"Sul cammino tracciato da Gaudium et Spes" - Un commento al nuovo libro del Papa

 di Lucia Capuzzi su Avvenire del 28 settembre  

Yves Congar la definì “la terra promessa” del Vaticano II. La Gaudium et spes, unico documento elaborato completamente nelle sessioni conciliari, rappresentò una “rivoluzione copernicana” nei rapporti costruiti negli ultimi quattro secoli tra Chiesa e mondo. Non solo superò la pregiudiziale nei confronti della Modernità – fino ad allora considerata “errore da cui proteggersi” –, ma presentò il dialogo con il presente come esercizio di autoconsapevolezza per l’identità ecclesiale. Calandosi nella storia, confrontandosi con essa la Chiesa cresce nella comprensione della Rivelazione, nella conoscenza del mistero di Dio. All’interno di questo orizzonte si colloca il Magistero sociale di papa Francesco e il testo che ne costituisce una delle assi portanti: Fratelli tutti.Nella terza enciclica del Pontefice, «possiamo riconoscere la traiettoria tracciata dalla Gaudium et spes, anzitutto nella scelta di “ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo”, ma anche nel richiamo alla vita sociale come “luogo” in cui la Chiesa può “conoscere più profondamente” se stessa nella “costituzione datale da Cristo” e, dunque, impegnarsi “per meglio esprimerle e per adattarla con più successo ai nostri tempi”», scrivono Michael Czerny e Christian Barone in Fraternità “segno dei tempi”. Il magistero sociale di papa Francesco, in uscita giovedì per la Libreria editrice vaticana (Lev), e del quale lo stesso pontefice firma la prefazione. Un saggio già di per se “sinodale” perché nasce dal confronto tra un cardinale e un teologo fondamentale, una “voce ufficiale” e una “voce giovane, insieme”. Se il legame tra Francesco e il Concilio è noto – più volte lo ha esplicitato lo stesso Papa –, la trama che lo intesse non era finora stata scandagliata in profondità, fino a individuarne le fibre più intime. Il saggio di Czerny e Barone le delinea con audacia e acutezza di analisi, consentendo al lettore di cogliere appieno la sintonia tra la “Chiesa in uscita”, instancabilmente edificata da Bergoglio e l’orizzonte teologico tracciato dal Vaticano II. Due, in particolare, sono gli elementi che Francesco mutua e rilancia dal Concilio: il metodo di lettura del reale e la categoria dei segni dei tempi. Egli ha fatto propria l’intuizione di Giovanni XXIII: per entrambi la pastoralità non è l’applicazione pratica di astratti principi dottrinali bensì una «dimensione costitutiva e interna alla dottrina», affermano gli autori. Le “riserve” e “incomprensioni” di alcuni sul Magistero sociale del Papa esprimono, nel fondo, un’interpretazione ancora selettiva del Concilio. E, in particolare, la difficoltà di accettare la scelta fatta dai padri conciliari fin dalla prima sessione dell’autunno 1962 e che costituiscono l’ethos della Gaudium et spes. La determinazione, cioè, di passare da un paradigma astorico a una lettura storica- salvifica degli eventi da cui discende un cambiamento di metodo. La Costituzione non enuncia dei principi né mette in primo piano i cosiddetti “presupposti della fede”: la presenza e l’azione ecclesiali nel mondo implicano una “funzione maieutica” nei confronti dell’essere umano concreto, situato nel tempo e nello spazio. «Rilevando le inquietudini che affiorano in ogni epoca e gli interrogativi di senso che da sempre si agitano nel profondo della coscienza umana, la Chiesa è chiamata a dare ragione della speranza che la abita annunciando il Vangelo e testimoniando la carità», si legge nel saggio. Strettamente collegata al metodo, è la figura dei segni dei tempi, con cui la storia diviene “luogo teologico”: da qui il dovere di cercarvi nelle sue pieghe e contraddizioni, «le tracce della venuta di Dio in mezzo a loro». Esattamente ciò che propone Francesco quando, con umiltà, chiede alla Chiesa di mettersi in ascolto del mondo, rinunciando a una postura asimmetrica. Fraternità e amicizia sociale – il nucleo di Fratelli tutti – sono, in quest’ottica, “segno dei tempi”. Guardarvi come a una realtà dinamica e aperta rappresenta per la Chiesa un percorso di annuncio e trasmissione del Vangelo. Non è più sufficiente limitarsi a comunicare le verità di fede: il credente assume con l’alterità della realtà e dei propri simili uno stile relazionale. È proprio questa capacità di guardare al futuro della Chiesa e dell’umanità più che al passato, ad attribuire, secondo gli autori, «al Magistero di Francesco una forza dirompente che può allarmare e disorientare. Per il fatto di richiamare costantemente l’attenzione sui poveri, sui migranti e sui sofferenti di ogni tipo, Francesco è stato frainteso e accusato di far prevalere la componente sociale sulla dimensione trascendente della fede. In realtà, i suoi appelli sembrano percorsi da una profonda tensione spirituale ed escatologica: egli è fermamente convinto che «Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore, cioè sul nostro concreto impegno di amare e servire Gesù nei nostri fratelli più piccoli e bisognosi”».

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