La preghiera: una responsabilità nella povertà dei mezzi


Vi capita di chiedere a qualcuno di pregare per voi e l’altro subito vi chieda la stessa cosa? “Per favore, prega per me”. Questa domanda nasce da una situazione di dolore e certo uno si risparmierebbe di porla se non fosse un’ulteriore possibilità. Ed è una proposta di amicizia. “Prega per me” vuol dire stammi vicino, ascolta il mio pianto, ce la fai? Anche un prete o un vescovo (Papa Francesco non fa mistero della sua umanità fragile), un familiare o un amico che vive un tempo di grave difficoltà può chiederti: “Affido alla tua preghiera la mia vita”. Ce ne viene allora un senso di grave responsabilità di fronte alla quale si sente la povertà dei propri mezzi, nulla da poter vantare a sostegno della preghiera per quell’amico, che attende. Fai le carte false allora come l’amministratore infedele di qualche domenica fa ed è tutto un trasportarsi ai piedi del Signore, te e l’amico. Chi chiede la nostra preghiera ci fa un grande favore. Perciò non si capisce la subitanea richiesta di contraccambio: “Anche tu per me”. Non c’è ascolto. Certo tutti abbiamo bisogno di essere accolti, ma uno alla volta, per carità. Nei rapporti comunitari (ma non solo) non vale il criterio della reciprocità che pure governa la vita sociale. In una relazione coniugale, per esempio, quel criterio non regge, c’è poco da insistere. “Ah, ma tu… E tu allora?”. Anche nelle comunità, nelle fraternità si è portati ad amare il doppio, per sé e per l’altro. Anche non volendo, cioè malvolentieri, si fa prova che la misura dell’amore è amare senza misura e si arriva quando si arriva. A poco a poco, forse, in lontananza si vede il traguardo, raggiunto il quale potrai finalmente passare a fil di spada la moglie, il marito e l’amalecita.
 
Ora succede a quelli che leggono il Vangelo di approvarlo senza passare per lo scandalo. Eh sì, perché il silenzio che la vedova, qui siamo tutti vedovi ed orfani, riceve alle sue insistenze costituisce scandalo, ostacolo. Quante volte ce ne lamentiamo! Ma la stessa parola di Dio e i Salmi sono un grido continuo al Padre che non risponde perché risponda. Ma allora? Che non sia una sua pedagogia? Forse Egli ci domanda: “Tu vuoi me? Davvero? Rifletti!”.
Noi siamo tutti figli in cerca di Padre a tal punto che averlo vale più di qualunque cosa. Non importa che tu mi dia o no quel che ti chiedo, nulla vale rispetto al conoscerti, non la rivalsa sulle ingiustizie subite, nemmeno la guarigione dal male che mi consuma (ma mi raccomando, Signore!): nulla vale come vederti perché “di te ha detto il mio cure ‘cercate il suo volto’. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (sal 27) ed esultare con Giobbe (cap 42): “Io ti conoscevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere”.
Una meraviglia che poggia sulla certezza: “Io so che il mio redentore vive”. Cioè, dice Giobbe, non è un’astrazione, un pensato, un codice morale, un auspicio: è una persona in carne ed ossa, un amico vivo e vero che, aggiunge la Chiesa, si dà a tutti in quel pane. E questo può essere per noi di nuovo scandalo: Gesù, un Dio che non corrisponde alle categorie psichiche che ci costituiscono: la legge e la colpa, il premio e la condanna come per i Giudei, la ragione e la logica, la plausibilità come per i Greci.
Ma sappiamo che ci manca l’essere: la vita non è ‘da’ noi. Chiunque, sano di mente, sa che siamo ‘alienati’, mancanti. Ora la domanda: è un’alienazione la fede, come alcuni dicono: un riempitivo del vuoto di essere, una fuga dall’angoscia, o è alienazione voltarsi altrove, l’indifferenza e la scelta di non cercare? Sapendo, per esperienza e intuizione, che la misura dell’amore è amare senza misura, cosa che è in modo perfetto in Gesù, lo stesso varrà anche per la fede: la cui misura sarà credere senza misura, senza ‘segni’, senza riscontri, senza dimostrazioni. Sia così.
Allora sarà libero e pronto il cuore nel rispondere con premuroso affetto al dubbio malinconico di Gesù e consolarlo: sì, quando tornerai qualcuno ci sarà ancora ad attenderti.
 
 
(Valerio Febei e Rita)

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