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Per il momento da Venerdì 30 maggio 2025 questo Blog sarà implementato solo con notizie ecclesiali della Parrocchia.  I Post con la proposta...

Maurizio Scarpari: La presunta neutralità del governo cinese nella guerra russo-ucraina è una finzione della propaganda cinese

Wang Yi è in missione per rilanciare la cosiddetta cooperazione “win-win” promettendo di slegare geopolitica e affari ma senza abbandonare la tipica strategia cinese con l’Ue. Il volume dei trasporti in Italia dalla Cina è diminuito del 91,62% rispetto al 2021 nonostante la nuova tratta ferroviaria Wuhan-Milano. Inoltre, fin dall’inizio della guerra il governo cinese non ha preso una posizione critica sul conflitto oggi?

“La Cina elogia la posizione russa, che non ha mai escluso il ricorso a negoziati diplomatici per risolvere il conflitto” nella piena consapevolezza che “la strada dei colloqui di pace non sarà priva di asperità, ma che se le parti non molleranno, ci sarà sempre una prospettiva di pace. La Cina continuerà a mantenere una posizione obiettiva e giusta, lavorerà per costruire sinergie nella comunità internazionale e svolgerà un ruolo costruttivo nella risoluzione pacifica della crisi ucraina.” Queste parole, pronunciate da Xi Jinping il 31 dicembre 2022 nell’ormai tradizionale colloquio in videoconferenza di fine anno con Vladimir Putin e riportate con gran risalto dai media cinesi, sintetizzano la posizione di Pechino sulla guerra in corso nel cuore dell’Europa a oltre dieci mesi dal suo inizio. Non è chiaro cosa si intenda con “se le parti non molleranno, ci sarà sempre una prospettiva di pace” visto che, tranne un unico tentativo iniziale, abortito dopo alcuni inconcludenti incontri, non sono mai stati avviati negoziati di pace.


L'interessante e documentata analisi a questo link:

https://www.inchiestaonline.it/cina-politica-lavori-diritti/maurizio-scarpari-sulla-presunta-neutralita-del-governo-cinese-nella-guerra-russo-ucraina/



Il Foglietto "La Resurrezione" di Domenica 19 febbraio

 


Domenica 19 febbraio. Mt 5,38-48 – VII PA

Il verbo “Agapan” caratterizza il comportamento del discepolo seguendo il modo di amare del Padre nella totale gratuità, senza condizioni, senza attendersi nulla in cambio. È questa quella “perfezione” che ci viene chiesto di essere, nulla di più che di essere il segno efficace del suo amore nel mondo. 



Anche questa Domenica Gesù continua il suo insegnamento che la Liturgia ci fa seguire, pericope dopo pericope, nel quinto capito dell’Evangelo di Matteo.

Dopo aver proposto il suo “manifesto” le Beatitudini ed aver precisato che queste sono da vivere immersi nella quotidianità di tutti i giorni, perché solo così si può essere quel pizzico di sale che offre un orizzonte di senso per la vita e quella luce capace di indicare la via per realizzare la volontà del Padre, ha spiegato che tutto questo si inserisce nella Torà allargandone le prospettive, riportandola al suo splendore iniziale.

Già questo poteva bastare ed essere più che sufficiente come un obiettivo impegnativo, difficile da raggiungere, oggi sembra alzare ancora di più l’asticella chiedendo di essere “perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Missione impossibile verrebbe da dire e, scoraggiandosi in partenza, dire che non vale nemmeno la pena di iniziare. Facendo così però significa che di Dio abbiamo una immagine di potenza e grandezza ineguagliabile, dimenticando quella stupenda sintesi che Paolo scrive ai Filippesi (2,5-11) dicendo che Gesù, pur essendo Dio, assunse la condizione di servo, diventando simile agli uomini facendosi obbediente fino alla morte. “Servo” non nel senso passivo e succube di una volontà altrui come immediatamente viene facile a pensare, ma perché lungo tutta la sua vita – fino alla morte – riuscì sempre a discernere e scegliere di fare la volontà del Padre come un uomo qualunque quale siamo noi. Quindi è possibile anche a noi nonostante le nostre mille fragilità, incoerenze e deviazioni.

Gesù in questo suo dire ci dice quali siano le qualità del Padre da imitare per essere “perfetti”. Innanzitutto avere una prassi di vita che spezzi il cerchio di ogni violenza altrimenti questa diventa una spirale sempre più ampia. Non significa rimanere passivi di fronte ad una angheria subita o che vediamo subire da altri accettando ogni prepotenza: è il rifiutare di scendere al suo livello, è il rifiutare la vendetta. Non significa essere stupidi offrendo l’altra guancia a chi ti ha schiaffeggiato, cosa che lui non ha fatto, ha però chiesto ragione di quella violenza subita disorientando chi lo aveva percosso (Gv 18,22-23). È questo quell’esempio che fa sul dare anche il mantello a chi vuole la tua tunica (la legge impediva di requisire il mantello perché serviva anche da coperta per il freddo della notte), a fare due miglia a chi ti vuole costringere a farne uno con lui. Non è un invito a non difendersi, ad accettare tutto, ma ad essere creativi per togliere ogni alibi a chi è violento, è l’essere sempre e comunque costruttori di pace perseguendola pure contro ogni speranza, anche se ti può portare alla morte, è il trovare il modo di far capire che la tua volontà di colpirmi in qualsiasi modo non sarà mai così grande quanto la mia volontà di volerti e farti del bene. La rinuncia alla violenza è il segnale che il Regno dei Cieli sta avanzando, che un mondo “nuovo” ha cominciato a farsi strada fra di noi. Dove c’è violenza, di qualsiasi tipo, il segno è il contrario.

 

Amare gli amici” è facile e all’epoca si era diffusa l’idea di odiare i nemici. Per esempio a questo invita il Salmo 139 (vv 21-22) e anche a Qumran si invitava ad “odiare i figli delle tenebre”. Però questo non c’è nella Torà, anzi c’è esattamente il contrario quando in Esodo 24,4 si è esortati ad aiutare il tuo nemico quando lo vedi in difficoltà e, da questo, la sapienza ebraica ha sempre letto la proposta di amare anche il nemico, aspetto evidentemente dimenticato… 

Gesù aggiunge “pregate per quelli che vi perseguitano” perché solo pregando, cioè ascoltando la Parola del Padre e lo Spirito che è in noi, si avrà la capacità di dargli sempre ascolto e riuscire là dove ci sembra impossibile: l’amare i nemici senza attendersi nulla, senza nessun calcolo. Il nostro agire forse non cambierà il cuore del nemico, la sua volontà di male, di violenza; ma non è questo che conta. L’importante è l’essere un figlio del Padre che significa essere la sua immagine efficace nel nostro agire ed esprimere quell’amore che lo caratterizza e che qualifica il suo Regno che già oggi possiamo così vivere. Amare però non significa fare sempre e soltanto carezze, sorrisi smielati a 48 denti. A volte è certamente necessario assumere posizioni dure, ferme; l’importante è che queste nascano dall’amore per l’altro e non per odio. 

Agapan” è il verbo usato in greco e non ha nulla a che vedere con l’amore spontaneo verso gli amici, i parenti o quello che spinge all’eros, è un verbo usato raramente (in tutto una dozzina di volte nell’intera letteratura greca antica). Questo verbo caratterizza il comportamento del discepolo seguendo il modo di amare del Padre nella totale gratuità, senza condizioni, senza attendersi nulla in cambio. È il bisogno di vedere l’altro felice, realizzato in quella pienezza alla quale la vita lo chiama, al di là di ogni logica commerciale che porta alla ricerca della reciprocità. Comportandovi così sarete realmente “figli del Padre vostro che è nei cieli” ed è questa quella “perfezione” che ci viene chiesto di essere, nulla di più che di essere il segno efficace del suo amore nel mondo. 

(BiGio)


La perfezione è un amore senza limiti né barriere

Amare i nemici può significare non fargli o augurargli male, ma anche esigere giustizia e riparazione del danno in tutto ciò che è possibile, perdonare senza alcuna forma di complicità, opporsi al male, resistere, allontanarsi, denunciare, creare coscienza, come Gesù stesso ha fatto con i suoi avversari. 



Quando diciamo: "Occhio per occhio e dente per dente", facilmente pensiamo che è un modo per affermare il desiderio di vendetta: se tu fai del male a me, anch’io farò del male a te, ti pagherò con la stessa moneta. In realtà, quella soluzione, chiamata legge del taglione, è stata una conquista molto importante nella storia dell'umanità, perché ha cercato di porre un limite alla violenza indiscriminata, per rendere possibile la convivenza umana: per quanto tu sia forte e potente, se qualcuno ti ha fatto del male, la tua vendetta può giungere a causare al tuo nemico lo stesso danno che hai ricevuto tu, ma non uno più grande. Se ti ha tolto un occhio, tu puoi arrivare a togliergli un occhio, ma non tutti e due, e meno a tagliargli la testa.

Di fronte a questa legge del taglione, Gesù, con tutta la sua autorità esige una "giustizia superiore", come condizione per entrare nel Regno dei cieli, nel progetto di nuova umanità che egli ha proposto nelle Beatitudini: "Non opporvi al malvagio". E presenta quattro esempi di questo nuovo atteggiamento che i discepoli devono avere: "Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle". 

Gesù non sta insegnando un atteggiamento passivo e rassegnato. Vuole che la catena della vendetta sia spezzata. Se al male si risponde con un altro male, la violenza non finisce mai. È necessario inserire un elemento nuovo, una risposta diversa, sorprendente e creativa, inventando al posto della vendetta altre forme di reazione: resistenza non violenta, iniziative di partecipazione, di giustizia, di solidarietà. Il porgere l'altra guancia, come anche gli altri esempi, costituiscono un linguaggio paradossale di sfida, per stimolare la ricerca attiva e intelligente di percorsi alternativi, come individui e come famiglie, ma anche come comunità e come società, in cui non vincano il rancore, la violenza, l'odio e la vendetta, ma l'amore.

Gesù conosceva la legge dell'amore come si leggeva nel libro del Levitico: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Il prossimo da amare erano le persone dello stesso sangue, della stessa razza e religione. Gli altri erano esclusi e odiati, perché, si pensava, odiassero Dio. Pertanto, questa era la norma: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico".

Gesù invece invita "Amate i vostri nemici". Anche loro sono il prossimo da amare. È logico che un discepolo non voglia essere nemico di nessuno, ma ci possono essere persone che sono contro di lui, perché il suo modo di vivere è una denuncia contro il loro egoismo: sono suoi nemici, senza che lui lo voglia. Verso di loro, Gesù esige che tu li ami. Non sta dicendo che i suoi discepoli debbano sentire attrazione e provare sentimenti di affetto verso i loro nemici. L'amore non è solo un problema di emozioni e sentimenti. Amare significa volere e cercare il bene dell'altro. 

Ci sono infinite modalità per cercare il bene dell'altro, secondo il momento e le situazioni. Senza dubbio, si può desiderare di superare l'inimicizia, e per questo Gesù aggiunge: "Pregate per quelli che vi perseguitano". Se la conversione non si realizza, si deve cercare un modo con cui il nemico non continui a nuocere. Amarlo può significare non fargli o augurargli male, ma anche esigere giustizia e riparazione del danno in tutto ciò che è possibile, perdonare senza alcuna forma di complicità, opporsi al male, resistere, allontanarsi, denunciare, creare coscienza, come Gesù stesso ha fatto con i suoi avversari. 

Questo è il modo per riflettere le caratteristiche di Dio Padre: "affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli". Il Padre non discrimina tra i suoi figli, vuole il vero bene di tutti, secondo le loro condizioni e necessità, anche se non lo meritano: "Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti". Il sole per tutti, la pioggia per tutti, l'amore del Padre per tutti. I discepoli devono fare lo stesso, come figli e figlie di Dio, cercando il bene di tutti, nonostante le ferite che possono aver ricevuto. Altrimenti, seguiranno la corrente generale, e non la proposta originale di Gesù: "Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne aveteNon fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?". Se i discepoli sono come tutti gli altri, sono inutili, come il sale che ha perso il suo sapore. 

"Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste": la perfezione del Padre non consiste semplicemente nella mancanza di difetti, ma in un amore senza limiti né barriere, gratuito e universale. Allo stesso modo, la perfezione dei figli e delle figlie non consisterà nel perfetto adempimento di tutte le norme, ma nell'imitazione dello stesso amore senza limiti del Padre. 


(Benardino Zanella)


Israele: due crisi in una

Dalle tensioni con i palestinesi alle proteste contro la riforma giudiziaria: Israele affronta due crisi distinte ma collegate ed essenziali per il futuro del paese.


Si allarga la crisi politica in Israele. Mentre la maggioranza spinge per l’approvazione della discussa riforma della giustizia, continuano sempre più partecipate le manifestazioni di piazza di chi accusa il governo di minare la democrazia nel paese. La proposta di mediazione presentata dal Presidente Herzog la scorsa domenica non sembra essere riuscita a smorzare i toni di un dibattito ormai rovente. Allo stesso tempo, la decisione di legalizzare nove avamposti in Cisgiordania rischia di alzare nuovamente il livello di tensione coi palestinesi, specialmente in un periodo in cui continuano imperterriti gli episodi di reciproca violenza. In questo contesto, un nuovo periodo di caos e rinnovata violenza sembra affacciarsi all’orizzonte.

L'intera analisi della situazione a questo link:








Matrimonio omosessuale: né crimine, né peccato

Quando papa Francesco si oppone alle leggi che criminalizzano l’omosessualità e non si oppone alle leggi che consentono il matrimonio omosessuale, alcuni vescovi omofobi protestano, in nome della loro credenza nella presunta peccaminosità di tutte le relazioni omosessuali. A ragione Francesco si vede costretto a fare diversi chiarimenti


Va chiarito: l’orientamento omosessuale in quanto tale non è un crimine o un male morale o un’ingiustizia, ma una condizione della persona.
Ma gli omofobi si ostinano ad argomentare contro Francesco, (con citazioni dottrinali dal Catechismo o CDF), dicendo: “questa relazione è peccato”. E Francesco è costretto a chiarire: è necessario distinguere, soprattutto, tra delitto e peccato. Nossignore, i vescovi omofobi continuano a non essere d’accordo ed a polemizzare contro Francesco, sostenuti dalla presunta “dottrina tradizionale della chiesa”. E Francesco deve fare la terza e la più decisiva e puntuale chiarificazione: Sì, effettivamente, questi testi da voi citati sono dottrina tradizionale (che io non cambio per decreto, ma camminando verso il cambiamento attraverso la sinodalità...), ma... in questa tradizione della Chiesa e in quella della Bibbia c’è stato, c’è e ci sarà bisogno sempre di evoluzione, revisione e reinterpretazione..., attualmente la pratica pastorale dell’accoglienza nella Chiesa di persone che fino ad ora erano discriminate è un modo per preparare l’evoluzione e la revisione della dottrina  (si mancava e si manca gravemente contro la carità verso queste persone, gli omofobi vanno chiamati alla conversione...).

Tra l’altro, questi temi sono in discussione in vista del Sinodo ...


L'intera riflessione di Juan Masiá S.J. a questo link:




Hospdalito: domenica 19 febbraio ore 18.00 - Con Carlo Cefaloni "Un anno di guerra"


 

Il cristianesimo europeo sta morendo?

«Qual è la situazione del cristianesimo in Europa oggi? Qual è la posizione storicamente evoluta del cristianesimo nelle così diverse culture e regioni europee? Quanto il suo messaggio è intessuto nella vita delle persone e delle culture del continente? Ci sono indicazioni per lo sviluppo futuro? La vita e l’opera dei cristiani e delle Chiese sono così ben inculturati da poter plasmare in modo sostenibile il corso della storia europea, il destino dei popoli europei e quindi il destino dell’Europa nel concerto dei continenti?».

Le domande sull’avvenire della fede cristiana e delle Chiese in Europa, scrive Paul Zulehner nello «Studio del mese» di Regno – Attualità n. 2 (gennaio 2023), sono le domande tipiche della teologia pastorale, che muove dall’esame di «ciò che i cristiani in rete fanno nella sfera sociale pubblica grazie alla forza del Vangelo di Gesù Cristo loro affidato e come modellano la loro vita e la loro convivenza», nella tradizione del concilio Vaticano II e operando «in situazione», nella dimensione «locale», «contestuale», legata «alla cultura, ma anche alla denominazione». Ne riproduciamo qui la parte introduttiva.
Il sociologo austro-americano della religione Peter L. Berger (1929-2017), all’interno di un dibattito tra esperti, ha descritto l’Europa come l’area disastrata delle Chiese cristiane. A differenza del Nordamerica moderno, dove la religione permea la vita privata e pubblica, la religione cristiana, con la sua forma-Chiesa, sta subendo una drammatica perdita d’importanza nel continente europeo. Questa osservazione, tuttavia, non è nuova. «Il cristianesimo si sta estinguendo?», si chiedeva Karl Rahner con ansia già nel 1986. 
La morte del cristianesimo in Europa avrebbe cambiato profondamente il volto di questo continente. «Europa» e «cristianità» sono, dal punto di vista storico, strettamente connesse. Questo è il risultato di un lungo modellamento dei popoli di cultura romanica, germanica o slava da parte del cristianesimo greco e ancor più latino. Nel corso del processo, è stato consegnato anche il patrimonio dell’antichità greco-romana, che a sua volta ha plasmato culturalmente il cristianesimo originariamente asiatico. Il cristianesimo e le culture europee sono cresciuti insieme nel corso dei secoli. 

Una disastrata Europa cristiana ....

Continua a questo link:





Assemblea sinodale europea: “È possibile dialogare a partire dalle nostre differenze”

È stata “un’esperienza spirituale che ci ha condotto a sperimentare, per la prima volta, che è possibile incontrarci, ascoltarci e dialogare a partire dalle nostre differenze e al di là dei tanti ostacoli, muri e barriere che la nostra storia ci mette sul cammino”. È quanto scrivono i circa 200 delegati delle 39 Conferenze episcopali europee al termine della prima parte dell’Assemblea sinodale europea che si è svolta a Praga dal 5 al 9 febbraio. “Sono veramente molto contento”, commenta il card. Hollerich. “Potevano esserci tensioni molto feroci ma questo non è avvenuto. Siamo rimasti fratelli e sorelle"

“Prendere concrete e coraggiose decisioni sul ruolo delle donne all’interno della Chiesa e su un loro maggiore coinvolgimento a tutti i livelli, anche nei processi decisionali (decision making and taking)”. “Esplorare forme per un esercizio sinodale dell’autorità”. Superare “la frattura tra fede e cultura per tornare a portare il vangelo nel sentire del popolo, trovando un linguaggio capace di articolare tradizione e aggiornamento”. “Ascoltare il grido dei poveri e della terra nella nostra Europa, e in particolare il grido disperato delle vittime della guerra che chiedono una pace giusta”. Sono alcune delle “raccomandazioni conclusive” sottolineate nel comunicato finale che è stato diffuso a Praga al termine della prima parte dell’Assemblea sinodale europea. Dal 10 febbraio al 12 febbraio, si incontreranno solo i Presidenti delle Conferenze episcopali per rileggere “collegialmente l’esperienza sinodale vissuta insieme”. Sono stati quattro giorni intensi di ascolto e di dialogo dove i 200 delegati delle 39 conferenze episcopali europee si sono confrontati sulle sfide aperte della Chiesa in Europa.



L'intero articolo di M. Chiara Biagioni a questo link:


https://www.agensir.it/europa/2023/02/10/assemblea-sinodale-europea-e-possibile-dialogare-a-partire-dalle-nostre-differenze/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2




Arturo Paoli e l'Argentina «patria del cuore»

La pubblicazione dell’epistolario 1960-1969 è motivo per ricordare l’assoluta scelta in favore dei poveri del sacerdote morto sette anni fa. Lavorò fra i disagiati in Europa, America Latina e Africa


Un decennio latinoamericano – il primo di quasi cinque – incastonato dentro la vita di un uomo durata più d’un secolo, trascorsa parte in Europa e, per quasi la metà, in America Latina, fra Argentina, Cile, Perù, Venezuela, Brasile…, spesso testimone di eventi cruciali nella storia del ‘900. Lui, questo passeur attraverso due continenti – tre ricordando l’esperienza in Nord Africa - è Arturo Paoli: sacerdote e missionario dei Piccoli fratelli del Vangelo, predicatore e scrittore che ha anticipato e praticato la teologia della liberazione, sorta di icona della “Chiesa dei poveri” mancato a centodue anni a Lucca, sua città d’origine, il 13 luglio 2015. I dieci anni, invece, sono quelli dal 1960 al 1969, da lui vissuti per lo più sbriciolandosi fra Reconquista e Fortín Olmos, nel Nordest dell’Argentina, oltre che Buenos Aires: un periodo assai meno esplorato rispetto a quello precedente, in Italia, del periodo bellico e della ricostruzione, nonché del pontificato pacelliano. Dieci anni ora però raccontati grazie a 143 lettere inedite raccolte sotto il titolo Approdo in America Latina (Morcelliana, pagine 361, euro 35), che alzano il velo su tanto lavoro in quella terra dove era giunto – dopo un duplice allontanamento dall’Italia nel ’54 e nel ’59 – «con la sofferenza dell’esule».

L'intero articolo a questo link:

https://www.avvenire.it/agora/pagine/paoli-e-largentina-patria-del-cuore

Presentazione del Rapporto annuale 2022 sull'Economia dell'immigrazione

L’espressione “Resilienza” descrive la capacità di resistere a un evento traumatico, adattandosi e modificando la propria condizione di partenza, ed è la parola chiave della ripresa economica post-pandemia, caratterizzata dagli investimenti europei del Next Generation EU. Nonostante le perduranti incertezze legate ai possibili riverberi della pandemia e agli effetti della guerra in Ucraina, gli investimenti previsti dovrebbero portare a un’Italia più competitiva e sostenibile.


Parallelamente, sarà interessante capire quali saranno gli effetti a livello sociale a medio termine. L’emergenza sanitaria ha sicuramente ampliato le disuguaglianze, mettendo in evidenza alcune fragilità latenti. Se, già nella precedente edizione del Rapporto, era stato evidenziato come gli immigrati fossero stati i primi a pagare gli effetti della pandemia sul piano occupazionale, a causa della maggiore precarietà, sarà interessante, ora, capire che ruolo avranno nel processo di ripresa e resilienza.

Il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione si concentra sull’analisi delle dinamiche sociali ed economiche legate all’immigrazione in Italia. Accanto all’analisi dei dati provenienti da fonti ufficiali (ad esempio, solo per citare le principali: ISTAT, Eurostat, OCSE, Ministero dell’Economia e Finanze, Banca d’Italia, Infocamere) sono presenti, come consuetudine, approfondimenti curati da esperti e rappresentanti istituzionali (per citarne alcuni: Commissione europea, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Ministero dell’Economia e Finanze, Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, Confartigianato), utili a fornire spunti di riflessione e di interpretazione dei dati.

L'intera presentazione di Enrico Di Pasquale, Fondazione Leone Moressa, a questo link:

Se non mi spiegate io non ci sto!

Sono ben consapevole di che cosa significa vivere nel 2023 d.C. e avere, a 92 anni, ricordi ben precisi di che cosa sia una guerra mondiale; e con la guerra – io non sono nessuno – ma dico che se non ci dite quale strategia si sta perseguendo non ci sto più. Vivo in Occidente, ne sostengo i valori e perfino le alleanze e le ragioni dell’Ucraina.

Non mi sento così subalterna al conformismo indotto da rinunciare alla mia intelligenza e alla mia conoscenza informata. Davvero apriremo il secondo anno di guerra senza porre date a una strategia motivata ad una fine ragionevole?


Giancarla Codrigniani, Politologa, giornalista, docente, già parlamentare definisce questo suo documento come "individuale non retorico (se non per la lunghezza) né sbilanciato (nego simpatie a Putin e, in Italia, al pacifista-verde Conte) e vieto ai filorussi di farne uso.

Siamo in guerra da un anno e rischiamo il terzo conflitto mondiale. La guerra è presente in Congo, in Afganistan, in Siria, in Birmania, in Burkina Faso, in Iran, nella Palestina di un Medioriente sempre più allargato, in Pakistan, nei Balcani così vicini e già provati: ovunque rischia di degenerare. E’ arrivata in Europa, a dimostrazione che la democrazia è fragile e può essere contagiata dall’incapacità di controllare i conflitti con le armi civili del dialogo diplomatico preventivo. Impensabile diventare indifferenti alla minaccia nucleare per accettazione disinformata, non più innocente.

Sono ben consapevole di che cosa significa vivere nel 2023 d.C. e avere, a 92 anni, ricordi ben precisi di che cosa sia una guerra mondiale; e con la guerra – io non sono nessuno – ma dico che se non ci dite quale strategia si sta perseguendo non ci sto più. Vivo in Occidente, ne sostengo i valori e perfino le alleanze e le ragioni dell’Ucraina. Ma se i morti civili sembrano essere meno di 10mila, quelli militari, segretati da entrambe le parti, secondo un generale americano presente all’incontro di Ramstein del 20 gennaio, sarebbero, per i soli russi 188mila. Altrettanto per gli ucraini? Faremo entrare oltre ai Leopard anche l’aviazione nella guerra? in funzione difensiva? con il parere negativo del Pentagono? Con Stoltemberg che è andato in Estremo Oriente a vedere se il teatro del Sudest asiatico può essere compatibile con quello ucraino?

Rischiare la terza guerra mondiale classica insieme con quella già in atto e ben definita dal Papa? La guerra come soluzione civile e non il perseguimento della pace?

Questo "sofferto" intervento continua a questo link: 

https://smips.org/2023/02/03/se-non-mi-spiegate-io-non-ci-sto/


Può un terremoto essere un'opportunità per riflettere su guerra e pace?

Una delle immagini più strazianti del terremoto che nella notte tra domenica e lunedì scorsi ha sconvolto Turchia e Siria è quella del padre che stringe la mano della figlia 15enne, morta schiacciata sotto le mura della sua casa. Le vittime hanno superato la cifra di 22mila, la distruzione è immane. L'unico dato consolante è la gara di solidarietà che ha coinvolto tutto il mondo, pur nella estrema difficoltà di portare aiuti e soccorsi. La risposta inevitabilmente è impari alla bisogna, come scrive Fulvio Scaglione, ma c'è stata e ha superato divisioni e perfino guerre.


L’Onu e l’Unione Europea, la Nato, che ha rapporti da sempre gelidi con la Siria e ultimamente burrascosi con la Turchia, Paesi amici delle vittime (l’Iran e la Russia per la Siria, l’Azerbaigian per la Turchia) e Paesi nemici tra loro come la Russia e l’Ucraina. Paesi con cui la Turchia ha appena riallacciato le relazioni come Israele, e altri con cui ha a lungo polemizzato come la Germania. E l’Italia, la Polonia, la Francia, la Spagna. I grandi e potenti come India, Cina e Usa, i piccoli e ricchi come gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar... È la risposta che ci voleva, in un mondo che a tratti sembra vivere un impazzimento collettivo. Ora si apre anche un piccolo spiraglio sul fronte delle ultradecennali sanzioni contro il governo siriano, che gli Stati Uniti, per primi, hanno allentato per consentire più aiuti umanitari. Sarebbe importante che questa esperienza non si disperdesse una volta superata la prima emergenza. Se c’è un momento in cui superare divisioni che si scaricano in gran parte su gente innocente, è questo. Se c’è un’occasione per riflettere sugli sbagli e sulle opportunità, sulla guerra e sulla pace, è proprio quella che viene da un immane disastro naturale. Ai politici delle nazioni il dovere di non sprecarla. A noi la speranza che ciò avvenga.

La riflessione continua a questo link:





La nostra Domenica 12 febbraio ... (1/2)

 Domenica intesa quella della nostra Comunità

Iniziata con le "Colazioni del mattino" alle quali sono invitai i senza fissa dimora della città con il servizio del Gruppo Scout di Zero Branco (TV)


mentre una rappresentanza della Comunità partecipava all'Eucaristia nel Carcere di S. Maria Maggiore a Venezia e, un detenuto che conosce l'iniziativa delle Colazioni, salutando ha detto: "Certo, il caffè della Cita è molto meglio di quello che ci servono qua..."


L'intera mattina ha visto anche la distribuzione della arance di Libera


L'EUCARESTIA
Durante l'Eucaristia abbiamo pregato così grazie anche all'apporto del Gruppo Scout:

INTENZIONI PENITENZIALI

Signore, perdonaci l'impegno che ci mettiamo nelle azioni sbagliate credendo siano quelle giuste

Perdonaci per essere interessati all'effimero e indifferenti a ciò che conta davvero. Fa che i più deboli non siano più preda degli interessi delle mafie

Perdonaci, Signore, per la guerra, la violenza ma, soprattutto l'indifferenza che ogni giorno sperimentiamo nelle nostre vite. Signore aiutaci ad aprire gli occhi verso ogni tipo di conflitto che incontriamo nel nostro quotidiano

PREGHIERE DEI FEDELI

1)   Chiediamo al Signore di illuminarci e farci comprendere che il fine di tutti i suoi comandamenti è il rispetto e l’amore dei fratelli e che tutti i peccati, se ci convertiamo, sono perdonabili, tranne la presunzione di potersi salvare da soli. Fiduciosi nella misericordia del Signore, perché possiamo attuare una vera conversione del cuore preghiamo …

2) Questa mattina don Nandino con alcune persone della comunità ha celebrato l’Eucaristia in carcere a Venezia, insieme ai fratelli che stanno scontando la condanna per i loro errori. Senza dimenticare il dolore che è stato provocato nelle vittime dei reati, preghiamo perché i governanti e la società civile possano promuovere ciò che prevede la Costituzione italiana, cioè che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Per questo preghiamo … 

3)  Perché nella nostra comunità possiamo attuare ciò che ci dice il Signore nel Vangelo di oggi, cioè che prima di presentare la nostra offerta all’altare ci riconciliamo con i fratelli, che prima della celebrazione liturgica c’è la riconciliazione tra di noi, preghiamo …

4) Ieri 11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, è stata la Giornata Mondiale del Malato, il cui tema di quest’anno è “Una comunità che si fa carico del malato è sanata e sanante: mentre il dolore resta avvolto nel mistero, c’è l’amore che ci apre a un mistero ancora più grande, quello della vicinanza e della condivisione fraterna, che rende visibile il Signore Gesù, che conosce il dolore e la sofferenza e ci accompagna nella nostra esperienza di malattia. Per questo preghiamo …

5) Preghiamo per la popolazione della Turchia e della Siria colpite dalla tragedia del terremoto, perché la solidarietà di tutti i paesi del mondo li faccia sentire accompagnati nella rinascita. Pregiamo ...

6) Per Raffaella che questa notte ci ha lasciato. Un grande vuoto per tutti. Per la sua famiglia perché possa sentire il calore e l'affetto della nostra Comunità, preghiamo ...

IL PADRE NOSTRO

Erano anni che non si faceva: oggi ci siamo nuovamente presi per mano:


ANTIFONA DI COMUNIONE:

che è un versetto della Scrittura, stata pregata assieme per ricordare che la Parola annunciata e quella celebrata sono un tutt'uno: è quella Parola che diventa per noi pane spezzato e vino condiviso. Per questo chi presenta le offese all'altare sono coloro che hanno proclamato le Letture e, contemporaneamente, due dei quattrocchi che sono ai piedi dell'Ambone vengono portati sull'altare.


(continua nel post seguente: La nostra Domenica 12 febbraio ... (2/2))

La nostra Domenica 12 febbraio ... (2/2)

DOPO LA MESSA

L'interessante incontro sulle mafie a Nord-est





POI IL PRANZO CON I "REDUCI" DI PALERMO
alla fine di gennaio un gruppo di 21 volontari della Caritas di Marghera si sono recati a Palermo per incontrare la realtà dei quartieri ZEN e Donnesinni e altre tre realtà di volontariato. Durante il pranzo abbiamo avuto un saluto via ZOOM con il gruppo di suore che abita nel quartiere ZEN



L'INCONTRO CON IL GRUPPO SCOUT DI ROVIGO
ha chiuso il pranzo che hanno chiesto di conoscere la realtà della Casa di Amadou, il progetto Jumping e il dialogo intereligioso















Il Foglietto di Domenica 12 febbraio

 


VI Domenica PA - Mt 5,17-37

Gesù quindi non nega nulla con quel suo ripetuto “Avete inteso …  ma io vi dico”, bensì allarga lo sguardo degli “antichi” inculturandoli nel suo momento presente e avverte di stare attenti a non perdere sapore altrimenti bruceremo nella valle maledetta.



L’attesa del Messia era molto forte ai giorni di Gesù ed ogni corrente teologica o spirituale ne aveva delineato le caratteristiche specifiche che rispondevano alle proprie aspettative più o meno religiose, più o meno politiche. Quando Gesù annuncia che il Regno dei Cieli era giunto, l’attenzione di tutti si era posata su di lui per verificare se fosse stato lui il Messia atteso e a quali speranze rispondeva dando ragione ad uno o all’altro movimento. Ecco allora che in questo avvio della sua vita pubblica presenta le sue credenziali che lascia sconcertati praticamente tutti. Nessuno attendeva che delineasse il Regno nel segno delle Beatitudini e che chiedesse di realizzarle nella mitezza e non nella potenza, coinvolgendo tutti e non solo una parte di privilegiati, che chiedesse di essere quel sale che dà sapore alla vita illuminando i sentieri da percorrere secondo la volontà del Padre, facendosi poveri con i poveri, condividendo le sofferenze di tutti, donando speranza attraverso la propria vita, fino al punto di essere rifiutati e perseguitati.

 

Anche questa domenica Gesù continua a precisare i contorni di quella che sarà la sua missione che non ha lo scopo di abbattere o demolire nulla della Torà (non “abolire”), bensì quello di consolidarla, di riportarla allo splendore originario arricchendola, dandole così “pieno compimento” perché questa è la volontà del Padre ed è in questo modo che la semente del Regno delle Beatitudini diventerà realtà: deve solo allargarsi, estendersi a macchia d’olio. Chi accetterà e le metterà in pratica sarà già all’interno del Regno (“sarà considerato grande”), al contrario se ne troverà ai margini (“sarà considerato minimo”). Non è questione di forma, ma di sostanza; non solo di orto-prassi, ma di farsi strumento efficace dell’amore del Padre per tutti.

Quando Gesù a questo punto inizia ad affermare che non vuole abolire nulla, nemmeno uno “iota”, un puntino, una virgola della Torà, dovrebbe essere chiaro che le sue non sono delle antitesi, ma degli ampliamenti, delle intensificazioni che mettono al centro l’uomo. Nell’ebraismo questo era una prassi comune che è stata anche codificata nella Mishnà (la raccolta degli insegnamenti dei Saggi e dei Maestri): i precetti devono essere custoditi attraverso una “siepe” che li possa proteggere spiegandoli e arricchendoli, trasmettendoli e aggiornandoli tenendo conto dei cambiamenti sociali che man mano si presentavano.

Gesù quindi non nega nulla con quel suo ripetuto “Avete inteso …  ma io vi dico”, bensì allarga lo sguardo degli “antichi” inculturandoli nel suo momento presente. Si pone poi in continuità con quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa: “se il sale perde sapore, a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”, oggi dice che chi non rispetterà fino in fondo ogni uomo e ogni donna, finendo per usarli ai propri fini, trattandoli come un oggetto, è simile alla spazzatura che merita solo di essere gettata nella Geènna; la valle che delimita a sud-ovest Gerusalemme, maledetta dal re Giosia (perché sede del culto di Moloch, cui venivano offerti sacrifici umani) e destinata a immondezzaio della città: per questo vi ardeva continuamente il fuoco.

Gesù, dopo averci chiesto di avere rapporti con gli altri guidati dall’amore del Padre, invita poi a guardare dentro noi stessi e il nostro modo personale di porci: “se il tuo occhio ti è motivo di scandalo” cioè di inciampo perché ti porta anche solo a desiderare ciò che è di altri, “cavalo e gettalo via da te”. Se nella tua vita c’è qualche criterio, qualche atteggiamento – e fa l’esempio della mano per indicare le nostre attività – “tagliala e gettala via”. In sintesi: se nella tua vita c’è qualche atteggiamento, qualche comportamento, che sai che ti può essere di inciampo per la pienezza della tua esistenza, eliminalo, anche se doloroso, piuttosto che rovinare completamente la tua vita e l’intero “tuo corpo venga gettato nella Geènna”.

 

Gesù sente la necessità di fare queste “precisazioni” anche perché le sue Beatitudini avevano lasciati sconcertati gli israeliti in quanto parevano in antitesi alle Scritture nelle quali c’è scritto che Dio benedice i giusti colmandoli di beni. Tutte le immagini dei Messia attesi dalle diverse correnti spirituali avevano in comune il fatto che sarebbe stata una figura vincente, che avrebbe dato benessere sotto tutti i punti di vista a chi lo avesse seguito; invece lui invita ad essere poveri, non a dominare ma a servire.

È per questo che fa sei esempi partendo dalla Torà, termine che viene dal verbo “yarà” che significa “scagliare una freccia” più precisamente “indicare la direzione” verso la quale si è chiamati ad andare, ma che è sempre più avanti e mai raggiunta. Si può allora dire che Gesù sposta più avanti l’orizzonte facendo capire che la nostra ricerca sarà sempre oltre nel tentativo fare e vivere come lui ha vissuto; toglie via ogni alibi ad interpretazioni riduttive dei Precetti.

Il progetto di Dio al quale ci chiede di aderire e far nostro è un amore incondizionato che va perseguito con impegno e sacrificio rischiando di essere insultati e perseguitati. Gesù ci offre i criteri per discernere ciò che è bene e ciò che è male, quello che umanizza e quello che disumanizza; ma non ci dà alcun diritto di giudicare o di condannare nessuno perché l’uomo è più grande del suo peccato e va sempre accolto ed accompagnato. Si può e di deve disapprovare ogni scelta di morte, ma non si può mai giudicare e condannare la persona che la compie, questa va sempre aiutata.

(BiGio)