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Può un terremoto essere un'opportunità per riflettere su guerra e pace?

Una delle immagini più strazianti del terremoto che nella notte tra domenica e lunedì scorsi ha sconvolto Turchia e Siria è quella del padre che stringe la mano della figlia 15enne, morta schiacciata sotto le mura della sua casa. Le vittime hanno superato la cifra di 22mila, la distruzione è immane. L'unico dato consolante è la gara di solidarietà che ha coinvolto tutto il mondo, pur nella estrema difficoltà di portare aiuti e soccorsi. La risposta inevitabilmente è impari alla bisogna, come scrive Fulvio Scaglione, ma c'è stata e ha superato divisioni e perfino guerre.


L’Onu e l’Unione Europea, la Nato, che ha rapporti da sempre gelidi con la Siria e ultimamente burrascosi con la Turchia, Paesi amici delle vittime (l’Iran e la Russia per la Siria, l’Azerbaigian per la Turchia) e Paesi nemici tra loro come la Russia e l’Ucraina. Paesi con cui la Turchia ha appena riallacciato le relazioni come Israele, e altri con cui ha a lungo polemizzato come la Germania. E l’Italia, la Polonia, la Francia, la Spagna. I grandi e potenti come India, Cina e Usa, i piccoli e ricchi come gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar... È la risposta che ci voleva, in un mondo che a tratti sembra vivere un impazzimento collettivo. Ora si apre anche un piccolo spiraglio sul fronte delle ultradecennali sanzioni contro il governo siriano, che gli Stati Uniti, per primi, hanno allentato per consentire più aiuti umanitari. Sarebbe importante che questa esperienza non si disperdesse una volta superata la prima emergenza. Se c’è un momento in cui superare divisioni che si scaricano in gran parte su gente innocente, è questo. Se c’è un’occasione per riflettere sugli sbagli e sulle opportunità, sulla guerra e sulla pace, è proprio quella che viene da un immane disastro naturale. Ai politici delle nazioni il dovere di non sprecarla. A noi la speranza che ciò avvenga.

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