Coerenza e fedeltà
Nelle scorse tre domeniche abbiamo avuto delle risposte alle domande su Gesù con le quali siamo giunti alla Quaresima. Dio in Gesù si è fatto vicinissimo a noi, in tutto simile a noi per annunciarci che è venuto per trasfigurare la nostra vita. La nostra storia e la nostra vita, la storia di ogni uomo è diventata il suo tempio, la casa che Lui abita, nella quale ha preso dimora. Come noi e con noi porta il peso della tentazione e la fatica lenta della trasfigurazione.
Nell’Evangelo di oggi Gesù, rispondendo a Nicodemo, alle sue e nostre domande, cerca di farci capire che parlare delle nostre croci personali e collettive, individuali e sociali, non è un invito a prenderle con rassegnazione sperando in una qualche consolazione futura, ma è l’esigenza di vivere la nostra vita come Lui ha vissuto la sua, assumendone le contraddizioni e le fatiche per cambiarle di segno dal di dentro.
Vivere con coerenza e fedeltà questa fatica, questa croce, è fare la verità e chi la opera viene alla luce. La verità non è un qualcosa da imparare e saper dire bene ma è un qualcosa da fare, un compito da portare a termine. Amare la luce (e non “preferire” come è tradotto in italiano), è scegliere di avere la stessa passione e compassione di Dio per l’uomo che, nella sua croce la redime.
Non per nulla Gesù dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio” e “come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo”. Con queste due frasi delinea la sua missione e, quell’essere innalzato, non è solo la morte in croce, ma pure la sua risurrezione e ascesa al cielo. Ha vinto la morte e, risorgendo, ha trasfigurato riportando al suo splendore originario la realtà che condivide con noi: l’ha salvata, non giudicata.
La stessa cosa ci narra la prima Lettura dal libro delle Cronache. Nonostante le Alleanze vissute prima e poi stretta con Dio nel Sinài, come ci è stato raccontato le domeniche precedenti, il popolo non vi rimane coerente e fedele. L’essersi allontanato provoca il cadere in una situazione di nuova schiavitù (proviamo a pensare alle situazioni difficili nelle quali siamo o possiamo incorrere per il non rimanere coerenti o fedeli in un qualsiasi campo…). Ma il Signore non si dimentica delle promesse fatte e, attraverso Ciro re di Persia, fa liberare e tornare il suo popolo nella terra promessa a ricostruirgli un tempio a Gerusalemme. Anzi, è chiamato a "salire" a Gerusalemme, a riprendere cioè la sfida del riuscire a rimanere fedele all'Alleanza con il suo Dio.
La Bibbia ci narra proprio questo: nonostante l’uomo mostri tutta la sua incoerenza e incapacità, Dio rimane sempre fedele alla sua Alleanza e le rinnova continuamente, non ha mai fatto mancare i suoi messaggeri e continuerà ad inviarli incessantemente, premurosamente. Sta a noi ascoltarli o disprezzarli.
Nella Bibbia, in Nm 21,4-9, in seguito alle lamentele per la durezza del viaggio nel deserto, Dio manda fra gli Israeliti dei serpenti velenosi che mietono numerose vittime. Il popolo, pentito, si rivolge allora a Mosè affinché preghi il Signore di allontanare i serpenti. Dopo che Mosè ebbe pregato, Dio gli ordina di forgiare un serpente di bronzo e di collocarlo su di un palo in vista del popolo: chiunque fosse stato morsicato dai serpenti velenosi, si sarebbe potuto salvare solo guardando verso il serpente di Mosè.
In ebraico, il termine per indicare questo serpente di bronzo innalzato, è l’anagramma del nome Gesù, cioè: “Dio salva”.
È per questo che nella basilica di S. Ambrogio a Milano nella navata centrale ci sono due colonne messe in parallelo. Sopra di una c’è un serpente in bronzo mentre, su quell’altra, c’è un crocefisso.
Ma anche sul Monte Nebo c’è un crocifisso stilizzato (l’autore è Giovanni Fantoni) sul quale si attorciglia un serpente.
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