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Domenica XXXI PA - Mc 12,28-34

Un’antica interpretazione rabinica ha riletto il comando di amare il prossimo come se stessi in questo modo: “Ama il tuo prossimo come tu stesso sei amato da Dio”. 


Nell’Evangelo di Marco Gesù ha avuto cinque dispute in Galilea e ora, giunto a Gerusalemme, ha avuto altre cinque franche discussioni con i sadducei e i farisei che si erano rivelati essere una serie di attacchi per cercare di diffamarlo, ma dai quali lui esce ogni volta sempre più rafforzato. Oggi ci viene presentato il quarto confronto avuto nell’area del Tempio con uno scriba di ispirazione farisaica che, avendo visto come Gesù aveva ben risposto ai sadducei, si presenta da solo con un atteggiamento non preconcetto o pregiudizialmente negativo.  

Però la domanda che questo scriba pone: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?” sa di retorica, perché lui conosceva già la risposta che per lo più veniva allora data, il “primo” è quello che anche Dio osserva: il riposo sabbatico. Osservare questo equivaleva ad osservare tutta la Legge, il trasgredirlo veniva punito con la morte e Gesù, in qualche occasione, vi aveva trasgredito. 

Nella sua risposta di Gesù non cita alcun Comandamento e si rifà al “credo” di Israele, lo Shemà Israel: “Ascolta Israele, il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuorecon tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Dt 6,4-5). A questo aggiunge un precetto “E il secondo è questoAmerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,8). Quello che unisce le due citazioni tanto da farne “una” è l’imperativo “amerai”: non ci può essere amore verso Dio se non si traduce contemporaneamente verso il prossimo. Giovanni richiamandosi anche ai discorsi d’addio (Gv 13,34), nella sua 1^ lettera ne fa un’ottima sintesi: “Chi ama Dio deve amare anche i fratelli!” (1Gv 4,21). Dio ci ama per primo del tutto gratuitamente, senza chiedere nulla in cambio (Rm 5) ed è la coscienza di questo amore che spinge ad amare ugualmente gli altri. Gesù non è venuto a chiedere amore e sacrifici verso Dio, ma l’amore gratuito verso gli altri facendosi “prossimo”. Questo è più importante di tutti gli olocausti e di tutti i sacrifici come è il richiamo dei profeti (per esempio Os 6,6 o il Salmo 50,18).

Amare Dio è innanzitutto riconoscere la sua alterità che porta ad essere coscienti, nominare e accettare le dimensioni di negatività e le carenze che abitano il cuore dell’uomo come avverte il profeta Michea “Dal cuore umano escono i propositi di male …” (Mc 7,21-23). Farvi fronte e correggere queste tendenze, permette di riuscire a farsi portatori del suo amore verso tutti gli altri. 

L’esperienza di essere amati da Dio è alla base del comando di amare sia Dio che il prossimo ed è il fondamento della possibilità da parte dell’essere umano di adempierlo: “Solo l’anima amata da Dio può accogliere il comandamento dell’amore del prossimo fino a dargli compimento. Dio deve essersi rivolto all’uomo prima che l’uomo possa convertirsi alla sua volontà” (Franz Rosenzweig).  

Dio crede nell’uomo e nella sua capacità di amare. Per questo il “comandamento” di Dio non va mai inteso in senso legalistico, ma compreso nello spazio del dono e dell’amore; non è mai un “ordine” ma è l’invito a prendere coscienza che prioritariamente è un “tu puoi”, che diventa offerta di senso per la vita. L’obbedienza plasma il cuore dell’uomo rendendolo sempre più simile a quello del Signore. 

Per questo quell’”Ascolta” instaura una relazione nella libertà di accogliere o rifiutare, invita a ricevere e accogliere, credere che affidandoci all’amore di Dio ci rende capaci di un amore sottratto alla fragilità dello spontaneismo, del sentimentalismo e evita di scivolare in rapporti possessivi o ricattatori.

Lo scriba, come indicato prima, probabilmente si attendeva un’altra risposta ma non rimane sorpreso, anzi loda Gesù “Hai detto bene, Maestro e secondo verità”. Chiamandolo “Maestro”, riconosce così il suo insegnamento anche perché la risposta data non era per lui una novità: altri Maestri ebrei erano giunti al medesimo risultato. Le scuole teologiche all’epoca erano molte e i dibattiti tra di queste a volte anche molto duri ma un’antica interpretazione rabbinica sulla quale concordavano era la rilettura del comando di amare il prossimo come se stessi in questo modo: “Ama il tuo prossimo come tu stesso sei amato da Dio”.

 

Gesù allora gli riconosce di non essere “lontano dal Regno di Dio” ma la strada è irta per uno che riveste una riconosciuta posizione importante nella società: condividere, abbassarsi e soprattutto servire anziché comandare comporta una conversione a 360 gradi. Come accadde per quel “tale” che aveva molte ricchezze e gli aveva chiesto che cosa dove fare per avere la salvezza.

 

(BiGio)

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