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Festa che spiazza e sconcerta, ma ci chiede di tenere assieme la speranza nelle situazioni difficili

Di seguito alcuni brani dell'intensa omelia di fr. Luciano, priore di Bose e il link dove, eventualmente leggera per intero



La Trasfigurazione è un evento che, nello svolgimento narrativo del secondo vangelo sorge inatteso, paradossale, quasi come un ossimoro. Narrativamente è spiazzante. Gesù ha appena annunciato la sua passione, la sua sofferenza, la sua morte violenta e la sua resurrezione, incontrando l’incomprensione e il rigetto da parte di Pietro (Mc 8,31-33) e subito dopo ha esteso il cammino di sofferenza e assunzione di croce a chiunque lo voglia seguire (Mc 8,34-38), ed ecco la rivelazione luminosa che evidenzia Gesù come inviato e rivelatore del Padre, ecco la voce del Padre che proclama il suo sì su Gesù - “il Figlio mio, l’amato” - dice la voce celeste, ecco il sigillo che Dio pone su Gesù, ed ecco la sua autorevolezza attestata dalla voce dall’alto rivolta ai discepoli e a tutti noi: “Ascoltatelo”. Ma forse, questa dimensione di scandalo, di inatteso, di paradosso, dice più qualcosa della nostra fede e della nostra comprensione che non della narrazione evangelica stessa. In fondo ciò che spiazza non dovrebbe essere che dopo l’annuncio del futuro doloroso e tragico ora vi sia la manifestazione della divinità che abita in Gesù. Ciò che dovrebbe sconcertarci e colpirci è che l’annuncio che Gesù fa non è semplicemente, come si ostinano a ripetere anche i titoli della Bibbia italiana, “il primo (o secondo o terzo) annuncio della passione” sottolineando solo e soltanto la dimensione dolorosa, ma è sempre annuncio della passione, della morte e della resurrezione (Mc 8,31; 9,31; 10,34). Questo è l’elemento sconcertante. 

(...)

Pietro, che poco prima aveva rimproverato aspramente Gesù di fronte alle sue parole sulla passione e morte, ora estasiato nella beatitudine dell’esperienza spirituale, proclama la bellezza di ciò che vede e di ciò a cui assiste. Pietro si fa portare dall’entusiasmo, ma il commento dell’evangelista afferma che Pietro non sapeva che dire, non sapeva come rispondere all’evento, resta interdetto, e ciò che pronuncia ha la consistenza di un soffio, di un niente, di una reazione, appunto, più emotiva ed epidermica che profonda. È solo l’effetto della paura: “infatti erano spaventati”, commenta Marco. Erano preda della paura, ne erano ostaggi. La paura cattura, si impossessa, impedisce di ragionare, di essere in noi stessi. Due reazioni differenti dunque, quelle di Pietro, la prima di rigetto, la seconda di entusiasmo, ma entrambe inadeguate, immediate, non riflesse. Entrambe dicono una maniera di rapportarsi alla realtà superficiale, parziale e soggettiva, incapace di tenere insieme ciò che deve essere tenuto insieme. Come va tenuta insieme la fede nella resurrezione con un cammino che comporta sofferenza, dolore e morte. Come va vissuta la fede nella resurrezione mentre si vivono esperienze di morte. Concrete esperienze di morte durante la vita. Solo allora la fede nella resurrezione non è mera formula teologica, ma vita, esistenza, prassi.

Questo ci chiede la trasfigurazione: tenere insieme la fede nella resurrezione all’interno di cammini disseminati di sofferenze e contraddizioni, di inimicizie e ostilità, di comportamenti incomprensibili e irricevibili. Non di questo c’è da stupirsi o da scandalizzarsi. Pietro, il testimone oculare della trasfigurazione, lo dice nella sua prima lettera: “Non meravigliatevi della persecuzione che, come un incendio, è scoppiata contro di voi, come se vi accadesse qualcosa di strano” (1Pt 4,12). Tenere insieme la speranza della resurrezione mentre si vivono situazioni di morte. Questo ci chiede la Trasfigurazione. Come suggerisce la finale del racconto di Marco, i discepoli che scendono dal monte sono chiamati a tenere insieme queste dimensioni, vedendo ormai Gesù solo. Il solo Gesù. Vedendo Gesù come l’avevano sempre visto anche prima. Il Gesù le cui vesti non sono luminose, che non conversa con Elia e Mosè, che non è accompagnato da una voce dal cielo che ne proclama l’autorità ed esige che sia ascoltato. Il Gesù che nasconde e rivela la luce divina nella sua prassi di umanità, nel suo camminare tra gli uomini, nel suo attraversare le sofferenze e le umiliazioni continuando a credere la resurrezione. A sperare la resurrezione. A vivere la resurrezione amando. Lì la luce. La luce della resurrezione. La luce dell’amore.


Di seguito il link dove poter leggere l'intera omelia:

https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/14665-la-luce-forma-divina


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