Un dialogo tra sordi quello tra Pilato e Gesù? oppure due "poteri" che si confrontano? In ogni caso appare la differenza abissale tra autorità e autorevolezza. Il "regno" di Gesù già presente in questo mondo: siamo chiamati a concretizzarlo ogni giorno e nulla ha a che vedere con il regno del potere e del dominio
Con la festa di Cristo Re termina il cammino liturgico di quest’anno nel quale ci ha accompagnato l’evangelista Marco aiutandoci progressivamente a scoprire e a conoscere chi è Gesù.
Nella prima parte di questo percorso, siamo stati sollecitati a porci costantemente una domanda: “Chi è costui?” interrogandolo direttamente o indirettamente, rimanendo sorpresi di quello che diceva e faceva. Nella seconda è stato invece Gesù ad interrogare noi: “Chi dite che io sia?” e, nella terza parte, Marco ci ha posto davanti a due strade diverse: vivere contraddicendo quello che affermiamo, oppure testimoniare con coerenza donando noi stessi fino alla fine seguendo l’esempio del Signore.
Domenica scorsa i segni che annunciano la fine di un mondo improntato dal potere di fatto si avverano nel racconto della crocefissione: il buio sulla terra e il velo del tempio che si squarcia concretano Mc 13,24-25. La vittoria finale di Cristo perciò è già avvenuta ed è già ora quel Signore della storia che oggi celebriamo la cui parola non sarà mai sorpassata (Mc 13,31). È bene ricordarlo in questi nostri tempi senza punti di riferimento (Mc 13,25: la luna e le stelle si sono spente, hanno perso la loro funzione) e viviamo in una liquidità culturale e sociale che spesso ci appare in tempesta (la grande tribolazione di Mc 12,24).
Questa domenica, l’ultima di quest’anno liturgico, c’è una specie di riassunto finale attraverso il dialogo durante il processo tra Pilato e Gesù, due personalità estremamente diverse nel quale sorprende la pacatezza e sicurezza di Gesù nel rispondere senza essere per nulla intimorito di fronte ad uno che ha il potere di condannarlo e metterlo a morte. Gesù appare composto, misurato, dimostrando una pace, una serenità interiore difficile da avere in noi quando ci troviamo davanti anche ad un semplice poliziotto che ci ferma per un controllo. Appare qui in tutta la sua ampiezza la differenza tra autorità ed autorevolezza, doti che caratterizzano diversamente i due interpreti.
Pilato chiede a Gesù se sia lui il Re dei Giudei; la risposta è una domanda che desidera stimolare Pilato a ragionare con la propria testa, non con quella di chi lo ha consegnato. La risposta è brusca e con disprezzo chiede: “Son forse io Giudeo?” e rilancia “Che cosa hai fatto?”.
Pare un dialogo tra sordi perché Gesù a questo punto afferma che il suo “regno non è di questo mondo”. Non contrappone affatto “questo” mondo e un imprecisato “aldilà”, ma quello del potere e del dominio che produce morte e quello dell’amore e del servizio che produce vita. Infatti precisa: “se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori (ma Gesù non ha servitori perché lui è venuto per servire), avrebbero combattuto, ma il mio regno non è – letteralmente – di questi” non del tipo di quello che tu, Pilato, incarni.
Il procuratore romano rimane sorpreso e chiede: "ma allora, Tu dunque sei re?”. La risposta di Gesù tradotta letteralmente suona come “è una tua affermazione, non mia” e, spostando l’accento, afferma che la sua “regalità” sta nell’essere nato “per dare testimonianza alla verità”.
Nell’Evangelo di Giovanni la “verità” non è un qualcosa che si possiede, ma che si è (Gv 14,6), nella quale si è chiamati a camminare con coerenza. Nell’incontro con Nicodemo (Gv 3) Gesù contrappone chi fa la verità con chi fa il male: essere nella verità significa fare il bene, essere in sintonia e realizzare il progetto del Padre sulla creazione. Chi si trova in questa situazione ascolta la voce di Gesù. Vale a dire che “per ascoltare” la voce di Gesù, è necessario aver messo al centro della propria vita non il proprio interesse personale ma il bisogno dell’altro.
È quello che Marco, nel suo Evangelo, ha sottolineato fin dai primi versetti e ci ha accompagnato lungo quest’anno a scoprirlo: il Regno di Dio è già presente tra gli uomini, sta a loro, a noi, renderlo evidente testimoniandolo con la nostra vita come ha fatto Gesù. Seguendo il suo esempio nel servizio, nella pazienza, nella benevolenza, il dono di sé stessi, senza usare la forza, il ricatto, la corruzione; usando solo l’amore che non ferisce ma salva, non cerca la vendetta ma pratica il perdono.
Sta in questo la sua “regalità” nella quale, con il Battesimo, siamo stati pure noi innestati per condividerla in un Regno che è anche il nostro Regno. Oggi.
(BiGio)
PS: Vale la pena di soffermarci un momento sul significato della parola “verità” che oggi si è in gran parte perso, perché è divenuta sempre più importante la “narrazione” di un fatto che comporta facilità di manipolazione come possiamo verificare ogni giorno.
Il termine verità è riconducibile a più radici. In sanscrito vrtta significa fatto, accadimento; nello zendo (la lingua dei testi sacri zoroastriani dell'antico Iran) la radice var vuol dire credere similmente alla parola sanscrita varami che indica ciò in cui credo, scelgo, voglio, spero. Viene in questo modo messa in luce l'importanza di una libera e volontaria adesione a un fatto, a una azione. Infine, in greco (la lingua nella quale è stato scritto l’Evangelo di Giovanni), “aletheia” significa dischiudimento, svelamento, rivelazione; è lo stato di qualcosa che non è o non è più nascosto, che ora è completamente evidente.
Nessun commento:
Posta un commento