Giogiò, oggi lo chiamano tutti così spinti da sincera partecipazione emotiva, ma scusate la franchezza, tra qualche giorno, Giovanni Battista Cutolo, il giovane musicista assassinato per niente, in piazza Municipio a Napoli se lo ricorderanno solo la famiglia, la fidanzata e gli amici.
C’è stato un tempo vuoto che mi sembra pesi come la lapide di marmo che mercoledì ha chiuso i resti di Giogiò.
Quel tempo vuoto è di tre anni. Non poco. Da quando l’assassino aveva 13 anni fino ai suoi 16. A 13 anni accoltellò un suo coetaneo e fu accusato di tentato omicidio. Non era imputabile, troppo piccolo per andare in galera. E poi passa del tempo e a 16 anni spara tre colpi di pistola contro un altro ragazzo, Giovanni appunto, e lo uccide. A 16 anni è sempre un “muccusiello” che però evidentemente era solo passato dal coltello a “o fierr” (la pistola), e che ora andrà nel carcere minorile.
Che cosa è successo in quel tempo? Chi si è occupato di quel bambino che aveva cercato di uccidere e che poi alla fine lo ha fatto 3 anni dopo? Non era imputabile e quindi? Forse bisognava prendersene cura, forse bisognava tenerlo d’occhio. Invece era tranquillamente avviato alla carriera di rapinatore di Rolex, come altri ragazzini del suo quartiere. Come anche Ugo Russo, vivo nella cronaca e ucciso da un carabiniere libero dal servizio che aveva cercato di rapinare.
Ora è facile dire che bisogna buttare la chiave. Ma che abbiamo fatto quando aveva 13 anni e già aveva conosciuto e praticato il male?
La riflessione di Amalia De Simone continua a questo link:
https://www.valigiablu.it/napoli-omicidio-giovanni-cutolo-musicista/
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