L’obbedienza alla Parola è ciò che conta e le due figure che la Liturgia oggi ci presenta hanno proprio questo tratto in comune; è questo che li conduce al Bambino e ne intreccia le esistenze. L’invito che ci viene fatto è di fare come Maria e Giuseppe, Simeone e Anna
Oggi, 2 febbraio, si celebra la festa della “Presentazione di Gesù al Tempio”, “Ipapante” in Oriente che significa “Incontro del Signore” con Simeone che lo riconosce come “luce per le nazioni” e il Messia promesso. Nella liturgia orientale ma nella tradizione anche in quella occidentale, è accompagnata dalla benedizione delle candele che simboleggiano il Cristo venuto per illuminare le genti.
Questa festa fa interrompere il percorso dell’anno liturgico ma permette di soffermarsi ancora una volta sul dono dell’Incarnazione che si può vedere in filigrana come una logica sottostante, il segno caratterizzante della Parola di questo periodo. Se facciamo memoria, tutto fin qui si realizza come dono: “ci è stato donato un figlio” (Is 9,6). Questo è ciò che hanno vissuto per primi Maria e Giuseppe, ma dopo di loro, i pastori, i Maghi, l’intero popolo ed è questo che per grazia è vissuto da ogni credente.
Ogni nascita lo sanno bene per esperienza ogni genitore, è grazia, dono stupefacente: un figlio non è un “prodotto”, è un dono affidato che poi prenderà il volo a sua volta generante. Ne sono ben coscienti Maria e Giuseppe che “compiuti i giorni della loro purificazione rituale, portano il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore”. La purificazione nella tradizione è solo della madre a causa del parto perciò questa sottolineatura di Luca che coinvolge anche il padre, desidera dirci l’unità degli sposi che diventano nel Signore un’unica carne (Mc 10,6-8).
Il loro “portare” il bambino, è un movimento che ha un fine preciso, riassunto dalle parole di Luca con due verbi fondamentali, pregni di vita: “presentare” e “offrire”. Due verbi che stanno all’interno della stessa logica del dono. Quel “portare” ha inoltre un destinatario preciso: il Signore, un luogo preciso: il Tempio in Gerusalemme e un mezzo preciso: la legge del Signore. Tutti e tre – destinatario, luogo e mezzo – sono espressioni che manifestano i continui doni del Signore in una relazione tra Dio e l’essere umano nella modalità dell’Alleanza.
L’obbedienza di Maria e Giuseppe non ha nulla di legalistico, di formale, di ritualistico: il dono della Vita ricevuto attraverso quella nascita, ora presentato e offerto, tratteggia una nuova tappa dell’Alleanza di Dio con l’umanità. Incarna e attualizza la medesima logica del dono di cui la legge del Signore è espressione. Quando questa Legge è vissuta nel tempio delle nostre esistenze, fa crescere e ben maturare il dono di vite come quelle di Simeone e Anna. Luca ce le offre come figure ispiranti anche il nostro personale dono al Signore: Simeone, una “vita sempre a casa” presso la dimora di Dio; Anna, mai lontana dalla presenza del Signore; due “vite a braccia aperte”, sempre attente e pronte ad accogliere i doni di Dio.
Insieme rappresentano il “resto” fedele del popolo d’Israele che aspetta attivamente nella fede la “redenzione di Gerusalemme”, cioè il compimento della salvezza promessa dal Signore per Israele e tutti i popoli. Anna conferma la profezia di Simeone con la sua presenza inaspettata e si pone come profetessa evangelizzatrice: “Parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. Simeone preannuncia la contraddizione che si rivelerà al cuore stesso della vocazione del Messia e che “trafiggerà come una spada” l’anima di tutti i discepoli rappresentati dalla figura di Maria. Paolo scrive: “la parola di Dio è come una spada che arriva fino alle giunture e alle midolla e al punto di divisione dell’anima e dello Spirito” (Eb.4,12-16).
Simeone (che significa “il Signore è ascoltato”), da profeta radicato nelle Scritture, intuisce la crisi, il giudizio doloroso che si preannuncia. Anna, senza rinnegare la sua profezia di consolazione sembra proiettarsi già nella gioia della risurrezione, raggiungendo in anticipo, profeticamente, la lode e lo stupore delle prime testimoni davanti alla tomba vuota.
L’obbedienza alla Parola è ciò che conta e le due figure che la Liturgia oggi ci presenta hanno proprio questo tratto in comune; è questo che li conduce al Bambino e ne intreccia le esistenze. L’invito che ci viene fatto è di fare come Maria e Giuseppe, Simeone e Anna: sia questa obbedienza guida delle nostre vite che ci rende una fraternità.
(BiGio)
Nessun commento:
Posta un commento