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Domenica XXXII PA - Mc 12,38-44

Un’istituzione religiosa che, anziché mettersi al servizio delle persone mette le persone al proprio servizio, non ha diritto di esistere.

Gesù è a Gerusalemme dove ha avuto cinque controversie che avevano tentato di screditarlo nei confronti del popolo ma che, invece, lo avevano rafforzato e la numerosa folla ascoltava volentieri il suo insegnamento (e non “discorsi”).

Gesù oggi come tutti i giorni è nel Tempio e “fissa lo sguardo” su ciò che accade non per giudicare, azione che spetta solo a Dio. Lo fa guardando il cuore delle persone con misericordia, non con arroganza o presunzione, non per alimentare “chiacchericci” come li chiama papa Francesco. Lo fa per “discernere” cioè “valutare questo tempo” (Lc 12,54) con correttezza alla luce della Scrittura per non lasciare nell’ambiguità le coscienze dei “piccoli”, dei più deboli, dei più giovani, che potrebbero rimanere “scandalizzati” e confusi mentre, invece, vanno sorretti nella loro ricerca di comprendere correttamente la volontà del Padre. Nel farlo ci pone di fronte a due atteggiamenti sui quali siamo chiamati a confrontarci.

Stigmatizza la differenza tra il predicar bene e il razzolar male di alcuni scribi, i teologi ufficiali, che si beano delle loro conoscenze, si pavoneggiano, amano essere riconosciuti, cercano i primi posti nei banchetti come quelli più alti nelle Sinagoghe, si fanno vedere mentre – l’evangelista scrive letteralmente – sono “in apparenza a lungo preganti”, ma il loro scopo è quello di avidamente prendere per sé il bene degli altri. 

Non tutti gli scribi sono così. Nell’Evangelo di Domenica scorsa si era confrontato con uno di loro dicendogli alla fine che “non era lontano dal Regno di Dio”, perciò non si deve fare di ogni erba un fascio.

Fissa lo sguardo” anche su di un gesto di una donna che ai più sfugge perché non evidente o ritenuto ininfluente, ma che invece è il segno della capacità di una donazione totale di se stessa. Tutti gettano del loro superfluo, parte di ciò che avanzava loro fino al corrispettivo di una giornata di lavoro che si può ipoteticamente attualizzare a € 64,00, mentre i due lepta, le due monete gettate dalla donna, continuando il paragone corrisponderebbero a € 0,00595238.

È una operazione audace e rischiosa quella di risalire da un gesto alla sua intenzione, ma Gesù lo compie con chiarezza esponendo la sua interpretazione senza filtri, con la forza disarmante che viene dalla semplicità e dall’adesione alla realtà. La sua interpretazione è un insegnamento che si inserisce con coerenza nell’annuncio del Regno di Dio che si “è fatto vicino” (Mc 1,15) e l’obolo di quella donna diventa simbolo della gratuità, della follia dell’amore, profezia del gesto di donazione della vita compiuto da Gesù. 

L’insegnamento primo che se ne può dedurre è che nessuno è così povero da non avere nulla da dare agli altri. Amare è far dono all’altro della propria verità creando un incontro e così realizzando una relazione, una comunione nella reciprocità; è la condivisione delle “povertà” di ciascuno che diventano quella ricchezza comune capace di sostenere e dar senso alla vita di ciascuno.

 

Gesù allora convoca a sé i discepoli. Li aveva chiamati la prima volta per seguirlo (Mc 3,13); poi per narrare loro in parabole la sconfitta di Satana (Mc 3,23); quindi per inviarli a due a due in missione ((Mc 6,7); ancora per insegnare loro che l’impuro è ciò che esce dall’uomo (Mc 7,14); di nuovo per confidare loro la sua compassione per la fame delle persone che lo stava seguendo da tre giorni e alla quale darà il pane (Mc 8,1). Li riconvocherà dopo il primo annuncio della passione e prima di elencare loro le esigenti condizioni della sequela (Mc 8,34). Dopo averli invitati attorno a sé per insegnare loro che, contrariamente a ciò che avviene nel “mondo”, la legge che deve informare la loro vita è quella del servizio umile (Mc 10,42), li chiama oggi un’ultima volta nella quale il suo sguardo diviene parola critica e di ammonimento. Non fa un “discorso” ma l’Evangelista indica con precisione che il suo è un “insegnamento” che richiama ciò che già aveva detto: “Tra voi non sia così”, “Voi non fate così” (cf. Mc 10,43). La sua è una parola che ha il coraggio della verità difronte a chi abita la menzogna, di chi ha trasformato la sua “funzione” in “finzione” per riuscire ad alimentare la propria autostima misurata sulla distanza dall’altro da sé, dal quale differenziarsi e sentirsi superiore.

Allora quella di Gesù non è una lode per la vedova, ma un lamento per le vittime dell’istituzione religiosa; per questo subito dopo c’è l’annunzio che questa istituzione deve scomparire e dirà “Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta” (Mc 13,2). Un’istituzione religiosa che, anziché mettersi al servizio delle persone mette le persone al proprio servizio, non ha diritto di esistere.

(BiGio)

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