Domenica XXVI PA - Mt 21,28-32

L’immagine è quella di un Padre che ti affianca, ti si fa vicino con il massimo della tenerezza e ti propone di andare a curare la vigna dalla cui uva verrà tratto il vino che è il simbolo della festa e della gioia. L’invito, l’obiettivo e l’accento non sono posti tanto sul rispetto di un ordine che comporta lavoro con le correlative fatiche, ma sulla proposta di collaborare ad una azione capace di produrre nella vigna, raffigurante il popolo, festa e gioia.
 

I rapporti interpersonali e quelli all’interno delle Comunità chiedono di mettersi al servizio dell’altro per fare un tratto di strada assieme proponendogli così, nel fare esperienze in comune, la possibilità di accorgersi degli errori commessi e porvi rimedio. Si riuscirà in questo modo a condividere la misericordia del Padre che, per esprimersi pienamente, dovrà superare i legacci posti dalle nostre resistenze. La scorsa settimana con la parabola del compenso dato ai contadini assoldati per andare a lavorare nella vigna, Gesù ha iniziato a demolire la “religione dei meriti” che pensa di poter gestire il rapporto con il Padre come in un commercio.

La pericope di oggi inizia con una domanda: “Che ve ne pare”. Le domande che Gesù pone ai suoi interlocutori ci chiamano sempre in causa direttamente e non ci lasciano scappatoie. Quelle di oggi non sono rivolte solo ai “gestori del sacro” ma a tutti coloro che hanno fatto della religione (non della fede!) il loro baluardo di sicurezza. Avere regole certe portano a vivere tranquillamente protetti da ogni soffio di vento, ma rendono impermeabili all’evolversi della storia, incapaci di leggerla e di riuscire ad individuare in essa quei germogli di salvezza o, nel linguaggio del Concilio Vaticano II, i “segni dei tempi” seminati dal Signore dei quali siamo chiamati a prenderci cura, farli crescere e dei quali saremo chiamati a render conto.

Il suo racconto prosegue con un uomo che “aveva due figli; rivoltosi al primo disse …” il verbo usato in greco ha una sfumatura che nella traduzione italiana sfugge e sottolinea che questo padre “si avvicinò al primo figlio”. L’atteggiamento non è dunque quello del padrone che dà un ordine dall’alto al quale bisogna obbedire pena qualche castigo o il non ottenere la classica carota in premio per aver fatto quanto richiesto. Inoltre non viene adoperato uno dei due termini greci consueti per dire “figlio”, ma un terzo che viene dal verbo che significa dare alla luce, partorire. Quindi l’immagine è quella di un Padre che ti affianca, ti si fa vicino con il massimo della tenerezza e ti propone di andare a curare la vigna dalla cui uva verrà tratto il vino che è il simbolo della festa e della gioia. L’invito, l’obiettivo e l’accento non sono posti tanto sul rispetto di un ordine che comporta lavoro con le correlative fatiche, ma sulla proposta di collaborare ad una azione capace di produrre nella vigna, raffigurante il popolo, festa e gioia. La risposta che ottiene è un “” ma che non trova riscontro nella realtà al contrario di quanto accade con il secondo figlio che inizialmente mette davanti le sue voglie, ma poi ci ripensa e dà corso alla richiesta del Padre.

Gesù ora chiede ai suoi interlocutori, oggi noi, di esprimersi e la risposta non può che essere una: è il secondo figlio che ha fatto la volontà del Padre alla quale segue un avvertimento solenne: state attenti perché gli ultimi vi passeranno davanti, anzi vi sostituiranno nel Regno di Dio prendendo i primi posti, quelli che ora pensate di occupare voi. State attenti perché vi sentite sicuri, però Dio può con la sua misericordia convertire gli ultimi mentre non può nulla contro il castello di certezze che vi siete costruiti attorno. Quelli che voi pensate siano già persi per la loro realtà di peccatori, possono pentirsi mentre, chi si pensa a posto per le sue pratiche religiose, difficilmente riconosceranno le loro incongruenze.

È chiaro che, nel rapporto con il Padre e la sua proposta, il secondo figlio ha compiuto un cammino: dal rifiuto al porsi sulla traccia del suo essere e, di conseguenza agire nella sua sequela. È quel percorso che viene continuamente e incessantemente proposto anche a ciascuno di noi: accorgersi che il Signore si fa vicino e ci invita ad uscire dai nostri gusci per iniziare a porre attenzione ai bisogni degli altri, anche quelli inespressi, per portare gioia.

Gusci che possono essere quelle “Stanze a specchio” di Facebook o altro social, quando usate da leoni da tastiera circondati solo da “simili a loro” e con facilità “bannare” chi non lo è, costruendosi così una roccaforte sulla sabbia dei media. Essere interconnessi in questo modo può essere scambiato con un “sì” al mondo ma in realtà è un pensarsi al centro che esclude gli altri. È il contrario del percorso del secondo figlio ed è molto più simile a quello fatto dal primo che potrebbe portarci a sentirci dire: “Mi onori con le labbra ma il tuo cuore è lontano da me” (Is 29,13-14; Mc 7,6).

 

Questa parabola ci chiede anche un cambiamento nell’immagine di Dio: dal padrone che dà ordini, al Padre preoccupato che ciascuni lavori alla sua vigna ed abbia così da vivere. Un Padre che suggerisce, invita, indica, lascia liberi di interpretare e fare, mentre si continua a sentire e a percepire la fede con le sue espressioni religiose come una serie di regole da rispettare, obblighi da fare inchinandosi come i servi. Nemmeno il Decalogo (e non i Comandamenti!) sono leggi a cui obbedire, ma indicazioni di obiettivi da raggiungere in un percorso lungo quanto la nostra vita, fatto rimanendo ancorati nell’amore e nella misericordia del Padre che ci circonda e accompagna sempre con un abbraccio avvolgente che offre vita.


(BiGio)

2 commenti:

  1. L'importanza della traduzione del testo cambia completamente l'approccio alla Parola. Il buon servizio sta proprio in questo: un conto è dire rivoltosi, un altro è dire avvicinatevi. Un commento che apre ad una lettura del testo liberate e che suscita il desiderio di "andare nella vigna" con la finalità che la possibile fatica è per la gioia e la festa.
    Grazie a chi commenta così chiaramente e con linguaggio comprensibile a tutti.

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