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Quei muri di Erdogan e Atene Un’altra vergogna per l’Europa

 Un’estate di morte e dolore, alla quale potrebbero seguire settimane drammatiche, con decine di migliaia di afghani in fuga verso una vita migliore e un mondo attorno che non ha le risorse, non di rado la volontà, di gestire una crisi umanitaria persino più grossa di quella siriana. L’unico “rimedio” a cui si ricorre è quello più facile, crudele, ormai stampato negli occhi di molti: i muri. Muri che per fermare finiscono invece di isolare l’intera Europa. 



Nelle ultime ore, tanto la Turchia, quanto la Grecia, hanno fatto sapere di avere rafforzato i propri confini. Ankara ha ultimato la costruzione di una recinzione lunga in totale 295 chilometri, molto simile a quella che si trova sul confine con la Siria. Si tratta di una fortificazione munita di sofisticati sistemi per rilevare la presenza di persone e oggetti, anche nelle ore notturne, come sensori a infrarossi, telecamere e meccanismi elettronici di controllo del perimetro. Negli ultimi giorni, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a fare la voce grossa contro la Ue, dicendo chiaramente che la Mezzaluna «non è il deposito di migranti della Ue», con il chiaro riferimento agli accordi economici stretti negli scorsi anni dove, in cambio di denaro, i rifugiati siriani sono rimasti in Turchia. 

Da settimane, migliaia di afghani si ammassano sul confine fra Iran e Turchia, ma sono fermati dall’esercito e anche da privati cittadini turchi. La preoccupazione più grossa è quella di Atene, che teme scene come quelle dell’anno scorso, quando Ankara spinse contro la frontiera di terra oltre 10mila migranti, o che si ripeta la maxi-ondata migratoria da oltre un milione di persone del 2015. Il governo Mitsotakis ha reso noto – quasi con un tono trionfalistico – di aver completato, a tempo di record, la costruzione di una barriera di 40 chilometri al confine con la Turchia: in realtà i lavori sono iniziati più di due mesi fa. Da giorni, poi, il confine è stato rafforzato con la presente di forze di sicurezza, pronte a intervenire nel caso in cui il flusso migratorio dovesse aumentare. Ieri il premier greco ha avuto un colloquio telefonico proprio con il presidente turco. Ne hanno concluso che una nuova ondata è «inevitabile» e che quindi sono Pakistan e Iran, i due Paesi limitrofi, a doversi fare carico dell’emergenza, pur con aiuti da altre regioni. L’Iran però ha sul suo territorio 800mila afghani registrati e due milioni che vivono lì illegalmente e ai quali Teheran ha fatto appello perché tornino a casa. Il Pakistan ospita già oltre 1,5 milioni di afghani regolari e diverse centinaia di migliaia che sono entrati nel Paese senza documenti e che vivono come fantasmi, in condizioni misere pur di sfuggire all’orrore dei taleban. Secondo l’Acnur/ Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, da inizio anno sono oltre mezzo milione gli afghani scappati all’estero. L’Europa non è pronta e non vuole esserlo. L’Austria, l’Ungheria vorrebbero istituire centri di espulsione per i migranti afghani respinti, idea che non dispiace nemmeno a Danimarca e Olanda. Frontex, l’agenzia che pattuglia i confini, è rafforzata per poter meglio fare fronte (e respingere) i flussi migratori. Ci sono poi i migranti in transito, sospesi fra un muro e altro, come le decine di persone al confine con la Serbia e che cercano disperatamente di passare in Ungheria o Bulgaria, quindi nell’Unione Europea, ma davanti a loro trovano solo filo spinato e uomini in divisa pronti a respingerli. 

Marta Ottaviani

Avvenire 22 agosto 2021


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