento e la produzione energetica è strettamente collegata a questioni di sicurezza. Se finora il tema securitario nel quadrante orientale del Mediterraneo allargato era stato dominato da problematiche connesse all’insorgenza di gruppi terroristici, ora la partita è cresciuta di valore. La scoperta di diversi giacimenti nelle acque mediterranee che bagnano Egitto, Cipro, Israele e Libano ha aperto a contenziosi di carattere geopolitico e coinvolto attori statuali.

Un contesto spinto anche dallo scombussolamento del mercato energetico globale indotto dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla guerra che – come dice il capo del Pentagono, Lloyd Austin – si protrarrà per un “lungo periodo”. Spinti dall’esigenza di differenziare gli approvvigionamenti dalla Russia (isolata per evitare che le entrate dalle vendite di energia alimentino le spese belliche di Vladimir Putin), diversi Paesi europei hanno esplorato nuove strade e ne stanno ampliato di altre.

È il caso per esempio dell’Italia con l’Algeria, che sta diventando il principale fornitore energetico della Penisola e dove l’Eni ha approfondito le già solide attività. Ma l’Algeria è anche un dossier che dimostra come questo genere di nuovi o rinnovati approvvigionamenti sia delicato, incontrando rischi che non garantiscono completamente la sicurezza energetica cercata. Si tratta in generale di questioni di carattere interno o internazionale, legati a dinamiche statuali e alla persistenza di attori non-statuali come i gruppi terroristici.

Nello specifico, Algeri è presa dal confronto con Rabat: la partita col Marocco riguarda il riconoscimento della sovranità sul Sahara Occidentale, che ha già prodotto contraccolpi connessi al mondo energetico (chiedere a Madrid). Ma non solo: le tensioni persistono, il rischio conflitto tra due Paesi militarmente importanti esiste, c’è la potenziale interferenza di attori esterni (come la Russia, legata all’Algeria, ma anche i link competitivi francesi) e di dinamiche interne (la presidenza Tebboune non è amatissima, anche se ora ha le carte in regola per sistemare la pessima condizione economica grazie agli extra guadagni generati dall’aumento delle vendite di gas da re-investire).


L'intera analisi di Emanuele Rossi a questo link:

https://formiche.net/2022/09/non-solo-gas-mediterraneo-sicurezza/



Alessandro Barbero: Quello che mi fa più rabbia

Lo scandalo di questi mesi è la cooptazione mentale che la maggior parte di noi ha subito.



Quel che mi fa più rabbia è la difficoltà di uscire dagli steccati mentali che ci impongono, provando un minimo a ragionare se serve studiare, prima di parlare.

Sulla questione russo ucraina, non ho sentito mai nessuno dire che Putin abbia ragione, semmai ho sentito qualche voce fuori dal coro che stimola alla valutazione globale della vicenda cercando di sottolineare la necessità di allargare l'orizzonte delle responsabilità. Questo peraltro, non per salvare Putin, ma per salvare l'umanità; in quanto appare evidente che avanti di questo passo fra il collasso dell'economia di svariati paesi, la crisi energetica, la crisi climatica, la crisi sanitaria, signori, l'umanità rischia davvero di prendere quella famosa orribile china che ci porterà all'estinzione (i più pessimisti dicono che siamo già a metà strada).

Lo scandalo di questi mesi è la cooptazione mentale che la maggior parte di noi ha subito.

La necessità di prendere posizioni feroci, senza però avere una visione d'insieme, ci porta a sottovalutare tutti i fattori che caratterizzano questo conflitto iniziato di fatto nel 2014.

Non si tratta di indulgenza verso la Russia, si tratta di comprendere che l'approccio non può essere nevrotico, ma deve essere assennato.

E questo perché il nostro atteggiamento è medesimo a quello assunto dagli Stati membri della Nato, nemmeno un analisi dei fatti, azioni impulsive che di fatto stanno mettendo in ginocchio gli stessi stati, senza mettersi mai in discussione.

La cosa tragica è che mentre passano i giorni alla guerra in quanto tale ci stiamo abituando, non c'è più compassione, semmai la preoccupazione di quello che dovremmo affrontare vista l'onda lunga del conflitto.

l'Ucraina di fatto è il fazzoletto, i contendenti tirano e strappano a loro piacimento, l'Ucraina è la perfetta vittima sacrificale, un percorso iniziato nel 2014 in cui le responsabilità non possono essere imputate alla sola Russia.

Intanto, mentre la Nato bullizza l'Europa, Cina e Russia stanno saldando il loro rapporto con accordi economici che taglieranno fuori Europa e Stati Uniti.

Il fronte è aperto.

La guerra, quella vera pronta ad iniziare, e nella coscienza ce l'avremo tutti, per non aver capito o voluto capire come stanno davvero le cose.

"La storia è fatta di aggressioni e lo storico sa che farsi prendere dalle emozioni, avere come reazione principale la condivisione della sofferenza di chi è aggredito non può essere la reazione dominante. Il mio mestiere è un altro, è capire. Questo non vuol dire che non ci siano casi in cui io faccio il tifo. Nella Seconda guerra mondiale i vincitori erano dalla parte giusta, ma non faccio fatica a dire che hanno commesso orrori. Che i sovietici hanno sterminato gli ufficiali polacchi nelle fosse di Katyn, che Churchill ha fatto morire milioni di indiani ai tempi della carestia del Bengala, non faccio fatica a dire che i bombardamenti aerei degli Alleati sulle città italiane e tedesche siano stati indiscriminati. Tutto questo non mi impedisce di dire che c’era una parte che aveva ragione. E per fortuna ha vinto quella che aveva ragione. Anche nella guerra tra Russia e Ucraina, se uno è convinto che l’Ucraina abbia ragione va bene, ognuno fa le sue scelte emotive e morali, ma questo non deve diventare tifo da stadio. E’ come se uno, discutendo di Seconda guerra mondiale, siccome gli alleati avevano ragione, dicesse ‘non voglio discutere delle bombe atomiche sul Giappone e se tu discuti la legittimità di sganciare delle bombe atomiche vuol dire che sei con Hitler’. 

Io non ci sto”." 

(𝙞𝙣𝙩𝙚𝙧𝙫𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙖𝙡 𝙡𝙞𝙘𝙚𝙤 𝙏𝙤𝙧𝙧𝙞𝙘𝙚𝙡𝙡𝙞 𝙙𝙞 𝙎𝙤𝙢𝙢𝙖 𝙑𝙚𝙨𝙪𝙫𝙞𝙖𝙣𝙖 -𝙈𝙖𝙜𝙜𝙞𝙤 '22)