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XXIII PA – Mc 7, 31-37

Un invito a rialzarsi, a "fare bene ogni cosa", a comprendere la creazione e la storia come lo spazio nel quale è sempre possibile incontrare il Signore: basta non fermarsi alle apparenze ed è necessario ascoltare prima di parlare ....


 

Domenica scorsa Gesù cogliendo l’occasione di una discussione con chi lo ascoltava, aveva posto al centro della nostra attenzione il cuore cioè lo spazio biblico nel quale ogni persona ripone le cose più importanti, verificandole di giorno in giorno con la storia che è chiamato a vivere, alla luce della Parola che il Signore pronuncia per lui.

Mentre Dio pone il suo cuore vicino agli uomini, in mezzo alla nostra storia, Gesù faceva notare come il popolo lo onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da lui e indicava la strada per arrivare a possedere un cuore nuovo e, quindi, essere uomini nuovi, che non temono ciò che può entrare nella vita di una persona, semmai ciò che può uscire dal suo cuore diventando concreta nella sua realtà quotidiana.

L’Evangelo di Marco di oggi ci presenta la guarigione di un sordomuto condotto a Gesù. Questa persona non ha un nome proprio perché ci rappresenta tutti. All’inizio c’è una precisazione geografica importante: Gesù, tornando dalla regione di Tiro, passa per Silone e si dirige verso il mare di Galilea; un percorso per nulla lineare.  Sta quindi girando in lungo e largo senza alcun problema il territorio pagano della Decapoli, in mezzo a un popolo non ebreo.

Questo significa che una persona dal cuore nuovo come Gesù, non ha spazi privilegiati nei quali parlare ed agire, ma persino in un territorio straniero, in mezzo a un popolo estraneo al suo si trova a suo agio, vi abita, percorre i villaggi e agisce.

Questo vale anche per ogni comunità cristiana che, chiamata a vivere il territorio nel quale Dio la posta, è chiamata a trovarsi a suo agio, perché è qui che è chiamata ad agire e ad amare gli uomini che il Signore ama.

Al sordomuto che gli viene portato, Gesù fa alcuni gesti che sono tipici dei taumaturgi di quell’epoca. Ma ecco un’altra precisazione molto significativa: Gesù prende in disparte quell’uomo che non può sentire né parlare. Lo fa perché quei gesti sono il modo che Gesù ha di dialogare con lui. Il Signore quando incontra una persona, non lo fa mai in maniera generica, facendo dei gesti comuni che vanno bene per tutti, ma incontra quella persona nella sua storia e nella sua situazione precisa ed unica. Mostra così la sua capacità di esprimere “umanamente” tutto il suo coinvolgimento e il suo interesse per quell’uomo preciso, non per uno qualunque.

Poi pronuncia una parola: effetà che Marco sente il bisogno di tradurre con apritiUna parola rivolta non solo agli organi di quell’uomo, ma all’intera sua persona perché lui lo considera non solo nella sua infermità, ma nella sua totalità di persona e nella sua concreta situazione.

Apriti” è un invito simile a quello che risuona più e più volte nella Scrittura: “Alzati!”, rimettiti in piedi, non rimanere ripiegato su te stesso, sul tuo dolore, sulle tue fatiche, guarda avanti inizia di nuovo a camminare. Fai tesoro dei tuoi errori: faranno per sempre parte di te, ma ti aiuteranno ad essere una persona vera. L’importante è continuare a misurarsi con la vita, le sue gioie e le sue fatiche, amandola fino in fondo attraverso le persone che continuerai ad incontrare per la tua strada.

Gesù invita a non dire nessuno della guarigione perché la nostra attenzione non si fermi al miracolo, non ci distacchi dalla buona notizia che è lui. Il fermarsi al miracolo significa non riuscire ad incontrarlo e imparare da lui che cosa significhi vivere conforme un progetto nuovo di vita.

Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.

Questa è una citazione di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima Lettura della liturgia di questa domenica. È la medesima citazione che Gesù offrirà come risposta ai mesi di Giovanni, quando saranno mandati a chiedergli se lui quello che deve venire o se devono attenderne un altro.

 

Da quanto narrato nell’Evangelo, si possono essere reazioni diverse: può condurre a un semplice stupore e non riuscire ad andare oltre, oppure può essere compreso come una ulteriore testimonianza di chi sia Gesù. 

Anche noi possiamo leggere la nostra storia alla luce della fede, oppure semplicemente per quello che accade. Possiamo semplicemente sorprenderci dall’inedito, oppure intravedere in questo la buona notizia della presenza di Dio in mezzo a noi.

 

Spesso a questo miracolo ci si ferma a dare interpretazioni simboliche: l’uomo sordomuto è l’uomo primo di privo di fede che, incontrandosi con il Signore, si apre alla possibilità di credere. Però forse è preferibile attenersi a un’indicazione concreta del testo, Gesù incrocia una persona malata e, aldilà del popolo a cui questa persona appartiene, si incontra con lei, la libera e gli dice di aprirsi. Aprirsi a che cosa? Ad una realtà rinnovata, riportata nell’ordine buono della Creazione operata di Dio. Ecco cosa desidera sottolineare Marco evidenziando il fatto che i presenti esclamano: “ha fatto bene ogni cosa”; richiamandoci alla mente quanto il Signore afferma alla fine di ogni giorno della Creazione. 

 

Siamo allora chiamati a comprendere la creazione e la storia come lo spazio in cui è possibile anche oggi incontrare la salvezza. La Comunità cristiana è chiamata ad incontrare concretamente le persone nelle loro necessità, conducendole a Gesù, cioè facendosi carico delle loro difficoltà: ascoltandole a tu per tu, parlando loro come abbiamo visto fare da Gesù, accompagnandole a trovare la via per superare le loro difficoltà, ad iniziare, a ricreare, a fare nuova la loro vita.

Se noi siamo capaci di questo, siamo delle persone dal cuore nuovo che hanno compreso che Dio abita in mezzo alla loro storia e, contemporaneamente, anche la loro storia abita definitivamente nel cuore di Dio, dentro la sua misericordia.

(BiGio)

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