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Per il momento da Venerdì 30 maggio 2025 questo Blog sarà implementato solo con notizie ecclesiali della Parrocchia.  I Post con la proposta...

È santo il vescovo dei migranti

Domenica scorsa, a San Pietro, centodiciassette anni dopo avere inviato a Papa Pio X il suo straordinario «Memoriale per la costituzione di una commissione pontificia Pro emigratis catholicis» del 1905 col racconto di alcuni dei suoi viaggi tra gli italiani sparsi per il pianeta, Giovanni Battista Scalabrini è diventato santo. 

Giusto giusto ora che torna a infiammarsi il tema dell’immigrazione e del «blocco navale» invocato dalla destra? Sospetti insensati: la beatificazione del vescovo di Piacenza, noto nel mondo per aver fondato le congregazioni dei missionari «scalabriniani» ed esser stato forse il primo ad avere un’idea lucida e globale del fenomeno, fu celebrata nel 1997 da Papa Wojtyla e già da decenni «L’Osservatore Romano» dedicava all’«Apostolo degli Emigranti» pagine di ammirata devozione. Ma certo un figlio di emigrati come Papa Francesco proverà domenica un’emozione in più.

Il nuovo santo fu infatti tra i primi a teorizzare, come dimostra un passaggio nell’ Antologia: una voce viva (scalabriniani.org/giovanni-battista-scalabrini-scritti), il «diritto naturale» degli uomini all’emigrazione. Una tesi cantata a fine Ottocento anche da anarchici come Francesco Bertelli («La casa è di chi l’abita/ è un vile chi lo ignora/ il tempo è dei filosofi/ la terrà a chi lavora»), ma forse mai riassunta con la profondità e la fede del vescovo emiliano.

Parlava dei «nostri» emigrati. Ce l’aveva con chi si metteva di traverso al sogno di «catàr fortuna» altrove come i poveri cristi affollati alla stazione di Milano: «Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore. Erano vecchi curvati dall’età e dalle fatiche, uomini nel fiore della virilità, donne che si traevano dietro o portavano in collo i loro bambini, fanciulli e giovanette tutti affratellati da un solo pensiero (...) e aspettavano con trepidazione che la vaporiera li portasse sulle sponde del Mediterraneo o di là nelle lontane Americhe». Ce l’aveva coi proprietari terrieri «impensieriti da questo repentino impoverimento di braccia, che si traduce in un adeguato aumento di mercedi per quelli che restano» e levavano «i loro lagni al governo» per ottenere provvedimenti «per sanare e circoscrivere questo morbo morale, questa diserzione, che spoglia il paese di braccia e di capitali fruttiferi».

Richieste inaccettabili, per lui. 


L'intero articolo di Gianantonio Stella a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221006stella.pdf


“Una psicologa per i futuri preti” La Cei accoglie l’invito del Papa

Nanni Moretti non aveva osato tanto. Nel suo Habemus Papam , girato un paio di anni prima dell’epocale rinuncia di Benedetto XVI, i cardinali consigliano un Papa in crisi, impersonato da Michel Piccoli, di rivolgersi a uno psicanalista. «I cardinali sono disponibili a chiedere il sostegno della psicanalisi», spiega allo psicanalista Moretti un sussiegoso officiale vaticano, «nonostante il naturale scetticismo che lei senz’altro immaginerà».


Scetticismo a parte, Papa, cardinali e terapeuta sono tutti rigorosamente maschi. Ora la Conferenza episcopale italiana sta valutando di inserire nella formazione dei seminaristi il confronto con una psicologa donna. Le crisi esistenziali del Pontefice morettiano non c’entrano, né c’entra il fatto che il Papa vero, Francesco, durante un momento particolarmente delicato della sua vita si rivolse per alcuni mesi a una psicanalista ebrea: «Era una persona buona, per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni», ha raccontato lo stesso Pontefice argentino, sfidando lo scetticismo che ancora aleggia nella galassia cattolica verso la psicoterapia.

Non, però, in seno alla Conferenza episcopale italiana. Che ha recentemente deciso la stesura di una nuova “ratio nationalis” per la formazione nei seminari d’Italia, ossia il documento di riferimento per la formazione dei futuri presbiteri.
I vertici della Cei hanno affidato a un’equipe l’elaborazione di una bozza che passerà poi dalla commissione episcopale per il clero e la vita consacrata e dovrà essere infine approvata dall’assemblea di maggio 2023. Sul tavolo ci sono diverse idee innovative, alcune in forma sperimentale. E, a quanto si apprende, tra le proposte c’è quella di introdurre uno psicologo o, meglio ancora, una psicologa.

Alla base dell’idea c’è la premura per la formazione all’affettività e alla sessualità dei futuri sacerdoti. Si tratta di due ambiti ancora trascurati in molti seminari. 


L'intero articolo di Jacopo Scaramuzzi a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221014scaramuzzi.pdf



La terra trema dal 20 al 23 ottobre

Dal 20 al 23 ottobre, con anteprima mercoledì 19, tornerà a Mestre il Festival della Politica, promosso dalla Fondazione Gianni Pellicani in collaborazione con la Fondazione di Venezia, M9 - Museo del ’900, Comune di Venezia e Camera di Commercio di Venezia Rovigo e Delta Lagunare. Realizzato sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, il Festival è patrocinato da Regione Veneto e Città Metropolitana di Venezia. 


L’edizione avrà come titolo “La terra trema”, e attraverso dialoghi, interviste, spettacoli, presentazioni di libri con gli autori e workshop, metterà a tema i principali fattori cambiamento di un momento storico segnato da processi epocali di trasformazione: i nodi del riscaldamento climatico e della riconversione ecologica, il ritorno della guerra in Europa, la rottura degli equilibri geopolitici globali, la questione energetica, la pandemia.     

Ma è chiaro che il Festival sarà l’occasione per una prima analisi scientifica e politologica sugli effetti del voto politico del 25 settembre.      
Un Festival che come sempre si svolgerà nel centro di Mestre, che per la prima volta si svolgerà “al coperto”, distribuendo i propri appuntamenti nelle prestigiose cornicidel Teatro Toniolo e di M9 – Museo del ‘900 

Il programma che graviterà intorno al tema, “La terra trema”, in cui si condensa il carattere di incertezza e cambiamento che contraddistingue il momento storico che stiamo attraversando, a partire dall’emergenza ambientale e dalla crisi energetica. 

I due curatori ospiti di questa edizione per approfondire i temi ambientali affrontati dalla rassegna sonoi il filosofo Marco Filoni e la scrittrice e regista Alessandra Viola. Due protagonisti della ricerca e del dibattito culturale italiano, a cui è stato assegnato il compito di articolare un tema tanto impegnativo coordinando il programma scientifico del Festival 2022.         
«Mai come negli ultimi decenni la terra ci trema sotto i piedi», spiega Marco Filoni, «La fragilità è il segno della nostra epoca: fragile è il mondo, fragili siamo noi – incapaci di rispettare, tutelare, curare quell’ambiente che non soltanto ci ospita, ma che siamo noi stessi. Guerre, pandemie, cambiamenti climatici, crisi: tutto concorre al pessimismo. E all’affanno dei molti che chiedono di correre ai ripari, la risposta è sempre mancante, un fallimento di pensiero e d’azione. 
È giunto il momento provare a fare i conti con la nostra fragilità. Per questo abbiamo scelto questo tema. Al Festival della Politica di Mestre quest’anno proveremo, anche in maniera radicale, a interrogare le molte cause che ci fanno tremare. Per conoscerle, per affrontarle, per prenderci cura di loro e insieme di noi stessi
».  
Così Antonella Viola: «Guerre, cambiamenti climatici, migrazioni animali e vegetali, deforestazione ed estinzione di specie a ritmi senza precedenti, ci obbligano a ripensare il nostro sviluppo e la relazione che intratteniamo con la natura. ‘La Terra trema’, è vero, ma attenzione: in qualche modo si riassesterà, troverà nuovi equilibri. In pieno Antropocene, nell'era in cui l'influenza dell'uomo sull'ambiente è diventata massima, la domanda è ancora quella di sempre: che posto avrà la nostra specie nel futuro del pianeta?». 


Altre notizie e il programma a questo link:


https://www.festivalpolitica.it/la-terra-trema/

 

Il Foglietto "La Resurrezione" di domenica 16 ottobre

 



Domenica 23 ottobre: Fiaccolata contro la guerra

Alla Cita, domenica 23 ottobre alle ore 11.30: cristiani e mussulmani saranno uniti in una  fiaccolata contro la guerra 


Domenica 16 ottobre sull'altare della Chiesa della Risurrezione c'erano alcune di quelle "lampade della pace" frutto del lavoro artigianale di una piccola parrocchia palestinese che chiedono giustizia non solo per loro ma per tutto il mondo, come il grido di quella donna dell'Evangelo di oggi


Quelle lampade sono state poi accese da due migranti egiziani giunti da pochi giorni


Quelle lampade non chiedono solo pace e giustizia ma anche di ricordare sempre la consegna di Liliana Segre nel suo discorso dallo scanno più alto del Senato il primo giorno della nuova legislatura: 

I Padri Costituenti vollero lasciare un compito perpetuo alla "Repubblica": "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla: Vi chiedo: rimuovete quegli ostacoli!

Le date della "Preghiera di Taizè"

Giovedì 20 ottobre a Mestre nella chiesa di San Girolamo (ore 21) riprende la preghiera ecumenica cittadina nello stile di Taizé,  di cui si allega il calendario degli incontri mensili 2022-2023.





Domenica XXIX – Lc 18,1-8

Pregare incessantemente significa il farlo così tanto da “procurare fastidio” a Dio, fino a farlo temere di ritrovarsi con un occhio tumefatto e solo allora interverrà “prontamente”?


Il cammino che la liturgia ci sta facendo fare in questo anno, oggi ci introduce al tema della venuta del Regno di Dio nell’Evangelo di Luca che ci propone - secondo il suo stile – due parabole affiancate: quelle dalla vedova e del giudice ingiusto (questa XXIX Domenica) e quella del fariseo e del pubblicano (Domenica prossima). La parabola di oggi non può non richiamarci alla memoria quella dell’amico importuno e la seconda quella sulla scelta dei posti a tavola. Ambedue sono state proclamate in precedenza rispettivamente nella XVII e nella XXII Domenica; quindi relativamente recentemente: il 24 luglio e il 28 agosto.

 

Due importanti appunti previ al prendere in esame la parabola di oggi. Innanzitutto viene introdotta con una nota da Gesù: “sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi”. Colpisce questo “essere necessario” perché normalmente è un verbo usato negli annunci della passione. Qui invece non è rivolto alla vita di Gesù, ma alla nostra. 

Interessante è pure come quel “senza stancarsi” può essere più letteralmente tradotto con un “senza incattivirsi”. Il perché lo troviamo in Paolo quando, nella lettera ai Galati (6,9), avverte di fare attenzione perché c’è il pericolo a forza di fare voler fare il bene, di intestardircisi su fino a incattivirsi.

 

La parabola è nota. Una vedova, cioè una persona (ogni persona e pure ogni realtà e comunità oppressa) fragile che ha perso chi possa sostenerla e difenderla, contro due persone che si comportano ingiustamente contro di lei: l’avversario che lei contesta e un giudice che non ha voglia di impicciarsi, perché forse così finirebbe di inimicarsi un notabile del tempo oppure perché ha ricevuto qualche bustarella; situazione diffusa anche all’epoca e denunciata dai profeti come, per esempio, all’inizio del libro di Isaia. 

La donna però non è remissiva e il suo tono non è piagnucoloso, ma quasi imperativo: ”Fammi giustizia contro il mio avversario!”.

Il giudice alla fine cede purché questa vedova non continui importunarlo; il verbo greco qui usato è particolare e letteralmente significa “colpire sotto gli occhi”. Se questo fosse avvenuto, avrebbe ridicolizzato in pubblico il giudice ritrovandosi con un occhio nero fattogli da una “inerme” vedova.

La parabola si chiude non sottolineando che la donna grazie al suo temperamento ha avuto quello che desiderava, ma con l’invito di Gesù a porre attenzione alle parole del giudice ingiusto e invita a porsi una domanda, se questo è accaduto con un giudice iniquo, “Dio non farà giustizia ai suoi eletti?”. È quest’ultimo un termine apocalittico che desidera richiamare la nostra attenzione sul fatto che la nostra preghiera deve avere sempre per orizzonte gli eventi ultimi, quelli della fine di questo nostro mondo e l’avvento di quello nuovo nel quale sono chiamati a vivere di “eletti”. Ma, se questi, si trovano oggi a “gridare giorno e notte” a Dio è perché oggi vivono tempi di difficoltà, di fatica, di malattia, di guerre. E chiedono al Padre più che la liberazione, forza e coraggio mentre attendono che lui faccia giustizia “prontamente”. Si, ma quando?

C’è il pericolo, se ci si ferma qui, di pensare che l’invito sia quello di pregare incessantemente tanto da “procurare fastidio” a Dio, fino a farlo temere di ritrovarsi con un occhio tumefatto e solo allora interverrà “prontamente”.

 

Però se si fa attenzione alla lettera della parabola, il giudice iniquo non aveva dato retta alla vedova per un molto tempo poi, all’’improvviso, di colpo, quasi di sorpresa, in un istante le ha reso giustizia. Quindi il punto non è il “quando” temporale secondo il nostro calendario e lo scandire delle nostre ore, ma sulla certezza che questo avverrà: Dio certamente risponderà, questo è sicuro ma sarà improvvisamente, accadrà tutto in un istante, di colpo, senza che ci siano segni che preparino questo evento. Ma noi, lo staremo ancora aspettando? Guardando dal lato di Dio non c’è problema: farà giustizia. Ma noi? Continueremo a “gridare?

Ma a chi? a un dio (con la “d” minuscola) dal quale ci aspettiamo il colpo di bacchetta magica e magari finiamo per imprecargli contro perché non interviene e rimane impassibile difronte alla nostra sofferenza, alle nostre invocazioni di giustizia? 

 

Qui c’è un aspetto importante: certo, la misura della fede è quella della preghiera, ma la fede vera non è parlare bene di Dio e dirgli di noi, bensì il rivolgersi a lui per ascoltarlo e rispondergli di conseguenza. 

Rimanere in fiduciosa preghiera (cioè avendo “fede”) significa mantenersi sempre in contatto con il Signore cercando di comprendere la sua volontà, in modo di mantenerci sempre pronti a cogliere il momento nel quale ci metterà davanti l’opportunità di dare il nostro contributo a un mondo nuovo nel quale regni la sua giustizia che, spesso, non collima con i nostri desideri. 

 

Questo è quello che Luca sottolinea continuamente narrandoci la vita di Gesù e la sua preghiera. Questa è la fede che non delude perché esprime la consapevolezza che già ora viviamo qualcosa del Regno di Dio. Sta a noi dargli concretezza e ci riusciamo quanto più saremo sotto la signoria della sua misericordia e, contemporaneamente ne saremo la misura efficace tra gli uomini e nel creato.

 

(BiGio)

La preghiera: una responsabilità nella povertà dei mezzi


Vi capita di chiedere a qualcuno di pregare per voi e l’altro subito vi chieda la stessa cosa? “Per favore, prega per me”. Questa domanda nasce da una situazione di dolore e certo uno si risparmierebbe di porla se non fosse un’ulteriore possibilità. Ed è una proposta di amicizia. “Prega per me” vuol dire stammi vicino, ascolta il mio pianto, ce la fai? Anche un prete o un vescovo (Papa Francesco non fa mistero della sua umanità fragile), un familiare o un amico che vive un tempo di grave difficoltà può chiederti: “Affido alla tua preghiera la mia vita”. Ce ne viene allora un senso di grave responsabilità di fronte alla quale si sente la povertà dei propri mezzi, nulla da poter vantare a sostegno della preghiera per quell’amico, che attende. Fai le carte false allora come l’amministratore infedele di qualche domenica fa ed è tutto un trasportarsi ai piedi del Signore, te e l’amico. Chi chiede la nostra preghiera ci fa un grande favore. Perciò non si capisce la subitanea richiesta di contraccambio: “Anche tu per me”. Non c’è ascolto. Certo tutti abbiamo bisogno di essere accolti, ma uno alla volta, per carità. Nei rapporti comunitari (ma non solo) non vale il criterio della reciprocità che pure governa la vita sociale. In una relazione coniugale, per esempio, quel criterio non regge, c’è poco da insistere. “Ah, ma tu… E tu allora?”. Anche nelle comunità, nelle fraternità si è portati ad amare il doppio, per sé e per l’altro. Anche non volendo, cioè malvolentieri, si fa prova che la misura dell’amore è amare senza misura e si arriva quando si arriva. A poco a poco, forse, in lontananza si vede il traguardo, raggiunto il quale potrai finalmente passare a fil di spada la moglie, il marito e l’amalecita.
 
Ora succede a quelli che leggono il Vangelo di approvarlo senza passare per lo scandalo. Eh sì, perché il silenzio che la vedova, qui siamo tutti vedovi ed orfani, riceve alle sue insistenze costituisce scandalo, ostacolo. Quante volte ce ne lamentiamo! Ma la stessa parola di Dio e i Salmi sono un grido continuo al Padre che non risponde perché risponda. Ma allora? Che non sia una sua pedagogia? Forse Egli ci domanda: “Tu vuoi me? Davvero? Rifletti!”.
Noi siamo tutti figli in cerca di Padre a tal punto che averlo vale più di qualunque cosa. Non importa che tu mi dia o no quel che ti chiedo, nulla vale rispetto al conoscerti, non la rivalsa sulle ingiustizie subite, nemmeno la guarigione dal male che mi consuma (ma mi raccomando, Signore!): nulla vale come vederti perché “di te ha detto il mio cure ‘cercate il suo volto’. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (sal 27) ed esultare con Giobbe (cap 42): “Io ti conoscevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere”.
Una meraviglia che poggia sulla certezza: “Io so che il mio redentore vive”. Cioè, dice Giobbe, non è un’astrazione, un pensato, un codice morale, un auspicio: è una persona in carne ed ossa, un amico vivo e vero che, aggiunge la Chiesa, si dà a tutti in quel pane. E questo può essere per noi di nuovo scandalo: Gesù, un Dio che non corrisponde alle categorie psichiche che ci costituiscono: la legge e la colpa, il premio e la condanna come per i Giudei, la ragione e la logica, la plausibilità come per i Greci.
Ma sappiamo che ci manca l’essere: la vita non è ‘da’ noi. Chiunque, sano di mente, sa che siamo ‘alienati’, mancanti. Ora la domanda: è un’alienazione la fede, come alcuni dicono: un riempitivo del vuoto di essere, una fuga dall’angoscia, o è alienazione voltarsi altrove, l’indifferenza e la scelta di non cercare? Sapendo, per esperienza e intuizione, che la misura dell’amore è amare senza misura, cosa che è in modo perfetto in Gesù, lo stesso varrà anche per la fede: la cui misura sarà credere senza misura, senza ‘segni’, senza riscontri, senza dimostrazioni. Sia così.
Allora sarà libero e pronto il cuore nel rispondere con premuroso affetto al dubbio malinconico di Gesù e consolarlo: sì, quando tornerai qualcuno ci sarà ancora ad attenderti.
 
 
(Valerio Febei e Rita)

Pensare la fede: Tensioni ecclesiali e involuzioni linguistiche

Nei dieci nuclei della sintesi nazionale gli sprazzi di cambiamento vengono opacizzati dai noti conflitti ecclesiali non risolti...


Nei dieci nuclei della sintesi nazionale, la dichiarata centralità e la priorità della Vita conduce ad auspicare un «rinnovamento» e «ripensamento complessivo» che, però, con grande difficoltà riesce a farsi strada in essi e a trovare un’armonica presenza.

Da un lato, infatti, bisogna riconoscere che nei dieci nuclei sono contenute almeno due proposte reali di cambiamento, non più solo al pur importante livello delle parole, ma anche a quello delle strutture. La prima, esplicita, quando si ipotizza «la creazione di un “ministero di prossimità” per i laici dedicati all’ascolto delle situazioni di fragilità» – in modo molto simile a quanto già emerso più di tre anni fa in Christus vivit, §244. La seconda, più implicita, quando si ammette che «i luoghi e le modalità di dialogo nella Chiesa sono ancora pochi, in modo particolare tra Chiesa locale e società civile».

Sono certo due ottime proposte, rispetto alle quali, però, dobbiamo ricordare quanto sia grande nella Chiesa, come in ogni altra organizzazione, il rischio di affrontare i problemi con nuove ma poco efficaci (se non ridondanti) strutture ministeriali, quando essa dovrebbe innanzitutto valorizzare, perfezionare e, se vogliamo, istituzionalizzare la ministerialità dei battezzati che già accolgono, ascoltano, dialogano ed elaborano linguaggi e teologie più includenti delle persone che per vari motivi si sentono o sono fuori – o sulla soglia – dalla Chiesa. Circa la riattivazione e il rafforzamento dei luoghi ecclesiali di partecipazione e dialogo già esistenti, in tutti i documenti del cammino sinodale è stato scritto che è fondamentale e improcrastinabile procedere in tal senso: sarebbe finalmente l’ora di passare alla messa in atto di tale rilancio.

D’altra parte, proprio nel paragrafo in cui è presente la prima proposta di cambiamento, il linguaggio mi sembra molto involuto – cosa ben diversa dal definirlo generico o scritto in ecclesialese (come hanno sostenuto molti critici della sintesi finale). L’impressione è che non si sia riusciti ad armonizzare una diversità di vedute interna alla Chiesa che, quindi, tanto più si cerca di non dichiarare tale, tanto più si manifesta in modo confuso. 


L'intera riflessione di Sergio Ventura a questo link:

https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/tensioni-ecclesiali-e-involuzioni-linguistiche/


Israele Libano: Done Dial

Intesa raggiunta tra Israele e Libano sul confine marittimo e diritti di esplorazione dei giacimenti di gas offshore. Biden si congratula: “State facendo la storia”.


Libano e Israele hanno raggiunto un accordo per porre fine a un’annosa disputa sui confini marittimi e per lo sfruttamento dei giacimenti di gas che si trovano in quello specchio di Mediterraneo. L’intesa, dopo anni di negoziati mediati dagli Stati Uniti, apre la strada all’esplorazione energetica offshore allentando la tensione tra i due paesi che formalmente non hanno relazioni diplomatiche. “È un risultato storico che rafforzerà la sicurezza di Israele, inietterà miliardi nell’economia e garantirà la stabilità del nostro confine settentrionale”, ha annunciato trionfalmente il primo ministro israeliano Yair Lapid. Gli ha fatto eco il presidente Michel Aoun, affermando che i termini della proposta finale sono soddisfacenti e di sperare che l'accordo venga sottoscritto il prima possibile. 

Colto da una crisi economico-sociale senza precedenti, lo stato libanese dovrà aspettare anni prima di poter sfruttare le risorse eventualmente presenti nelle proprie acque territoriali. E anche se i tempi si dovessero accorciare, non è detto che ciò possa rappresentare quell’ancora di salvezza di cui il paese ha disperatamente bisogno


L'intera notizia e analisi a questo link:



Cosa c’è dietro l’improvviso aumento dei test missilistici della Corea del Nord

Sei lanci missilistici in 12 giorni, 40 in un anno. La Corea del Nord mostra la sua potenza balistica in quella che si può considerare a tutti gli effetti un’escalation militare in Asia orientale.
Gli ultimi tre missili sono stati lanciati nello spazio di due giorni. Il primo, il 4 ottobre: un missile balistico a raggio intermedio ha raggiunto un’altitudine di circa 1.000 km, più in alto della Stazione Spaziale Internazionale, ha volato per circa 4.500 chilometri e sorvolato il Giappone, prima di cadere nell’Oceano Pacifico. Si tratta del primo lancio missilistico verso il Giappone dal 2017 e della distanza più lunga mai percorsa da un'arma nordcoreana, secondo i funzionari di Tokyo e Seul.

 

Sarebbe una grave sottovalutazione ritenere che l’incremento della frequenza dei test missilistici sia il frutto della sola indignazione da parte di Kim Jong-un per le esercitazioni congiunte di USA, Giappone e Corea del Sud in Asia orientale, scriveil giornalista del Guardian, Justin McCurry. Al contrario, spiega il corrispondente da Tokyo, dietro questi test c’è una lucida valutazione del contesto internazionale. 
Gli osservatori di Pyongyang erano convinti che Kim Jong-un avrebbe evitato di intraprendere qualsiasi azione prima del congresso del Partito comunista cinese il prossimo 16 ottobre. Ma, come detto, l’occasione era troppo ghiotta per poter mostrare a tutti la propria potenza balistica. L'instabilità politica globale e i fragili equilibri all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno dato alla Corea del Nord “l’opportunità per provocare i suoi vicini senza temere di incorrere in un altro ciclo di sanzioni”.
Kim Jong-un ha sfruttato la guerra in Ucraina, verso la quale erano rivolte le attenzioni degli Stati Uniti, per stringere legami più stretti con Mosca, e le tensioni tra USA e Cina nello stretto di Taiwan per avvicinarsi a Pechino. 
Queste stesse tensioni si sono poi riverberate nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. 


L'intero articolo a questo link:


Cammino sinodale: Savagnone, “i cattolici in politica devono ritrovare un collegamento profondo nella diversità sulla base della Dottrina sociale”

“Parlare di sinodalità oggi per i cattolici significa superare sia la logica dell’univoca alleanza politica in un partito – che è impensabile e ha avuto i suoi problemi e le sue difficoltà – sia di una pura e semplice diaspora”. 

Lo ha sottolineato Giuseppe Savagnone, responsabile del sito della Pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo, intervenendo alla 71ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale a Frascati per iniziativa del Centro di orientamento pastorale.


Il professore ha ricordato che in Italia “siamo passati dalla stagione del partito cattolico, che ha avuto un ruolo determinante nella storia del nostro Paese, ad una dispersione che ha reso i cattolici irrilevanti nella sfera delle istituzioni, delle strutture pubbliche”. “Questa – ha osservato – è una crisi che rende ormai impossibile per un cattolico incidere nella vita del nostro Paese perché in pratica non solo i cattolici sono divisi ma, soprattutto, non hanno più un terreno comune su cui creare un collegamento tra di loro”. Per questo, “sinodalità deve significare ritrovare un collegamento profondo nella diversità sulla base di un terremo comune che è costituito da un progetto politico formato in ultima istanza dalla Dottrina sociale della Chiesa che i cattolici devono poi tradurre, secondo quello che dice il Concilio Vaticano II nella ‘Gaudium et Spes’ al numero 43, in formule differenti”. “È chiaro – ha precisato – che non si chiede ai cattolici di avere lo stesso programma politico. La Dottrina sociale della Chiesa chiede ai cattolici di avere una comune ispirazione evangelica ed è di questa che purtroppo i cattolici mancano. Al di là della diaspora, oggi il vero problema dei cattolici è che non hanno più un orizzonte comune in cui ritrovarsi veramente coerenti con la loro fede”. Savagnone ha poi affermato di sognare che “i cattolici siano gli ultimi ‘rivoluzionari’ nella società neocapitalistica” ed ha auspicato che le parrocchie siano “scuole di pensiero e di fraternità”. “Salvo felici eccezioni – ha rilevato – dietro i Consigli pastorali non c’è una comunità” perché “manca una formazione organica della comunità, in termini di cittadinanza”.


La visione binaria dell'umanità uomo/donna non corrisponde alla realtà

Viviamo in un mondo di maschi e di femmine. Difficile immaginare qualcosa di più naturale. Ma sappiamo davvero in cosa sono diversi? Cos’è il sesso in biologia? E il genere? Come funziona l’orientamento sessuale? Il mondo è davvero binario? La visione che lo separa sulla base dei due sessi è semplice e ovvia quanto l’idea che fosse il Sole a girare intorno a noi, prima della rivoluzione copernicana. Maschio e femmina sono distinti nella sostanza e nei ruoli. Eppure, questa visione non corrisponde alla realtà. Per un tempo troppo lungo abbiamo trovato differenze dove non ce ne sono e le abbiamo trasformate in dogmi. Abbiamo invece ignorato le differenze davvero importanti. 

La nostra cultura ha strumentalizzato le differenze legate a sesso e genere e le ha esasperate. Al contrario, la scienza le ha ignorate troppo a lungo. Il corpo femminile è stato poco studiato, poco considerato e, di conseguenza, curato male. Per secoli la medicina è stata una medicina dei maschi bianchi per i maschi bianchi. Continuare a ignorare questo gravissimo squilibrio significa ridurre la nostra capacità di curare. Perché, per esempio, siamo più abili a trattare le malattie cardiovascolari negli uomini e la depressione nelle donne? Una rivoluzione nella scienza, nelle nostre abitudini e nelle parole che usiamo è urgente. Può cominciare con la medicina di genere. Antonella Viola ci guida alla scoperta di una medicina giusta, finalmente attenta alle differenze fisiologiche legate al sesso ma anche alle conseguenze che le disparità di genere esercitano sulla salute. “Fare la rivoluzione”, scrive Viola, “significa avere occhi nuovi per guardare noi stessi e il resto del mondo. Occhi nuovi per riconoscere le differenze che contano. E per dare loro valore”. In biologia il sesso è nato come opportunità di adattamento a un ambiente che cambia in fretta. Oggi è diventato la nostra gabbia, perché viviamo in un mondo rigidamente binario. Senza vedere le differenze che contano. Perché esiste il sesso? Che differenza c’è fra sesso e genere? Maschi e femmine sono diversi? E in cosa? Li stiamo curando nel modo giusto?

La registrazione dell'interessante incontro, uno degli appuntamenti della "Fiera delle Parole 2022" avvenuto a Padova, a questo link:

https://www.youtube.com/watch?v=gNH3nNq-kDA

Antonella Viola è un’immunologa e scienziata stimata sia a livello nazionale che internazionale, divenuta particolarmente famosa in virtù del suo ruolo di primo piano nella lotta al Covid-19.

Grazie alla sua capacità divulgativa, è il punto di riferimento di testate giornalistiche e programmi televisivi.
In virtù di un contributo alla biologia molecolare che viene da tutti considerato straordinario, fa parte dell’associazione European Molecular Biology Organization.

Disoccupazione giovanile: Save the Children, in Italia il più alto numero di Neet (23,1% dei 15-29enni) dell’Ue. Oltre il 12% non arriva al diploma

In Italia, il 23,1% dei 15-29enni si trova fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione: il numero dei Neet è il più alto dell’Ue, oltre il doppio di Francia e Germania. Il 12,7% degli studenti in Italia non arriva al diploma, perché abbandona precocemente gli studi. C’è poi una percentuale del 9,7% del totale, quasi un diplomato su 10 nel 2022, “senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università”, quella che viene definita “dispersione implicita” ed è connessa all’impoverimento educativo e materiale.


Anche nel nostro Paese, come in tutto il mondo, la pandemia ha esacerbato differenze e disuguaglianze economiche e sociali costringendo anche i più giovani a dover fronteggiare nuove sfide soprattutto per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro. Molti di loro, senza possibilità o strumenti necessari, hanno abbandonato la ricerca di un posto o di un corso formativo, con conseguenze disastrose per il loro percorso professionale. A sottolinearlo è Save the Children, che insieme ad Accenture promuove oggi a Roma “Lavori e valori”, un evento per riflettere sulle sfide da affrontare per combattere la disoccupazione giovanile in Italia.
“A fronte di un made in Italy a caccia” di 244mila talenti il nostro sembra essere un motore educativo che in molti aspetti sembra girare al contrario, e che ha prodotto il numero più alto di Neet in Europa”, ha dichiarato Daniela Fatarella, direttrice di Save the Children Italia. “Per colmare il mismatch tra le aspettative del mondo del lavoro e l’offerta educativa, ci vuole una strategia integrata che agisca a partire dalla scuola per sviluppare le soft skills, le abilità personali necessarie allo sviluppo della persona, e metta in gioco e responsabilizzi le agenzie formative, le aziende e il mondo del lavoro. Oggi con questo evento abbiamo voluto partire dalla sensibilizzazione di alcuni attori fondamentali in questo scenario, dialogando insieme a loro per favorire la collaborazione fra realtà diverse. Il contributo di Accenture in tal senso è preziosissimo poiché tutti i progetti portati avanti fino ad ora con il loro supporto hanno raggiunto più di 18mila beneficiari, con l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che impediscono ai giovani di accedere ad un lavoro dignitoso, con una particolare attenzione alle categorie più vulnerabili e alle disuguaglianze di genere”.

(Sir)

Il Concilio del futuro, serata speciale di Tv2000, condotta da Gennaro Ferrara, in occasione del sessantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.


Un percorso tra passato e presente, tra memoria e profezia, lungo il sentiero che collega il Concilio Vaticano II al processo sinodale in atto, partendo dalla grande celebrazione dell’11 ottobre 1962 nella Basilica di San Pietro e dall’improvvisato “discorso della luna” pronunciato da Papa Giovanni XXIII quella stessa sera.
Nel corso della trasmissione l’intervista testimonianza a Monsignor Luigi Bettazzi, ultimo padre conciliare italiano in vita, e uno storico filmato dell’Istituto Luce dedicato ad una delle prime Messe beat celebrata, nel 1969 in una chiesa di Prato, sull’onda del rinnovamento della liturgia avviato dal Concilio Vaticano II.

Ospiti della serata: il Cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza episcopale italiana; la teologa Simona Segoloni; il giornalista e vaticanista Gian Franco Svidercoschi; Ernesto Preziosi, Presidente del Centro studi storici e sociali (Censes); Roberto Bettazzi, chitarrista della Messa beat celebrata a Prato.


La trasmissione a questo link:


Giovanni XXIII e il Vaticano II: il popolo di Dio in ascolto dello Spirito

Nel 60° anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico che cambiò la vita della Chiesa, con il pronipote di Roncalli scopriamo cosa voleva realizzare il “Papa buono”



Tutti ricordano il “Discorso della Luna” di Giovanni XXIII: «Cari figliuoli […] qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affacciata stasera a guardare questo spettacolo. […] Tornando a casa troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona». Pochi, però, sanno che quelle parole furono pronunciate in un giorno speciale, l’11 ottobre 1962, 60 anni fa, data di apertura del concilio ecumenico Vaticano II. Fu un discorso non previsto: in piazza San Pietro si stava svolgendo una fiaccolata per concludere con la preghiera la solenne giornata. Il Papa doveva solo impartire la benedizione dalla finestra del suo studio ma, una volta affacciatosi e colpito dallo spettacolo della gran folla illuminata dalle fiaccole, parlò a braccio con quelle memorabili frasi. Ma cosa è stato il concilio Vaticano II che si apriva quel giorno? Perché papa Roncalli aveva deciso di convocare l’assise? Cosa ha cambiato quell’evento nella vita della Chiesa? Perché l’eredità del Concilio è collegata alla “sinodalità” tanto cara a papa Francesco? Ne parliamo con Marco Roncalli, 61 anni, giornalista e saggista, pronipote del “Papa buono”, che ha dedicato molta parte della vita a studiare e raccontare l’illustre parente, in particolare collaborando fianco a fianco con Loris Capovilla, storico segretario di papa Giovanni, creato cardinale da papa Francesco e morto centenario nel 2016. Con monsignor Ettore Malnati, già vicario per il laicato della diocesi di Trieste e studioso del Concilio, Roncalli ha appena pubblicato un libro intitolato Giovanni XXIII. Il Vaticano II, un concilio per il mondo (Bolis Edizioni).


L'intervista a cura di Paolo Rappellino a questo link:


La nostra preghiera ieri

 Nel XXV della dedicazione della nostra Parrocchia abbiamo pregato così:


Signore, le tante lebbre che agitano il mondo ci stanno sfigurando, fa che ci rendiamo consapevoli che tutti abbiamo bisogno di misericordia e compassione, cadranno, così, tutti i pregiudizi, le discriminazioni e finiranno le violenze. Aiutaci Signore

 

Signore, preservaci dalla presunzione e dal senso di superiorità con cui cerchiamo di dominare gli altri; fa che sappiamo riconoscere che niente viene da noi, ma tutto ci è donato da te, e per questo ti ringraziamo.

 

Il 9 ottobre 1963, anniversario del disastro del Vajont e della morte immediata di quasi 2000 persone, sono l’emblema di ciò che può accadere quando a prevalere è l’interesse economico. Per le centinaia di donne e uomini che ogni anno nel mondo, in particolare in Africa e in Sud America, muoiono per difendere la terra che li nutre e li fa vivere. Aiutaci Signore

 

La nostra bella chiesa della Risurrezione, Signore, è un segno che anche venticinque anni dopo, ci spinge a costruire chiesa comunità, famiglia di fraternità. Fa che ogni volta che entriamo ed usciamo da questa chiesa ci chiediamo come servire e amare la gente della nostra città, chi soffre, chi è solo, chi dovrà affrontare l’inverno della crisi. Aiutaci Signore

 

Ieri abbiamo provato a disegnare il futuro della nostra Comunità in questo tempo sinodale. C’è bisogno del mattone di tutti per aprire un cantiere nuovo e rinnovare la nostra vita comunitaria. Aiutaci Signore


La proposta di un gesto:



La prima lettura (2Re 5,14-17) si chiudeva con Naaman il Siro che, guarito dalla lebbra dal profeta Eliseo, chiede di portare con se della terra sulla quale ringraziare Dio.

Il gesto proposto è stato quello di mettere un po' di terra su di una bisaccia da parte di coloro che avevano qualcosa di particolare per ringraziare il Signore ....


Ha messo terra Catherine, una giovane cristiana della Sierra Leone, era il suo grazie a Dio che ha accompagnato la sua mamma nella malattia.



La terra aggiunta da è stato Kelvin il grazie per il Battesimo di suo figlio. 


Hassan, dopo le Colazioni dei poveri, ha aggiunto il suo mucchietto nella bisaccia, perché il grazie fa la differenza e unisce nella comunità della Cita, persone di religioni e provenienze diverse... 



e poi tanti altri, ciascuno con il suo "grazie" ...




nel mentre chi desiderava si accostava a compiere questo gesto, è stato letto questo testo di David Maria Turoldo:

Altrimenti cosa serve venire in chiesa? 


Se non entro per partecipare al dramma della gente 

per soffrire con quel Dio infelice 

che soffre finché non viene riconosciuto dagli ultimi, 

cosa serve entrare in chiesa? 


Perché io sono la terra che prega, 

e anche tu con me: siamo la coscienza della creazione.

L’uomo è così: quando prega è tutta la terra che prega 

e quando bestemmia è tutta la terra che bestemmia.


Perché io sono la terra vivente, 

la coscienza della terra.


Ecco, entriamo nel tempio per portare dentro tutta la terra, 

per partecipare al dramma della gente, 

di chi è ucciso, di chi patisce. 


Perché altrimenti non saprei che cosa significa venire in chiesa.



Infine la foto di gruppo per ricordare il XXV della dedicazione della Chiesa:




L'Assemblea di Comunità

Sabato 8 ottobre la Comunità ha riflettuto sul cammino che sta facendo e, in base anche ai contributi raccolti per il nostro Sinodo ha cercato di delineare sul come procedere.

Molti gli spunti raccolti tra i quali l'esigenza di passare dall'essere un "arcipelago" a realizzare una "rete"; l'invito ad avere più convocazioni come quella di sabato per, guidati dallo Spirito, costantemente verificare il cammino comune.

Verificando poi che si stava costituendo un sentire comune attorno alla necessità di maggiori occasioni di ascolto della Parola di Dio, di condivisione reciproca del confrontarsi su di questa, di accogliere molte richieste su di una maggiore coscienza nel nostro celebrare l'Eucaristia e la vita, si è scelto di aprire tra i tre proposti dalla Cei e il quarto proposto dalla Diocesi, il Cantiere di Betania (vedi questo link: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2022/08/cei-i-cantieri-di-betania-prospettive.html) che riguarda specificatamente questo ambito coscienti che, al suo interno, può confluire la continuazione degli altri nostri Tavoli Sinodali (https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/p/appuntamenti.html) essendo la liturgia il punto di arrivo, di celebrazione e di partenza di tutto il nostro essere cristiani.

Ora in prima istanza questa scelta sarà approfondita dal Gruppo Liturgico che si incontra lunedì 10 alle ore 20.45.

L'Assemblea di Comunità è stata molto intensa tanto che nessuno ha avuto l'idea di fare una foto durante i lavori. Però, dopo il pasto condiviso, alcuni hanno prolungato con un momenti di relax sotto il sole che ancora scalda ...