Dodici comportamenti uccidono l’umano, l’immagine della vita di Dio in noi. Contro di queste non c’è alcuna abluzione rituale che possa essere di rimedio.
Per cinque domeniche la Liturgia ci ha proposto la Sezione dei Pani dell’Evangelo di Giovanni che si leva alle ultime due pericopi di Marco nelle quali ci ha fatto riflettere sull’invio dei discepoli in missione Si era notato come i “consigli” sul come attrezzarsi per il cammino richiamasse la cena nella notte dell’Esodo (calzari ai piedi, cintura ai fianchi e bastone in mano) e come l’invio di Gesù non fosse tanto a “predicare” quanto a “fare” un annuncio da dare non a parole ma con la vita, il modo di essere e di agire, tenendo presente l’integrità e le necessità delle persone che si incontravano per via.
Questi due temi sono stati il tessuto connettivo della Sezione dei Pani sia la cena pasquale, assieme all’invito di Gesù, se si desidera essere suoi discepoli, a “darci da fare” concretamente (Gv 6,27) nel vivere come lui è vissuto. Non dunque una adesione intellettuale, ma fattiva nel condividere la realizzazione del Regno del Padre che ha posto e pone anche oggi i discepoli difronte alle proprie responsabilità nella libertà di accettare o meno la sua proposta. Molti a questo punto non se la sono sentita di continuare su di una scelta di vita spesa per gli altri e se ne sono andati. Queste persone non devono essere giudicate o denigrate, ma va compresa e rispettata la loro scelta. Si deve e si può continuare a condividere la vita anche con loro.
Oggi si riprende a seguire l’Evangelo di Marco che ci accompagnerà fino alla fine dell’anno liturgico e ritroviamo Gesù che, dopo aver lasciato Nazareth, si è trasferito a Cafarnao. L’intero capitolo 6 di Giovanni ci ha raccontato le dispute avute nella Sinagoga di quella città e oggi in Marco troviamo il racconto di altre accese controversie con gli scribi e i farisei a riguardo del perdono dei peccati e del digiuno. Gli vengono anche rivolte critiche severe sui suoi comportamenti perché mangiava con i pubblicani e i peccatori, faceva festa con loro, non osservava le prescrizioni del sabato.
Oggi siamo posti di fronte alla contestazione che “alcuni dei suoi discepoli” (quindi non Gesù) prendono “cibo con mani impure, cioè non lavate”. Questo gesto rituale non ha nessun significato igienico, ma era un richiamare al credente che, quando prendeva il pane, toccava qualcosa di puro, riguardante la vita perché era un dono di Dio, frutto della terra e del lavoro dell’uomo; un dono del cielo da condividere con tutti. Questo gesto e questa “memoria” pure nelle parole usate è rimasto fino ad oggi nella liturgia ebraica e anche nella nostra alla presentazione delle offerte durante la celebrazione Eucaristica. Però il ripetere continuamente un gesto, un rito può diventare una abitudine dimenticandoci del significato facendolo diventare un qualcosa di scaramantico e, questo, è un avvertimento anche per noi oggi.
Gesù risponde con durezza: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Qui è necessario fare attenzione perché non c’è un giudizio morale assoluto quale quello che noi oggi diamo a “ipocrita”. Questi era gli attori che portavano sempre una maschera. È questo l’avviso che viene posto: quello di non nascondersi dietro ad alcuna maschera ma di essere sempre quello che si è in verità e pienezza, coscienti di quello che si fa e del senso di quanto si sceglie di fare in piena libertà. È un altro aspetto di quella che viene chiamata “parressia”, il dire “sì sì, no no”, il parlare e il vivere schiettamente senza nascondersi e scendere nella “mormorazione”.
Gesù allora chiama le folle compresi noi per chiarire bene il tema di ciò che pure o impuro: “non c’è nulla fuori dell’uomo che lo possa rendere impuro, è da dentro, dal cuore dell’uomo che vengono le impurità” e presenta dodici comportamenti che uccidono l’umano, l’immagine della vita di Dio in noi. Sei sono al plurale e sei al singolare.
“Prostituzioni”: tutte quelle situazioni della vita nelle quali ci si vende per interesse. “Furti”: sono tanti i modi ne quali si può rubare; dall’accumulo per ingordigia, al far carriera al posto di un altro. “Omicidi”: ben sapendo che, come dice il detto, ne uccide più la lingua che la spada. “Adultéri”: ogni asservimento dell’altro al proprio piacere. “Cupidigie”: ti portano non a condividere ma ad accumulare esclusivamente per se stessi. “Malvagità”: l’essere preconcettualmente sospettosi dell’altro condividendolo con gli altri.
“L’inganno”: il vivere di imbrogli a spese degli altri. “L’impudicizia”: fare ad ogni costo ciò che piace in ogni campo, non solo in quello della sessualità. “L’invidia”: dispiacersi quando qualcun altro ha qualcosa che io non ho o posso avere. “La calunnia”: in greco è il rifiuto della verità perché non fa comodo. “L’arroganza”: voler essere sempre al centro delle attenzioni. “La stupidità”: non saper orientare nel modo corretto le scelte della propria vita.
Sono queste le cose che rendono impuro l’uomo facendo morire la sua umanità e contro di queste non c’è alcuna abluzione rituale che possa essere di rimedio. Quest’ultimo va cercato altrove.
(BiGio)