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Quelle parole di fede (e di speranza) da annunciare con coraggio

La 57a sessione di formazione ecumenica del Segretariato attività ecumeniche (Sae) sul tema «“Racconterai a tuo figlio” (Es 13,8)



Si è concluso domenica al monastero di Camaldoli, nella diocesi di Arezzo-Cortona Sansepolcro, la 57a sessione di formazione ecumenica del Segretariato attività ecumeniche (Sae) sul tema «“Racconterai a tuo figlio” (Es 13,8). Le parole della fede nel succedersi delle generazioni. Una ricerca ecumenica». Nella restituzione finale dei partecipanti è emerso il particolare gradimento per un’edizione che ha proposto un tema vitale svolto da un’assemblea variegata e custodito dagli spazi e dai tempi di una comunità monastica accogliente. In un luogo millenario le nuove tecnologie hanno permesso di rendere fruibili gli incontri in streaming. È cresciuta la presenza dei giovani, alcuni dei quali hanno condotto dei laboratori, mostrando che la trasmissione intergenerazionale delle parole della fede non è a senso unico. 

La gioia per essersi ritrovati dopo un anno e mezzo di pandemia è stata l’atmosfera nella quale si sono svolti i lavori. Frutti dell’elaborazione di otto laboratori sono stati sguardi ecumenici e parole inedite per confessare e testimoniare la fede, e proposte operative che il Sae è stato invitato a rilanciare come la costituzione formale di un Consiglio nazionale delle Chiese a partire dal gruppo informale esistente. La società post-moderna con le sue incertezze e sofferenze è il luogo dove i discepoli di oggi sono inviati, a imitazione di Cristo, per rivolgere una parola di speranza alle nuove generazioni, ha detto l’abate di San Miniato al Monte, dom Bernardo Gianni. «Non con ansia catechistica: ciò che conta è come accompagnare ». Questo verbo richiama la toccante testimonianza di Valeria Kadhija Collina, madre di Youssef Zaghba, ucciso dalla polizia dopo l’attentato di Londra del 2017 che aveva provocato la morte di otto persone. Intervistata da Riccardo Maccioni, caporedattore di Avvenire, ha raccontato i passi del figlio verso l’irreparabile, che il suo accompagnamento di madre non ha potuto evitare. 

«Quali tempi e spazi per la ricezione e la trasmissione della Parola» è stato il sottotema svolto ieri da Cettina Militello, Daniele Parizzi e Ionut Radu. Per la teologa cattolica, occorre decostruire le forme storiche in cui la Parola ci è data per cogliere significati che siano validi qui e oggi. «Tutto ruota attorno a un Dio che si estrinseca, tutto diventa il corpo che il Verbo prende, il corpo per noi donato, il corpo che noi siamo. Rinunciare a questa cifra significa rinunciare a ricevere e trasmettere». Allora che cosa bisogna fare, si è chiesta. «Riscoprire la prossimità, riacquisire la cura, decentrarsi, aprirsi alla “Chiesa del poliedro”. Non posso non invocare il novum dello Spirito, confido in un tempo, questo nostro di grazia, in cui di nuovo e diversamente le parole della fede possano essere ricevute e trasmesse. Invoco lo Spirito perché ci consoli e ci faccia comprendere le sue vie. Invoco il suo soffio gentile e gagliardo perché ci riporti all’ascolto e alla testimonianza, perché di nuovo arda il nostro cuore e ci renda capaci di infiammare i cuori degli altri che come noi sono in cammino nello spazio-tempo che ci è stato donato. Prego perché lo Spirito di Dio faccia di questo spazio tempo il suo Regno». Nelle conclusioni Erica Sfredda, coordinatrice del gruppo liturgico, ha ripercorso i momenti della settimana vissuti come doni ricevuti e condivisi in uno spirito ecumenico. Il presidente del Sae, Piero Stefani, ha riletto la sessione attraverso un apologo autografo che ha come protagonista la lente di papa Giovanni XXIII, ricevuta in dono dal Sae, concludendo: «La speranza, non meno della grazia, è sempre a caro prezzo». 

 

Laura Caffagnini 

in “Avvenire” del 1° agosto 2021 

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