Simone Weil è una filosofa che ha tutto per sedurci. Morta a 34 anni nel 1943, ha aggirato gli scogli delle ideologie dominanti per approdare a una sintesi tra socialismo e pensiero libertario, impegno politico e afflato spirituale. Alla fine lo spirituale ha prevalso sul politico, ma nessuno può dire come sarebbe ancora evoluta se non fosse stata stroncata prematuramente dalla tubercolosi.
Non tutti sanno però che Weil fu in giovane età una fervente militante sindacalista rivoluzionaria, incuriosita dalle posizioni di Lev Trotsky – che conobbe e con cui litigò nel suo appartamento parigino – prima di coglierne l’opportunismo. Nel frammento autobiografico raccolto in Attenzione e preghiera, Weil racconta di come la carità cristiana – che per lei coincide con la giustizia – l’aveva condotta al lavoro in fabbrica e di come quell’esperienza l’aveva cambiata. «Là ho ricevuto, per sempre, il marchio della schiavitù, come il marchio che i Romani mettevano sulla fronte dei loro schiavi più disprezzati. Da allora mi sono sempre considerata una schiava». Gli schiavi, aveva capito presto la filosofa, c’erano anche in Unione Sovietica....
L'articolo di Raffaele Alberto Ventura è a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202407/240718ventura.pdf
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