La questione è sempre la stessa. Affinché integrazione non significhi colonialismo culturale è necessaria un’interazione tra culture, tra mores diversi. Una lenta e sapiente contaminazione di costumi. L’umanità è sempre andata avanti così. Ma fino a che punto tutto ciò è possibile senza che l’accettazione di costumi diversi intacchi i principi costituzionali di dignità della persona, uguaglianza e libertà?
Una sentenza della Corte d’appello di Torino ha recentemente assolto i genitori Rom dal reato di maltrattamento delle figlie (percosse abituali ma anche percosse alla moglie in presenza delle minori – c. d. “violenza assistita”) in quanto gli imputati ritenevano che la violenza fosse “l’unico strumento disponibile per garantire ordine e disciplina in seno alla famiglia e nei rapporti tra le bambine” e in quanto il contesto (famiglia numerosa in un campo nomadi, «fisiologica esuberanza» delle bambine) fa sorgere dubbi sulla coscienza e volontà di sottoporre le figlie a qualsivoglia maltrattamento. Il substrato culturale avrebbe insomma indotto nei due genitori imputati una mancata consapevolezza della propria condotta oggettivamente violenta.
Non c’è nulla di totalmente nuovo. Se si vanno a rileggere le discussioni che negli anni ’60 accompagnavano l’applicazione delle norme (allora ancora in vigore!) del ratto a fine di matrimonio e del matrimonio riparatore - soprattutto quando questi fatti venivano commessi nelle città del nord da giovani immigrati dal meridione – si vedrà che gli argomenti usati pro o contro quegli articoli ritornano nelle nostre discussioni di oggi....
L'articolo di Paolo Borgna continua a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202407/240718borgna.pdf
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