I colpi di Stato non sono tutti uguali. Non lo sono le cause, le modalità, i protagonisti. E soprattutto, non lo sono i tempi. I tempi storici. Ecco perché interpretarli richiede uno sforzo di comprensione e uno sguardo meno rigido. Al susseguirsi di golpe in Africa degli ultimi anni non c’è una sola risposta. E quelle di oggi potrebbero non essere le stesse quando ci sarà stato modo di osservare il risultato di questi avvenimenti. L’unica cosa davvero certa è che il continente sub-sahariano sta vivendo una evoluzione. Nuova, in qualche modo imprevista (e in larga misura, imprevedibile).
Molti dei colpi di Stato nei primissimi anni dalle indipendenze sono stati “manovrati” dagli ex colonizzatori europei (soprattutto da Francia e Belgio) e dagli USA e questo vale anche per gli assassinii di leader carismatici e critici nei confronti di chi li aveva fino ad allora dominati e per questo ritenuti pericolosi (solo la Francia è ritenuta coinvolta in 22 casi di omicidi dal 1963), come Patrice Lumumba, primo ministro della neonata Repubblica Democratica del Congo (con la responsabilità di Bruxelles) e Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso che contestò la schiavitù economica a cui l’Occidente aveva sottoposto l’Africa e chiese l’annullamento del debito voluto dai colonizzatori, “una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata” disse. Oppure per il colpo di Stato che sostituì il presidente del Ghana, Kwame Nkrumah.
Troppo comunista per un presidente come Lyndon Johnson. “Il colpo di Stato in Ghana è un altro esempio di colpo di fortuna fortuito. Nkrumah stava facendo di più per indebolire i nostri interessi di qualunque altro africano nero. In reazione alle sue inclinazioni fortemente filo-comuniste, il nuovo regime militare è quasi pateticamente filo-occidentale”.
Così scriveva, in una lettera indirizzata al presidente degli Stati Uniti, il suo assistente agli Affari della sicurezza nazionale. “We face neither East nor West: we face forward” (non guardiamo né ad Est né ad Ovest: guardiamo al futuro), affermava quello che è stato il presidente del primo paese dell’Africa sub-sahariana a conquistare l’indipendenza (1957). Ma le idee (e le dichiarazioni) panafricaniste di Nkrumah non sono mai state apprezzate da chi voleva continuare a tenere il controllo su paesi che solo formalmente stava lasciando. Bisognava schierarsi e schierarsi “dalla parte giusta”.
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