VI Domenica PA - Mt 5,17-37

Gesù quindi non nega nulla con quel suo ripetuto “Avete inteso …  ma io vi dico”, bensì allarga lo sguardo degli “antichi” inculturandoli nel suo momento presente e avverte di stare attenti a non perdere sapore altrimenti bruceremo nella valle maledetta.



L’attesa del Messia era molto forte ai giorni di Gesù ed ogni corrente teologica o spirituale ne aveva delineato le caratteristiche specifiche che rispondevano alle proprie aspettative più o meno religiose, più o meno politiche. Quando Gesù annuncia che il Regno dei Cieli era giunto, l’attenzione di tutti si era posata su di lui per verificare se fosse stato lui il Messia atteso e a quali speranze rispondeva dando ragione ad uno o all’altro movimento. Ecco allora che in questo avvio della sua vita pubblica presenta le sue credenziali che lascia sconcertati praticamente tutti. Nessuno attendeva che delineasse il Regno nel segno delle Beatitudini e che chiedesse di realizzarle nella mitezza e non nella potenza, coinvolgendo tutti e non solo una parte di privilegiati, che chiedesse di essere quel sale che dà sapore alla vita illuminando i sentieri da percorrere secondo la volontà del Padre, facendosi poveri con i poveri, condividendo le sofferenze di tutti, donando speranza attraverso la propria vita, fino al punto di essere rifiutati e perseguitati.

 

Anche questa domenica Gesù continua a precisare i contorni di quella che sarà la sua missione che non ha lo scopo di abbattere o demolire nulla della Torà (non “abolire”), bensì quello di consolidarla, di riportarla allo splendore originario arricchendola, dandole così “pieno compimento” perché questa è la volontà del Padre ed è in questo modo che la semente del Regno delle Beatitudini diventerà realtà: deve solo allargarsi, estendersi a macchia d’olio. Chi accetterà e le metterà in pratica sarà già all’interno del Regno (“sarà considerato grande”), al contrario se ne troverà ai margini (“sarà considerato minimo”). Non è questione di forma, ma di sostanza; non solo di orto-prassi, ma di farsi strumento efficace dell’amore del Padre per tutti.

Quando Gesù a questo punto inizia ad affermare che non vuole abolire nulla, nemmeno uno “iota”, un puntino, una virgola della Torà, dovrebbe essere chiaro che le sue non sono delle antitesi, ma degli ampliamenti, delle intensificazioni che mettono al centro l’uomo. Nell’ebraismo questo era una prassi comune che è stata anche codificata nella Mishnà (la raccolta degli insegnamenti dei Saggi e dei Maestri): i precetti devono essere custoditi attraverso una “siepe” che li possa proteggere spiegandoli e arricchendoli, trasmettendoli e aggiornandoli tenendo conto dei cambiamenti sociali che man mano si presentavano.

Gesù quindi non nega nulla con quel suo ripetuto “Avete inteso …  ma io vi dico”, bensì allarga lo sguardo degli “antichi” inculturandoli nel suo momento presente. Si pone poi in continuità con quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa: “se il sale perde sapore, a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”, oggi dice che chi non rispetterà fino in fondo ogni uomo e ogni donna, finendo per usarli ai propri fini, trattandoli come un oggetto, è simile alla spazzatura che merita solo di essere gettata nella Geènna; la valle che delimita a sud-ovest Gerusalemme, maledetta dal re Giosia (perché sede del culto di Moloch, cui venivano offerti sacrifici umani) e destinata a immondezzaio della città: per questo vi ardeva continuamente il fuoco.

Gesù, dopo averci chiesto di avere rapporti con gli altri guidati dall’amore del Padre, invita poi a guardare dentro noi stessi e il nostro modo personale di porci: “se il tuo occhio ti è motivo di scandalo” cioè di inciampo perché ti porta anche solo a desiderare ciò che è di altri, “cavalo e gettalo via da te”. Se nella tua vita c’è qualche criterio, qualche atteggiamento – e fa l’esempio della mano per indicare le nostre attività – “tagliala e gettala via”. In sintesi: se nella tua vita c’è qualche atteggiamento, qualche comportamento, che sai che ti può essere di inciampo per la pienezza della tua esistenza, eliminalo, anche se doloroso, piuttosto che rovinare completamente la tua vita e l’intero “tuo corpo venga gettato nella Geènna”.

 

Gesù sente la necessità di fare queste “precisazioni” anche perché le sue Beatitudini avevano lasciati sconcertati gli israeliti in quanto parevano in antitesi alle Scritture nelle quali c’è scritto che Dio benedice i giusti colmandoli di beni. Tutte le immagini dei Messia attesi dalle diverse correnti spirituali avevano in comune il fatto che sarebbe stata una figura vincente, che avrebbe dato benessere sotto tutti i punti di vista a chi lo avesse seguito; invece lui invita ad essere poveri, non a dominare ma a servire.

È per questo che fa sei esempi partendo dalla Torà, termine che viene dal verbo “yarà” che significa “scagliare una freccia” più precisamente “indicare la direzione” verso la quale si è chiamati ad andare, ma che è sempre più avanti e mai raggiunta. Si può allora dire che Gesù sposta più avanti l’orizzonte facendo capire che la nostra ricerca sarà sempre oltre nel tentativo fare e vivere come lui ha vissuto; toglie via ogni alibi ad interpretazioni riduttive dei Precetti.

Il progetto di Dio al quale ci chiede di aderire e far nostro è un amore incondizionato che va perseguito con impegno e sacrificio rischiando di essere insultati e perseguitati. Gesù ci offre i criteri per discernere ciò che è bene e ciò che è male, quello che umanizza e quello che disumanizza; ma non ci dà alcun diritto di giudicare o di condannare nessuno perché l’uomo è più grande del suo peccato e va sempre accolto ed accompagnato. Si può e di deve disapprovare ogni scelta di morte, ma non si può mai giudicare e condannare la persona che la compie, questa va sempre aiutata.

(BiGio)


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