In queste settimane sta diventando chiaro il cammino che Marco desidera farci fare per incontrare il mistero di Gesù.
La guarigione del sordomuto ci ha fatto comprendere che il Signore è venuto a portarci un rapporto nuovo con la creazione nella quale tutti, credenti e non credenti, possono riconoscere stupiti i segni della presenza di Dio, questo Dio che diceva al sordomuto ma anche ciascuno di noi “apriti”.
Nel nostro oggi ci è dato di incontrare Cristo e di interrogarci su chi sia ma, soprattutto, di lasciarsi interrogare da lui. Alla sua domanda su chi lui sia, possiamo dare semplici notizie di cronaca o comprendere che è stato consegnato nelle mai degli uomini e, per questo, è arrivato fino alla morte ereditando da Dio un nome che è al di sopra di ogni altro nome. In questo sta il mistero della salvezza: un Dio che si incarna, si fa uno come noi fino a morire perché tutti lo possano incontrare e stare in questo mondo in maniera nuova, ricreandolo.
Oggi l’Evangelo ci presenta un fatto singolare. Un discepolo, Giovanni, che non ha ancora ben compreso come Dio oramai abita in mezzo agli uomini e che, per questo, qualunque uomo può incontrarlo nella propria esistenza e vivere la propria storia come storia di salvezza, dice a Gesù: “Maestro abbiamo visto uno che schiacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”. La traduzione non è fedele al testo originale che invece dice: “glielo abbiamo impedito perché non ci seguiva”.
È una concezione distorta di cosa comporti essere discepoli del Signore. Diventare suoi seguaci non è un criterio discriminante che divide l’umanità in due parti: chi lo segue e chi non lo segue. Se lo si fa significa che non è compreso quel discorso sull’incarnazione e la croce che Gesù ha appena finito di fare proponendolo per la seconda volta e che riproporrà ancora. È nell’esperienza di tutti che, in un cammino di formazione, è opportuno ripetere più volte i diversi concetti in contesti diversi prima che vengano assimilati.
Così fa Gesù, non si tratta di seguire lui per poi essere contro qualcuno, con qualcuno e non con qualcun altro, si tratta di seguire unicamente quel Dio che è con tutti. Allora non si può essere contro, ma per gli altri: Dio sta con tutti perché ogni uomo possa vivere con verità la propria realtà come storia di salvezza.
Per questo, per i discepoli del Signore, c’è sempre la possibilità di incontrare qualcuno che non le appartiene e che tuttavia ha qualcosa da dargli che lei non possiede. “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua” per quanto poco cioè, anche la comunità dei credenti ha da ricevere qualcosa. È un invito a non ritenersi autosufficienti e da questa presunzione guardare agli altri dall’alto in basso.
Anche il mondo ha da dare qualcosa alla Chiesa perché possa essere più autenticamente discepola del Signore e questo può essere fatto da chiunque. Parafrasando: “chiunque può essere una ricchezza per voi e può darvi qualcosa che vi manca; per seguirmi avete bisogno anche di quanto può darvi il mondo che vi sta accanto”.
“Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo”. Perché questo avvenga è però necessario che la Comunità dei discepoli sia realmente alla sequela di quel Dio che si abbassa e si incarna fino alla morte ed alla morte in croce. Solo così sarà la Chiesa del suo Signore e potrà guardare al mondo come lui lo guarda. Potrà riconoscere nel mondo che Dio le dona e nel quale è chiamata a vivere con coerenza, una ricchezza di cui lei è ancora priva e che potrà ricevere da “chiunque” dice Signore, “chiunque vi darà anche solo un bicchiere d’acqua”.
Se la Chiesa non guarda al mondo come una ricchezza dalla quale può ricevere qualche cosa, non aderisce allo sguardo del suo Signore, quindi non è più la sua Chiesa e finisce per scandalizzare i piccoli che invece credono o, meglio, vivono secondo lo Spirito d’amore del Padre, finendo per essere un segno efficace del suo amore tra gli uomini a volte più dei discepoli. In particolare quelli fuori del suo recinto e che, invece, hanno qualcosa da donarle.
È singolare la punizione che Gesù sembra riservare a chi scandalizza questi piccoli credenti anonimi: una macina da asino al collo. Non è casuale che Gesù scelga proprio questa immagine. Una macina da asino era una pietra che lo teneva legato e tanto più questo cercava di sciogliersi tanto più vi rimaneva legato. Gesù vuole dirci: se qualcuno scandalizza questi piccoli ma che sono in grado di arricchire anche la comunità cristiana, di fatto si uccide da solo. Tradisce cioè quel Signore che era diventato il senso della sua vita, che magari pure a parole continua ad annunciare, uscendo però dalla “sua vita”.
Infine ci sono tre detti di Gesù che ci dicono che già ora decidiamo della nostra vita: “… è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani ed andare nella Geenna …”. Quello che facciamo nella nostra realtà è quello che decide per la nostra eternità.
Per tre volte Gesù dice: “entrare nella vita … entrare nella vita … entrare nel regno di Dio”. La vita cioè è già il regno di Dio anche se non lo è in pienezza. Si tratta cioè di seguire Gesù nell’incarnazione e di entrare fino in fondo nella vita perché questa è anche la strada per entrare nel regno di Dio.
Gesù non vuole descriverci o raccontarci che cosa sarà nell’eternità; vuole invece dirci che questa si decide qui nella nostra storia, che lui ha posto ormai il seme dell’eternità nella nostra realtà: è qui che il credente, senza distinguere chi è dei nostri e chi non lo è, è chiamato ad annunciare il nome del Signore, del Dio benedetto, che si è fatto uno come noi.
In questo modo allora il credente sarà capace di camminare con chiunque gli darà un bicchiere d’acqua verso il Regno che viene. La Chiesa e il mondo insieme verso il Regno. Non la Chiesa senza il mondo o contro il mondo, non il mondo senza la Chiesa o contro la Chiesa, ma la Chiesa e il mondo insieme verso il Regno che viene e che tutta via è già qui presente.
Si tratta forse soltanto di riconoscerlo e di scoprire che tutti assieme siamo camminando faticosamente, ma nella speranza e nella certezza.
(BiGio)
lui ha posto ormai il seme dell’eternità nella nostra realtà: è qui che il credente, senza distinguere chi è dei nostri e chi non lo è, è chiamato ad annunciare il nome del Signore, del Dio benedetto, che si è fatto uno come noi.
RispondiEliminaUn commento davvero innovativl e rigenerante. Una visione nuova e viva di chiesa e di mondo. Che fa bene specialmente a noi credenti