Dopo le diverse rivelazioni di Gesù (agli ultimi, agli stranieri, al popolo d’Israele), la Liturgia ce lo ha presentato quando ha dichiarato quale fosse la sua missione: dare l’avvio all’Anno di Grazia del Signore, il Giubileo, il Regno di Dio nel quale tutti sarebbero stati liberati dalle schiavitù che impediscono di realizzare la vita nella pienezza alla quale è chiamata. È accaduto in un giorno festivo, il sabato, in una situazione ufficiale, la celebrazione liturgica. In queste occasioni la sottolineatura è sempre stata come Gesù frequentasse la Scrittura fino al punto di sentirla non solo rivolta a se stesso, ma coinvolgendosi talmente da sentirsene interprete ed era un invito a noi di fare altrettanto.
Domenica scorsa cambia completamente la location: si era in un giorno lavorativo qualsiasi e, mentre la folla lo pressava per ascoltare la Parola di Dio, c’è un incontro casuale con Simone che, stanco dopo una notte di inefficace lavoro, rassettava le reti con i suoi garzoni. Gesù lo coinvolge e gli propone di diventare “pescatore di uomini” letteralmente “prenderai i vivi”, cioè toglierai gli uomini dalla realtà nella quale possono trovare la morte che coincide con quel “liberare i prigionieri”; un invito rivolto a tutti e infatti alcuni dei presenti con Simone fanno la scelta di seguirlo. Per farlo lasciano tutto diventando così quei “poveri” che oggi Gesù proclama “beati” perché hanno scelto di vivere nel Regno di Dio appena iniziato dove, anziché accumulare per sé, si condivide tutto ponendo attenzione al bisogno dell’altro.
Ma attenzione, le beatitudini oggi proclamate non sono un invito ad un’etica da mettere in pratica, bensì la presa di coscienza di un modo nuovo di vivere e di pensare in rapporto con Dio e al suo Regno. La stessa povertà (non la miseria che Gesù ha sempre condannato perché degrada l’umanità) non è una condizione previa per poter essere dichiarati beati, piuttosto una scelta di campo, di responsabilità. Per questo nella versione di Luca si trovano quattro “beatitudini” e quattro “guai” contrapposti mettendo a diretto confronto in un brutale vis-à-vis poveri e ricchi, affamati e sazi, afflitti e gaudenti, perseguitati e gente ammirata, lodata e stimata. Binomi che impongono di chiedersi da che parte si sta tra l’autosufficienza e la fiducia nel Signore, ovvero tra l’idolatria e la fede.
Gesù qui non fa un discorso teorico ma testimonia il suo modo di vivere nel quale desidera coinvolgere tutti nell’apertura al Regno del Padre. La beatitudine è allora l’essere stati nella propria disponibilità e attenzione raggiunti dall’azione del Signore che è venuto a portare ai poveri la buona notizia e a far presente che c’è ancora tempo per ravvedersi. Questo, non altro, indicano quei quattro “guai” che non sono una maledizione.
Beatitudini e guai sono in rapporto al presente: i ricchi, i sazi, i gaudenti risultano chiusi in loro stessi tesi a difendere quello che hanno. Non hanno attese o desideri, pensano di essere autosufficienti, di bastare a se stessi: è l’inizio della china verso l’ottusità, cioè il non capire come l’azione del Padre è quella di “rimandare i ricchi a mani vuote” e a “saziare gli affamati”, cioè i poveri come canta il Magnificat.
Gli “anawim” in ebraico (= i poveri) non identificano tanto coloro che vivono una povertà materiale, quanto coloro che hanno la capacità di riconoscere la propria pochezza di fronte alla realtà di Dio. L’essere suoi anawim è la disponibilità a rimanere sempre attenti, pronti a cogliere la sua volontà con fiducia, coscienti di non poter contare unicamente sulle proprie forze per poterla realizzare. Sono coloro che non inorgogliscono il proprio cuore, non levano con superbia lo sguardo, non si avventurano nel fare cose superiori alle proprie forze, ma si affidano sereni al Signore come un bimbo in braccio a sua madre (Ps 131).
L’ultima beatitudine e l’ultimo “guai” si discostano dagli altri tre e si presentano in una forma profetica che non è predire il futuro bensì l’invito a guardare all’oggi, il nostro oggi, quello personale, con gli occhi del Signore. Ecco allora che “beati” sono coloro che “a causa del Figlio dell’uomo”, conoscono e sopportano insulti, calunnie, odio e invita a discernere come menzognero l’atteggiamento di chi si compiace del fatto che “tutti parlino bene di lui”. Questi ultimi sono coloro che cercano il consenso umano compiacendo gli altri per essere lodati.
Ai discepoli è invece chiesto di rimanere nella ricerca di fuggire l’omologazione, la ripetitività delle abitudini; nell’osare di vivere secondo l’esempio del Signore e le sue indicazioni delle quali né i cristiani né le chiese invece sono padroni: ne sono solo i primi destinatari. La profezia chiede la scelta radicale tra Parola di Dio (scomoda, che mette in discussione e in crisi, che chiama a conversione) e parole umane (che cercano conferme lodi).
(BiGio)
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