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Attenzione a non confondere la simbologia di Giovanni con quella dei Sinottici

La festa dell’Ascensione ha interrotto la continuazione della lettura del cap. 6 di Giovanni nella sezione, che propone la XX Domenica PA, nella quale Gesù dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue alla vita eterna e io lo risusciterà nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo è il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e di lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”.

In merito ecco una riflessione e una stimolante innovativa proposta di Xavier Lèon-Dufour

(Parigi, 3 luglio 1912 – Parigi, 13 novembre 2007); è stato un gesuita e un grande teologo francese

Xavier Lèon-Dufournel suo fondamentale commento all’Evangelo di Giovanni, avverte di stare attenti perché la simbologia di questo Evangelista è molto diversa e non va confusa con quella che troviamo nell’istituzione dell’Eucaristia (che Giovanni non narra) dei Sinottici nei quali Gesù dice: “Ecco il mio corpo per voi … ecco il mio sangue per voi”.

In Giovanni invece si trova: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue”. Questa espressione di Gesù si trova solo ed unicamente nel quarte Evangelo, nemmeno in Paolo. 

Di fronte a questa affermazione c’è, da parte dei presenti, una reazione comprensibilmente disgustata: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. 


Il fatto è che il quarto Evangelista non parla affatto della realtà fisica del sangue e della carne di GesùNella sua simbologia del sesto capitolo tutto centrato sulla fede da raggiungere, significa la necessità di accoglierle nella fede Gesù.

Bisogna perciò stare attenti a non fare l’operazione di voler confermare l’Istituzione dell’Eucaristia narrata dai sinottici con quanto vuole trasmetterci Giovanni: non hanno l’uno con l’altro nulla a che vedere. Quindi, l’insistere su carne e sangue come se questo valorizzasse la “presenza reale” nell'Eucaristia, porta fuori strada.


Dove vuole allora portarci Giovanni con la sua simbolica del “nutrimento”? Lo si trova in quello che Gesù dice quando annuncia il frutto dell’aver mangiato la sua carne e bevuto il suo sangue: il credente “dimora in me ed io in lui” (Gv. 6,56). Questo dimorare non ha nulla a che vedere con il processo del nutrirsi che fa l’uomo per il quale ciò che mangia diventa sostanza di colui che lo digerisce.

 

Xavier Lèon-Dufour propone allora una diversa immagine e ritiene preferibile ricorrere al fenomeno umano della trasmissione della vita:


“La madre comunica la sua vita all’embrione non dandogli un qualche nutrimento, come il latte che essa darà in seguito al suo bambino, ma attraverso il contatto intimo della placenta con la mucosa uterina. Il piccolo essere si sviluppa così nell’unione, senza digerire l’altro. 

Dimorarereciprocamente significa essere presenti l’uno all’altro senza alcuna fusione né confusione, ma in una perfetta comunione

Questa comunione della madre e del bambino è simboleggiata dalla respirazione unica della madre: l’aspirare e l’espirare del bambino sono l’aspirare e l’espirare della madre. Si può immaginare una unità più perfetta? E tuttavia rimangono due.


Non si potrebbe allora comprendere la simbolica “carne e sangue” mediante la nozione di “presenza”? Si parte dal contatto corporale per giungere alla presenza psicologica e infine alla presenza “spirituale”, la più profonda che esista. Il presupposto di questa progressione è che il reale non è anzitutto il corporeo; la “presenza reale” è essenzialmente “l’incontro reale” del credente con il suo Signore. 


In questo modo il rischio di cadere in una interpretazione fusionista sembra scongiurato se si rimane attenti al posto che Dio, il Padre, occupa nell’intero discorso. Egli attira, istruisce, dona, egli è il vivente, colui che bisogna ascoltare per venire a Gesù. 


Come dicono gli psicologi, la relazione a due e sempre in pericolo senza una terza persona. Gesù non propone una relazione intensa con lui se non nella misura in cui essa è l’efflorescenza della sua relazione con il padre.”


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