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La confessione di fede è autentica solo se è esistenziale, se è scritta con la nostra vita


Da Betsaida (Mc 8,22), sulla riva del Lago di Tiberiade, Gesù, insieme con i suoi discepoli, si sposta verso nord, nella zona di Cesarea di Filippo (Mc 8,27). E “lungo il cammino” (en tê odô: cf. Mc 9,33-34; 10,32.52) Gesù poneva ai discepoli questa domanda: “La gente, chi dice che io sia?” (Mc 8,27). Se più spesso è Gesù a essere interrogato dai discepoli (cf. Mc 4,10; 7,17; 9,11.28; 10,10; 13,3), qui è lui stesso che interroga i discepoli ponendo loro una domanda decisiva che concerne la sua identità. Attraverso la pagina evangelica la domanda raggiunge il lettore che si trova a sua volta interpellato. È interessante che la domanda venga posta “lungo il cammino”. È cammin facendo, è nel concreto e quotidiano seguire Gesù che si chiarisce al discepolo l’identità di Gesù stesso. L’autentica confessione di Gesù avviene esistenzialmente. L’identità di colui che viene confessato, attrae e coinvolge l’identità di colui che la confessa: è nella sua vita che il cristiano confessa il Cristo. Ovvero: mentre diciamo che siamocristiani è importante aver coscienza che dobbiamo ancora diventare cristiani. L’obbedienza alla volontà di Dio si manifesta nel corpo e nelle relazioni, nell’esistenza e nella morte. Fino alla morte. È l’insegnamento dell’anziano vescovo di Antiochia, Ignazio, che, avviandosi al martirio, scrive ai cristiani di Roma: “Ora incomincio a essere discepolo” (Ai Romani V,3). La domanda posta da Gesù ai discepoli suggerisce anche al lettore e al credente di oggi che Gesù ci raggiunge come domanda. Ed è bene che per noi Gesù rimanga sempre anche una domanda, e non diventi mai solamente una risposta. Perché altrimenti si spegne il dialogo e noi ci chiudiamo nel monologo facendoci signori del Signore. Il Signore che chiama è anche il Signore che domanda e la vocazione è sempre anche una domanda, cioè un’offerta di amore: rispondere alla vocazione significa restare aperti all’amore e alle nuove domande che il Signore diverrà per noi durante il cammino della nostra vita. La risposta, anche di fede, deve lasciare aperta la possibilità di altre domande, altrimenti uccide il mistero e spegne l’amore. Anzi, proprio le risposte, le confessioni, i pensieri, i ragionamenti, insomma le nostre parole, rischiano di diventare un ostacolo alla sequela, di costituire la nostra difesa di fronte all’appello alla vita che il Signore ci rivolge. Spesso le nostre risposte null’altro sono se non difese contro la domanda.

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“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc 8,34). Il discepolo, dice Gesù con linguaggio forense, rinneghi sé stesso, cioè ricusi la difesa, rinunci all’arringa difensiva, a spendere le proprie energie nel controbattere le accuse nel tentativo di salvarsi. L’espressione ‘prendere la propria croce’ si riferisce al momento in cui il condannato alla crocifissione si carica sulle spalle la trave trasversale della croce per compiere l’orribile itinerario tra la massa urlante che lo accompagna con ingiurie e imprecazioni. “Chiunque mi segue, dice Gesù, deve rischiare una vita altrettanto difficile quanto la via crucis di un condannato in cammino verso il patibolo” (Joachim Jeremias). Si tratta di rinunciare all’idolatria di sé, di uscire dai meccanismi di autogiustificazione e di abbandonarsi totalmente al Signore in una follia in cui risiede il segreto della libertà del discepolo del Signore. Anche Gesù nel processo non si difenderà, sulla croce non salverà sé stesso, non darà risposte ma entrerà nel silenzio offrendo sé stesso a un Dio silenzioso a cui si rivolgerà con una domanda: “Perché mi hai abbandonato?”. Anche il cammino di Gesù diventa un perdere la propria vita e un essere spogliato di risposte da dare e da dire. Resta solo la risposta che egli è, esistenzialmente, e che vive nella carne. E anche per noi, quando gli appoggi e le sicurezze umane vengono meno, quando il cammino che percorriamo diviene indecifrabile, allora l’atteggiamento evangelico del perdere la vita diventa essenziale per proseguire il cammino. E per divenire noi stessi, nella nostra carne, fino in fondo, fino alla morte, eco della domanda che il Signore pone a ogni uomo: “Chi dite che io sia?

(Luciano Manicardi)


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