Il perdono illimitato si apre anche nella nostra letteratura
Subito dopo la sua confessione di fede, Pietro si parò davanti a Gesù che annunciava la passione. “Questo non ti accadrà mai!”. E ricevette una lezione che ancora se la ricorda. “Va' via, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16, 21-23). Quale era il pensiero di Dio che prevedeva la passione e la morte di Gesù? Abbiamo detto: l’inclusione della sofferenza e della morte nella redenzione, che sarebbero rimaste fuori stando a Pietro. C’è dell’altro, ovviamente: la remissione dei peccati “per voi e per tutti”, col suo sangue versato in ogni Eucarestia. Scena cruenta, eppure…
“La morte si sconta vivendo”, dice un verso di Ungaretti, 1916. La morte o “il male di vivere”, avrebbe scritto Montale in senso più esistenzialista. Paolo scriveva ai Romani (6,23): “Il salario del peccato è la morte”. La guerra, il tedio mortale, il sentimento persistente della colpa, il rimpianto, l’odio per sé stessi, la paura, la fuga nel passato… sono espressioni di morte, alla lunga esiti del peccato, secondo Paolo. Anche del peccato altrui, del male che ci viene fatto senza motivo e produce astio, turbamento, coazione a ripetere, buio nell’esistenza... La vittima si traveste in carnefice, l’umiliato in colpevole e neppure sa perché. Come scrollarsi di dosso questo destino?
La religione cristiana non è un’opzione come tante. È la soluzione come ciascuno ha modo di verificare liberamente.
A volte il ‘male di vivere’ scende in noi con una tale gravezza di spirito, accanto ad una visione chiara della irrimediabile vanità di ogni cosa, da lasciare la mente annichilita e lucida. Non c’è psicofilosofia che tenga. Ma ai più inquieti possono aprirsi orizzonti nuovi. Un prete augurava ai suoi: “Che vi venga un mal di pancia!”, così da piantarla con l’orgoglio. Smettetela di piangersi addosso, ché vi vengono i reumatismi”. Cadono i pregiudizi e ci si concede la facoltà d confrontarsi con la Parola e guardarci dentro. Appare allora il rimedio della compassione e del perdono.
Fra di noi, al meglio, possiamo disporre di un amico, di un’amica che ci avvicini nei momenti tristi e per ciò stesso è di sostegno quando le cose buttano male, ci sono contrasti in famiglia, sul lavoro, l’annuncio di una malattia… Una dolce esperienza di consolazione (‘stare con chi è solo’) preserva ‘l’umano’ dall’abbrutimento.
Gesù è questo e molto altro. Ascolta i mali che gravano sulla nostra coscienza, gli errori subiti e quelli fatti, il racconto del male che ne è venuto e, pur non passandoci su, si sostituisce a noi nella colpa, negli effetti, nel ‘salario’. Pago io.
“Ma tu vieni e seguimi”. Per fare esperienza che non cammini una via di fantasia, occorre la pratica del perdono, dato e chiesto. Diecimila talenti contro cento denari, miliardi di euro contro cento. Bando alle supponenze: siamo persone vere solo se viviamo di perdono. Occorre farne esperienza. Non la fa quel tale, condonato dei diecimila talenti, che caccia in galera chi gli deve spiccioli al confronto. È la ‘fatica’ di perdonare che rende effettivo il perdono ricevuto. Gesù è vero e non potrebbe parlare come parla se non facesse la ‘fatica, ‘quella’ fatica, di perdonarci. La stessa difficoltà di mettere in pratica il Vangelo sta a dimostrare che è vero e credibile. Il nostro gesto di perdonare fa scendere dentro di noi il balsamo dolcissimo della consolazione e della giustizia, perché rimette le cose a posto.
Renzo, scampato alla peste, torna a Milano in cerca di Lucia. Nel lazzaretto incontra fra Cristoforo che si occupa dei malati. E parlando dei suoi guai a partire da don Rodrigo, gli monta la rabbia e promette di ucciderlo se è scampato alla peste. Fra Cristoforo, a quelle parole, ripreso il vigore di un tempo, lo strattona e dice: -“Guarda, sciagurato!” E mentre con una mano stringeva e scoteva forte il braccio di Renzo, girava l’altra dinanzi a sé, accennando quanto più poteva della dolorosa scena all’intorno. “Guarda chi è Colui che castiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu sai tu quale sia la giustizia! Va, sciagurato, vattene!”-. Una lavata di testa con lozione antiforfora. Renzo è mosso al pentimento e al perdono. Si apre alla consolazione.
Ma è troppo lungo da riportare, troppo bello da riassumere. Capitolo XXXV de “I promessi sposi”.
(Valerio Febei e Rita)
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