La “ripresa” è ben diversa dalla “ripetizione”: riprendere è continuare a compiere e non reiterare. Il ripetere fa scivolare nelle sabbie mobili dell’inerzia, quando si va avanti con la sola energia che resta quando la creatività si esaurisce: il dovere, una prigione da cui si cerca poi di evadere in modi più o meno estrosi e disastrosi. Un lavoro, un matrimonio, uno sport… vissuti solo per dovere soffocano. E dove non c’è più creazione di novità ma solo ripetizione, non c’è gioia.
Diverso è “riprendere”: si riprende un film che amiamo anche se lo abbiamo già visto, si riprende un tramonto anche se avevamo ammirato quello del giorno prima, si riprende un’amicizia quando si continua il discorso da dove lo si era lasciato settimane prima… Ciò che si riprende non si ripete, è vivo, ciò che si ripete non si riprende, è morto. E infatti “ripetente” è sinonimo di bocciato e “mi sono ripreso” di salute: facciamo una “ripresa” quando vogliamo immortalare qualcosa da non perdere. Ma che cosa ci fa essere grati per ciò che ritorna senza che sia “ripetuto” ma “ripreso”?
La riflessione di Alessandro Davenia continua a questo link:
https://www.profduepuntozero.it/2023/09/12/ultimo-banco-169-graziato/
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