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Eutanasia, libero arbitrio contro le sofferenze insopportabili o «passo avanti verso l’omicidio legalizzato»?


di Alessandro Tronino - Rassegna Stampa del Corriere della Sera del 18 agosto 2021

La battaglia per l’eutanasia è cominciata 37 anni fa, con la proposta di legge depositata nel 1984 da Loris Fortuna, il socialista padre della legge sul divorzio, insieme ai radicali. Poi mille sentenze, mille tentativi, mille casi drammatici come quelli di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, Dj Fabo. Ma soltanto oggi si ha l’impressione che il tema – così drammatico, così eticamente controverso –stia entrando nella coscienza dei cittadini e sia diventato una questione vera, su cui dibattere e dividersi. 

Ancora una volta la spinta è arrivata dalla grande famiglia (litigiosissima e frammentatissima) dei radicali. A cominciare da Riccardo Magi (+Europa), che ha lottato e vinto la battaglia per ottenere la legalità delle firme digitali, da aggiungere al vecchio strumento dei banchetti. E soprattutto grazie a quel Marco Cappato che molti vedevano come l’erede naturale di Marco Pannella e che - da tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e legittimato da un impegno che lo ha coinvolto personalmente e giudiziariamente -, sta conducendo con forza la campagna radicale. 

Il referendum si propone di cancellare, quindi depenalizzare, la prima parte dell’articolo 579 del codice penale, che prevede fino a 15 anni di carcere per il reato di omicidio del consenziente. L’obiettivo del Codice Rocco (varato nel 1930, in pieno fascismo) era affermare la superiorità dello Stato e della nazione sulla libertà individuale. Ora Cappato vuole affermare il contrario, soprattutto per contrastare quella che alla trasmissione di Radio 3 Tutta la città ne parla, chiama l’eutanasia clandestina: «Oggi un migliaio di persone all’anno si suicidano nelle condizioni più terribili. Poi ci sono i viaggi in Svizzera, per chi se lo può permettere. E poi c’è l’eutanasia pietosa, di un medico compiacente, con tutti i rischi e le opacità connesse». Se passasse il referendum, resterebbe comunque vietata l’eutanasia per minori e per disabili psichici. Cappato ricorda come non ci sia stato «l’invito alla firma da parte di nessuno dei grandi capi dei grandi partiti». Ed è vero, perché il tema divide trasversalmente tutti i partiti, che preferiscono non occuparsene direttamente. Ed è uno dei motivi dell’inerzia del Parlamento. Ma è anche la forza di un movimento che, dice Cappato, ha trovato soprattutto l’entusiasmo dei giovani e che non ha bandiere. 

Non è un segreto che il principale avversario del referendum sia la Chiesa, come è stato per divorzio e aborto. Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha messo in guardia da «una concezione vitalistica della vita, una concezione giovanilistica e salutistica in base alla quale tutto ciò che non corrisponde ad un certo benessere e ad una certa concezione di salute viene espulso. C’è la tentazione di una nuova forma di eugenetica». Davvero si tratta di questo? L’eugenetica è una dottrina ottocentesca, poi ripresa dal nazismo, che si proponeva di «migliorare» la specie, attraverso il trattamento delle malattie e la selezione dei caratteri ereditari. Cosa ha a che fare con la possibilità per un malato terminale o in preda a sofferenze insopportabili di chiedere a un medico di morire? Cappato risponde così, a Concetto Vecchio, su Repubblica: «La Chiesa parla di “salutismo giovanile”, con riferimento alla mobilitazione dei ragazzi, come se fossero scelte superficiali. Parlare di eugenetica significa fare riferimento a fenomeni storici che non c’entrano nulla. L’eutanasia legale è fondata sulla volontà libera della persona». 

Ma anche quella, e forse soprattutto quella, è messa in discussione dalla Chiesa. Lo spiega bene un articolo sulla Stampa di Lucetta Scaraffia, storica e femminista, già vicepresidente di Scienza e Vita ed ex curatrice dell’inserto dell’Osservatore Romano «Donne Chiesa Mondo». Scrive Scaraffia: «Lasciare tutto alla scelta individuale del paziente è un modo per sfuggire alla responsabilità del medico e del giudice, per addossare tutto sulle spalle del malato. I legami di solidarietà continuano a degradarsi in nome dell’autonomia totale della persona. Insistere sull’assoluta libertà di scelta nel morire non fa che sottolineare la solitudine del morente che caratterizza la società contemporanea: nelle società democratiche il morente è la figura estrema dell’individuo, staccato da ogni affiliazione collettiva. Norbert Elias sostiene che questa desocializzazione della morte lascia l’agonizzante completamente da solo con la sua responsabilità, privo di conforto e di condivisione». Si potrebbe obiettare che prendere in considerazioni le volontà del malato terminale non significa lasciarlo solo nella scelta e che troppo spesso, proprio oggi, le persone sono lasciate sole a prendere decisioni tragiche. L’altro tema usato spesso contro l’eutanasia è che in fondo si tratta di una sorta di accelerazione della morte, che contrasta con il ciclo «naturale». Scaraffia cita Jean Leonetti, deputato socialista francese contrario all’eutanasia: «La morte è sempre una frattura dolorosa. I medici sanno anch’ essi che i fine vita senza sofferenza e senza sintomi sono rari malgrado tutte le possibilità mediche attuali. Questa ricerca della morte senza fastidi è una illusione e la medicina si trova una volta ancora impreparata davanti alla missione impossibile che gli è stata assegnata: sopprimere la tragicità della morte. Le richieste di suicidio assistito e di eutanasia nascono spesso in un contesto d’impazienza: se la malattia è mortale, se una persona è destinata a morire a breve, è meglio provvedere subito. Niente inquieta di più dell’attesa della morte, che mette a nudo la nostra ignoranza, la povertà della nostra secolarizzazione, la nostra paura davanti al mistero». 

Riflessioni filosofiche interessanti, che si possono non condividere ma che impegnano tutti a una risposta. Sicuramente più sfidanti, per un sostenitore del referendum, del tirare in ballo la teoria del «piano inclinato», che è uno degli argomenti tipici dei conservatori contro ogni forma di progresso: se rendi legale qualcosa, quello è il primo passo per farne un’altra. Se fumi una canna, direbbe Carlo Giovanardi, finirai inevitabilmente per scivolare nella droga, diventando eroinomane. Scaraffia giunge a una conclusione piuttosto sconcertante, quando scrive: «L’insistenza sulla libertà individuale nasconde una realtà inquietante: legalizzare l’eutanasia è un passo che una società compie verso la cancellazione del divieto di omicidio. La possibilità di ammettere l’eutanasia, scrive Leonetti, “farà cadere la proibizione più importante di una società democratica”». Non si capisce, in verità, cosa c’entri l’omicidio, se non attribuendo alla vita quel carattere sacro e intangibile a ogni costo, perché donata da Dio, che è il presupposto della fede cattolica. Nel nome dell’apologia della sofferenza («partorirai con dolore»), si legittima l’indisponibilità degli essere umani a sottrarsi a sofferenze atroci derivanti da malattie terminali, attribuendo la scelta sul loro destino a estranei, giudici o medici. O, peggio, relegandoli nella clandestinità. Tesi che neanche tutti i cattolici condividono fino in fondo. E allora meglio rifarsi a un’altra frase della Scaraffia, contraddetta dal suo finale: «In Italia il dibattito è fossilizzato in uno scontro tra credenti e non credenti» Vero, bisogna uscirne. Anche perché questa contrapposizione, come si è visto in altre occasioni, non è più così forte né decisiva.

 

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