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Colombia: il pane e le rose - Si evolve la situazione: da protesta in rivolta - Il "focus" dell'ISPI

 


A un mese dall’inizio delle manifestazioni, la protesta in Colombia si trasforma in rivolta contro il governo e le disuguaglianze.

 

Aumenta la pressione internazionale per un’inchiesta indipendente sui fatti di Calì, in Colombia, dove venerdì scorso il governo di Bogotà ha schierato 7mila militari e, nel corso delle proteste contro il presidente Ivan Duque, si sono registrati 13 morti. Per l'Alta commissaria Onu per i diritti umani Michelle Bachelet “è essenziale che coloro che si presume siano coinvolti in queste morti o nei ferimenti, inclusi funzionari governativi, siano soggetti ad un'inchiesta rapida, efficace, indipendente, imparziale e trasparente”. Intanto, a oltre un mese dall’inizio delle mobilitazioni, in molte città del paese si continua a scendere in strada e a manifestare. Stime attendibili parlano di un bilancio complessivo di 60 morti e oltre duemila feriti. E alla riforma tributaria, che aveva innescato le proteste, si sono aggiunti numerosi altri temi: i manifestanti oggi dicono basta alla corruzione governativa e chiedono il rispetto dei diritti umani e una riforma del sistema di polizia, accusato di violenze sistematicheai danni della popolazione.

Una protesta venuta da lontano?

Nei lunghi anni in cui è stata ostaggio del conflitto armato, la Colombia non è intervenuta sulle profonde disuguaglianze che – come in molti paesi dell’America Latina – ne hanno caratterizzato la crescita. Secondo dati Eclac, in Colombia circa l’1% della popolazione detiene il 40% della ricchezza mentre il coefficiente di Gini – che misura la disuguaglianza sui redditi – segna lo 0,55. Tra i più alti del mondo. E non è tutto: quando la misurazione avviene dopo aver pagato le tasse, l’indice schizza a 0,6 ed oltre. Il che significa che il sistema impositivo aumenta le disuguaglianze invece di ridurle. È da qui che bisogna partire per capire le proteste che scuotono il paese, sceso in piazza proprio per un progetto di riforma fiscale annunciato dal ministro delle finanze Alberto Carrasquilla, poi costretto alle dimissioni. La riforma avrebbe accentuato il peso fiscale sulle fasce medie e povere, estendendo l’IVA al 19% anche a luce, acqua, gas, apparati elettronici ed altri beni. La risposta è stata la protesta nelle piazze, decise a opporsi all’iniziativa, che hanno obbligato il ministro a dimettersi e il governo a ritirare il progetto.

 

Forze dell’ordine parte del problema? 

A peggiorare le cose è stato il massiccio dispiegamento di forze dell’ordine ai cortei, che si sono moltiplicati nonostante i divieti delle restrizioni per la pandemia, in diverse città del paese. L’epicentro della rivolta è stata la città di Calì, dove decine di giovani sono stati prelevati di peso e tuttora non si hanno loro notizie. ll governo ha imputato le violenze a presunti elementi terroristi infiltrati, ma questa versione è smentita dalle decine di video amatoriali diffusi sui social, che mostrano gruppi di poliziotti che aggrediscono manifestanti inermi, agenti che sparano sulla folla, retate e violente caccia all’uomo anche in abitazioni private. Nell’occhio del ciclone è finita la squadra speciale dello Squadrone Antisommossa Mobile (Esmad), responsabile di aver aperto il fuoco sui civili e di aver messo in atto una repressione indiscriminata. A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato l’ex presidente, Alvaro Uribe, dichiarando “legittimo” l’uso delle armi contro i manifestanti, prima di una parziale smentita. Nel corso delle settimane, tra le fila di operai, studenti, piccoli imprenditori contadini, si sono uniti anche i gruppi indigeni, tra i più colpiti dalle continue violenze nelle aree rurali. Le proteste hanno così assunto una connotazione anti-sistema e messo il governo di fronte ad una crisi sociale senza precedenti. 

Un governo in crisi di legittimità? 

Con oltre 88mila decessi su una popolazione di 50 milioni, la Colombia è tra i paesi più colpiti dalla pandemia in America Latina. La crisi sanitaria ha interrotto un periodo di crescita che avrebbe dovuto aiutare il paese a lasciarsi alle spalle gli anni bui della guerra. Nell’ultimo anno l’economia si è contratta del 6,8% e la disoccupazione è salita al 16%. Il 42% dei colombiani vive al di sotto della soglia di povertà e il governo non ha predisposto forme di sostegno per le fasce più indigenti. Ma l’escalation di violenze non riflette solo il fallimento dell’esecutivo nell’affrontare un malcontento sociale radicato: è il sintomo di una progressiva perdita di legittimità ed erosione democratica. Secondo un sondaggio del marzo scorso il governo Duque, a fine mandato, può contare su un sostegno popolare di appena un terzo dell’elettorato e il ricorso al ‘pugno di ferro’ contro i manifestanti non ha fatto altro che logorare ulteriormente il suo consenso. I colombiani nutrono sempre più sfiducia nelle istituzioni statali e nei partiti. La debolezza di Duque è aggravata dall’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2022 a cui il presidente, in base al vincolo di un solo mandato, non può ripresentarsi. In vista del voto i partiti di maggioranza, come quelli di opposizione, non vogliono pregiudicare le loro prospettive sostenendolo e, in tal modo, minano ogni iniziativa, già incerta, di dialogo. Anche per questo la debolezza dell’attuale amministrazione, la cui riforma fiscale non ha ricevuto il sostegno nemmeno del suo stesso partito, è oggi tra i principali ostacoli a una via d’uscita.

 

IL COMMENTO

di Antonella Mori, Head Programma America Latina ISPI 

Il malcontento sociale esploso in queste ultime settimane in Colombia cova da tempo sotto la cenere. Anche se fino al 2020 il Pil pro capite era in crescita, il paese figura dei più diseguali dell’America latina. La ricchezza è nelle mani di pochi e lucidi lupo economico e sociale è tuttora fortemente disomogeneo. Con la pandemia e l’aumento vertiginoso della povertà la situazione è ulteriormente peggiorata e oggi si allarga il grido di chi reclama una maggiore redistribuzione è una chiara inversione di rotta.

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