L'Alleanza del Sinài e un midrash (racconto esegetico ebraico)

  

(Chagall)

Le prime due Domeniche di Quaresima ci hanno raccontato l’Alleanza di Dio con il creato e quella realizzata attraverso Isacco. La terza tappa ci porta al vertice e al centro dell’Esodo (anche realmente: al capitolo 20 su 40), al cuore vero e proprio della Bibbia: alla stipula del Berit, del “Patto” tra Dio e Israele. 

Il Dio che ha mostrato il suo volto misericordioso e provvidente, chinandosi sulla sofferenza di un popolo, liberandolo dalla sua situazione di schiavitù, non lasciandolo solo nel deserto ma sostenendolo con quanto gli serviva, oggi gli propone una alleanza. 

Lo fa innanzitutto presentandosi: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla situazione di schiavitù” e lo fa, attenzione, rivolgendosi al singolo e non all’intero popolo perché ciascuno – ogni io – si senta interpellato direttamente e possa dire: “Per me è stata data la Torah” (termine che significa “Insegnamento” e non “Legge” come purtroppo ancora spesso si sente dire). Quanto contiene non sono dettami arbitrari di un potere dispotico, ma la volontà amante di un Padre che non tollera la sofferenza dell’altro da sé, che si prende cura del bisogno dell’altro e chiede di unirsi a lui per e nel fare altrettanto.

Questo è il nocciolo dell’Alleanza. È una proposta che Dio fa a ciascun uomo, che coinvolge ed esige una risposta responsabile.

"Dio pronunciò tutte queste parole" e ogni parola di Dio è parola che crea (Dio disse sia la luce e la luce fu), cioè è parola efficace che "non torna indietro senza aver recato il suo effetto". Non solo quando le ha pronunciate la prima volta, ma ogni volta che, anche oggi, vengono proclamate e ascoltate.

Dio sul Sinài non solo “parla”, ma anche “ascolta”, istituisce l’uomo come suo interlocutore; si fa conoscere e contemporaneamente conosce l’altro da sé: “Io sono il Signore Dio tuo”. C’è un “io” e un “tu”. C’è Lui e ci siamo noi, ma non assieme, bensì uno per uno.

Dio “parla”, non dà dei “comandamenti”. Fa delle proposte che sono declinate al futuro, tutte. Nessun imperativo categorico sulle labbra di Dio, tanto meno prevede sanzioni nel caso non siano rispettate. Sono obiettivi quelli che  pone verso i quali camminare cercando di essere coerenti; a volte li tradiremo, l'importante è riprendere la strada per realizzarli. Raccontano il sogno di un mondo e di una umanità diversi, nuovi, quelli che aveva sognato quando ci ha plasmati dal nulla.

Dieci Parole (perciò "Decalogo" e non Comandamenti) raccontate da chi ci ha fatto, da chi ci ha creato, da chi solo sa come funzioniamo. Dieci Parole che pesano e che indicano, che svelano e promettono benedizione. Non rispettiamo quelle indicazioni sperando di ottenere un premio alla fine della nostra vita, ma per vivere come premio il fatto stesso di esistere. Indicazioni cordiali di un Dio che ci ama. E che Gesù, rivelatore del padre, ancora riassume, sintetizza, snellisce. Fino a distillarle in un’unica indicazione: “ama”. Ama dell’amore con cui sei amato. 

Un sogno che vede l'uomo diventare il Tempio, la presenza reale dell'amore di Dio nel mondo, da non rendere merce. Questo si lega all'opera di Gesù che purifica il Tempio nel racconto evangelico di oggi e che ci invita a non rendere e trattare l'umanità come una "cosa".



                                                                   Un Midrash


I midrash rabbinici fanno notare che, tra tutti i popoli della terra, Israele fu l’unico a dare a Dio il suo assenso. Ecco il racconto:     


Quando Dio sul Sinài promulgò il Decalogo, le sue parole si spartirono in 70 lingue acciocché anche gli altri popoli del mondo le potessero intendere. Dio voleva evitare che gli altri popoli si lamentassero perché non si era offerta la Torah anche a loro. Così sul Sinài il Decalogo fu promulgato non solo in lingua ebraica agli israeliti, ma in tutte le 70 lingue del mondo alle 70 nazioni che allora esistevano.

Dio andò con le tavole della legge prima dai Babilonesi e chiese loro: “Volete accettare la Torah?” ed essi dissero: “Cosa contiene?”. Dio rispose: “Non devi commettere adulterio!”. “No - replicarono i Babilonesi - proprio in questo noi troviamo piacere”.

Allora Dio offri il Decalogo agli Assiri. Anch’essi chiesero: “Cosa c’è scritto? “; “Non devi uccidere”. “Noi non possiamo ubbidire a questa Parola perché lo sterminio dei popoli e la nostra caratteristica dominante”.

Poi andò dagli Amaleciti. Ma anche si respinsero il Decalogo perché conteneva il divieto del loro mezzo di sostentamento: il divieto di rubare. Atri popoli risposero che non potevano accettare il Decalogo perché conteneva il divieto dell’idolatria mentre essi avevano ricevuto in retaggio dei loro padri il proprio culto degli idoli e non se ne volevano staccare.

Nonostante Dio andasse con le tavole del Decalogo di popolo in popolo e le offrisse ad ognuno, gli ebrei furono gli unici ad accettarle e a seguirle.

In ogni caso la prima parola del Decalogo “Io” Dio non l’ha scritta in ebraico (Ani’), ma in una lingua straniera, nell’egiziano “Anochì”, per evitare che gli ebrei se ne appropriassero e non potessero dire che apparteneva solo a loro.


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